lunedì 11 gennaio 2010

Rosarno, trappola mortale per gli africani

Di Francesco Paravati da Rosarno Intervista a Peppe Pugliese, dell’Osservatorio Migranti Africalabria Erano quasi raddoppiati quest’anno gli africani che si erano trasferiti a Rosarno per la raccolta degli agrumi. Più di 2500 contro i 1400 circa dell’anno scorso. Ogni anno questi lavoratori migranti si danno appuntamento con una sorta di passaparola nella piana di Gioia Tauro, per raccogliere agrumi in cambio di 25 euro al giorno in nero. Lo fanno da novembre a gennaio, con le punte di massima presenza nel mese di dicembre, quando si intensifica la raccolta dei mandarini, l’oro della Piana, e si continua poi con le arance che maturano più tardi. Ma queste persone non hanno niente a che fare con Rosarno, vanno a lavorar edove c’è bisogno di loro e dove c’è qualcuno che li paga. Dopo la piana di Gioia Tauro di solito si trasferiscono nella zona di Siracusa per raccogliere le patate. A luglio tra Campania Puglia e Basilicata per i pomodori e a settembre per le olive. La rivolta di Rosarno è scoppiata nel periodo, e nell’anno, della massima presenza, quando cioè le condizioni di vita erano ancora più precarie e le poche risorse idirche sanitarie e ricettive da dividere tra molte più persone. “Quest’anno c’è stato un vero e proprio boom di lavoratori stagionali - spiega peppe Pugliese, attivista dell’Osservatorio per i Migranti Africalabria che è nato proprio a Rosarno. “Colpa anche della crisi economica che ha portato nella piana gente che aveva perso lavoro nelle fabbriche del Nord“. La rivolta degli immigrati a Rosarno, Calabria E’ così che a raccogliere gli agrumi calabresi quest’anno sono arrivati anche ex operai delle fabbriche del Triveneto, molti ad esempio dall’azienda OZ che li ha licenziati, produttrice di componenti e cerchi in lega, o dall’Iveco. Anche operai specializzati che hanno la famiglia che lavora e vive al Nord, e hanno preso ormai l’accento bergamasco o padovano. “Tanto che la gran parte di loro era in Italia con un regolare permesso di soggiorno, molti rifugiati politici, solo qualche clandestino, ma era tutta gente che qui era venuta solo per lavorare e ripartire per le proprie residenze, in molti addirittura continuavano vivendo qui a pagare l’affitto per le proprie famiglie al Nord” spiegano ancora dall’Osservatorio. E proprio l’Osservatorio dei Migranti, arrivano i primi numeri che possoo dare un’idea della complessità del fenomeno, in mancanza dei conti della questura che per non creare altri disordini nell’allontanamento degli africani ha chiuso un occhio sulla legge Bossi Fini allontanando tutte le persone di colore presso i centri di Bari e di Crotone, e lasciandoli liberi di seguire da lì la propria strada. Nel 2009 presso la più grande delle exf fabbriche occupate, e trasformate in dormitorio, l’ex cartiera nel comune di San Ferdinando, accanto Rosarno, vivevano 600 persone, per la maggior parte anglofoni provenienti da Paesi dell’Africa Subsahariana, la maggior parte proveniva dal Ghana, poi dal Burkina Fasu, Mali e 25 rifugiati politici provenienti dal Sudan. Sempre nella passata stagione all’ex fabbrica Rognetta, accanto al centro abitato di Rosarno dove è scoppiata la rivolta, c’erano 250 persone, di cui 10% maghrebini e il resto provenienti dall’Africa sub sahariana francofona, inoltre a rizziconi nella località La Collina in due diversi casolari diroccati erano ospitati circa 400 africani sub sahariani francofoni per un totale di 1500 persone aggiungendo gli altri dormitori che erano occupati in maniesra sparsa dal territorio da gruppi di venti-trenta persone. Quest’anno è sempre l’Osservatorio dei Migranti Africalabria a confermare come la presenza dei lavoratori stagionali sia quasi raddoppiata ed è aumentata in maniera esponenziale anche la presenza di immigrati con regolare permesso di soggiorno. Un’ulteriore dimostrazione come la crisi economica che ha colpito le industri del Nord ha mandato in Calabria allo sbaraglio molti lavoratori disperati alla ricerca di una fonte di guadagno provvisoria. Lo dimostra il fatto che le vittime delle varie aggressioni ricoverate presso i vari ospedali siano tutti regolarizzati e addirittura il ragazzo ferito a fucilate, episodio dal quale è scaturita la rivolta dei giorni scorsi, sia un rifugiato politico del Togo. Dopo l’incendio che nell’estate scorsa ha distrutto la ex cartiera, la vera e propria bidonville dei migranti, i posti letto - se così si potevano chiamare - sono notevolmente diminuiti e i nuovi arrivati hanno occupato, su consiglio di qualche fonte esperta e interessata, l’ex sede dell’Opera Sila nel territorio di Gioia Tauro, che a dicembre ospitava 900 persone anglofoni, per lo più ghanesi, nigeriani, maliani. Quest’anno nell’ex fabbrica della Rognetta di Rosarno - teatro della rivolta - ci dormivano quasi 400 persone, quasi il doppio dell’anno precedente, una piccola percentuale di maghrebini e il resto proveniente dall’Africa sub sahariana, molti di loro col permesso di soggiorno. A Rizziconi, comune attaccato a Rosarno, presso l’accampamento in località La Collina da 400 a quasi 700 sia anglofoni che francofoni, mentre altri 150 vivevano accampati in delle capanne di cartone impermeabilizzate con i teli della spazzatura, nel giardino di una casa occupata. “L’aumento vertiginoso e non controllato delle presenze - spiega ancora Peppe Pugliese - ha esasperato le già precarie condizioni di vita senza che nessuno - istituzioni locali e governo - facesse carico”. Poi c’è stata la sparatoria e la vile aggressione sfociata nella caccia la negro, che è stata la punizione per una reazione “assolutamente stupida, imprevedibile e scomposta da parte degli africani” spiega ancora Pugliese “ma giustificabile proprio sulla base di queste condizioni disumane. Non dimentichiamo che un ragazzo africano l’anno scorso si è suicidato impiccandosi proprio nell’ex cartiera”. Senza le istituzioni e con i cittadini di Rosarno che non convivevano in nessun modo con l’ingombrante presenza degli Africani, è toccato ai ragazzi dell’Osservatorio Africalabria darsi da fare per migliorare le condizioni degli africani. Ma in trenta nei momenti di massima euforia non ce l’hanno fatta a venire incontro alle necessità umane dei lavoratori. Hanno creato un gruppo su Facebook ancora attivissimo dal titolo provocatorio “Gli Africani salveranno Rosarno“, che nei giorni della rivolta ha subito un aumento degli iscritti che da 1500 sono passati a oltre tremila. Dal movimento e dal gruppo di FaceBook è nato un libro, molto contestato in questi giorni con lo stesso titolo, e anche un gruppo avversario sul social network chiamato “Glia Africani hanno rotto il cazzo a Rosarno“. “Sono le stesse persone che ora vanno in tv a parlare di tolleranza” continua Peppe che da cinque giorni non dorme più a casa sua ed evita di uscire per paura di ritorsioni. Ma l’attività dei ragazzi dell’osservatorio continua nell’ombra, lontano dai riflettori e dalle manifestazioni, tra i casolari in cui ancora impauriti si rifugiano una cinquantina di africani che non vogliono lasciare Rosarno prima di avere i soldi delle due settimane di lavoro che non gli sono state pagate. La rivolta degli immigrati a Rosarno, Calabria Un’attività clandestina di convincimenti e fughe in macchina a testa bassa per aiutare chi è rimasto senza la protezione della Polizia a non lasciare la pelle a Rosarno, oltre che i soldi della paga, accompagnandoli a uno verso le stazioni, da cui partie verso una vita migliore, lontano da Rosarno, lontano da queri ghetti che si sono trasformati in una trappola mortale.

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