mercoledì 20 gennaio 2010

Una Giornata contro l’Impero

«Non è il momento per proporre al governo una Giornata della memoria da tenersi in Italia in ricordo di ben mezzo milione di nostri fratelli africani uccisi per mano italiana durante il periodo coloniale?», scrive da Cremona un lettore di Avvenire, lo studioso Mario Beccari . Nel testo si ricordano il ricorso da parte delle nostre truppe agli inumani campi di concentramento in Cirenaica o il confino alle Tremiti di centinaia di libici. E l’uso dei gas in Etiopia, le stragi di vescovi, monaci, diaconi, semplici fedeli («cristiani, in questo caso cattolici, che danno il martirio ad altri cristiani di diversa denominazione!»), i lanciafiamme e poi l’artiglieria con bombe caricate a iprite per snidare da una immensa caverna, dove si erano rifugiate alcune centinaia di partigiani abissini, ma anche donne e bambini. Tante insomma le operazioni 'criminali' di polizia coloniale in Somalia, in Libia e in Etiopia che per troppi anni sono state ignorate dalla gran parte degli italiani, «brava gente», e che solo studi recenti hanno fatto conoscere. Per il nostro lettore, «la storia bisognerebbe riscriverla con trasparenza e onestà intellettuale mettendo sui libri tutto ciò che ci onora e ciò che ci disonora e non solo ciò che fa piacere al regime di turno». Mentre in tutto il mondo ci si appresta a celebrare il 27 gennaio la Giornata della memoria nel ricordo della Shoah del popolo ebraico, questa proposta, come ci dice lo storico Bartolo Gariglio dell’Università di Torino, pur collocandosi in due dimensioni diverse (da una parte lo sterminio di 6 milioni di persone, dall’altra le nefandezze compiute nelle colonie) «solleva un problema reale. Fino a che punto questi eccidi sono avvertiti dall’opinione pubblica?». Il giornalista e storico Angelo Del Boca , il primo che rivelò l’uso criminale dei gas durante la guerra in Etiopia, aveva proposto già nel 2006 una apposita Giornata per i 500.000 africani ammazzati. «Ci sembra che essa abbia un valore non soltanto simbolico - aveva scritto su Nigrizia , il mensile dei comboniani - . Siamo convinti che potrebbe avere riflessi non effimeri su popolazioni che non soltanto lottano contro la povertà e l’Aids, ma cercano disperatamente anche un propria identità». Come le drammatiche e tragiche vicende dell’immigrazione dimostrano con somali, eritrei, etiopi in primo piano. Quattro anni fa l’iniziativa di Del Boca, anche se comunicata all’allora ministro degli Esteri D’Alema, non ebbe alcun esito. Ma il 2 marzo del 2009 è stato ratificato a Sirti in Libia da Berlusconi e da Gheddafi il trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra i due Paesi. In quell’occasione il presidente del Consiglio pronunciava parole esplicite: «Ancora una volta e formalmente accuso il nostro passato di prevaricazione e vi chiedo perdono…». Prendendo spunto da questo accordo, Del Boca torna sulla sua proposta di una Giornata decisa dal Parlamento. «Con questo atto - dichiara - si raggiungerebbe l’obiettivo di riconoscere ufficialmente per tutte le colonie fasciste e pre-fasciste le colpe e gli orrori del nostro passato coloniale nella maniera più esplicita e definitiva. Per una volta avremmo raggiunto un traguardo che altre nazioni colonialiste, come la Gran Bretagna e la Francia, non hanno neppure ipotizzato, pur essendo più avanti di noi nella discussione sul fenomeno del colonialismo». Gariglio ricostruisce la politica coloniale perseguita dall’Italia e anche il consenso che accompagnò l’impresa etiopica. Esso rispondeva ad esigenze di espansione produttiva del nostro Paese con i tanti italiani che emigrarono in Abissinia. In più c’era anche un risultato di civilizzazione, anche cristiana, da raggiungere. «Nell’immediato - ci dice - ci fu un’ampia adesione alla guerra e ai suoi obiettivi. Anche la stampa cattolica e molti vescovi la sostennero e se non mancarono alcuni 'distinguo', questi non emersero. C’è da aggiungere che il fascismo fu molto abile nell’orientare l’opinione pubblica. Basti pensare all’esaltazione di un grande missionario come il cardinale Massaia, che fu presentato come un antesignano della colonizzazione italiana in Etiopia. Come risulta da una recente biografia, Massaia non pensava per nulla all’Italia. Il suo punto di riferimento, se proprio si vuole, era la Francia dove aveva sede l’opera per la propagazione della fede. Quanto alle nefandezze compiute dalle nostre truppe (non solo nelle colonie ma anche ad esempio in Jugoslavia), il popolo italiano le ignorava. Vigeva ancora la tradizione e la convinzione di essere 'brava gente'». In realtà lo stesso Pio XI, come risulta da un noto discorso dell’agosto 1935 (che monsignor Tardini 'ripulì' nei suoi termini più espliciti per L’Osservatore romano) aveva ritenuta «ingiusta» la guerra contro l’Etiopia e un sacerdote, come don Primo Mazzolari, che aveva accettato il conflitto, scriveva pochi giorni dopo la conquista di Addis Abeba e la proclamazione dell’Impero: «L’ebbrezza ci ha tolto la misura e il vecchio male… ci ha condotti nei fatti e nel tono sulle strade di tutti i vieti e inopportuni imperialismi». Non c’è stata, per tutte una serie di ragioni, quella richiesta di perdono che Giovanni Paolo II ha chiesto per tutte le colpe dei cristiani di tutti i tempi. Non da oggi, comunque, la colonizzazione italiana ha rivelato il suo volto più feroce verso tanta gente, cristiani e non. Anche Gariglio ritiene quindi si possa celebrare, in modi e tempi da definire. «Trovare un’occasione per chiedere perdono - ci dice ­aiuterebbe a riflettere sulle nostre responsabilità. Soprattutto in un momento che vede il nostro Paese importatore di manodopera e proprio da quell’Africa che ci ha visto invasori». Antonio Airò

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