martedì 3 giugno 2008

I Molfettesi in Africa Orientale

“I Molfettesi in Africa Orientale miti e verità, immagini e memorie” 03/06/2008 Si è tenuta il 30 maggio, nella sala Finocchiaro della Fabbrica San Domenico, l’interessante conferenza “I Molfettesi in Africa Orientale – miti e verità, immagini e memorie”, realizzata nell’ambito dell’omonima mostra in corso presso la Sala dei Templari, con lo scopo di approfondire il tema dell’AOI (Africa Orientale Italiana), organizzato dall’associazione Eredi della Storia, con il patrocinio del Comune di Molfetta. Il convegno non ha avuto la pretesa di “giudicare” gli eventi, bensì di fornire gli elementi documentari raccolti con una ricerca della massima obiettività, al fine di restituire alla Storia il suo ruolo tradizionale di formazione, in altre parole per consentire agli ascoltatori di formarsi un proprio giudizio su avvenimenti a volte toppo trascurati. Riflettori puntati, dunque, sulle origini del sogno coloniale italiano, sulla campagna di Etiopia e sulla metropolizzazione dell’Africa Orientale, sul ruolo dei molfettesi nella campagna d’Africa e su come fosse vissuta questa “impresa” nella nostra città, sulla legislazione dell’epoca. Moderati dall’avv. Nicola Bufi, si sono alternati tre validi relatori: il dott. Corrado Sasso, il dr. Michele Spadavecchia e l’avv. Angelo Gadaleta. Il dott. Sasso, partendo dagli ultimi decenni dell’Ottocento ha tracciato un excursus storico sino al 1923 (anno in cui l’Etiopia venne ammessa nella Società delle Nazioni), ponendo l’accento sullo smacco subito dalla Francia che riuscì a colonizzare la Tunisia, battendo sul tempo gli italiani (1881), sull’occupazione da parte dell’Italia dell’Eritrea, iniziata nel 1882 con l’acquisto della baia di Assab, sulla costa del Mar Rosso, (1882) e completata nel 1890, grazie all’aiuto dei Bashi-Buzuk (mercenari locali), sul rinnovamento operato dal gen. Baldissera che mutò il nome dei Bashi-Buzuk (letteralmente, teste vuote) in Ascari, creò diversi reparti come le “Penne di falco”, i “Meharisti” e gli “Zapitiè” (quest’ultimi erano un reparto speciale di carabinieri). Successivamente il gen. Baldissera venne sostituito dal gen. Barattieri, più favorevole alle mire espansionistiche di Crispi; si riuscì ad entrare in possesso di parte della Somalia e di annettere l’Etiopia, ma la resistenza etiope oltre ad errori tattici da parte delle alte sfere militari portarono ad una tragica sconfitta che portò alla perdita di 262 ufficiali, 4.300 soldati nazionali e 2.000 ascari e alla caduta del Governo Crispi. Il dr. Spadavecchia si è soffermato sulla presenza italiana nel Corno d’Africa tra gli anni 1935 e 1937, con la conquista dell’Etiopia, commentando anche diverse immagini esposte presso la sala dei Templari. Ma cosa spinse l’Italia, negli anni Trenta del Novecento, a imbarcarsi nell’avventura coloniale? La spinta espansionistica mai sopita, l’ansia di prestigio internazionale, la ricerca di materie prime (assillo costante per il nostro Paese), la ricerca di sbocco demografico. L’impero coloniale italiano, in quel momento, contava la Libia, l’Eritrea e la Somalia. Non tutti sanno che la Libia e la Somalia non esistevano come “stati”, i loro confini vennero “disegnati” dall’Italia. Un’altra notizia poco conosciuta riguarda una zona della Somalia, l’Oltregiuba o Bassa Giuba: una zona desertica che venne donata all’Italia dalla Gran Bretagna, come “compenso” per la mancata assegnazione dell’Istria e della Dalmazia durante la conferenza di pace che seguì la fine della prima guerra mondiale. Quella dell’Etiopia è stata la guerra più popolare nel nostro Paese, anche grazie alla propaganda generata dai media (filmati, cabaret, giornali...), persino la Chiesa pregava per il Duce e la Vittoria. L’arruolamento fu in parte volontario (su cinquantamila domande ne furono accettate solo quindicimila): tanti giovani venivano invogliati e ingannati dai numerosi vantaggi garantiti (esenzione dalla tassa sul celibato; avanzamento, per gli studenti universitari, all’anno successivo con abbuono di esami, paga ragguardevole…). Ma la guerra è guerra, il territorio e la resistenza etiope non consentivano una veloce avanzata. Per facilitare la conquista non si esitò ad utilizzare, in modo vergognoso, i gas come l’iprite. L’ingresso in Addis Abeba sancì la conquista del territorio. Cominciò così una nuova fase, con la “metropolizzazione” dell’Etiopia (costruzione di ponti, strade carrabili, edifici, come la sede della Pretura). Degli aspetti legali si è occupato l’avv. Gadaleta, che ha illustrato l’assetto piramidale che venne conferito alla struttura istituzionale dell’Africa Orientale, dal vicerè alle consulte, passando per i governatori. Si affidarono importanti ruoli anche alle popolazioni autoctone. Un autentico problema si rivelarono le “unioni” tra cittadini italiani e nativi. I matrimoni furono rari ma le relazioni “libere” estremamente numerose e la giurisprudenza dovette prenderne atto anche nell’ottica della “difesa della razza”. La questione si complicò nel 1938 con la pubblicazione delle famigerate leggi razziali. Al termine della seconda guerra mondiale le colonie italiane ottennero l’indipendenza: l’Eritrea venne annessa all’Etiopia mentre la Somalia rimase affidata all’Italia, in amministrazione fiduciaria per dieci anni, anche se in realtà vi rimase sino al 1960. di Isabella De Pinto

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