domenica 28 aprile 2013

Profughi e i diritti negati


di Emilio Drudi
 La vicenda dei profughi usati a Sirte come carne da macello, per cercare mine nel deserto, ha ridestato l’attenzione sulla tragedia dei rifugiati e dei migranti in Libia. In molti sottolineano le carenze, i ritardi, l’inerzia dell’Onu e dell’Unione Europea in questa tragedia, prospettando l’idea, di conseguenza, che la questione possa risolversi solo con l’intervento dei massimi organismi sovranazionali. E’ vero, questa tragedia, in Libia come altrove nel Sud del mondo, ha dimensioni planetarie e come tale va affrontata. Ciò non toglie, tuttavia, che l’Italia possa e debba fare intanto la propria parte. Subito. Anche a costo di muoversi da sola. Revocare i trattati bilaterali firmati da Berlusconi e reiterati da Monti sarebbe già un segnale molto importante. Sarebbe, innanzi tutto, la denuncia delle gravi responsabilità che il nostro paese si è assunto con l’attuale politica sull’emigrazione e la delega in bianco alla Libia come “gendarme del Mediterraneo” contro i migranti. Molti obiettano che una presa di posizione di questo genere, isolata dal contesto delle scelte fatte da Onu e Ue, non conta molto. Anzi, non conta nulla. E rischia di rivelarsi controproducente, isolando l’Italia. Insomma, la solita linea di realpolitik. Io penso invece che la cosiddetta realpolitik sia troppo spesso solo un alibi per calpestare i diritti, l’etica, la dignità dell’uomo senza finire sotto accusa. Mi piace ricordare, a questo proposito, una circostanza molto significativa per il nostro paese. Quando nel 1938 i docenti ebrei furono espulsi dalle università, solo Massimo Bontempelli rifiutò di prendere il posto del professor Momigliano, a Firenze. Nel resto degli atenei, ci fu un’autentica corsa ad occupare le cattedre lasciate “vuote” dagli ebrei. E più di qualcuno, per giustificarsi, fece ricorso proprio ad argomenti da realpolitik, asserendo che “non accettare” avrebbe potuto lasciare campo libero a personaggi più legati o comunque più graditi al regime. Lo stesso era avvenuto sette anni prima, nel 1931, quando appena 12 docenti su 1250 rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo, perdendo di conseguenza la cattedra. Uno e 12, dunque. Una minoranza netta che sembrava non potesse mutare la realtà delle cose. Invece quei rifiuti isolati così in contrasto con la realpolitik gettarono uno dei semi dai quali sono nate la Resistenza, la Liberazione, la Costituzione repubblicana. La scelta “buona” era proprio quella. Controcorrente. Lo stesso vale oggi per la tragedia dei profughi in Libia: se l’Italia avrà il coraggio di fare autocritica e di denunciare gli sciagurati accordi che ha sottoscritto, getterà un seme fertilissimo.

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