giovedì 2 dicembre 2010

Il grido disperato di un profugo eritreo "Venite a salvarci, qui ci ammazzano"

LA TESTIMONIANZA Una telefonata in diretta a Radio Vaticana di uno degli 80 profughi da più di un mese nelle mani dei predoni nel deserto del Sinai, al confine tra Egitto e Israele. Nelle mani di trafficanti che trattano questi disperati come una ghiotta merce di scambio, gente alla quale spillare denaro senza pietà, fino alla morte. Il grido disperato di un profugo eritreo "Venite a salvarci, qui ci ammazzano" ROMA - E' dalle onde di Radio Vaticana che è arrivato il grido disperato dal deserto del Sinai Egiziano di uno dei profughi eritrei tenuti in ostaggio dai trafficanti di uomini, che chiedono 8 mila dollari in più (oltre i 2 già incassati) per proseguire il loro viaggio verso Israele, ad ognuna delle ottanta persone incatenate e segregate in un luogo sconosciuto del deserto . "Siamo in una situazione terribile - ha detto un giovane eritreo di 23 anni - stiamo rischiando la vita. ne hanno già ammazzati sei: tre a revolverate, qui davanti a tutti noi; altre tre, l'altro ieri, perché avevano tentato di fuggire. Li hanno seguiti, raggiunti e finiti a bastonate. Altri nove di noi sono stati picchiati selvaggiamente proprio oggi, ora sono feriti. C'è poi chi lamenta malori per la fame o per l'acqua salata che ci danno da bere. Siamo incatenati, da tre giorni non mangiamo. Per favore, venite a salvarci". La telefonica. E' arrivata in diretta a Radio Vaticana e a farla è stato uno dei 250 profughi da più di un mese nelle mani dei predoni nel deserto, al confine tra Egitto e Israele. Il gruppo è composto in prevalenza di eritrei, in fuga dal loro paese per sottrarsi agli obblighi militari, che nel loro paese occupano15 anni della vita di un uomo. Ma ci sono anche etiopi e sudanesi, probabilmente molti dei quali protagonisti di un incubo cominciato nel luglio scorso, quando vennero catturati dalla polizia libica e incarcerati. Venero poi rilasciati con un permesso di tre mesi, ma poi finiti di nuovo nelle mani dei trafficanti, che comunque trattano questi disperati come il loro business preferito, una merce di scambio assai ghiotta, gente alla quale spillare denaro senza pietà, fino alla morte. I profughi sono un business. Non risulti strano, infatti, che i predoni - per molti versi simili ai pirati somali che scorrazzano nel gorlfo di Aden - permettano ai prigionieri di comunicare con telefoni cellulari e satellitari: lo scopo evidente è che solo così possono chiedere denaro a parenti emigrati in tutto il mondo o ad organizzazioni umanitarie. Il flusso dei profughi attraverso l'Egitto verso Israele è aumentato di recente, dopo gli accordi tra Italia e Libia e la conseguente orgogliosa applicazione della politica dei respingimenti del govenro italiano, che non si limitano ad impedire di arrivare in Europa, a chi fugge da guerre, povertà, violenze e disastri di ogni sorta, ma impediscono di fatto la possibilità di accertare quanti di coloro che fuggono sono richiedenti di asilo. Un diritto previsto dalla nostra Costituzione. Don Mussie Zerai. E' il sacerdote eritreo della diocesi di Asmara, responsabile dell'agenzia Habeshia che ha potuto contattare per telefono i profughi. Subito dopo ha incontrato Furio Colombo, della Commissione Esteri della Camera, oltre che presidente del Comitato per i diritti umani di Montecitorio e Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri. La rappresentante del governo ha raccolto la testimonianza del sacerdote e s'è impegnata a riferire la situazione al ministro Frattini, perché si faccia sentire con le autorità egiziane, le uniche che possono agire direttamente in quel territorio. "Bisogna fare presto - ha detto Zerai - perché più il tempo passa più c'è il rischio che ci siano altri morti. Da quello che abbiamo appreso - ha aggiunto - imprigionate potrebbero esserci circa 600 persone, solo un gruppo ben organizzato e protetto da forti complicità, può gestire una situazione del genere". (02 dicembre 2010)

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