martedì 9 giugno 2009

RITORNO ALL’INFERNO

Storia di Semret, ragazza eritrea di 17 anni fuggita dal suo Paese e dal servizio di leva a vita con la traversata del deserto del Sudan. Sognava l’Europa. Non ce l’ha fatta. Semret era su uno dei barconi provenienti dalle coste africane, intercettati il 7 maggio scorso dalla Guardia costiera italiana in acque internazionali. È stata fatta salire sulla motovedetta e riportata indietro, in ossequio ai "respingimenti" decretati dal ministro dell’Interno Maroni. Ma che ne è stato dei respinti? Un volontario italiano è riuscito a raggiungerla. E ha ascoltato la sua storia, una di quelle che nessuno, da noi, vuole sentire. È l’avventura di una piccola eritrea di 17 anni, cristiana, ultima di cinque figli. I suoi fratelli maggiori sono stati costretti a prestare servizio militare a tempo indeterminato. Non si fanno più sentire da anni e la famiglia ha perso le speranze di rivederli. In Eritrea le cose funzionano così: il Governo affigge un foglio nella piazza del paese con i nomi di ragazzi e ragazze che devono presentarsi per la leva. Chi non lo fa viene arrestato per renitenza. Molti giovani scappano appena leggono il loro nome. Allora i soldati hanno preso l’abitudine di aspettarli direttamente all’uscita di scuola. Semret viene fatta salire su una jeep, ma salta giù insieme ad altri studenti. Alcuni di loro si feriscono e vengono ripresi. Semret e due amiche riescono a fuggire verso il Sudan. Lungo la strada una di loro muore di stenti e la seppelliscono nella sabbia del deserto. Le due superstiti raggiungono Khartoum dove lavorano come donne delle pulizie, cercando di mettere da parte qualche soldo. La loro speranza è l’Europa, di cui tutti parlano come della sola salvezza dai mali dell’Africa. Nemmeno il Sudan, infatti, è un posto accogliente. I profughi vivono in una zona della città dove è facile individuarli. L’ambasciatore eritreo organizza retate per riportarli in patria, alla guerra e alla morte. Appena Semret teme che scatti la trappola, fugge su un container fino a Tripoli. Di quello che avviene nei campi libici non vuole parlare, nemmeno con sé stessa. Dopo il dramma dei campi, arriva il suo turno per salire su una carretta del mare. Salpano dalla Libia, ma la notte incontrano le tre motovedette italiane che li riportano indietro. Nel porto di Tripoli, Semret viene avvicinata da un volontario italiano. Non le era mai successo che qualcuno si interessasse alla sua storia, alla sua vita. L’uomo l’ascolta, poi le chiede se vuole firmare una carta, una lettera da presentare a Strasburgo. Non serve tanto per lei, quanto per quelli che verranno dopo: ci vorranno mesi perché l’Europa si muova. Semret dice di sì. Decidono di rivedersi nel centro di raccolta tripolino. Il volontario riesce a entrare corrompendo una delle guardie, e si presenta con i fogli delle procure. Raccoglie 24 firme e impronte digitali. Sono tutte di eritrei e somali. Chiede insistentemente di Semret, ma lei sembra svanita nel nulla. Solo una ragazza, forse la sua amica del cuore, sussurra una frase frettolosa: «Appena è calato il sole è scappata, scavalcando le reti». http://www.stpauls.it/fc/0924fc/0924fc46.htm

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