sabato 7 agosto 2010

Etiopia, un paese libero e democratico?

Il 23 maggio 2010 in Etiopia si sono svolte con successo le elezioni politiche. Come testimoniato da molti rappresentanti della comunità internazionale, le fasi che hanno preceduto e seguito le elezioni sono state libere, trasparenti, democratiche e pacifiche. Questo è quanto anche confermato dall'Ethiopian Civil Societies Association - che ha schierato 40.000 osservatori - dall'Unione Africana e dal rapporto preliminare degli osservatori dell'Unione Europea, ad esclusione delle interpretazioni politiche sulle strutture governative. In pieno rispetto del codice di condotta elettorale siglato dai diversi partiti prima delle elezioni, tutti gli schieramenti hanno portato avanti le rispettive campagne elettorali attraverso i media e per la prima volta nella storia elettorale del Paese, tutti e 63 i partiti hanno ricevuto un supporto finanziario dal governo. Detto questo, ci corre l'obbligo di smentire quanto scritto da Stefano Liberti (il manifesto, 23 maggio 2010), e cioè che la campagna elettorale è stata «unilaterale e pervasiva». Nello stesso articolo definisce il governo al potere un partito «totalizzante» che «controlla tutto e tutti». Riteniamo che questa sia una posizione politica priva di qualsiasi etica giornalistica (...). Il governo d'Etiopia crede fermamente che in un paese come il nostro, in cui convivono diverse culture e gruppi etnici, democrazia e un sistema pluripartitico siano indispensabili. Questo è quanto anche chiaramente garantito dalla costituzione stessa del paese. Come dichiarato pubblicamente dal primo ministro il 24 maggio 2010, cioè all'indomani delle elezioni, il partito al potere è disponibile a collaborare con l'opposizione assegnando loro seggi parlamentari malgrado gli scarsi risultati elettorali da essi conseguiti e questo proprio a testimonianza dell'impegno del partito in carica a sostegno di un sistema pluripartitico. (...) Il giornalista ha altresì dichiarato che l'Etiopia ha adottato leggi sociali repressive e anti-terrorismo. Non neghiamo che il nuovo ordinamento non permette la partecipazione di organizzazioni civili straniere in attività politiche ma è anche vero che questa non è una caratteristica propria della sola Etiopia ma piuttosto pratica comune nei paesi occidentali. Riteniamo che la politica riguardi i cittadini e gli elettori e che la nostra democrazia non si debba sviluppare con i finanziamenti e i disegni delle organizzazioni civili esterne. (...) Per quanto riguarda la legge anti-terrorismo, vogliamo far presente che il nostro paese era già stato esposto alle deplorevoli azioni di gruppi terroristici ben prima dell'accaduto del 2001 negli Stati uniti. Negli anni '90 l'Etiopia combatteva sola contro diversi gruppi terroristici che varcavano i confini della Somalia come Al-Ithad ed altri. (...) Dunque, la legge anti-terrorismo in Etiopia è stata promulgata per proteggere la nostra gente e il nostro paese dagli spregevoli attacchi di questi gruppi terroristici, siano essi locali che internazionali, e non ha lo scopo di terrorizzare la nostra gente o chiunque altro. (...) Per concludere, ci sentiamo di dire che l'articolo pubblicato sul manifesto sulle elezioni politiche del 23 maggio è assolutamente poco equilibrato e ben lontano dalla verità in quanto è indiscutibile che l'Etiopia gode di una democrazia completa e ampliamente sviluppata. Mr. Fesseha Tesfu Incaricato d'Affari a.i. della Repubblica Federale Democratica di Etiopia Roma Non mi risulta che gli osservatori europei abbiano definito il voto in Etiopia del maggio scorso «libero e trasparente». Nel loro rapporto si legge invece che il «terreno di confronto prima delle elezioni non è stato sufficientemente bilanciato». D'altronde, un'elezione in cui il partito al potere ottiene il 99,6% dei voti difficilmente potrebbe essere definita «libera e trasparente», come hanno sottolineato tutti i media internazionali che hanno seguito quelle elezioni. Il supporto finanziario garantito a ogni partito era di 258 birr a candidato, l'equivalente di 15 euro. Una cifra che parla da sé, soprattutto se confrontata con quella messa in campo dall'Eprdf, il partito al potere, «che ha usato fondi pubblici per la sua campagna», come ha detto sempre il capo degli osservatori europei. Lo si vedeva chiaramente per le strade di Addis Abeba prima del voto, dove l'ape simbolo dell'Eprdf era ovunque, a fronte di un'opposizione invisibile. Il fatto che il suddetto partito sia «totalizzante» mi pare confermato dalle stesse parole dell'incaricato d'affari, là dove dice che il premier si «è detto disponibile a collaborare con l'opposizione assegnandole seggi parlamentari». Normalmente, in un sistema democratico i seggi sono assegnati in base al volere popolare e non a quello del premier. Quanto alle leggi anti-terrorismo, non ho mai criticato nei miei articoli la legge 621, secondo cui le Ong (internazionali, ma anche locali finanziate per almeno il 10% dall'estero) non possono occuparsi di «diritti umani e civili, diritti delle donne, dei minori e dei disabili, di problemi etnici e risoluzione dei conflitti» (una normativa che pure ritengo molto discutibile). Ho semplicemente scritto che, a partire dal 2009, il governo ha ufficializzato in una legge la propria normativa anti-terrorismo, con una definizione vaga che permette di condannare persone per terrorismo sulla semplice base del sentito dire, istituzionalizzando una pratica di riduzione dello spazio politico che ha sfiancato il dissenso, la stampa libera e gli attivisti per i diritti umani, e costretto all'esilio o al carcere gli oppositori. Lo sa bene Birtukan Mideksa, l'avvocata 36enne leader di un partito d'opposizione condannata al carcere a vita semplicemente per aver denunciato brogli ed essersi rifiutata di chiedere il perdono al governo. Stefano Liberti

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