sabato 16 gennaio 2010

La smemorata propaganda anti-Islam. Quando la strage di cristiano-copti la fecero gli italiani

“Ammazzare i cristiani è l'hobby più frequente da parte degli islamici”. E’ con queste parole che il senatore leghista, Giuseppe Leoni, responsabile – nientemeno – dei Cattolici Padani, commenta la strage di cristiano-copti realizzata da tre individui, presumibilmente musulmani, nel villaggio egiziano di Nagaa Hamadi. Una tragedia, quella avvenuta a margine della Messa di Natale (nel calendario ortodosso questa festività cade il 7 gennaio) in cui perdono la vita sette fedeli e che scatena una serie di violenti scontri nel paese nordafricano, dove la comunità copta subisce un’annosa repressione da parte del governo nazionale. Ma i fatti di Nagaa Hamadi, frutto, secondo quanto si apprende, di una sorta di vendetta «collettiva», scaturita a sua volta da un presunto rapimento con abusi sessuali ai danni di una giovane musulmana attribuito ad cristiano-copto, vengono tratti a spunto dall’esponente del Carroccio – e non solo – per riarmare l’ormai nota propaganda xenofoba e pseudo-identitaria in chiave anti islamica . “Siamo alle solite: nelle altre religioni non cristiane non esiste il perdono ma la vendetta che poi chiama vendetta”, riassume il responsabile dei Cattolici Padani nel commentare la vicenda. Una primazia in materia di ‘pietas’, quello attribuito alla cristianità ‘tout court’, sulla cui veridicità la storia – anche recente – ha parecchio da ridire. L’eccidio di Debre Libanos. duemila cristiano-copti di Etiopia trucidati dagli italiani E’ proprio nella comunità copta, espressione di un cristianesimo esportato nel ‘continente nero’ dal discepolo Marco nel primo secolo, che possono essere rintracciate le cicatrici di una violenza tutt’altro che di matrice islamica. La strage è datata 19-21 maggio 1937 e riporta in calce una firma ‘italianissima’ e ‘cattolicissima’, quella del maresciallo Rodolfo Graziani, viceré di Addis Abeba. Una strage per lungo tempo taciuta, ignorata da gran parte della cristianità europea e constata la vita a circa 1.600 religiosi del monastero etiope di Debre Libanos. Nel febbraio di 73 anni fa, l'Italia aveva conquistato la terra dei negus, senza però azzerare del tutto la resistenza etiopica. La guerra di aggressione dell'Italia allo Stato subsahariano era appena finita, quando Benito Mussolini, dal balcone di Piazza Venezia, annunciava alle folle la caduta di Addis Abeba e la nascita dell'Africa Orientale Italiana. Nel 1937, il Duce affida il governo dell’area al maresciallo Graziani, giunto in Etiopia per sostituire Pietro Badoglio e per riportare la quiete nell’insicura capitale occupata. L’alto gerarca, noto per la sua totale assenza di scrupoli, tenta tuttavia di accattivarsi le simpatie della popolazione, al fine di sradicare definitivamente la guerriglia di resistenti, approfittando della celebrazione cristiano-copta della Purificazione della Vergine per elargire del denaro ai poveri della città. La tradizione affidava, infatti, questo compito al negus, che in occasione della giornata di festa distribuiva qualche moneta a ciascun indigente. Ma il Maresciallo Graziani, vuole accattivarsi il favore della folla, e destina ben due talleri (una cifra davvero consistente) per ogni bisognoso. La cerimonia si svolge sui gradini del Piccolo Ghebì, oggi sede dell'Università di Addis Abeba, ma la resistenza etiopica colpisce, confondendosi con i mendicanti e lanciando diverse bombe a mano contro Graziani. Le vittime dell'attentato sono sette, ma il viceré viene solamente ferito alla schiena da centinaia di schegge. La vendetta, sentimento che a detta del senatore della Lega è ad esclusivo appannaggio dei non cristiani, è immediata: Mussolini, da Roma, ordina un ripulisti e il federale di Addis Abeba, Guido Cortese, scatena una vera e propria “caccia al nero”. Una rappresaglia feroce e senza pietà che costa la vita a “2.509 indigeni”. Ma non finisce qui. Graziani vuole catturare i due attentatori e le indagini militari italiane lo avvertono che i responsabili del suo ferimento si sarebbero addestrati nella città sacra di Debre Libanos. Il viceré italiano non ha né esitazioni né tanto meno pietà: ordina al generale Maletti di occupare il monastero più importante del paese per fare piazza pulita di chi lo abita. Debre Libanos, è il centro del potere della religione copta. Il Vaticano d’Etiopia. Il cuore della sacralità dei cristiano-copti d’Etiopia, su ordine del Maresciallo italiano, deve essere raso al suolo. Ma Maletti, zelante esecutore, inizia l’opera distruttrice già lungo il percorso verso Debre Libanos, bruciando chiese e compiendo numerose razzie e stragi di popolazioni inermi. il 19 maggio del '37 giunge nella città sacra ed è qui che riceve l’ordine definitivo da Graziani: “Passi per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice priore”. Così 1.600 religiosi vengono uccisi dalle mitragliatrici del generale Maletti sulla scarpata che dà verso il Nilo Azzurro. “Un romano esempio di pronto, inflessibile rigore” lo definirà successivamente Graziani, non colpito da alcun ripensamento. Il viceré sottolineerà, al contrario, che la “tremenda lezione data al clero intero dell'Etiopia” è stata “sicuramente opportuna e salutare”. Una “lezione” anche per chi oggi si esercita in una propaganda del tutto scollegata dalla realtà storica per dipingere una superiorità culturale o religiosa assolutamente inesistente. Quella di Debre Libanos è infatti una ferita profonda e ancora sanguinante, che un esercito di cristiani ha inflitto ad una popolazione altrettanto cristiana, quella dei copti etiopici, senza alcuno spirito di “perdono” e senza nessuna pietà.

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