mercoledì 28 aprile 2010

Rosarno e il nuovo apartheid. L'Italia nel baratro del razzismo

di Alex Zanotelli - 28 aprile 2010 Non molesterai il forestiero né lo opprimerai perché voi siete stati forestieri in terra di Egitto (Esodo, 22,20). Rosarno è diventata, a livello internazionale, il simbolo di come l’Italia tratta gli immigrati. Infatti, «Rosarno ha rappresentato una sconfitta sociale - come hanno dichiarato con un comunicato stampa i Gesuiti italiani - ed ha rappresentato una sconfitta ben più grande, nel momento in cui gli immigrati, allontanati in tutta fretta, sono stati abbandonati a loro stessi, scaricandoli alle strutture caritatevoli. Coloro che oggi saranno colpiti dai provvedimenti di espulsione, sono i più fragili tra i fragili. Una situazione di ingiustizia dopo lo sfruttamento subito». Ed è una storia, questa, che viene da lontano. A livello sociale, da un razzismo italiano strisciante che ora esplode con tutta la sua virulenza. Un razzismo utilizzato a scopi di propaganda dalle forze politiche di sinistra e di destra. La situazione attuale ha origine nella Turco-Napolitano (1998), che ci ha regalato i Centri di permanenza temporanea, quei lager dove abbiamo rinchiuso gli immigrati. Seguita dalla Bossi-Fini che considero immorale e non-costituzionale, perché non riconosce gli immigrati come soggetti di diritto, ma, esclusivamente, come manodopera a basso prezzo da poter rispedire, a tempo debito, al mittente. A queste norme si aggiunge, oggi, quell’orrendo pasticcio giuridico che è il «Pacchetto sicurezza» voluto da Maroni, che decreta l’immigrato un criminale. Il nostro Ministro degli Interni Maroni aveva detto che «bisogna essere cattivi con gli immigrati» ed effettivamente, «il Pacchetto Sicurezza è la cattiveria trasformata in legge», come ha scritto Famiglia Cristiana. Maroni, poi, ha pure dichiarato di voler far costruire una decina di nuovi Centri di identificazione ed espulsione (Cie) ove saranno rinchiusi fino a sei mesi i clandestini. Questa è una legislazione da apartheid, il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e mendicanti. È una cultura xenofoba e razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e del rifiuto dell’Altro. Non posso che condividere quanto ha scritto nel suo manifesto l’Associazione Nazionale Universitaria degli Antropologi Italiani: "La barbarie, come ci ricordò Ernesto de Martino, abita presso di noi e dobbiamo additarla alla coscienza pubblica quando si presenta, come ora, allo stadio germinale". Quell’antropologia, impegnata dalla promessa di ampliare gli orizzonti di ciò che dobbiamo considerareumano, deve denunciare il ripiegamento autoritario, razzista, irrazionale e liberticida che sta minandole basi della coesistenza civile nel nostro Paese, e che rischia di svuotare dall’interno le garanzie costituzionali erette 60anni fa, contro il ritorno di un fascismo che rivelò se stesso nelle leggi razziali. Forse anche allora, in molti, pensarono che non si sarebbe osato tanto: oggi abbiamo il dovere di non ripetere quell’errore». Ecco perché è così importante reagire come Università e come studenti universitari. Ma anche come istituzioni, come associazioni, come cittadini. Come missionario vorrei ricordare a tutti che questa pressione migratoria verso il nostro Paese è dovuta, soprattutto, alla tormentata situazione africana: l’Africa è un continente violentato. La condizione di miseria e oppressione, le guerre troppo spesso dimenticate di Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan, Ciad, sospingono migliaia di donne e di uomini a fuggire attraverso il deserto per arrivare in Libia, dove però sono trattaticomeschiavi, con lunghi anni di lavoro in nero per riuscire a racimolare i soldi (tre-quattromila euro) per la grande traversata. E a migliaia muoiono nel deserto, a migliaia muoiono nel Mediterraneo, decidendo di attraversarlo. Da una ricerca condotta a Lampedusa, Giampaolo Visetti, giornalista de la Repubblica, stima che, dal 2002 al 2008, siano morti nel Mediterraneo, 42.000 persone. Trenta persone al giorno! È una vera Shoah! E qual è la risposta del governo? Chiudere le frontiere e bloccare questa «invasione». E per questo si sono stipulati accordi con la Libia per impedire che le cosiddette carrette del mare arrivino a Lampedusa. Com’è possibile firmare un simile trattato con un Paese come la Libia che dimostra di non avere alcuna considerazione e nessun rispetto per i diritti umanie che tratta in maniera disumana gli immigrati presenti nel suo territorio? La politica dei respingimenti adottata oggi dall’Italia determina ilmandare in prigione o alla morte migliaia di persone originarie dell’Eritrea, dell’Etiopia, del Sudan. LE VERITÀ TACIUTE Dobbiamogridare, con forza, queste verità che emergono ma troppo spesso vengono taciute, a tutta l’Italia, al mondo intero. E mi auguro, soprattutto, che sempre più giovani e studenti possano fare propria questa realtà, sì da poter rimettere in discussione un Sistema (il nostro!) che tratta così barbaramente gli immigrati. Vorrei ricordare a tutti quello che Papa Giovanni XXIII proclamò nell’enciclica Pacem in terris, che c’è oggi un diritto negato, il diritto di emigrare. Molti vescovi africani sono intervenuti con forza sulla questione dei migranti durante il Sinodo dei vescovi per l’Africa (Ottobre 2009): «Gli africani continueranno a venire in Europa - ha scritto il vescovo di Makudi (Nigeria), Avenya - con tutti i mezzi, anche al prezzo di morire nel deserto o per mare, finché l’equilibrio economico ed ambientale fra l’Africa e il resto del Mondo non verrà ristabilito da chi è responsabile, e cioè dall’Occidente». Siamo spesso immemori di essere stati noi «forestieri in terra di Egitto», quando così tanti italiani, oltre al doloroso distacco dalla propria terra, hanno sperimentato l’emarginazione, il disprezzo e l’oppressione. È vero, viviamo un tempo difficile, ma, nonostante tutto, può ancora divenire un tempo carico di speranza nella misura in cui saremo capaci di mettere in gioco la nostra vita per la Vita.

martedì 27 aprile 2010

I rifugiati non sono pacchi postali

Roma 27 aprile 2010 Comunicato stampa Il Regolamento Comunitario cosiddetto “Dublino 2” , che regola la responsabilità degli Stati membri per l’esame delle Richieste d’asilo è stato al centro del seminario “Gente di Dublino”: Il Regolamento Dublino II - La prospettiva degli Stati ed i bisogni dei richiedenti asilo, in conclusione del Progetto Dubliners - “Research and exchange of experience and practice on the implementation of the Council Regulation Dublin II establishing the criteria and the mechanism for determining the Member State responsible for examining an asylum application lodged in one of the Member State by third country national”, realizzato dal Consiglio Italiano per i Rifugiati insieme ai Ministeri dell’Interno e alle Associazioni di 6 Stati membri. “I Rifugiati non sono pacchi postali” ha detto un richiedente asilo afgano raccontando la sua odissea in Europa prima di, finalmente, arrivare in Italia come Stato competente della sua domanda di protezione. Attraverso 75 interviste con richiedenti asilo prima e dopo il loro trasferimento da uno Stato all’altro, il progetto ha evidenziato le gravi lacune del “Sistema Dublino” e la sofferenza umana che provoca. Una testimonianza ci racconta “sono un curdo siriano, durante i festeggiamenti per il capodanno curdo sono stato arrestato e messo in prigione per sei lunghi mesi. In questo periodo sono stato torturato e, a causa delle percosse subite, ho gravi problemi alle gambe e non posso più utilizzare le dita. Grazie a mio padre sono riuscito ad arrivare in Ungheria, dove ho chiesto asilo. Non sono però riuscito a farmi curare in maniera adeguata. Ho quindi raggiunto l’Austria dove ho avuto accesso alle cure mediche di cui necessitavo. Ma, purtroppo, dopo poco sono stato rinviato a causa del Regolamento in Ungheria, sospendendo quindi le mie cure”. In molti Stati – non in Italia – i richiedenti asilo vengono detenuti anche mesi, in attesa della determinazione dello Stato competente e spesso non ricevono alcuna informazione a loto comprensibile sulla procedura e sui loro diritti. Nel seminario che si è svolto presso la Sala di Liegro della Provincia di Roma, funzionari dalla Svezia, Ungheria e Italia,nonché rappresentanti di ONG da questi paesi e dalla Germania, Grecia e Spagna, hanno sottolineato le difficoltà nella gestione del regolamento. Il Regolamento Dublino è soggetto attualmente ad una proposta di riforma fatta dalla Commissione Europea e ferma in Consiglio. Tale proposta di riforma è appoggiata dal CIR e dall’ECRE, presente con Kris Pollet al convegno, poiché considerata da entrambe le associazioni come un primo passo per migliorare un sistema attualmente inefficiente, disfunzionale e per nulla rispettoso delle libertà individuali. Tale proposta, osteggiata da alcuni Paesi, andrebbe ad incidere positivamente su alcuni dei limiti del Regolamento poiché migliorerebbe la definizione della clausola umanitaria ampliandone l’applicazione e non facendo più rientrare nelle categorie sottoposte al Regolamento Dublino i minori, i membri di una famiglia e le persone con problemi di salute. Per quanto riguarda l’impatto del Sistema Dublino rispetto all’Italia è emerso il ruolo preponderante di due paesi: la Grecia , Paese da cui molti richiedenti asilo che arrivano sulle coste dell’Adriatico transitano, e verso cui, ancora una volta, è stato sottolineato dalle associazioni presenti che non sussistono assolutamente le condizioni minime per poter rinviare persone bisognose di protezione internazionale. E la Svizzera , che da un anno e mezzo ha cominciato a far parte del Sistema Dublino, da cui provengono tantissimi dei richiedenti asilo rinviati in Italia. In conclusione del Seminario Christopher Hein, Direttore del CIR, ha annunciato una forte attività di lobby presso le istituzioni europee,ma anche di sensibilizzazione dell’opinione pèubblica nei vari Stati membri affinchè almeno la proposta di riforma della Commissione Europea sia approva sempre nell’ottica di un primo passo verso un futuro dove i richiedenti asilo dovrebbero poter decidere loro in quale Paese dell’Unione richiedere protezione. Per ulteriori informazioni: CIR - Consiglio Italiano per i Rifugiati Valeria Carlini tel. 06 69200114 int. 216 E-mail: carlini@cir-onlus.org Sito www.cir-onlus.org

venerdì 23 aprile 2010

A Carzano si vota il 16 maggio, in campo un candidato sindaco di colore

Trento - (Adnkronos) - Il 31enne Cesare Castelpietra si batterà alla guida di una lista civica contro Pietro Tavernar, il sindaco uscente Trento, 22 apr. - (Adnkronos) - Carzano, paese di 500 anime in Valsugana, nel Trentino, ha un candidato sindaco di colore, anche se dal nome italianissimo: il 31enne Cesare Castelpietra, che si battera' alla guida di una lista civica contro Pietro Tavernar, il sindaco uscente nelle comunali del 16 maggio. Di madre eritrea, Cesare Castelpietra, considerato un po' un Obama trentino, laureando in legge, lavoratore con partita Iva; presta consulenze in materia di privacy; spiega ''il nonno e' partito da qui negli anni '30, nel periodo del colonialismo. Io sono nato qui; in Eritrea ci sono andato solo una volta a trovare i parenti di mia madre. Mio padre e' tornato in Valsugana nell'82 perche' le cose laggiu' andavano sempre peggio''. Volto eritreo e animo trentino, dice: ''Ogni tanto all'universita' ridono quando dico: noi trentini.... Ma non ho mai avuto problemi per il colore della pelle, neppure nel cercare lavoro. Parlo dialetto trentino e mi sento di qui''. Perche' e' entrato in politica? ''La scadenza per la consegna delle liste era di martedi'. Il venerdi' precedente io e altri due ragazzi siamo venuti a sapere che ci sarebbe stata una sola lista. E ci siamo detti: non e' giusto che ci sia una lista sola. Il Comune e' l'istituzione democratica piu' vicina al cittadino e deve avere una maggioranza e un'opposizione. Ed eccomi qui''.

mercoledì 21 aprile 2010

Eritrea: La pace lontana, i diritti negati. Quale prospettiva?

Pur se con una settimana di ritardo, mi sembra però doveroso, soprattutto per chi non c'era, riassumere in qualche riga l'incontro Eritrea. La pace lontana, i diritti negati. Quale prospettiva? svoltosi il 14 Aprile scorso, ospitato dal Circolo PD Quindici Martiri di Milano. I temi proposti, quelli della involuzione in senso fortemente autoritario dittatoriale di quel regime e quelli delle prospettive perché il popolo eritreo possa tornare a godere di dignità umana e dei diritti civili, sono stati ampiamente esaminati dall'inviato del "Corriere della Sera", Massimo Alberizzi e dal rappresentante in Italia del Partito Democratico del Popolo Eritreo, Desbele Mehari. Lo scrivente queste note ha coordinato l'incontro. Massimo Alberizzi ha una importante esperienza delle vicende del Corno d'Africa, tanto da essere stato nominato consulente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per l'investigazione del traffico d'armi nel Corno d'Africa. Catturato dai militari della dittatura in Eritrea, Alberizzi in Somalia ha anche subito il rapimento da parte delle Corti islamiche nel dicembre del 2006. Per i risultati cui è pervenuto nel suo lavoro, naturalmente non è ben visto dalla dittatura eritrea che a lui, come alla gran parte dei giornalisti, nega il permesso di entrare nel Paese. Desbele Mehari vive da moltissimi anni in Italia, lavora in INCA-CGIL, si occupa attivamente delle vicende del suo paese di origine cercando di consolidare in Europa e in Italia le basi del movimento democratico degli eritrei che vogliono che nel loro paese si attui la costituzione deliberata a suo tempo dal Parlamento, si possano costituire partiti politici, si convochino le elezioni politiche da sempre promesse e mai attuate, si sospenda l'uso della tortura, si stabilisca la libertà di stampa, si conceda la libertà ai giornalisti incarcerati, si conceda agli organismi internazionali come la Croce Rossa di visitare i detenuti politici che da un decennio languono in carceri segrete, privi di ogni contatto perfino coi familiari che non sanno nemmeno se i loro cari sono ancora in vita, ecc. Sullo stato di oppressione del popolo eritreo i relatori hanno prodotto documentazioni indiscutibili, rinforzate dalle relazioni annuali degli organismi umanitari (Amnesty International, Reporter sans Frontieres, Human Rights Watch, ...), dalle prese di posizione contro la dittatura di Isayas Afwerki dell'Unione Europea, delle Nazioni Unite, e via dicendo. Le inumane condizioni di vita in Eritrea, il servizio militare a tempo indeterminato, il clima di terrore, la negazione di ogni libertà individuale e sociale, l’arresto dei giornalisti, la persecuzione dei religiosi, il blocco di ogni attività produttiva (a parte le poche straniere che si avvalgono della mano d'opera a basso costo per delocalizzare produzioni o per erodere le pochissime risorse nazionali), oltre alla sempre più diffusa miseria, sono la causa prima della fuga, spesso verso la morte, di centinaia di migliaia di giovani verso paesi, come l’Italia, in cui sperano di trovare dignità di vita e rispetto umano. Nel corso dell'incontro sono emerse anche a chiare lettere corrispondenze di interessi tra la dittatura eritrea e centri di potere italiani, già a suo tempo ampiamente ribadite anche dall'inchiesta del giornalista dell'"Espresso" Fabrizio Gatti (http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2111969) e da pochi altri giornalisti in Italia. Perché in Italia il problema "Eritrea" continua ad essere ignorato dai media, e spesso generica è l'informazione sul Corno d'Africa. La via che il Partito Democratico del Popolo Eritreo (uno dei partiti dell'opposizione che possono operare - e con grandi difficoltà - soltanto all'estero) è quella della transazione democratica e pacifica, favorita dalle pressioni internazionali sul dittatore Isayas, verso la liberalizzazione dei partiti e la realizzazione di libere elezioni, imponendo nel contempo alla confinante Etiopia il rispetto dei confini territoriali. E’ stato sottolineato come la questione Eritrea non potrà trovare soluzione se non in quadro generale che affronti i problemi del Corno d’Africa e la sua centralità negli scottanti temi di quell’ampio e importante quadrante del mondo. Anche su questi argomenti la dittatura ha imposto il silenzio, come sulle recenti elezioni in Sudan. Molto altro si è detto, come ad esempio sul fatto che l’Eritrea sia stata in guerra con tutti i paesi confinanti, e molto più nel dettaglio si è entrati nel corso della serata. Per necessità di sintesi non ritengo di poter, in questa sede, argomentare oltre. Il pubblico ha seguito con molta attenzione le relazioni che rendevano chiaro come quella eritrea contro la colonizzazione etiope fosse una rivoluzione tradita, e quale sia lo stato in cui si trova quel paese che, ai primi anni '90, sembrava offrire all'Africa e al mondo un'immagine nuova di sviluppo. Con occhi sbarrati il pubblico ha ascoltato, con occhi addolorati eritrei privi del riconoscimento di asilo politico in Italia sono intervenuti, con occhi sconfortati eritrei privi della possibilità di parlare per paura delle ritorsioni sui loro cari in Eritrea hanno taciuto, con occhi irridenti e aggressivi alcuni filo-governativi eritrei hanno preso la parola e tentato di gettare il discredito sugli oratori ricorrendo agli insulti e alle minacce. Non è la prima volta che gruppi di filo-governativi irrompono come manipoli negli incontri organizzati dagli organismi che lottano per il rispetto dei diritti umani in Eritrea. Solo qualcuno in questi gruppi è però animato da convinzioni politiche, anche se discutibili. La gran parte di essi viene invece intruppata dallo stesso regime e dai suoi rappresentanti diplomatici in provocazioni anti-democratiche il cui scopo è quello di intimorire, di aggredire, di impedire la riflessione democratica su quanto succede nel loro Paese. A causa della mancanza di argomenti da proporre alla conversazione, tutto si conclude, come in questo caso, con l'uscita chiassosa dal campo. Il dibattito con il pubblico ha ripreso poi i toni della civiltà, e chi ignorava in quale stato viva il popolo eritreo trova nella violenza di queste aggressioni nuovi elementi di comprensione di quella realtà. E' stato un incontro lungo, attento e partecipato da cui molti cittadini e cittadine milanesi sono usciti con più precise informazioni sulle ragioni della fuga degli eritrei dall'Eritrea. marco cavallarin

IMMIGRATI: UNIONE FORENSE, RESPINGIMENTI COLPISCONO SOLO RIFUGIATI

(ASCA) - Roma, 20 apr - ''Nonostante gli appelli degli organismi internazionali e della Chiesa cattolica, il Governo italiano prosegue nella politica dei respingimenti in Libia dei migranti che arrivano via mare. Gli irregolari, vale a dire quelli che inopinatamente vengono definiti i 'clandestini', continuano pero' a entrare via terra''. Lo dichiara Anton Giulio Lana, consigliere dell'Unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo e coordinatore del pool di giuristi che ha curato i ricorsi alla Corte di Strasburgo per i respingimenti in Libia. ''Con i respingimenti collettivi si colpiscono quasi esclusivamente profughi e rifugiati, che avrebbero invece pieno diritto a entrare nel nostro paese. - sostiene l'Unione forense - Le rotte del mare sono quelle dove si rischia la vita e che solo i piu' disperati e bisognosi intraprendono. Bloccarle indiscriminatamente, oltre a cozzare contro il diritto interno e internazionale, va contro ogni buon senso''. Non a caso le richieste di asilo, si fa notare, si sono drasticamente dimezzate passando dalle 30.492 presentate nel 2008, alle 17.603 richieste di protezione internazionale presentate nel 2009. ''Non e' vero - conclude Lana - che con i respingimenti collettivi via mare si siano bloccati i flussi di irregolari, poiche' e' risaputo che le persone sprovviste di permesso di soggiorno entrano nel nostro paese all'85% via terra e solo nel 15% dei casi via mare. L'Italia continua a mostrare la faccia feroce contro le sole persone che avrebbero veramente bisogno di solidarieta' e di accoglienza, in aperta violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali''.

lunedì 19 aprile 2010

E’ nata la prima bimba ‘san lupese-eritrea’. La soddisfazione del sindaco De Angelis

Nel Comune di San Lupo è nata la prima bimba “san lupese-eritrea”. “La bimba Heyabi – si legge in una nota del sindaco Irma De Angelis - rappresenta il dono più grande che la comunità di San Lupo avrebbe potuto avere ed è l’auspicio migliore per la ‘nuova’ storia che da oggi in poi si scrive”. “Il sindaco di San Lupo – prosegue la nota - che ha sempre considerato l'arrivo di tanti nuovi cittadini un' enorme iniezione di vita e una speranza per il futuro per il piccolo comune sannita, coglie l’occasione anche per ringraziare chi, come Giuseppe Lombardi, segretario provinciale del Nuovo Psi, esprimendo soddisfazione per l’iniziativa, ne ha colto l’importanza condividendone la grande maturità civile e sociale che la fonda. Per un piccolo centro, estraneo ai flussi migratori, quella dell'accoglienza costituisce una sfida del tutto nuova. Una sfida che San Lupo ha dimostrato di saper gestire con grande maturità e senso civico”. De Angelis si dice “ottimista per la riuscita del progetto ‘Piccoli Comuni Grande Solidarietà’. Quello che ci fa ben sperare è il fatto che, anche se piccolo, San Lupo è un comune generoso. La nostra scommessa è quella di riuscire a integrare i nuovi arrivati nella nostra comunità”. Il progetto “Piccoli comuni, grande solidarietà”, presentato dal Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno nell’ambito del PON Sicurezza per lo Sviluppo Obiettivo Convergenza 2007– 2013 UE ha come finalità il reinserimento e l’integrazione di 50 rifugiati eritrei. Nei 24 mesi del progetto, attuato dai Consorzi “Connecting People” e “Amistade” nel comune di San Lupo, ai rifugiati verranno garantiti tutti i servizi e gli interventi di accoglienza, assistenza e formazione necessari per una reale integrazione socioeconomica dei destinatari volti a garantir loro, al termine di tale periodo, la maggiore indipendenza possibile. Oltre ai servizi base di vitto e alloggio, agli ospiti viene assicurata anche assistenza costante tramite servizi di mediazione culturale, formazione, assistenza sociale, assistenza psicologica e infermieristica.

Vittoria degli immigrati

Napoli, 16 aprile 2010 Vittoria degli immigrati Oggi alle ore 13.00 sei dei nove rifugiati della nave da carico “ Vera D”, sono stati rilasciati dal CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Brindisi , su istanza del giudice, perché presunti minori. Abbiamo accolto questa notizia con un urlo di gioia : giustizia fatta per gli immigrati, una vittoria per gli attivisti napoletani che hanno difeso passo passo i nove immigrati. Il nostro impegno è iniziato quando il 7 aprile la nave da carico “Vera D”, che batte bandiera liberiana, aveva attraccato al molo 51 nel porto di Napoli, dichiarando di avere a bordo nove immigrati clandestini( erano saliti segretamente ad Abidjan, in Costa D’Avorio).Per motivi di sicurezza , la “Vera D” è stata bloccata dalle autorità portuali fino al 12 aprile, quando gli attivisti anti-razzisti ne sono venuti a conoscenza. Da quel momento gli attivisti hanno iniziato a presidiare la nave perché non salpasse, dato che il Ministero degli interni vuole che gli immigrati vengano respinti. La lunga trattativa fra la compagnia della nave e gli attivisti si è conclusa nel cuore della notte di quel 12 aprile. Alcuni attivisti , accompagnati da un legale, sono saliti a bordo per incontrare i nove immigrati. Tutti hanno chiesto l’asilo politico e sei di loro si sono dichiarati minorenni. Subito dopo è stato presentato un esposto alla Procura della Repubblica e all’autorità portuale, dove si richiedeva il diritto di asilo, nonché la tutela dei sei minori. Così i nove clandestini (cinque nigeriani e quattro ghaneani) sono sbarcati alle ore 12.00 del 13 aprile. Una bella vittoria questa, in un’Italia che ha votato il “Pacchetto Sicurezza” di Maroni, un’Italia che sta’respingendo’ i ‘disperati ‘della storia. E’ straordinario che il Comune di Napoli abbia dato la disponibilità ad accoglierli. I nove immigrati sono stati poi trasportati all’Ufficio dell’Immigrazione della Questura di Napoli. Abbiamo presidiato l’Ufficio per tutto il pomeriggio, proprio perché temevamo un colpo di mano. Le trattative tra gli attivisti, i sindacalisti e i rappresentanti del Comune di Napoli con la Questura di Napoli, hanno continuato senza sosta. I nove immigrati sono stati esaminati all’ospedale e trovati tutti maggiorenni: 18 anni di età. Questa notizia ci aveva fatto infuriare perché ci sembrava ovvio che almeno tre erano minorenni. A posteriori, posso dire che la trattativa è stata una farsa ben recitata , perché la decisione era già stata presa dal ministro Maroni a Roma, e alla Questura toccava solo ubbidire. Alle ore 20.00 tentiamo l’ultimo incontro con il dirigente dell’Ufficio. Fu un momento durissimo. Ci disse che i nove dovevano essere trasportati al CIE di Brindisi. Insistemmo sul fatto che c’erano dei minorenni.” Se ci sono dei minorenni- replicò il dirigente- me ne dispiace.” A quel punto persi le staffe. “ Come può un pubblico ufficiale –urlai -dire se ci sono…. Ma in che paese viviamo?” “ Devo ubbidire”, mi rispose. Uscimmo con tanta rabbia in corpo. E ci disponemmo davanti al portone dell’Ufficio, da dove dovevano uscire i nove per essere trasportati a Brindisi. La Questura inviò un primo scaglione della Celere , guidato da una donna tutta sorrisi. Nel frattempo, altri attivisti arrivavano:eravamo circa un centinaio. Allora inviarono un secondo squadrone della Celere, armato di tutto punto. Ci confrontammo così , faccia a faccia, per mezz’ora. Poi l’ordine di caricarci. Tentammo di resistere, ma fummo travolti. Alcuni di noi riuscimmo a svincolarci e a ritornare davanti al portone. “Dovrete passare sul mio corpo-urlai- Voi non potete portare dei minorenni in un lager.”Uno spintone mi fece barcollare e cadere. “Vergognatevi! - dissi al Dirigente dell’Ufficio Immigrati. “Vai via, sobillatore!” - mi gridò, mentre le gazzelle della polizia sfrecciavano via portando gli immigrati. Ero talmente scosso che mi misi a piangere. Quello che avevamo subito era poca cosa in confronto al grido di dolore dei nostri fratelli, anzi figli, africani. La notizia , oggi,che la Questura di Brindisi ha riconosciuto che ben sei di loro erano minorenni e che sono stati liberati, ci conforta e ci fa sentire che non abbiamo lavorato invano . Alex Zanotelli

domenica 18 aprile 2010

ARCI: RIFUGIATO TESTIMONIA ''IN ITALIA E' CONTINUATO IL MIO INFERNO''

(ASCA) - Chianciano, 17 apr - ''Sono scappato dall'Eritrea dopo essere finito tre volte in prigione per le mie idee. Dal 2007 sono in Italia, il mio stato di rifugiato e' stato riconosciuto, ma tra burocrazia e abbandono, l'inferno che attraversato tra Sudan e Libia in Italia e' continuato''. E' questa la storia di Abdul Aziz Mohammed, rifugiato eritreo, che e' intervenuto oggi al XV Congresso Arci ha denunciato le condizioni di abbandono in cui vivono anche gli stranieri che si vedono riconosciuto lo status di rifugiato. Ore nascosto in un camion, poi la prigione scavata nella terra, in Libia, dove subisce maltrattamenti fisici e psicologici. Poi un nuovo viaggio della speranza: da Tripoli in barcone per 23 ore in mare senza acqua ne' cibo. Ma in Italia, con il riconoscimento effettivo del suo stato di rifugiato, non trova la serenita' che gli spetta per diritto ma inizia una nuova odissea, fatta di attese nei Cara (Centri accoglienza richiedenti asilo), il riconoscimento del diritto d'asilo, e poi l'abbandono da parte dello Stato. Nessuna prospettiva di lavoro, nessun alloggio, le notti passate alla stazione di Mestre. E finalmente l'incontro con l'Arci e l'impegno a Rovigo con l'associazione. ''Sono stato piu' fortunato di tanti altri - dice Abdul -ma questo e' un paese in cui formalmente ti puo' essere riconosciuto un diritto e poi non aver modo di farlo valere''.

venerdì 16 aprile 2010

Il caso Said Stati: appello urgente del Gruppo EveryOne all'Alto Commissario Onu per i Diritti Umani

Milano e Firenze, 16 aprile 2010 All'attenzione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, signora Navanethem Pillay Urgente: il caso di Said Stati, marocchino innocente, con due figli piccoli, da 5 mesi in un Centro di identificazione ed espulsione: torturato, umiliato, in isolamento e in attesa di deportazione Illustrissimo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, signora Navanethem Pillay, Le segnaliamo un caso davvero tragico di violazione dei Diritti Umani fondamentali, che riguarda Said Stati, cittadino di origine marocchina che vive in Italia, a Gavardo (Brescia) da oltre 19 anni, ha una moglie e due figli piccoli, due fratelli (di cui uno con cittadinanza italiana) che vivono in Italia e ha sempre lavorato per provvedere alla sua famiglia. Nel 2005 in seguito al terremoto che colpì in modo disastroso la città di Salò, perse la casa, e la stessa azienda per cui lavorava si ritrovò costretta a chiudere; Said è dunque rimasto senza lavoro. Nonostante un'assidua ricerca di un impiego retribuito e regolare, ha trovato solo attività saltuarie. Purtroppo, per questi motivi, non gli è stato rinnovato il permesso di soggiorno. Durante un controllo, l'11 novembre 2009, la polizia di Stato lo ha arrestato in quanto immigrato irregolare non provvisto di permesso di soggiorno, in base all'art. 14 del Testo Unico sull'Immigrazione 286/1998 e alla legge 94/2009, recentemente emanata dal Parlamento italiano - che introduce il reato di immigrazione clandestina - e oggetto di una nostra denuncia alle Autorità internazionali, tra cui le Nazioni Unite stesse. Proprio in quei giorni Said aveva ricevuto un'offerta di lavoro regolare. Nonostante la moglie e i figli piccoli, nonostante avesse familiari in Italia in grado di aiutarlo, nonostante la permanenza da quasi vent'anni in Italia, è stato disposto il suo trasferimento nel Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), un vero e proprio carcere per "clandestini", tristemente noto - anche al Comitato contro la Tortura del Consiglio d'Europa - per le pessime condizioni igienico-sanitarie di detenzione e per i pesanti abusi sui prigionieri perpetrati da guardie e poliziotti coperti dalle Istituzioni. Arrivato al Cie, Said era disperato. La direzione gli ha negato anche l'assunzione dei farmaci antidepressivi prescritti dal suo medico. Così un giorno, in preda alla disperazione, si è sfogato colpendo alcuni lavandini di una cella. Di fronte ad altri detenuti, alcuni agenti l'hanno brutalmente picchiato. Si vedano anche i link: http://www.everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/Entries/2009/12/31_CIE_Gorizia,_marocchino_pestato_da_guardia.html http://www.everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/Entries/2010/1/30_Marocchino_pestato_nel_CIE_di_Gorizia%2C_depositate_due_interrogazioni_parlamentari.html Le videocamere riprendevano il pestaggio, ma il filmato, richiesto dal legale, spariva misteriosamente, mentre Said veniva denunciato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale e il nostro Gruppo minacciato di denuncia per calunnia per aver divulgato la notizia. La deputata italiana di origine marocchina Souad Sbai e tutti i deputati radicali in Parlamento cercavano di ottenere la scarcerazione di Said e il suo ritorno a casa, dai suoi bambini, che sono distrutti dal dolore per la mancanza del padre, interpellando il Governo su quanto accaduto, ma senza ottenere risconto alcuno. Il carcere, invece, attuava nuove misure punitive: cibo immangiabile, negazione dell'ora d'aria quotidiana, isolamento. I nostri interventi, quello dell'onorevole Sbai e del legale di Said Stati non servivano a nulla, mentre il Ministero dell'Interno, sollecitato a rispondere a ben due interrogazioni parlamentari alla Camera dei Deputati, non agiva in alcun modo. Said è annientato da cinque mesi di detenzione durissima, dalle condizioni terribili di prigionia, dal cibo immangiabile, dall'isolamento e dalle continue umiliazioni. Parla di suicidio e noi dobbiamo continuamente rassicurarlo sul suo futuro. Dopo i sei mesi di prigionia, si prevede che sia portato in un carcere, condannato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale o che sia deportato in Marocco, lontano dalla moglie, dai figli minori e dai familiari. In Marocco non ha ormai più alcun riferimento. Le chiediamo, Alto Commissario, di intervenire, perché il caso è drammatico e le Istituzioni italiane hanno deciso di punire Said per il suo coraggio a denunciare gli abusi subiti, mentre il nostro Paese xenofobo (il Ministro dell'Interno è membro del partito anti-stranieri Lega Nord) conduce politiche di espulsione e carcerazione ignorando ogni diritto fondamentale della persona. E' molto urgente un'azione a favore di Said, proprio perché si trova al limite delle sue forze e della sua sopravvivenza, e la sua famiglia vive nell'angoscia quotidianamente. Certi di una Sua tempestiva azione umanitaria, Le porgiamo i nostri migliori e più cordiali saluti. Per il Gruppo EveryOne I Co-Presidenti Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau +39 3934010237 :: +39 3313585406 :: +39 3343449180

giovedì 15 aprile 2010

Immigrazione, la Santa Sede: «Accordo Italia-Libia viola diritti»

Il presidente del Centro Astalli: l'Italia non si sporca più neanche le mani per riportare indietro le persone CITTÀ DEL VATICANO (9 aprile) - «Nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di punizione o trattamento degradante o disumano». Lo sostiene l'arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti in un intervento per la II conferenza europea sul tema «I diritti umani nella formazione dell'avvocato europeo», che si terrà sabato a Roma, riferendosi in particolare all'accordo siglato tra Roma e Tripoli e ai recenti episodi di respingimenti. L'arcivescovo Marchetto si riferisce in particolare a un rapporto di Human Rights Watch che, nel settembre scorso, denunciava l'intercettazione da parte delle guardie costiere italiane di migranti e richiedenti asilo africani che navigavano nel Mediterraneo, respingendoli forzatamente in Libia, come previsto dall'accordo bilaterale stipulato con l'Italia, senza valutare la possibilità che vi fossero fra di loro rifugiati o persone in qualche modo vulnerabili. Marchetto evidenzia poi che in Libia «esistono centri di detenzione e di rimpatrio dove le condizioni variano da accettabili a disumane e degradanti». Al richiamo della Santa Sede si aggiunge quello del presidente del Centro Astalli, padre Giovanni La Manna. L'accordo bilaterale con la Libia produce una «politica schizofrenica»: da un lato «il governo dice di voler tutelare i diritti dei rifugiati», dall' altro «ora l'Italia non si sporca neanche più le mani per riportare indietro le persone, perchè abbiamo attrezzato i libici a farlo». «Sentire di uomini diretti in Italia, che avrebbero il diritto e la necessità di trovare accoglienza, ma che vengono rispediti nelle prigioni libiche non può lasciare tranquilla la coscienza di un governo che si dice civile e democratico» ha affermato La Manna, alla presentazione del rapporto annuale sull'attività dell'associazione dei gesuiti che assiste i rifugiati nelle sue sedi di Roma, Palermo e Vicenza. I dati indicano un calo significativo, del 35%, delle persone che si affidano ai volontari del Centro per un aiuto nel chiedere il riconoscimento dello status. La flessione, non hanno dubbi i gesuiti, è conseguenza della politica di respingimenti nel Mediterraneo. Anche Save the Children, che segnala un calo di bambini arrivati in Italia, lancia l'allarme per centinaia di minori fermati in Libia. Infatti, da marzo 2009 a febbraio 2010 ne sono sbarcati a Lampedusa solo 4 contro i ben 1.994 dell'anno precedente. «Il calo degli arrivi in Italia non si è accompagnato a un miglioramento del sistema di accoglienza», evidenzia il Centro Astalli: i posti a disposizione continuano ad essere largamente insufficienti, le liste d'attesa troppo lunghe e continua il fenomeno delle occupazioni con conseguenti condizioni di illegalità ed emarginazione. Eppure, riflette La Manna, quando si leggono le cifre destinate ai rifugiati «viene il dubbio che manchino realmente le risorse: sapere che un rifugiato può costare a Roma 72 euro è un insulto a quelli che stanno sui tetti delle fabbriche per gli effetti della crisi». Sono 400 le persone che ogni pomeriggio aspettano un pasto alla mensa in via degli Astalli a Roma. Sono in maggioranza giovani uomini, pochissimi hanno più di 40 anni, e vengono da Afghanistan, Eritrea, Somalia e Nigeria. I 30 volontari della mensa hanno distribuito l'anno scorso 78 mila pasti. A chiedere aiuto per mangiare sono state 16.095 persone, il 35% in più rispetto al 2008. In mille, inoltre, hanno chiesto aiuto per trovare lavoro, più del doppio rispetto all'anno prima. Le donne rifugiate chiedono soprattutto un tetto: la Casa di Giorgia che ha 35 posti ha visto passare l'anno scorso 81 giovani, in maggioranza dell' Africa nera.

Migranti, le linee guida della Ue "Salvaguardare il diritto d'asilo"

Approvate il 25 marzo scorso dal Parlamento europeo, sono centrate sui pattugliamenti Per la politica italiana la commissaria Malmström ha parlato di "errori" da non ripetere di VITTORIO LONGHI L'Europa conferma la politica dei pattugliamenti in mare ma assicura il rispetto dei richiedenti asilo. Il 25 marzo il Parlamento europeo ha approvato le linee guida "sulla ricerca, il soccorso e lo sbarco degli immigrati in pericolo in mare" con il potenziamento di Frontex, l'agenzia di controllo delle coste mediterranee. La commissaria agli Affari interni, la svedese liberale Cecilia Malmström, vuole dotare Frontex di maggiori strumenti e autonomia, mentre gli Stati membri dovranno mettere a disposizione più attrezzature e mezzi. Il budget dell'agenzia è passato dai 6,2 milioni del 2005 agli oltre 83 del 2009. L'obiettivo è quello di pattugliare in modo sempre più accurato le coste e "riaccompagnare" i migranti intercettati fino al porto di partenza o, se le condizioni non lo permettono, di consegnarli al porto europeo che ospita la missione Frontex. Il governo maltese da tempo protesta contro questa regola d'ingaggio perché l'onere finora è spesso ricaduto su La Valletta. In ogni caso, la Commissione tiene ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali delle categorie vulnerabili, come minori e donne in gravidanza, e dei richiedenti asilo, per i quali dovrebbe valere il principio del non-respingimento. Riguardo all'Italia e ai potenziali rifugiati respinti nei mesi scorsi, la commissaria ha parlato di "errori" che non dovranno più essere commessi. Verso un sistema di asilo europeo L'approvazione di questa politica, comunque basata sulla ulteriore sorveglianza dei confini, è arrivata nel momento in cui gli europarlamentari stavano discutendo della creazione di un sistema comune di asilo. L'idea, almeno sulla carta, è quella di aumentare in Europa il numero dei reinsediamenti volontari dei rifugiati, che ora nel mondo sono ospitati prevalentemente - l'80 per cento - dai Paesi in via di sviluppo. Inoltre, si cerca di avviare un processo di condivisione della responsabilità intra-europeo, nel pieno rispetto della Convenzione di Ginevra sul diritto d'asilo. La predisposizione di un sistema comune eviterebbe, ad esempio, che le misure di contrasto dei flussi migratori messe in atto dai singoli Paesi ricadano poi su altri, come avviene tra Italia, Malta e Grecia. Secondo questa visione, l'asilo e la protezione dovrebbero essere percepiti dagli europei come "beni pubblici internazionali", di cui tutti i Paesi dell'Unione beneficierebbero, in termini di maggiore sicurezza e di stabilità. Alle buone intenzioni il Parlamento dovrà far seguire però un sistema chiaro di standard comuni per le condizioni di accoglienza. La partnership Italia-Malta-Libia Nei progetti europei di gestione dei flussi migratori è prevista anche una maggiore collaborazione con i Paesi d'origine e di transito. Ma non è chiaro se ci si riferisca a quella dell'Italia con la Libia. Durante l'ultima visita del presidente della Camera al ministro degli esteri maltese Borg, Fini ha epresso grande apprezzamento per quella che ha chiamato la "partnership Italia-Malta-Libia", grazie alla quale negli ultimi mesi si è fortemente ridimensionato il numero degli sbarchi sulle coste italiane e maltesi. Ciò che Fini non ha detto è che cosa succede ai migranti quando sono respinti. Secondo le testimonianze raccolte dalla Ong Jesuit Refugee Services, chi è riuscito ad arrivare a Malta dopo il respigimento, deuncia casi di violenza, di razzismo e maltrattamenti subìti nei centri di detenzione libici. Ancora più grave è quanto denuncia Human Rights Watch. Le autorità libiche darebbero libero accesso ai funzionari del governo eritreo nei centri di detenzione per controllare chi è scappato dal loro Paese. Una evidente violazione del diritto di asilo, dato che buona parte dei respinti in Libia - è noto - è costituita da eritrei in fuga dalla persecuzione del regime.

mercoledì 14 aprile 2010

Save the Children: probabile fermo minori in Libia, drastico calo numero ragazzi giunti in Sicilia

ROMA (9 aprile) - Cala drasticamente il numero di minori migranti giunti sulle coste siciliane: da marzo 2009 a febbraio 2010 sono giunti in Sicilia 278 minori non accompagnati (solo 4 identificati a Lampedusa) mentre l'anno precedente erano giunti circa 260 minori e ben 1.994 minori non accompagnati sbarcati a Lampedusa. Lo rileva il 2/o rapporto sull'accoglienza dei minori in arrivo via mare di Save the children. Dati che - dice l' organizzazione - creano «preoccupazione per la probabile presenza in Libia di centinaia di minori e mancanza di interventi strutturali sul sistema di accoglienza dei minori in Italia. Tale drastico cambiamenti dei flussi è dovuto sostanzialmente alle pratiche adottate dal governo italiano contro l'immigrazione clandestina e agli accordi stipulati con le autorità libiche». Fra l'altro - sostiene l'organizzazione - ancora il 50%, ossia 148 minori, di quelli collocati in comunità si allontana. Resta sostanzialmente invariata l'età media (16-17 anni) e il sesso (93% maschi, 7% femmine) dei ragazzi arrivati mentre ci sono cambiamenti sulla nazionalità dei minori: l'Egitto è il paese più rappresentato (27%), segue Eritrea (16%), Tunisia (14%), Ghana (9%) e Somalia (7,2%). Ma se si considerano gli arrivi da giugno 2009, a meno di un anno dall'avvio dei rinvii verso la Libia, gli Eritrei rappresentano quasi la metà dei minori in arrivo (48% contro il 10% dell'anno precedente); mentre il dato relativo ai minori egiziani scende al 6% (a fronte del 27,9%); infine sono pochissimi i minori provenienti dall'area del Maghreb, che costituivano precedentemente il gruppo prevalente. «È necessario - afferma Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia - che non vengano più effettuate operazioni di rinvio dei migranti in arrivo via mare, garantendo il rispetto della normativa nazionale ed internazionale sul divieto di respingimento, rispetto dei diritti umani e tutela delle categorie vulnerabili. I minori che non sono arrivati in Italia non sono un numero, ma ragazzi che fuggono da situazioni di povertà o da situazioni di conflitto, fermati a metà del proprio cammino. A questi ragazzi stiamo negando una possibilità, un futuro». Il rapporto segnala che le comunità alloggio siciliane monitorate che ospitano minori stranieri sono 27. Strutture che «nonostante registrino un miglioramento nella qualità dei servizi, per lo più legato al minore numero di minori, permangono alcune criticità relative sia alle procedure per l'individuazione del minore e al successivo collocamento in comunità sia alla gestione del sistema di accoglienza». Fra l'altro, Save the Children ha osservato «situazioni in cui i minori sono rimasti per circa due anni in strutture sostanzialmente di "prima accoglienza", non dotate di servizi per l'effettivo inserimento del minore, sia esso scolastico o lavorativo. Rispetto alla distribuzione di beni di prima necessità non si riscontrano più le carenze precedentemente rilevate, ma mancano alcune figure professionali, come quella del mediatore culturale: solo il 40% delle comunità prevede una qualche forma di mediazione culturale. I minori poi lamentano una scarsa attenzione alla sfera della salute, solo il 27% riferisce di avere ricevuto visite mediche. Critica, infine, la possibilità di contattare i familiari nei paesi di origine e alla distribuzione del pocket money, erogato da meno della metà delle comunità monitorate: mancando una minima disponibilità economica, i minori rischiano di essere reclutati nel circuito della manodopera irregolare ed essere esposti allo sfruttamento». Save the children sollecita, fra l'altro, il perseguimento di procedure corrette e standardizzate per l'accoglienza dei minori, l'istituzione di un sistema di monitoraggio efficace.

lunedì 12 aprile 2010

Eritrea La pace lontana, i diritti negati Quale prospettiva?

Mercoledì 14 Aprile 2010 ore 20,30 Circolo PD Quindici Martiri Via Marcona,101 Milano Interverranno: Desbele Mehari – Rappresentante in Italia del Partito Democratico del Popolo Eritreo (PDPE) Massimo Alberizzi – Inviato del “Corriere della Sera” Gian Paolo Calchi Novati – Professore Storia e Istituzioni dei Paesi Afro-asiatici, Università di Pavia Sarà proiettata la video-inchiesta di Fabrizio Gatti (“L’Espresso”) “Eritrea-Italia: L'AMICO ISAYAS”

Bambina nigeriana di 13 mesi muore dopo essere stata rifiutata da Ospedale

Cernusco sul Naviglio, 12 aprile 2010. In Italia, dopo l'approvazione della legge razziale nota come "pacchetto sicurezza", sono sempre più frequenti i casi di esseri umani respinti da ospedali e medici perché "clandestini" o con la tessera sanitaria scaduta. A Cernusco sul Naviglio è morta il 3 marzo scorso una bambina di origine nigeriana, che aveva appena 13 mesi. Giunta al pronto soccorso in piena notte, gravemente sofferente e in preda ad attacchi di vomito, è stata dimessa senza nessuna visita. Il referto riporta poche parole: "Buone condizioni generali". Una volta fuori, le sue condizioni sono peggiorate e la famiglia l'ha ricondotta al pronto soccorso, dove però non è stata neanche visitata dai medici di turno perché il padre, Tommy Odiase, aveva la tessera sanitaria scaduta. "Non possiamo visitarla né ricoverarla," hanno spiegato i sanitari. La famiglia, distrutta dal dolore, ha presentato una denuncia a carico dell'ospedale, per omicidio colposo ed è seguita dall'avvocato Marco Martinelli. "E' importante che si faccia giustizia, anche se in questi casi, che non sono rari," commenta il Gruppo EveryOne, "le strutture sanitarie italiane mettono in moto i loro uffici legali, cercando ogni cavillo per smentire le dichiarazioni delle vittime o addirittura capovolgere la realtà, all'unico fine di uscire 'senza macchia' di fronte al ministero della Sanità, che li finanzia. Noi stessi ci siamo trovati di fronte a casi drammatici di mancata assistenza, ricevendo smentite e intimidazioni da parte degli ospedali. Rimane una tragedia dolorosissima, la morte di un altro essere umano innocente a causa delle leggi razziali che esistono in Italia e di cui sono responsabili le Istituzioni che le hanno emanate, i partiti di opposizione che non le hanno combattute, la stampa che ne ha censurato la natura criminale, anticostituzionale e antidemocratica e tutti coloro che partecipano attivamente o con la loro delazione alle operazioni di persecuzione etnica in corso da alcuni anni nel nostro paese". Per ulteriori informazioni: Gruppo EveryOne +39 340 8135204 :: +39 331 3585406 info@everyonegroup.com :: www.everyonegroup.com

mercoledì 7 aprile 2010

Etiopia: diga italiana non lascerà senza cibo 200mila persone

ADDIS ABEBA (Reuters) - L'Etiopia ha negato che la costruzione di una delle più grandi dighe idroelettriche dell'Africa lascerebbe 200.000 persone, ora autosufficienti, totalmente dipendenti dagli aiuti. Il gruppo per i diritti umani Survival International aveva detto settimana scorsa che la diga non consentirebbe più ad alcune tribù di pescare o di coltivare nelle zone limitrofe, mentre un gruppo di enti di beneficenza aveva lanciato una petizione online contro la diga. "Abbiamo compiuto una perizia approfondita", ha detto il portavoce del governo Shimeles Kermal. "Esperti indipendenti molto rinomati hanno assicurato che la costruzione della diga non deve preoccupare le persone che vivono qua vicino", ha aggiunto, non specificando i nomi dei periti. Salini Costruttori, l'azienda italiana che sta costruendo la diga, ha negato che la diga possa provocare siccità o il blocco dell'acqua del fiume, sostenendo invece che la ridistribuirebbe nel corso dell'anno. La diga è in costruzione sul fiume Omo, principale immissario del Turkana, lago tra l'Etiopia e il Kenya. Un ricercatore dei Survival aveva detto a Reuters settimana scorsa che la diga inciderebbe duramente sulle fonti di sostentamento delle persone che vivono in prossimità del fiume.