venerdì 26 agosto 2011

Gheddafi localizzato a Sirte: tornado britannici bombardano il suo bunker

http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=515566


In Libia, dopo la conquista di gran parte di Tripoli, gli insorti si apprestano ad attaccare Sirte, città natale di Gheddafi dove, secondo fonti della presidenza francese, si starebbe nascondendo in queste ore il colonnello. Intanto il Consiglio Nazionale di Trasizione incassa l’ok delle Nazioni Unite per lo sblocco di beni libici per 1,5 miliardi di dollari. Il punto nel servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3 

La caccia a Gheddafi si sposta a Sirte, città costiera dove si sono concentrate le ultime truppe fedeli al colonnello. Questa mattina tornado britannici hanno attaccato un vasto bunker dell’ex rais. Fonti dell’Eliseo hanno localizzato il leader libico in questa roccaforte lealista che al momento è presidiata da almeno 1500 miliziani e diversi carri armati. Fatto sta, però, che Gheddafi finora è sempre riuscito a sfuggire ai ribelli che, più di una volta, hanno dato la sua cattura per cosa fatta. Ieri sera l’ennesima diffusione di un audio-messaggio in cui il colonnello esorta il popolo a “purificare Tripoli dai ribelli”. E oggi nella capitale le forze fedeli a Gheddafi hanno bombardato l'aeroporto, mentre gli insorti si apprestano ad assaltare Abu Salim, l’ultimo quartiere controllato dai fedelissimi del regime. Ma la gran parte della città è ormai controllata dai ribelli che vi hanno, infatti, trasferito il loro quartier generale. E sul fronte politico continua il processo di accreditamento del nuovo governo presso le istituzioni internazionali. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha sbloccato 1,5 miliardi di dollari di beni libici per la ricostruzione del Paese, scongelati anche i fondi in diversi Paesi occidentali che hanno risposto all’appello lanciato dal nuovo capo dell’esecutivo Jibrill. In particolare si intensificano i rapporti con gli storici partner Europei. Ieri l’incontro di Jibrill con Berlusconi. Mentre in Francia si intensificano le voci di un’imminente visita in Libia del presidente Sarkozy e del premier britannico Cameron.
Il fronte della guerra in Libia si è dunque spostato verso Sirte, ma a Tripoli e nei pressi dell’aeroporto continuano a verificarsi degli scontri. Per un aggiornamento della situazione sul terreno Cecilia Seppia ha raggiunto telefonicamente nella capitale Cristiano Tinazzi, giornalista freelance:RealAudioMP3 

R. – La situazione, oggi, è relativamente tranquilla, è un giorno di preghiera. In questo momento mi trovo davanti all’Hotel Corinthia: i giornalisti che, nei giorni scorsi, erano stati sequestrati e poi fortunatamente liberati sono stati portati proprio qui. Ci sono stati dei rumori come di bombardamenti, sicuramente da parte della Nato, verso la zona di Buslim ed anche sporadici combattimenti.

D. – A proposito dei giornalisti, si sa niente sul loro rientro in Italia?

R. – Sarebbero dovuti partire questa mattina, alle 10, con una nave cargo che li avrebbe portati a Malta e poi in Italia. Però al momento stanno ancora aspettando. Questa nave doveva arrivare già ieri ma poi non è arrivata. Teoricamente, dovrebbero essere in Italia nel tardo pomeriggio di oggi.

D. – Gheddafi è stato localizzato dalle truppe francesi a Sirte. Che notizie si hanno a tal proposito?

R. – Le solite notizie che poi non trovano conferma. Probabilmente sarà stato portato in quelle zone, che sono ancora sotto la sua influenza, dove ci sono ancora legami tribali molto solidi e che lo difenderanno fino alla fine.

D. – Teatro di guerra, in questo momento, è Sirte: ci sono anche i tornado della Royal Air Force che stanno bombardando un bunker, almeno secondo quanto si apprende dalle agenzie...

R. – Sì. Il fronte si sposta ogni volta in un luogo diverso. Stanno cercando in tutti i modi di facilitare l’entrata dei ribelli nelle ultime roccaforti di Gheddafi. Poi rimarrà il tratto di costa che collega Zawia alla Tunisia ed il sud della Libia, ossia Saba, che si trova ancora sotto il controllo del colonnello.

D. – Per quanto riguarda Tripoli, invece, non si capisce ancora bene se sia stata completamente conquistata dai ribelli o ancora no...

R. – Non è stata ancora conquistata del tutto dai ribelli. Rimane parte del quartiere di Buslim, si combatte nella periferia, verso l’aeroporto, dove c’è stata una forte resistenza. Il fatto che poi tutto il resto della città sia sotto il controllo dei ribelli non vuol dire che essa sia sicura.

D. – Nonostante sembri che la situazione stia evolvendo nettamente a favore dei ribelli, la gente continua a fuggire da Tripoli e dalle altre zone di guerra, mentre a Bengasi è arrivata un’altra nave dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni per evacuare gli stranieri intrappolati nel Paese. Sono ancora molti?

R. – Sì. Tra l’altro ho ricevuto notizie da un’associazione che si occupa dei rifugiati eritrei che mi ha chiesto di fare dei controlli a Tripoli, perché gli immigrati africani vivrebbero situazioni abbastanza gravi. Mi hanno chiesto di controllare in una zona della città perché ci sarebbero degli eritrei tenuti prigionieri da parte dei ribelli in alcuni appartamenti e sarebbero da giorni privi sia di acqua sia di cibo. (vv)

Il mistero delle donne eritree


SVIZZERA
http://www.tio.ch/Svizzera/News/646800/Il-mistero-delle-donne-eritree
Negli ultimi quattro mesi cinque giovani donne eritree sparite nel nulla. L'ultima a inizio settimana

di Paolo D'Angelo



Polizia Cantonale Lucerna
LUCERNA - Giovani donne e di nazionalità eritrea. In quattro mesi in Svizzera ne sono scomparse cinque. L'ultima a inizio settimana. Soltanto un caso? Sarà, ma non c'è altro gruppo etnico in Svizzera che registra un tasso così elevato di persone sparite nel nulla. Il quotidiano zurighese Tages Anzeiger si è occupato nei giorni scorsi di questa vicenda.
All'inizio di maggio risale la prima denuncia di scomparsa. Si chiama Milete, ha 28 anni e abita nel Canton Lucerna. Una settimana dopo dalla polizia cantonale lucernese giunge la segnalazione di un'altra scomparsa, Yordanos, 24enne di nazionalità eritrea. Passa un altro mese e un nuovo comunicato: è scomparsa Feven, 28 anni, cittadina eritrea, sempre da Lucerna. L'11 agosto Lidia è andata a Basilea, dove risiede, a giocare a pallacanestro e da quel giorno non è più tornata a casa. Ha tredici anni. E dall'inizio della settimana la polizia lucernese è alla ricerca di Yohana, dodici anni. Che fine hanno fatto? Dove sono andate a finire? Un mistero. Il sospetto che possano essere state vittime di trafficanti di esseri umani aleggia, ma Simon Kopp, portavoce della polizia cantonale di Lucerna afferma che non ci sono indicazioni che possano far pensare a questo genere di delitto.
Sul caso di Lidia, la ragazzina che vive con i genitori da otto mesi a Basilea, e di Yohana, la 12enne scomparsa dal Canton Lucerna, la polizia privilegia l'ipotesi del litigio familiare. Infatti, per quanto concerne il caso di Lidia, si è appreso che l'adolescente è uscita di casa con alcune centinaia di franchi, senza più far ritorno. Il portavoce della polizia basilese Klaus Mannhart ritiene possibile che la ragazzina sia fuggita per amore.
 Sul destino, invece, delle tre donne adulte, tutte over 20, si brancola ancora nel buio. Una di esse è sposata e suo marito non ha proprio nessuna idea di dove possa essersi cacciata sua moglie. La polizia del Canton Lucerna sta seguendo tutte le piste e sta cercando di collaborare con conoscitori della cultura eritrea. Infatti, come ha dichiarato il portavoce Kopp al Tages Anzeiger, "per risolvere questa tipologia di casi è d'obbligo conoscere la loro cultura".
Toni Locher è uno che la ex colonia italiana la conosce bene. Il ginecologo sessantaduenne di Wettingen è presidente del Comitato Svizzero di Sostegno all'Eritrea. In Eritrea ci è stato oltre 50 volte. Il paese africano dal 1991 ha ottenuto l'indipendenza dall'Etiopia. Uno Stato dalla storia tribolata e in continua guerra con il vicino etiope. Dal 1998 Asmara ha emanato  l'obbligo di leva permanente e ciò vuol dire che tutti possono essere chiamati alle armi in qualsiasi momento. Un obbligo, questo che sta spingendo molti giovani a lasciare il paese e chiedere asilo nei paesi europei, tra cui la Svizzera.
Locher descrive il paese affacciato sull'Oceano Indiano ancora di stampo patriarcale e il suo popolo chiuso, diffidente e le sue donne molto pudiche. Eritrei che non parlano molto e si aprono poco al prossimo. "Nessuna sorpresa quindi - commenta Locher - se la polizia riesce a raccogliere pochissime informazioni dai congiunti delle persone scomparse".
Locher spiega che sono molte le donne eritree insoddisfatte della loro vita in Europa. "Sono spesso traumatizzate psicologicamente". Donne che, giunte in Europa insieme al marito e ai figli, hanno alle spalle storie di violenze subite, di infibulazione, di guerra. E quando il matrimonio diventa un inferno queste donne tentano la fuga e cercano aiuto nelle proprie famiglie di origine:  "La cerchia familiare riveste per le donne eritree un ruolo molto più importante rispetto a quello del marito" ha aggiunto Locher. Donne che grazie alla rete di parentela in Europa, riescono a trovare un rifugio presso i parenti. Anche Locher è del parere che i motivi delle scomparse siano da ricercare unicamente nell’esigenza di una via di fuga.
Fino ad ora, di loro nessuna traccia: “Non abbiamo nessun elemento – ci  hanno spiegato oggi dall’ufficio stampa della polizia lucernese  - che possa far pensare a un legame tra i diversi casi delle donne eritree scomparse nel Canton Lucerna. Stiamo battendo tutte le piste, stiamo investigando per capire quali possano essere i motivi della loro scomparsa, stiamo collaborando con le altre polizie in cantoni dove si registrano scomparse di donne eritree, stiamo contattando l'ambasciata d'Eritrea per cercare di capire se è possibile raccogliere informazioni attraverso i parenti che abitano laggiù”.

ብዓለምለኸዊ ኮምሽን ንኤርትራውያን ስደተኛታት ዝወጸ መጠንቀቕታ




አሉታ(ሓሶት)፡ መሬት ሱዳንን ግብጽን ረጊጽካ ናብ ዓዲ ፈረንጂ ምስጋር ብዙሕ ገንዘብ ይሕተት’ምበር ኣብ መወዳእታ ዘዋፅእ ብድሆ ምዃኑ ዝተረጋገጸ ኢዩ።

እውነታ(እቲ ሓቂ)፡ ስደተኛታት ኣብ ክንዲ’ቲ  ዝወጠንዎ ዕላማ ዝበጽሑ፡ ካብ ሓደ ሸቃጥ ሰብ ናብ ሓደ ሸቃጥ ሰብ ከም ጤለበግዕ ይሽየጡ። እቲ ጉዕዞ ዝካየድ ብዘየተአማምና ክፉታት ሎሪ ኮይኑ፡ ምስ ዝስበራ ድማ ክትደፍእ ትግደድ ኣብ መንገዲ ማህሰይቲ ምስ ዘጋጥመካ ወይ ከአ ብስንኩፍና ካብታ መኪና ምስ ትወድቕ ዘልዕለካ የሎን ኣብቲ ጸምጸም በረኻ ድማ ኣደዳ ኣሞራ ኬንካ ትተርፍ። መብዛሕታኡ እቲ ጉዕዞ ዝፍጸም ብለይቲ ኮይኑ እኽለ ማይን’ውን ኣዝዩ ውሱን ኢዩ። ኣብ’ዚ ሓደገኛ ጉዕዞ’ዚ ናይ ወሰን ሓለውቲ ምስ ዘጓንፍ ድማ ተኩስካ ክትቀትል በቶም ሸየጥቲ ሰብ ትግደድ። ከይሓሰብካዮ ድማ ቐታል ሰብ ኴንካ ብሰብን ብእግዚአብሄርን ትፍረድ።

አሉታ(ሓሶት)፡ ሓንትስ አብ እስራኤል ትብሃል ዓዲ ድአ ይበጻሕ’ምበር ካብኡ’ስ ሞት ከምዓለም ኢዩ።

እውነታ(እቲ ሓቂ)፡ መጀመርያ ኣብ ዶብ  እስራኤል ንምብጽሕ ዘሎ መከራ ተጸውዩ ኣይውዳእን ኢዩ። ካብኡ ብኽፋልንምጥቃስ፡ ወይ ብጥይት ተተኲሱካ ትቆስል ወይ ከአ ትመውት። ዕድለኛ ኴንካ ሂወትካ ዓቂብካ ኣብ እስራኤል ምስ እትአቱ ድማ ዝጽበየካ ነዊሕ ማእሰርትን ሽቅለት ኣልቦነትን ምዃኑ ኣይትዘንግዕ።

አሉታ(ሓሶት)፡ ናይ ግብጺ በደው ብዘይ ሽግር ካብ ዶብ ግብጺ ናብ እስራኤል ከእትዉ ፉሉይ ብልሓት ኣለዎም።

እውነታ(እቲ ሓቂ)፡ ማእለያ ዘይብሎም ስደተኛታት ኣብ ትሕቲ ቀይዲ በደው ከምዘለዎ ምዝካር የድሊ። እዞም ጅሆታት እዚኦም ድማ ገንዘብ  ንቤተሰቦም ተወኪሶም ክሳብ ንጅሆ ተሓዝቲ ዝኽፍሉ ብሩሱን ሓጺንን ብኤልክትሪክ ኮረንትን ሰውነቶም የቃጽልዎም። እዚ ከይአክል ድማ ንሰዓታት ከም አኽላባት ደንበ ብሰንሰለት ኣሲሮም ንደቂ ኣንስትዮ ባህ ኣብ ዝብሎም እዋን ክጋሰሱ ይሓግዩ። ንጅሆ ተሓዝቲ ገንዘብ ምኽፋል ዝተሳእኖም ስደተኛታት ከም እኒ ሽንፍላ፡ ልቢ፡ ላልሽ ዝአመሰሉ ናውቲ ሰውነቶም ብዘይ ሕክምናዊ ኣገባብ ተሚሂሩ ብአሻሓት ዶላራት ይሽይጥ።.

አሉታ(ሓሶት)፡ ዝኾነ ይኹን ሰብ ናይ ስደተኛ መሰሉ ብወግዒ ምስተረጋገጸ፡ ነዚ ብዝምልከትውን ናይ ምዝገባ ታሴራ ምስ ተህቦ ብሸየጥቲ ሰብ ክጭወ  ዘሎዕድል ባዶ ኮይኑ እኳ ድአ ብሰላም ሂወቱ ናብ ዝመርሓሉ ናብ ካልእ ሃገር ንክኸይድ ዘለዎ ዕድል ብሩህ ኢዩ።

እውነታ(እቲ ሓቂ)፡ ነዚ ጽውጽዋይ’ዚ ኣብ ጎኒ ገዲፍና፡ መብዛሕትኦም  እቶም ካብ ሱዳን ተጨውዮም ኣብ ግብጺ ከም ባሮት ተታሒዞም ዝርከቡ ደቂ ሃገር ካብ ዩኤንኤችሲር ታሴራ ዝተቐበሉ ኢዮም። ጨወይቲ ብሥራሕ ምስምስ ንጉሩሃት ስደተኛታት ብምትላል ካብ ብጾቶም ምስ ፈለይዎም ንዘተፈላለዩ ኣብቲ ሰንሰለት ተአሳሲሮም ንዝርከቡ ሸየጥቲ ሰብ ብኹቡር ዋጋ ይሸጥዎም።  እምበአርከስ ስደተኛታት ኣብ ዘለውዎ ሰፈር ንነብሶምን ንነብሲ ብጾቶምን ምክልኻል ሓላፍነቶም ይኸውን።

አሉታ(ሓሶት)፡ ኣብ ሱዳንን ኢትዮጵያን ዝርከቡ ሓደ ሓደ ኤርትራውያን ሽግር አሕዋቶምን አቶምን ንምቅላል ዘይገብርዎ ፈተነ የሎን። ወረ ኣብ ካርቱም ዝርከብ ናይ ኤርትራ ኤምባሲ’ሞ ሽግር ዜጋታቱ ንምቅላል ፓስፖርት ይህብ ኢዩ፡ ብሕልፊ  ድማ መንቀሳቐስን ካብ ሃገረ ሱዳን መውጽእን ምስ ዝድለ

እውነታ(እቲ ሓቂ)፡ ርግጽ ኣብ ጎረባብቲ ሃገር ስራሕ ክትረክብ ዘሎ ዕድል ጸቢብ ኢዩ። ነዚ መሰረት ብምግባር ድማ ኣስሕኮ ዘይብሎም ደቂ ሃገር ንአሓቶምን አሕዋቶምን አሕሊፎም ምስ  ሸየጥቲ ሰብ ብምምስጣር ይሸጥዎም። ስለዚ ካብዚ ሓደጋ’ዚ ምጥንቃቕ ናይ ነፍሲ ወከፍ ስደተኛና ሓላፍነት ይኸውን። ኣብ ካርቱም ዝርከብ ናይ ኤርትራ ኤምባሲ’ውን እንተኾነ እቲ ብ1994 ዝተሓገገ 2% ግብሪ ምስ እትኸፍል ፓስፖርት ብ900 ዲናር (300 ዶላር) ታሴራ ድማ ብ270 ዲናር(88 ዶላር) ከምዝሽይጥ ዝተረጋገጸ ሓቂ ኢዩ።

ተወሳኺ ሓቅታት፡ ኣብ ሱዳን ዝርከብ ናይ ዩኤንኤችሲር ቤት ጽሕፈት ካብ ጻዕቂ ስራሕ ዝተዕለ ናይ ስደተኛታት ትሕቲ ባይታ ኣረጋጊጹ ታሴራ ንምሃብ ነውሕ ጊዜ ኢዩ ዝወስደሉ። ብዙሓት ናይ ስደተኛታት መንነት ዘይረኸቡ ሰባት’ውን ናይ ምጭዋይ ሓደጋ የጋጥሞም ኢዩ። ኣብዚ ቀረባ እዋን ስደተኛታት ተጨውዮም ዝሰቓይሉ ሑብእ ኣብ ከሰላ  ምህላዉ ይንገር። ካብዚ ሓደጋ’ዚ ንምድሓን ምጥንቃቅ የድሊ።

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International Commission on Eritrean Refugees (“ICER"). http://ICEritreanRefugees.org/ic 
ICER seeks to receive, follow up and handle complaints related to violations, proposes legislations that ensure basic human rights and monitors public authorities in relation to human rights violations. 
To post to this group, send email to eritrean-refugee-crisis@googlegroups.com

Eritrea a nation held hostage

http://www.youtube.com/watch?v=TMr7Vo8t3Uo&feature=player_embedded



Eritreans as the great liberator of the people hailed Isaias Afewerki when he became the nation's first president in 1993. He represented a new breed of an African leader; young, charismatic, and determined to build a prosperous future. He brought hope to a nation that had for so long appeared hopeless. Isaias started to reconstruct the nation, promised to respect human rights, hold free and fair elections, and build a strong economy with jobs for all. Eritreans were to be rewarded for their struggle. But these rewards never came. Human rights groups say Eritreans are being imprisoned, tortured and killed in increasing numbers. Some are held in shipping containers in 50-degree heat, others in solitary confinement or in underground cells. The fairy tale has turned into a nightmare.

lunedì 22 agosto 2011

Lettera On. R. Maroni

Eccellenza On. Roberto Maroni, 
Ministro dell'Interno

Le scrivo per chiederLe di rivedere l'attuale procedura e trattamenti riservati ai richiedenti asilo politico nei CENTRI ACCOGLIENZA RICHIEDENTI ASILO (CARA) a Caltanissetta, Contrada Pian del Lago. Stando alle testimonianze raccolte dal sottoscritto, ai profughi viene chiesto il pagamento di € 106,00 per il rilascio del permesso di soggiorno; ora queste persone che sono state "ripescate in mare" senza un euro in tasca, e che dal loro arrivo fino ad ora sono ospiti della struttura, senza nessuna possibilità di lavoro e di  guadagno, non sono in grado di pagare la somma richiesta. Le chiedo di rivedere questa procedura affinché non venga richiesto di pagare a chi non ne ha la possibilità, come avviene in tutti paesi europei, dove il rilascio del primo permesso e il documento di viaggio é a carico dello stato che accoglie.

Il dramma di questi profughi non è solo la mancanza del denaro richiesto, ma anche il fatto che vengono letteralmente buttati in mezzo alla strada, subito dopo che la commissione territoriale ha preso la decisione. Si ritrovano, così,  per strada senza nessun documento valido, se non il cedolino e la ricevuta del pagamento effettuato, senza il permesso di soggiorno e, cosa ancor più grave, senza cibo e  un tetto sulla testa. Rifugiati costretti o messi nella condizione, dallo Stato, di mendicare un piatto di minestra e a dormire per le strade di Caltanissetta.

Un esempio è un episodio avvenuto in questi giorni: a due ragazzi eritrei, sbattuti fuori dal centro, è stato detto di tornare dopo 40 giorni per il ritiro dei documenti, nel frattempo queste persone vagano per la città senza fissa dimora, senza nessun tipo di assistenza da parte dello stato che si accinge a riconoscere loro qualche forma di protezione. 

Signor Ministro, Le chiedo di intervenire su questa triste vicenda, che vede messa a repentaglio la sicurezza e la stessa sopravvivenza dei richiedenti asilo e rifugiati. Quello di Caltanissetta non è un caso isolato purtroppo.  Normalmente dopo il riconoscimento da parte della commissione territoriale, al richiedente lo status di rifugiato oppure la protezione sussidiaria, dovrebbe avvenire il suo trasferimento nei circuiti dello SPRAR o in altri centri simili che accompagnano il cammino di integrazione del rifugiato stesso, verso il pieno inserimento. Quello che sta accadendo in questi giorni a Caltanissetta è l'esatto contrario, come ho scritto precedentemente, le persone, ricevuto l'esito della decisione della commissione territoriale, senza ricevere tutti i documenti, si ritrovano buttati fuori dal CARA:  nessuno si preoccupa di cosa mangeranno o dove alloggeranno, esposti ad ogni pericolo e sfruttamento.
Spero in un suo intervento affinchè tale procedura venga al più presto rivista e migliorata.

Don Mussie Zerai
Presidente dell'Agenzia Habeshia
per la Cooperazione allo Sviluppo

domenica 21 agosto 2011

ኣውያት ካብ ፍትሒ ዝሰኣኑ ኣብ ከሰላ ተዳጒኖም ዘለዉ መንእሰያት


እዞም ኤርትራውያን መንእሰያት እዚኣቶም፡ ብሰንኪ ኣብ ሃገሮም ዘሎ ዘይጽወር ጭካኔ ስርዓት ህግደፍ፡ ነታ ዝፈትውዋ ሃገሮምን ንዝፈትውዎም ክቡራት ወለዶምን ራሕሪሖም፡ መጀመርያ ናብ ጐረባብቲ ኢዮም ዝኣትዉ። ኣብ ጐረባብቲ ሃገራት ዘግጥሞም ጸገማት ድማ ጸብጺብካ ዝውዳእ ኣይኰነን። ጸማም እዝኒ ደኣ ሂባቶ እምበር፡ ዓለም ብዓለማ ጸገማቶም ትፈልጦ ኢያ።
ኣብ’ዛ ንእሽቶ ኤርትራ ዘላ ከተማ ከሰላ ክንድ’ዚ ዝኣኽሉ ኤርትራውያን መንእሰያት፡ እሞ ከኣ፡ መንነት ናይ ስደተኛታት  ካብ ዝምልከቶ ቢት ጽሕፈት ዝረኸቡ፣ ብዘይ ፍርዲ፡ ብዘይ እኹል መግብን ማይን፡ ብዘይሕክምናዊ ኣገልግሎትን ሰብኣዊ ርህራሄን ንሰለስተ ወርሒ ይሳቐዩ ምህላዎም ኢዩ።
እዞም ስደተኛታት፡ ካብ 2 ክሳብ 30 ዓመት ዝዕድሚኦም ኢዮም። ኣብ መንጐኦም 12 ደቂ ኣንስትዮን፡ ሻም ሙሳ ዓሊ እተባህለ ወዲ 2 ዓመት ህጻንን ይርከብዎም። 40 ካብ’ቶም ስደተኛታት ሕጋዊ ናይ ስደተኛታት ወረቐት ብኮሚሽን ስደተኛታት ሱዳን ዝተዋህቦ ኢዮም።
ዝርዝር ኣስማቶም ከም’ዚ ዝስዕብ ኢዩ።
1. ሰናይት ተዓረ
2. ዮዲት ርእሶም
3. ሉችያ ሃብተገብርኤል
4, ሃይማኖት ኣብርሃ (ጥንስቲ ብጽሕቲ ወርሒ)
5. ምሕረት ኣብርሃ
6. ኣበባ ስዩም (ጥንስቲ ብጽሕቲ ወርሒ)
7. ኤልሳ ገብረክርስቶስ ምስ ወዳ ሻም ሙሳ ዓሊ)
8. ኣድሓነት ገብራይ
9. ዘፈር ገብረገርግስ
10. ብርሃን ለማ
11, ሄለን ክፍሎም
12, ልዋም ዘርኡ
13. ከሰተ ሃይለ
14. ሚኪኤል ተስፋሚካኤል
15. ዑቝባይ ብጹእኣምላክ
16. ዓብለሎም በየነ
17. ሃብተኣብ ገብረንጉስ
18. ኪዳነ ተስፋይ
19. ዳኒኤል ኢዮብ
20. ጸጋይ ኣብርሃም
21. ጽገ ጠዓመ
22. ሕሩይ ጊላጋብር
23. ስብሓት ገብረሂወት
24. ብያት ጐይትኦም
25. ተኽለብርሃን
26. ዓወት ጸጋይ
27. ሳምሶን
28. ኣስመሮም
29. ሚኪኤል
30. ዓወት
31.  ማጆር
32, ጠዓመ
33. ተስፋይ ተኽለ
34. መዓሾ
35. ኤግረም
36. ኣንገሶም
37. ሚኪኤለ
38. ኮኾብ
39. ጐይትኦም
40. ኣተወብርሃን
41. ዑቝባሚካኤል
42. ዑመረዲን
43. ትስፋይ
44. ወልደገርግስ
እዞም ኣስማቶም ኣብ ላዕሊ ተዘርዚሮም ዘለዉ መንእሰያት ካብ 6 ግንቦት 2011 ክሳብ ሕጂ ኣብ ትሕቲ ጨካን ቤት ማእሰርቲ ሽማል ሓለንጋ (ሰሜን ሓለንጋ) ዝተባህለ ኣብ ከሰላ ጽርከብ ቢት ማእሰርቲ ዝሳቐዩ ዘለዉ ኢዮም። 
ሽግራቶም  ኣብ ዝሓጸረ እዋን መፍትሒ ክርከበሉ፡ ንኤርትራውያንን  ማሕበረሰብ  ዓለምን ጻውዒቶምን ኣውያቶምን የቕርቡ ኣለዉ።

venerdì 19 agosto 2011

"الأريتريون" بالأقصر يرفضون العودة


http://www.alwafd.org

    "الأريتريون" بالأقصر يرفضون العودة
    طالت معاناة اللاجئين الإريتريين الهاربين من جحيم بلادهم آملين في مكان آمن، حيث كانت البداية منذ هروب أول فوج إلى السودان عام 1967م وذلك نتيجة لاستخدام الاستعمار الأثيوبي لإريتريا بقيادة الديكتاتور"هيلا سلاسي" آلة القتل والدمار ضد الشعب الإريترى الأعزل .
    لم يجد الإريتريون خياراً سوى الرحيل عن البلاد والبحث عن مكان آمن يستأنفون فيه حياتهم حيث تواصلت رحلة "الهروب الكبير" من بلادهم إلى السودان ومن السودان إلى الحدود المصرية .
    القبائل هناك تعمل في تجارة البشر حيث تقوم بابتزاز أهاليهم مادياً فى إريتريا عن طريق الوسطاء أو تسلب منهم ما معهم من مبالغ نظير تهريبهم إلى مصر عبر المدقات والوديان بين حدود مصر والسودان، ويواجه الإريتريون المهربون ويلات الجوع والعطش أو المعاناة المرضية حيث أغلبهم يعانى من "السكري" و"الكبدى الوبائى" وبعض الأمراض المتوطنة.
    ألقت الشرطة بمدينة أرمنت القبض فى 30يونيه2011  على 62 أريترى ( 42 رجلا و 17 امرأة و3 أطفال رضع ) تم تهريبهم عبر الحدود المصرية السودانية إلى مصر تمهيداً للرحيل إلى جزيرة سيناء ليكتمل مسلسل تهريبهم إلى إسرائيل للعمل هناك في وظائف دنيا.
     قامت شرطة أرمنت بتحرير المحضر رقم 1863 لسنة 2011 إدارى مركز أرمنت بتاريخ 30 يونيو2011، وعقب عرضهم على النيابة قررت إخلاء سبيلهم وتسليمهم إلى السفارة الأريترية وترحيلهم خارج البلاد.
     رفض اللاجئون العودة إلى بلادهم بعد أن حضر السفير الإريترى بصعوبة، وقامت منظمة الاتحاد المصرى لحقوق الإنسان بالأقصر برفع تظلم للمحامى العام لنيابات الأقصر تعترض فيه على قرار السيد وكيل النيابة بتسليم الأريتريين إلى بلدهم لأن ذلك - كما جاء بالتظلم  -  يمثل خرقاً للاتفاقية الخاصة باللاجئين لسنة 1951 والتى صادقت عليها الحكومة المصرية وتم نشرها فى جريدة الوقائع المصرية فى 5 نوفمبر سنة 1981 .
     لأن القرار يعرض حياتهم للخطر وأن دخولهم للبلاد أمر غير آثم طبقا لمواد الاتفاقية والتى تعتبر من هم فى مثل تلك الحالة لاجئين سياسيين وليسوا مهاجرين غير شرعيين.
    جدير بالذكر أن المتحفظ عليهم لديهم بطاقات هوية من "مفوضية اللاجئين" بالسودان وبذلك تسرى عليهم أحكام الفقرة الثانية من المادة 151 من الدستور والتى تتعلق باحترام حقوق اللاجئين وعدم معاملتهم كمجرمين حيال الاطلاع على هوياتهم أو الاستدلال عليهم من قبل المفوضية العليا للاجئين كما نصت عليه الاتفاقيات التى وقعت عليها مصر فإن قرار النيابة يعتبر جائراً.
    وقد تم احتجاز الإريتريين بقسم شرطة القرنة غرب الأقصر وتقوم منظمة الأيرو لحقوق الإنسان برعاية شئونهم حيث يلقون كل الرعاية من الشرطة أيضا، فقد صرح العميد حسين جندية مأمور قسم القرنة بأنه تم توفير الأماكن اللازمة لإيوائهم داخل قسم شرطة القرنة وتم عزل النساء عن الرجال كما تم توفير مبرد مياه خاص لهم.
    لكنهم يعانون من مشكلة نقص الغذاء، فالمنظمات الحقوقية غير قادرة على توفير الغذاء لهم كل يوم وأيضا الشرطة ليس لها اعتمادات لتوفير أكثر من 4 أرغفة وقطعتين من الجبن المطبوخ للفرد فى اليوم فهم ما زالوا يعانون من من الجوع فمنظمات حقوق الإنسان تقدم لهم وجبة لكل فرد كل يومين وذلك من أموال المتبرعين للمنظمة.
    وأضاف رفله ذكرى رفله محامى منظمة الاتحاد المصرى لحقوق الإنسان ومقدم التظلم:" تقدمت بطلب للواء حسن محمد حسن مدير أمن الأقصر  بتوفير وجبات لهؤلاء اللاجئين مثل وجبات المجندين والتى تحتوى على أغلب العناصر الغذائية"، كما أضاف أن طول فترة احتجاز هؤلاء اللاجئين قد ينذر بكارثة، فهم إلى الآن لم يتم الكشف الطبى عليهم للتأكد من عدم معاناتهم من الأمراض المعدية حيث يخالطون المجندين والضباط بقسم الشرطة.
    ولكن السؤال الذى يجول بخاطر أهالى الأقصر هو إلى متى ستتحمل تلك المنظمات الحقوقية أغلب نفقات المأكل والملبس لهؤلاء اللاجئين، ولماذا لا تكون هناك قنوات اتصال سريعة وحلول جذرية من مفوضية شئون اللا جئين عن طريق مكتبها فى القاهرة وبين النيابة العامة لكى لا يتم إهدار آدمية من يتم امتهان آدميتهم وقهرهم عن طريق حكوماتهم ويلجأون لدول أخرى مجاورة ؟!



    اقرأ المقال الأصلي علي بوابة الوفد الاليكترونية الوفد - "الأريتريون" بالأقصر يرفضون العودة 

    mercoledì 17 agosto 2011

    Eritrea-Etiopia: la "crisi silenziosa" e l'Italia sorda


    L'United Nations high commissioner for refugees (Unhcr) ha recentemente definito "crisi silenziosa" il continuo afflusso di rifugiati eritrei in Etiopia, un dramma umano, politico ed ambientale che si sta svolgendo nel quadro della più ampia tragedia umanitaria del Corno d'Africa. 

    GreeenReport - In Etiopia stanno arrivando, varcando confini teoricamente blindati dalla tregua di una guerra per un pezzo di deserto scalcinato, sempre più eritrei, in maggioranza giovani uomini istruiti, che sognano di attraversare mezza Africa per raggiungere l'Italia e l'Europa. Una diaspora nell'ex Paese nemico, dal quale l'Eritrea si è staccata dopo una lunga ed eroica guerra di liberazione, che è anche il segno più crudelmente evidente del fallimento della dittatura che governa Asmara e che ha trasformato il Paese in una caserma.

    Attualmente in Etiopia ci sono almeno 61.000 rifugiati eritrei. Il rappresentante dell'Unhcr in Etiopia, Moses Okello, ha spiegato all'Irin, l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, che «La maggior parte dicono di aver lasciato il loro Paese per sfuggire ad una coscrizione militare illimitata, ma dicono anche di voler raggiungere le loro famiglie che sono in viaggio per l'Etiopia. I rifugiati che arrivano sono in buone condizioni fisiche a paragone con le migliaia di rifugiati somali installati nella regione di Dolo Ado, situata a sud-est dell'Etiopia.

    Secondo le statistiche del governo di Addis Abeba, in media ogni mese 1.300 eritrei lasciano il loro Paese per raggiungere l'Etiopia e «La tendenza è continua e pertanto al rialzo - dice Ayalew Aweke, vicedirettore dell' Administration for refugee and returnee affairs (Arra) del governo etiope - Accogliamo da 1.200 a 1.500 rifugiati in più ogni mese. La maggioranza sono giovani non accompagnati». L'Unhcr dice che almeno 800 - 1000 eritrei raggiungono ogni mese i campi di rifugiati di Shimelba, Maiaini e Adi-Harush, nello Stato etiope del Tigrai, con il quale molti eritrei condividono etnia e lingua. I due presidenti dell'Eritrea e dell'Etiopia sono entrambi tigrini. Ma Ayalew ricorda che «Le cifre dell'Unhcr non includono il numero di rifugiati che arrivano attraverso altri punti di entrata rispetto ai 17 punti ufficiali abituali». Secondo l'Arra, diversi eritrei passano da altri Paesi, come il Sud Sudan e Gibuti, prima di entrare in Etiopia.

    E' come se un'intera generazione abbandonasse lo Stato/caserma costruito nella sofferenza e nella tortura dal cristiano Iasias Afewerki, per cercare un briciolo di speranza in uno dei Paesi più poveri del mondo o per intraprendere un disperato viaggio verso l'Europa, attraversando i due Sudan o il Sinai, dove sono in agguato predoni, tagliagole e trafficanti di carne umana, per arrivare sulle coste libiche e poi tentare di raggiungere, se le carrette del mare che li trasportano a caro prezzo non affonderanno, le coste della loro mai dimenticata colonizzatrice Italia. Italia che, dopo averli consegnati al Negus abissino, si è scordata di loro, della loro lotta per l'indipendenza e la democrazia socialista promessa dal Fronte popolare di liberazione eritreo e finita nel crudele regime di Afewerki, che presto ha abbandonato il marxismo per un nazionalismo fascista e filo-occidentale.

    Il portavoce dell'Unhcr in Etiopia, isut Gebregziabher, fa capire che la situazione è probabilmente ancora peggiore: «Per il momento noi contabilizziamo le persone che beneficiano dello status di rifugiato nei centri dei rifugiati. Ma attendiamo di avere un numero relativamente accettabile, una volta che arrivano nei campi e che ottengono lo status». Fino ad allora gli eritrei sono fantasmi senza diritti, considerati potenziali nemici dal governo etiope, soprattutto dopo che l'Onu ha denunciato un complotto dell'Eritrea per far saltare con attentati il vertice dell'Unione africana ad Addis Abeba. Ayalew infatti dice che «E' difficile determinare il numero esatto dei rifugiati eritrei, perché la maggior parte dei rifugiati sono dei nomadi provenienti dall'etnia afar e gli afar sono presenti anche in Etiopia. Hanno la tendenza a vivere in seno alla comunità di accoglienza piuttosto che nei centri dei rifugiati».

    Che a cavallo di questo mosaico di popoli, lingue e religioni, dove si intrecciano devastanti crisi ambientali, umanitarie e politiche, stia accadendo qualcosa di inedito e probabilmente non governabile con i normali criteri di gestione delle crisi umanitarie, ambientali e confini disegnati sulla carta da imperi coloniali (in questo caso il nostro), lo crede anche Gebregziabher : «L'Unhcr ha notato una tendenza non abituale tra i nuovi rifugiati eritrei. Normalmente, i campi di rifugiati accolgono soprattutto donne e bambini, il caso dei rifugiati eritrei è differente, perché si tratta in gran parte di uomini giovani ed istruiti che arrivano da soli. La maggioranza tra loro viene da aree urbane e ha un diploma di secondo grado di scuola superiore. Questo cambiamento è da attribuire al fatto che tentano di sfuggire alla coscrizione». E lo fanno fuggendo nel Paese contro il quale la coscrizione obbligatoria viene fatta, con l'intento di scatenare prima o poi una nuova guerra di confine: l'Etiopia.

    Durante una visita nei campi profughi a luglio, l'Assistant high commissioner for protection dell'Unhcr, Erika Feller, si era dichiarata «preoccupata e scioccata di vedere una marea di giovani visi e tante persone con la loro gioventù sacrificata». Secondo le statistiche dell'Arra, oltre il 55% degli eritrei hanno un'età tra i 18 e i 30 anni. Molti di loro li vediamo arrivare esausti disidratati, affamati e scheletrici fino alle nostre coste, poi, visto che sono scappati dalla grande galera a cielo aperto in cui la dittatura ha trasformato l'Eritrea, li rinchiudiamo nei Centri di identificazione ed espulsione ad attendere in un altro lager occidentale un riconoscimento di profughi politici che dovrebbero avere immediatamente. E' come se l'Italia non volesse vedere e sentire quello che accade nella sua ex colonia, dove ancora si parla e si capisce l'Italiano e dove le tracce della dominazione fascista e monarchica sono ancora ben visibili nell'architettura di Asmara.

    La poverissima Etiopia, che sta subendo davvero da anni dentro i suoi confini quell'esodo biblico che il duo Maroni/Berlusconi annunciarono sulle coste italiane, tenta con i «nemici» eritrei un'altra strada: Ayalew spiega all'Irin che «La maggior parte tra loro non sono pronti ad installarsi nei campi dei rifugiati ed è per questo che lavoriamo energicamente alla messa a punto di una politica mirante a reintegrare le persone al di fuori dei campi». Nel 2010 il governo etiope (che non è proprio un esempio di democrazia) ha autorizzato i rifugiati eritrei ad installarsi nelle aree urbane, per migliorare il loro accesso ai servizi Una politica che ha permesso ad oltre 200 eritrei di continuare i loro studi nelle università etiopi. «Quest'anno - sottolinea Ayalew. - 700 studenti potranno di nuovo profittare di questa opportunità, dopo che avranno passato l'esame di entrata richiesto» e Gebregziabher spiega che «Alcuni studenti eritrei potranno iscriversi alle università grazie ad un accordo di condivisione dei costi sostenuto dall'Unhcr».

    Evidentemente l'Etiopia, dove l'analfabetismo è alle stelle, non vuole farsi scappare l'opportunità di questi cervelli in fuga dalla caserma Eritrea, ma probabilmente i giovani istruiti cercheranno altre strade, verso nord e l'America. Secondo L'Unhcr il rimpatrio volontario non è attualmente una soluzione. Gebregziabher ha detto all'Irin che «L'Agenzia persegue la reinstallazione come la sola soluzione sostenibile per i rifugiati eritrei. Infatti, quelli che sono arrivati prima del 2008 dovrebbero profittare del programma di reinstallazioine proposto dagli Stati Uniti». Nel 2008 gli Usa hanno accettato di accogliere 6.800 rifugiati eritrei provenienti dai campi etiopi «Attualmente più di 2.000 rifugiati eritrei si sono reinstallati negli Usa - spiega Gebregziabher - Questo programma dovrebbe proseguire. Oltre agli Usa anche Canada, Svezia, Norvegia, Nuova Zelanda ed Australia hanno mostrato interesse ad accogliere i rifugiati eritrei.

    Secondo la Feller, le opportunità di reinstallazione offerte da diversi Paesi sono limitate. Tuttavia l'Unhcr continuerà a chiedere un aumento delle opportunità di reinstallazione».

    Ma nell'Africa devastata dalle guerre e dalla siccità si è aperto un altro fronte per l'Unhcr e per i rifugiati politici eritrei: l'agenzia Onu ha condannato duramente l'espulsione forzata dei richiedenti asilo eritrei dal Sudan. Il 25 luglio un giovane eritreo è stato ucciso ed un altro gravemente ferito mentre cercavano di opporsi all'espulsione forzata dall'est del Sudan. Un gruppo di eritrei è saltato dal camion dell'esercito sudanese che li portava verso la frontiera con l'Eritrea ed uno di loro, 23 anni è morto, mentre un'altro, 17 anni era in coma. Secondo il personale dell'Unhcr in Sudan sono stati espulsi altri richiedenti asilo, compresi gli adolescenti. Oltre confine li aspetta probabilmente la galera e la tortura.

    Il regime del Sudan, amico della dittatura eritrea, considera i profughi politici semplicemente dei clandestini e nega agli eritrei qualsiasi possibilità per accedere alle procedure di richiesta di asilo e se ne frega di quanto ribadisce l'Unhcr: «Queste espulsioni forzate di richiedenti asilo, senza esaminare le loro domande da parte delle autorità competenti, si tratta né più né meno che di respingimenti e costituisce una violazione grave della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati, così come della legge sudanese del 1974 sul diritto di asilo». L'Unhcr ha notizia di almeno 30 espulsioni di eritrei dal Sudan dall'inizio dell'anno, tutti uomini condannati al loro rientro alla persecuzione. Per questo l'Unhcr esorta il governo del Sudan a rispettare i suoi obblighi internazionali ed a «Cessare le espulsioni forzate ed a fornire un accesso immediato alle procedure di asilo a tutti i richiedenti asilo attualmente detenuti».

    Fatte le debite proporzioni, sembra un comunicato Unhcr sui richiedenti asilo di Lampedusa.

    di Umberto Mazzantini 

    lunedì 8 agosto 2011

    Le inutili lacrime di "coccodrillo" delle istituzioni

    In tre mesi sono stati più di 2000 i morti nel mar Mediterraneo: erano persone in cerca di un futuro più dignitoso, di una libertà sognata da anni. Invece hanno trovato la morte spesso atroce, come quei migranti morti di stenti dopo 15 giorni di navigazione, o come quest'ultimi 25 morti asfissiati. Sono fatti dolorosi già per chi riceve queste notizie nefaste, possiamo immaginare che dolore immenso possano provare le loro famiglie. Non servono le lacrime di "circostanza" versate dalle istituzioni internazionali: serve un impegno concreto per estirpare dalla radice le cause di questo esodo dei profughi dall’Africa Sub Sahariana, come ad esempio l’equa distribuzione della ricchezza mondiale, che permetterebbe una vita dignitosa a tutti questi Africani in fuga dal paese di origine. Serve un impegno politico, economico da parte della comunità Internazionale per rendere vivibili molte regioni dell’Africa, sul piano economico, sanitario, dell'istruzione, dei diritti umani e civili.

    La comunità internazionale cose mette in campo per cambiare le sorti di queste popolazioni schiacciate da dittature, carestia, povertà cronica ?

    La cooperazione internazionale come sta affrontando l’emergenza, ma soprattutto cosa sta facendo per prevenire lo scatenarsi di situazioni che creano l'emergenza: le malattie endemiche, la disoccupazione, l'analfabetizzazione, la poca sicurezza alimentare, l’assenza delle cure mediche o poco accessibili per milioni di Africani.

    A che serve fare discorsi retorici e lacrime di “coccodrillo”! Questo esodo di giovani e giovanissimi Africani sta impoverendo l’Africa: è la miglior energia del continente che lascia il paese. E' un danno enorme per il continente: quasi paragonabile alla tratta degli schiavi, che ha svuotato l'Africa della sua miglior gioventù costringendola a rimanere indietro di tre secoli.

    Se il mondo realmente vuole aiutare l'Africa deve muoversi affinché sia fermata questa emorragia di giovani e di cervelli Africani, creando condizioni di libertà e di vita dignitosa nel continente; almeno mettere queste persone in condizione di poter creare loro stesse uno stato di vita dignitosa: realizzare nel proprio paese d'origine quella sorte che vengono a cercare in Europa.

    La comunità Internazionale dovrebbe sostenere le popolazioni che stanno cercando la propria emancipazione, attraverso la conquista della libertà e della democrazia, elementi necessari per creare sviluppo e garantire e rispettare i diritti fondamentali per la vita dei popoli.

    Quando sarà la primavera Africana? Speriamo che non si ripetano le scene viste durante la primavera Araba: una comunità Internazionale impreparata a sostenere i popoli che chiedono pane e libertà.

    don Mussie Zerai
    Presidente dell'Agenzia Habeshia
    per la Cooperazione allo Sviluppo

    venerdì 5 agosto 2011

    EMERGENZA CORNO D’AFRICA. DALLA CARITAS APPELLO PER L’ERITREA

    Redazione di Methttp://met.provincia.fi.it/news.aspx?n=98260Il direttore Alessandro Martini: "In Africa orientale, in questo momento, oltre dodici milioni di persone sono colpite dalla peggiore siccità a memoria d’uomo""In Africa orientale, in questo momento, oltre dodici milioni di persone sono colpite dalla peggiore siccità a memoria d’uomo", avverte il direttore della Caritas fiorentina Alessandro Martini. La scarsità delle piogge ha determinato una situazione drammatica, con conseguenze che potrebbero ulteriormente aggravarsi in futuro.
    A causa dei mancati raccolti e delle speculazioni internazionali il prezzo dei cereali sta infatti salendo vertiginosamente, riducendo la disponibilità degli alimenti per le famiglie più povere.
    Per rispondere a questa emergenza, la Conferenza Episcopale Italiana e Caritas Italiana, da anni impegnate nel Corno d’Africa, hanno già stanziato dei fondi per far fronte alle necessità immediate e sono in costante contatto con le Caritas dei paesi colpiti per l’attuazione degli interventi di aiuto.
    Per sostenere le iniziative promosse da Caritas Italiana, è stata indetta una colletta nazionale con una raccolta straordinaria in tutte le parrocchie per domenica 18 settembre 2011. Un’iniziativa che vuole essere segno di comunione e condivisione delle sofferenze dei più poveri, in risposta anche ai diversi appelli del Santo Padre a non rimanere indifferenti alla tragedia in atto e alle sue cause.
    In questa direzione va anche l’impegno della RETE PER KEREN, che vede coinvolte varie realtà del territorio pratese e fiorentino (Caritas Firenze, Caritas Prato, Shaleku, Chebì, Madonna della Fiducia, Misericordia dell’Antella, Progetto Agata Smeralda, Centro Missionario Medicinali Firenze) e che ha già realizzato numerosi progetti di sostegno per la Diocesi di Keren, in Eritrea.
    Anche l’Eritrea, uno dei paesi più poveri al mondo, è infatti colpita da questa carestia. Si stima che almeno mille famiglie nella zona di Keren abbiano necessità immediate di un sostegno alimentare.
    La Caritas di Keren ha pertanto rivolto un appello per ricevere al più presto i fondi necessari all’acquisto dei cereali disponibili da destinare alle famiglie più povere, prima che il prezzo sul mercato locale aumenti ulteriormente.
    L’obiettivo è quello di consegnare ad ogni famiglia (composta in media da dieci persone) un quintale di sorgo (costo 100 euro). Per tamponare l’emergenza iniziale occorrono almeno 100.000 Euro. La Rete ha già messo a disposizione circa 30.000 Euro, e fa appello a tutti coloro che vogliono e possono sostenere questa emergenza umanitaria offrendo garanzie di consegna diretta di tutto quanto verrà raccolto.
    Per destinare il vostro contributo: CAUSALE: EMERGENZA CORNO D’AFRICA – AIUTI A KEREN

    CARITAS FIRENZE – Via de Pucci 2 – www.caritasfirenze.it
    C/C bancario: Monte dei Paschi di Firenze
    IBAN: IT89 M 01030 02829 000000841867
    C/C postale n. 22547509 intestato ad Arcidiocesi Firenze Caritas Firenze

    CARITAS PRATO – Via del Seminario 36 – www.solidarietacaritasprato.it
    C/C bancario: Banca Popolare di Vicenza
    IBAN: IT44 Z05728 21501 490570006056

    Per approfondimenti ed interviste si può telefonare al numero: 3357621696. 

    martedì 2 agosto 2011

    La Balcanizzazione dell’Africa. (Parte prima) Il caso del Sudan


    http://www.reset-italia.net/2011/07/30/balcanizzazione-africa-sudan-2/



     
    Grazie al contributo di Rosalba Calabretta che ha tradotto dal francese questa esemplare intervista al Direttore Generale del quotidiano Congolese “Le Potentiel”, (traduzione pubblicata sul blog di FaceBook dedicato alla violenze sessuali nella Repubblica Democratica del Congo: “RDC CONGO: Capitale dello stupro. Basta! E’ un crimine che va fermato!”(http://www.facebook.com/groups/165536683512208/), riproduco la prima parte dell’intervista dove il Professore Freddy Mulumba Kubuayi analizza l’indipendenza del Sud Sudan sotto la prospettiva della Balcanizzazione dell’Africa.
    Fulvio Beltrami
    30 luglio 2011
    Monrovia – Liberia
                                   
    BALCANIZZAZIONE: LA RDC E’ IL PROSSIMO OBIETTIVO?
    Titolo originale:  Balkanisation : La RDC est-elle la prochaine cible ? pubblicato il 18 luglio 2011 sul blog di FaceBook: Congo Collectif Sos Rdcongo
     L’Africa si muove. Le frontiere stanno per essere riviste. Eppure le elites intellettuali e politiche africane non sembrano dare troppa importanza a ciò. Quando è stata proclamata l’indipendenza del Sud-Sudan, il 9 luglio 2011, si è notata la presenza da parte di molte personalità africane e dei paesi di altri continenti rappresentati dai loro capi di Stato o inviati speciali. Si è visto anche il Segretario generale dell’ONU, Ban-ki-Moon. Ed il Sud-Sudan diviene il 54° Stato africano. 
    Il Potentiel[1] per parlare di questo ha intervistato il Prof. Philippe Biyoya che ha lavorato per l’Unione africana. Le domande vogliono indagare anche sulle conseguenze della balcanizzazione del oudan sulla Repubblica Democratica del Congo. 
    In effetti si credeva ancora sul principio dell’intangibilità delle frontiere ereditate dalla colonizzazione.[2]
    E’ la prima volta dopo le indipendenze degli anni  Sessanta  che un Paese viene diviso in due con la nascita del Sud-Sudan. Eppure  secondo la Carta dell’Unione Africana le frontiere sono intoccabili.
    Gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna sono stati i primi a riconoscere il nuovo Stato. Si è notata anche  la presenza del presidente El Bechir del Sudan alla cerimonia di questa indipendenza. In quanto specialista di relazioni internazionali come vede questa indipendenza dopo il referendum?
    Vi ringrazio per l’interesse alla questione Se si vuole apprezzare l’indipendenza del Sud-Sudan col referendum si deve dire che questa significa la volontà dei Sudisti che non si sentivano integrati nel Grande Sudan.
    Da questo punto di vista si dovrebbe considerare questo come tutto affatto logico nella misura in cui ciò permette di risolvere un problema che rischiava di compromettere la pace e la stabilità non solo del Sudan ma anche a livello regionale ed internazionale. Questa è una cosa. 
    Bisognerebbe infatti vedere tutto ciò come il risultato di una lunga lotta di più decenni.
    Questo problema impediva al Sudan di essere in pace ed all’Africa di essere stabile in quanto il Sudan, Stato arabo ed islamico, è un grande paese del continente, un paese dell’Africa del Nord e dell’Est.
    Il Sudan era diventato un problema per la stabilità internazionale nella misura in cui il suo islamismo ed il suo arabismo sono diventati un problema geopolitico, un problema strategico. Questo non solo con i paesi vicini, ma anche con le grandi potenze come gli Stati Uniti.
    Inoltre non si può parlare del Sudan senza parlare del Medio Oriente, di Israele, dell’Egitto etc.. Di questo potremmo parlare a lungo,
    Credo che ne valga la pena parlane poiché permette di abbassare la tensione e dare una visibilitá ammesso che si sappia di cosa si tratta, quando e come.
    Possiamo indentificare la secessione del Sud Sudan come una sorta di indebolimento dell’Unione Africana? Personalmente non lo credo poichè non è il primo caso da quando  l’Unione Africana è stata creata nel 1963.
    L’Eritrea ha combattuto per 30 anni. L’Unione Africana, all’epoca OUA, non aveva mai riconosciuto il movimento eritreo che non aveva beneficiato dell’appoggio dell’Africa. Ma oggi l’Eritrea é riconosciuta come stato indipendente.
    Noi abbiamo conosciuto ad un certo punto la proclamazione dell’indipendenza del Sahara occidentale che venne ammesso all’OUA. Se il Sahara occidentale non è oggi membro dell’Unione Africana è perchè il Marocco, che tra l’altro non aveva sottoscritto il principio dell’intangibilità delle frontiere all’epoca della nascita dell’Unità, si é sempre opposto a questo riconoscimento. Si è persino ritirato dall’OUA. 
    Dunque il Sudan è il terzo caso nella nostra storia.
    Questo per dire che i principi sui  quali è stata creata l’Unione Africana  fondamentalmente non cambiano. Siamo noi  africani stessi che  abbiamo proceduto a molti cambiamenti delle frontiere da quando siamo indipendenti.
    E’ vero che al momento dell’indipendenza si è introdotto il principio dell’intangibilità delle frontiere, per rispondere al bisogno di definire i confini degli stati.
    Era per una ragione di stabilità. Si è voluta conservare la pace nel continente, la relativa pace coloniale.

    Bisogna sperare che questa ennesima proclamazione di indipendenza serva da lezione a tutti i popoli, non soltanto africani.
    Perchè il problema non è in ciò che diventano le nostre frontiere, ma in ciò che diventano le nostre indipendenze.
    Credo che tutto il problema stia qui.
    Quando ho visto i sud-sudanesi festeggiare mi sono chiesto: 50 anni dopo le indipendenze, gli africani festeggiano… ma come costruire l’indipendenza? Quale contenuto dargli? Come in effetti risolvere il problema di gestione?
    Se oggi il Sudan è obbligato ad accettare la spartizione è perché l’indipendenza sudanese non è stata capace di gestire il Sudan[3].
    Dal 1885 sono sempre gli Europei che hanno balcanizzato l’Africa in assenza degli africani. Oggi nel 2011 la storia si ripete. Ma questa volta ci sono gli americani che hanno preso il sopravvento. Sono loro che hanno sostenuto questa indipendenza del Sud-Sudan. Si segnalano due potenze che sostengono le due parti. Gli americani sostengono il  Sud ed i cinesi il  Nord. Noi siamo ancora vittime delle contraddizioni o di certi conflitti delle grandi potenze, come successe nel 1885?

    Non parliamo solo degli USA ma anche della Francia e del Regno Unito che hanno per primi riconosciuto questa indipendenza. Si ricorderà sempre l’episodio Fachoda, Il quale ha dato luogo anche a quello che certi geopolitici hanno chiamato il “Simbolo di Fachoda”.
    L’Inghilterra é sempre stata interessata a questa della Regione soprattutto al Sudan. Fachoda è una località dove gli inglesi avevano sconfitto i francesi. Nessuno ignora che il Sudan era il progetto   colonIale britannico, loro erano già al Cairo in Egitto e volevano raggiungere il Capo in Sud Africa.
    Gli USA hanno semplificato le cose.  Occorre ricordare che dagli anni settanta gli USA hanno cercato di chiarire ciò che rappresentava un loro  interesse vitale nel mondo. Quando si percorre la geografia di questi interessi l’Africa intera è considerata come una zona d’importanza strategica per gli USA. Credo che l’amministrazione Clinton è stata più chiara quando ha fatto conoscere che effettivamente il petrolio del Golfo di Guinea doveva servire da base ai legami speciali tra l’Africa e gli USA. 
    Forse non siamo stati troppo attenti, ma da quando è intervenuta la guerra fredda il Regno Unito e la Francia., che erano grandi Imperi coloniali, crearono strutture di cooperazione con molti paesi africani: il Commonwealth per la Gran Bretagna e la Francofonia per la Francia.
    Questi paesi si sono messi d’accordo per non creare rivalitá sugli interessi reciproci nel continente africano. Dove si verificavano crisi in Africa i ministeri degli affari esteri della Gran Bretagna e della Francia agivanoinsieme.
    Successivamente si sono inserite le guerre contro le teorie islamiste. E là che si individuono direttamente gli interessi degli americani.
    Il Sudan è stato percepito da troppo tempo come un Paese ostile agli interessi americani.
    Gli USA hanno creato attorno al Sudan un cerchio che parte  dall’Eritrea fino all’Uganda passando sicuramente dall’Egitto.
    Tutti questi paesi sono amici degli USA. Lavorano anche per la protezione degli interessi americani in Medio Oriente, in particolare in Israele. Non è dunque per caso che gli USA per ragioni strategiche hanno sostenuto i movimenti eritrei.
    Prima in Oriente nessuno sosteneva l’Eritrea ma questo Paese è riuscito a liberarsi dal giogo dell’Etiopia.
    Dopo l’indipendenza dell’Eritrea gli USA hanno esteso la loro influenza dal Mar Rosso fino al di là del Mediterraneo per il controllo anche del Golfo di Guinea.
    E’ per delle ragioni fondamentalmente strategiche che certe evoluzioni sono al giorno d’oggi effettivamente quelle che sono. Ogni volta che noi vogliamo parlare dell’Africa  dovremo guardare alla dinamica mondiale.
    I paesi africani come ho sempre sostenuto celebrano le loro indipendenze senza sapere che cosa c’è alla base di queste indipendenze.
    In occasione del 50° dell’indipendenza della Repubblica Democratica del Congo ho ricordato che nel 1960  la necesssitá di comprendere se il Belgio avesse decolonizzato il Congo o no non aveva senso perché la decolonizzazione non era una volontà degli europei. Era imposta dal cambiamento dei rapporti di forza. 
    Furono gli  USA e l’URSS, divenuti delle grandi potenze, ad giudicare che gli europei non avevano il diritto di conservare i caratteri di potenze coloniali. Dopo che noi eravamo divenuti indipendenti, l’indipendenza doveva servire innanzitutto sia l’anticolonialismo sovietico sia al’anticolonialismo americano. 
    Occorreva  che noi lo comprendessimo affinché ci posizionassimo rispetto a questi rapporti di forza post- seconda guerra mondiale. Credo che ancora oggi l’Africa ha la possibilità effettivamente di recuperare e di comprendere che le sue libertà sono innanzitutto l’espressione o il riflesso delle libertà delle potenze.
    Perché gli africani non hanno tratto la lezione della storia? Da quando sono in contatto col mondo occidentale hanno conosciuto lo schiavismo, la tratta negriera, la colonizzazione ed oggi il neocolonialismo. Sono sempre sotto dominazione Perché l’elite politica africana ed anche quella  intellettuale non vuogliono trarre lezioni del passato?
    Credo che il problema è culturale. La cultura non è solo ciò che resta quando si è dimenticato tutto ma è un comportamento acquisito, un riflesso che entra nel modo di vivere, di essere.
    Non vorrei minimizzare le lotte ed altre resistenze popolari che gli africani hanno condotto, ma tutto ciò non è stato in misura di creare un grande movimento di appropriazione della storia.
    Guardate, in relazione alla storia l’incontro sfortunato o forzato dei giapponesi con gli americani. Si dice che l’imperatore giapponese disse: “Attenzione! Il rapporto di forza è a noi sfavorevole. Lasciamoli entrare, apprendiamo la loro arte e poi si vedrà
    Da noi questo rapporto è stato spesso brutale. Abbiamo resistito un pò , siamo stati sottomessi e dopo domati. Guardate i sistemi coloniali: la Francia ed il Portogallo applicavano l’assimilazione, i Belgi il paternalismo, i Britannici il governo indiretto e la presa in carico.
    D’altra parte gli asiatici che erano stati colonizzati come noi non hanno accettato definitivamente l’umiliazione. Lo si è visto ieri e lo si vede anche oggi. Tutto ciò che fa la Cina, l’India e tutti gli altri Paesi emergenti è in relazione a ciò che sono stati. Sono stati colonizzati, umiliati ma non hanno avvallato l’umiliazione che non li ha condotti alla loro clientelizzazione.
     L’umiliazione è stata per loro un momento per interrogarsi sul rapporto di forza. Si sono posti questa domanda: “ Che hanno loro di superiore rispetto a noi?” Perché ci hanno vinti? Che hanno fatto loro che noi non possiamo fare?” Loro hanno appreso tutto questo e lo hanno elaborato. 
    Ma da quando gli africani sono stati vinti hanno perduto la loro identità. Allora cercano di imitare i pesi degli altri. Noi parliamo la loro lingua ed aspettiamo. E’ un problema di ordine culturale. 

    Questo richiede che noi oggi capiamo cosa c’é di postivo e di negativo. Riflettendo un pò sull’indipendenza del Sud-Sudan non è indipendente perchè i Sud-Sudanesi l’hanno voluto. Sono le potenze mondiali che hanno stimato che doveva essere così.
     E’ dunque una colonia?
    Non bisogna prenderla così Il Sud-Sudan è un braccio secolare nel compimento di un grande disegno.
    La cosa più importante – mi sembra – non è necessariamente di essere autonomi ma di fare la cosa utile. In diplomazia gli Stati partecipano in rapporto con gli altri per due motivi. Si tratta innanzitutto dell’utilità: bisogna cercare un ruolo partecipando ad una dinamica; l’essenziale non essendo di essere il primo o il dominante ma di essere con gli altri. Bisogna evitare di essere al margine. Se si gioca al meglio il ruolo, si può allora entrare nei ranghi, come si dice porsi come grande potenza.
    Spesso gli Africani non lavorano né per avere un ruolo per essere utili agli altri né per cercare di classificarsi . In Africa non ci occupiamo troppo degli affari interni e non mettiamo la gestione dell’interno in prospettiva con l’esterno. Gli Africani sono spesso “racchiusi”: Non so per quale ragione.
    Quando partecipano agli incontri internazionali ci vanno per capire per ascoltare gli altri e non per dire agli altri cosa loro pensano debba essere fatto. 
    Se gli africani comprendessero la storia potrebbero capire quale è stata la forza dell’Africa prima della colonizzazione: la creazione dei Regni e degli Imperi. Erano dei grandi Stati, degli Stati forti. 
    Ora da quando siamo indipendenti gli occidentali, dalle grandi potenze all’ONU, hanno fatto la scelta per l’indipendenza dell’Africa dove non dovevano esistere Stati forti.
     Gli Africani lo sanno? Ne sono coscienti?

    Non credo che gli Africani cercano di sapere il perché tutti questi drammi. Per il Congo per es. si cerca oggi di andare alle elezioni. Tutti si battono…. E cosa si cerca di risolvere?
    Ci si arriverà. Degli esperti sul piano internazionale pensano che i grandi paesi posano molto sui problemi di sviluppo. Tra i grandi paesi in Africa vi sono  il Sudan, la Nigeria, il Congo e l’Angola. Curiosamente questi sono paesi ricchi in risorse naturali,
    Uno di essi, il Sudan viene diviso in due: Il Nord Sudan ed il Sud Sudan. 
     A chi tocca essere il prossimo? Io non credo che si vogliono fermare qui.
    La questione ha un peso d’oro. 
    Bisogna sottolineare per esempio  che un paese come l’Algeria è stato,  dopo gli anni novanta,  obbligato dai paesi occidentali ad interrompere il processo democratico[4]. E’ un paese che ha deciso di indebolirsi anche se fino ad ora resiste.
    La Nigeria è un paese fragile. Credo che ciò che la salva – a parte la guerra del Biafra che è stata opera delle multinazionali soprattutto francesi – è il suo allineamento con gli USA. 
    Il Sudan ha perduto per il suo rifiuto di inscriversi in una geopolitica di gemellaggio americano.
    Poiche’ il Sudan nel suo insieme è vicino ad un paese importante come l’Egitto, la sua stabilità del Sudan dipende da quella dell’Egitto che fino ad ora è allineato agli USA
    Il Sudan ha cercato di essere arabo e musulmano dichiarandosi ostile agli interessi americani. Il Sudan ha preso il suo rischio anche perché il mondo non è più diviso in EST ed OVEST.
    Si può anche scendere più in basso. Il Niger è la disgrazia della Libia. Alla fine della guerra fredda la Libia è stata forzata ad allinearsi all’Occidente quando, durante la guerra fredda, era allineata all’URSS sul piano strategico.
    Questi cambiamenti che giungono sul piano mondiale obbligano effettivamente i paesi, che comprendono, ad allinersi, riducendo il rischio di balcanizzazzione. 


    Nota sul intellettuale intervistato. 
    Freddy Mulumba Kabuayi, Professore Universitario, esperto in relazioni internazionali, e’ il Direttore Generale del quotidiano Congolese “Le Potentiel” e Presidente dell’Unione della Stampa Francofona nella Repubblica Democratica del Congo.
    Esperto opinionista e profondo conoscitore delle complicate dinamiche storiche, culturali e politiche della Regione dei Grandi Laghi, interviene sulle colonne del quotidiano da lui diretto e in vari siti di informazione sulla rete dedicati al Continente Africano.


    [1] Le Potentiel e’ un quotidiano conglese. Come tutti gli altri quotidiani del paese la sua diffusione e’ limitata solo alla capitale: Kinshasa. Grazie ad Internet i quotidiani congelesi ora sono capaci di raggiungere il territorio nazionale e la diaspora all’estero. Rimane comunque limitata la diffuzione tra la popolazione poiche’ meno del 5% di essa riesce ad accedere alla connessione in rete. Indirizzo web:http://lepotentiel.com/ nota di Fulvio

    [2] principio stabilito dall’Unione Africana  NDT
    [3] Il progetto originale del movimento d’opposizione del SPLM era quello di liberare il Sudan dalla dittatura del Presidente Omar el-Bechir e dalla politica di islamizzazione forzata del paese. Il Sudan libero doveva fondarsi sul rispetto delle varie culture, religioni e etnie che lo componevano dotandosi di una forma di stato federalista con ampie autonomie regionali. A questo probabilmente il professore Freddy Mulumba Kabuayi si riferisce quando afferma che l’indipendenza non e’ stata capace di gestire il Sudan.Nota di Fulvio
    [4] L’Algeria per contrastare l’asceza di partiti islamici li dichiaro’ fuorilegge, spingendoli verso la lotta armata.  Di conseguenza il governo laico Algerino  affronto’ una guerra civile contro gli estremisti che duro’ dieci anni: dal 1992 al 2002, causando circa 160.000 morti.