lunedì 16 febbraio 2009

Gli immigrati ai margini della prevenzione

Gli stranieri sono ancora poco coinvolti dagli screening. Ma c'è un Italia a caccia di salute multietnica. MILANO - Gli immigrati sono in media più giovani e più sani degli Italiani, hanno accesso agli stessi servizi assistenziali (ammesso che siano regolari), ma fanno meno prevenzione, compresa quella oncologica. Se invece i documenti non sono a posto, la prevenzione diventa un lusso per pochi e tutto si gioca sull’iniziativa di Asl, ospedali e associazioni. Per ora. Perché in molti guardano con preoccupazione all’emendamento che elimina il divieto ai medici di denunciare i clandestini. Ottenuto il via libera al Senato, il provvedimento è in attesa dell’esame della Camera e sta sollevando un’opposizione crescente fra i camici bianchi. «La segnalazione degli irregolari è una facoltà non un obbligo» precisa il ministro della Salute Maurizio Sacconi. «La nostra è medicina dell’accoglienza non della delazione» rispondono i medici di famiglia della Simg . Non sono in pochi oggi a temere che il «capitale di salute» degli stranieri venga a poco a poco sperperato. MENO TUMORI - La popolazione immigrata è meno colpita dai tumori rispetto a quella italiana. Secondo il primo rapporto del ministero dell’Interno sull'immigrazione in Italia presentato nel 2008 infatti gli stranieri che non provengono da Paesi occidentali hanno tassi di mortalità per tumore più bassi. I motivi di questo vantaggio in salute sono ancora tutti da esplorare e senz’altro conta fatto che emigra chi è nelle condizioni fisiche per farlo. Ma ci sono anche differenze che pesano sul rischio oncologico, ad esempio gli immigrati hanno un’età media più bassa e fumano meno. Dall’indagine Istat Salute e ricorso ai servizi sanitari della popolazione straniera residente in Italia risulta che usano tabacco 28 uomini stranieri su cento, contro 31 italiani e 14,6 donne straniere contro 20 italiane. Però, nota la medesima ricerca, le immigrate sfruttano ancora poco le opportunità di screening offerte dalla sanità pubblica. PREVENZIONE IN RITARDO – Su scala nazionale, rileva l’Istat, si sottopone a Pap-test per la diagnosi precoce dei tumori della cervice uterina poco più della metà delle donne straniere contro il 72 per cento delle donne italiane nella fascia d’età raccomandata (25-64 anni). Ma le giovani sotto i 35 anni sembrano più attente e si discostano di poco dalle coetanee italiane. Un analogo discorso vale per la mammografia: la esegue il 43 per cento delle straniere e il 73 per cento delle italiane fra i 50 e i 64 anni. LINGUE DIVERSE, MA NON SOLO - Gianni Saguatti, responsabile della diagnostica senologica dell’Ausl di Bologna, da tempo si occupa di immigrazione e screening oncologici. E si è fatto un’idea della situazione. «A Bologna abbiamo un’adesione media agli inviti per la mammografia del 65 per cento, ma fra le immigrate siamo intorno al 30. Ci sono barriere linguistiche e culturali alla comprensione delle campagne, spesso ci sono problemi più urgenti e la sensibilità per la diagnosi precoce è un lusso che qualcuno si può permettere e altri no. Infine, esiste una diversa idea della prevenzione; alcuni, come le donne dell’Est europeo, avevano già conosciuto nei Paesi d’origine programmi di prevenzione, per altri invece si tratta di un terreno sconosciuto». LA BABELE DELLA PREVENZIONE – Per superare le difficoltà linguistiche molti si sono attrezzate, come «Prevenzione Serena», il programma attivo in Piemonte che ha creato una campagna speciale per la diagnosi precoce del carcinoma della cervice uterina. «Ci siamo accorti che l’adesione delle donne straniere all’invito per il Pap-test era più bassa del cinque per cento rispetto alle Italiane, e particolarmente scarsa fra le Africane, che registrano una più alta incidenza dell’Hpv, il virus responsabile di gran parte dei carcinomi cervicali, e di lesioni neoplastiche e preneoplastiche. Allora abbiamo cercato nuove vie» spiega Livia Giordano, dirigente del Centro Prevenzione Oncologica del Piemonte. Opuscoli e locandine con i volti sorridenti di quattro giovani donne dai tratti somatici diversi («non modelle, ma ragazze "vere" che hanno prestato la loro faccia» precisa Livia Giordano) sono stati tradotti in rumeno, russo, arabo, cinese, inglese, francese e spagnolo, e distribuiti sui mezzi pubblici, in consultori, farmacie, studi medici, associazioni culturali, punti d’informazione per immigrati. «A seconda delle etnie - aggiunge Livia Giordano - sono stati cercati i canali giusti, coinvolgendo le figure di riferimento all’interno delle varie comunità, anche gli anziani e i capi religiosi. E’ stato spiegato che era gratis, senza bisogno di impegnativa del medico, che bastava presentarsi. In due anni il divario fra italiane e immigrate è scomparso». LE BADANTI COL DATORE DI LAVORO - Un’altra bella esperienza è quella della Lega Tumori di Bari, che ha attivato la campagna «La salute parla anche straniero». «Dall’aprile 2008 abbiamo visitato 91 persone da vari Paesi, i più numerosi da Romania, Mauritius e Georgia – spiega il direttore Anna Mastropasqua -. Sono state contattate tramite volantini distribuiti in parrocchia, in Prefettura, tramite i mediatori culturali. Si telefona, si prenota, si fa la visita e si torna a casa. Hanno risposto perlopiù le donne, alcune autonome, altre arrivavano con amiche più esperte, anche badanti accompagnate dal datore di lavoro». «SE STO BENE, PERCHE’ ANDARE DAL MEDICO?» - «Fornire materiali in lingua è importante, ma non basta», sostiene Kassida Khairallah, libanese, presidente dell’Associazione Multietnica Mediatori Interculturali. Da anni fa incontrare mondi diversi presso l’ospedale Sant’Anna – Regina Margherita di Torino, il maggior polo ostetrico-ginecologico della città. «Lavoro con donne dal mondo arabo e dall’Africa - racconta -. A volte vanno in ambulatorio perché pensano di dover accettare l’invito, poi tornano a casa senza essere coscienti di cosa vuol dire prevenzione (non succede solo alle straniere). Se invece incontrano qualcuno che spiega loro cosa accade, davvero la visita sarà servita a qualcosa». Solo questione di traduzione? «No. C’è anche un approccio diverso alla prevenzione perché sono diversi i concetti di salute e malattia. Una donna araba si chiede: “Se non sono malata, perché devo andare in ospedale?”». La malattia che ancora non c’è non fa paura. SALUTE E WEB - Basta scorrere i siti web di molte aziende sanitarie, ospedali, regioni, province e comuni per trovare sezioni dedicate. «Internet è importante, perché gli immigrati utilizzano volentieri e con competenza gli strumenti informatici» spiega Simonetta Ferretti, responsabile Urp del Policlinico di Modena, dove l’11 per cento dell’utenza è straniera. Attraverso la rete è possibile raggiungere e informare anche gli immigrati che non ricevono gli inviti agli screening perché non compaiono all’anagrafe e non hanno un medico di base. Sono i clandestini, per definizione invisibili alla burocrazia. GLI INVISIBILI - Per gli stranieri« irregolari» la tutela della salute è un intricato groviglio che si trasforma da città a città. La legge italiana dice che anche agli immigrati irregolari «sono assicurate le cure urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva». Devono dotarsi presso l’Asl di un codice Stp (Stranieri temporaneamente presenti), che sostituisce il codice fiscale e permette di accedere alle prescrizioni di esami e medicinali. L’interpretazione delle norme, però, varia lungo la penisola. Molte Asl, come la Roma C, esplicitano che lo screening è esteso anche allo straniero «non ancora in regola con il permesso di soggiorno, in possesso di tesserino Stp». «Da noi a Modena – spiega Simonetta Ferretti - una ragazza immigrata può recarsi in un consultorio pubblico per la contraccezione e ricevere anche visita ginecologica e Pap-test. La tessera Stp è consigliata, anche se fra gli utenti stranieri non tutti ce l’hanno, ci sono uffici nell’ospedale che emettono il tesserino e il servizio di mediazione affianca anche in questi adempimenti burocratici». Altrove la situazione è più complessa, racconta Giulia Binazzi del Naga, onlus milanese per l’assistenza socio-sanitaria a stranieri e nomadi: «Mentre ad esempio la Sicilia prevede un ufficio Stp in ogni ospedale, in Lombardia sono pochi gli ambulatori e gli ospedali disponibili. Spesso gli irregolari vengono rinviati ad associazioni come la nostra». PREVENZIONE? «PER GLI IRREGOLARI NON ESISTE» - Fabrizio Signorelli, chirurgo, da 15 anni lavora come volontario per il Naga: «Visitiamo 80 persone al giorno, abbiamo accumulato 140mila cartelle cliniche. Il diritto alla prevenzione per gli immigrati regolari è identico a quello degli Italiani. Per gli irregolari non esiste. Solo se c’è un segnale chiaro di patologia, come un nodulo al seno o la perdita di sangue nelle feci, il medico del pronto soccorso può prevedere un accertamento, si assegna un codice Stp e si procede». DENUNCIA CLANDESTINI: «SARA’ UNA FUGA DAL SSN» - La preoccupazione di molti nell’ambiente, ora, è per l’emendamento al vaglio del Parlamento per modificare la legge e eliminare il divieto ai medici di segnalare alle autorità la condizione di clandestinità di un assistito. «Non credo che molti medici si metteranno a fare segnalazioni - ipotizza Signorelli - però la gente si spaventerà. Diminuiranno gli accessi al pronto soccorso, si andrà alle associazioni e gli ambulatori torneranno alla situazione di 15 o 20 anni fa». «Stiamo a vedere – aggiunge Anna Mastropasqua della Lilt – per verificare se verremo individuati come “posto tranquillo” in alternativa al Servizio sanitario nazionale. Noi siamo sempre qua a fare il nostro lavoro, cioè accogliere». Donatella Barus (Fondazione Veronesi) 16 febbraio 2009

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