martedì 7 ottobre 2014

Lampedusa 03/10/2014 Un anno dopo la strage di Profughi

“Salvare i vivi se davvero si vuol onorare la memoria dei morti”


di Emilio Drudi

Un anno fa la tragedia di Lampedusa: quella che è diventata la “madre” di tutte le stragi di migranti nel Mediterraneo. Era il 3 ottobre: 366 vite spezzate in una sciagura che ha fatto inorridire i cuori ed ha richiamato l’Italia e l’Europa alle proprie responsabilità nei confronti dei disperati che gridano aiuto dai paesi del Sud del mondo sconvolti da guerre, dittature, persecuzioni, carestia, fame.
I quelle stesse ore in cui nel 2013 stava per cominciare il conto dei morti, sono arrivati a Lampedusa, in visita ufficiale, autorevoli rappresentanti dell’Unione Europea, del Governo e delle istituzioni italiane. In particolare, il presidente del Parlamento Europeo, Martin Shulz; Federica Mogherini, titolare della politica estera sia della Ue che in Italia; la presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini. E’ sbarcato sull’isola, insieme a una cinquantina di superstiti e di familiari delle vittime, anche don Mussie Zerai, il presidente dell’agenzia Habeshia, che da anni contesta le contraddizioni, gli errori, le gravi colpe dell’Italia e della Fortezza Europa, per la scelta di trincerarsi dietro mura invalicabili, dimenticando i doveri di accoglienza e asilo nei confronti degli esuli, dei rifugiati, dei profughi. Mattanze come quella di Lampedusa nascono anche da queste decisioni. Proprio per questo la presenza del sacerdote eritreo non appare casuale: al di là del dovere di “ricordare” tutti quei morti, don Zerai vuole chiamare in causa direttamente l’Europa e i governi degli stati membri dell’Unione, affinché da Lampedusa muova finalmente i primi passi una politica diversa. Come? Partendo da un confronto serrato, in un luogo simbolo come quella piccola isola italiana, “porta d’Europa” in mezzo al Mediterraneo, con le “autorità” presenti in un giorno particolare come il 3 ottobre.

Ci sarà un fiume di proposte e di domande da porre ai rappresentanti dell’Europa e del governo. Ma intanto non è di per sé significativo che abbiano voluto andare a Lampedusa, nell’anniversario della strage, rappresentanti così importanti dell’Europa e del Governo e del Parlamento italiano?
Don Zerai: “Certo, può essere un fatto significativo. Ma una ‘visita ufficiale’ di per sé non basta. I 365 giorni trascorsi da quel 3 ottobre 2013 sono stati un anno terribile. Lo dimostrano le 3.072 vittime denunciate nell’ultimo rapporto dell’Oim solo nei primi nove mesi del 2014. Senza contare le centinaia, migliaia, che non entrano nemmeno nelle statistiche: i morti nel deserto e nei paesi di transito, fino alle coste del Nord Africa; gli uccisi nelle carceri e nei centri di detenzione. A Martin Shulz, a Federica Mogherini, a Laura Boldrini e agli altri rappresentanti della politica e delle istituzioni europee e italiane, vogliamo chiedere, allora, che cosa significano la loro presenza a Lampedusa e le tante parole che si stanno spendendo ovunque in questo triste anniversario. Siamo stanchi di parole e promesse. E’ tempo di avere risposte precise e concrete per cambiare tutto l’attuale sistema che trasforma i viaggi della speranza in viaggi di morte”.

L’Europa e il governo italiano, però, affermano di fare già molto: i soccorsi ai barconi, Mare Nostrum, la nuova operazione Frontex, l’accoglienza assicurata a migliaia di migranti… Non è sufficiente tutto questo? Cos’altro si può fare? Dai politici arriva spesso l’accusa alle associazioni umanitarie di protestare molto ma di proporre poco.
“Siamo di fronte a un problema epocale. Basti dire che, secondo le stime dell’Onu, in questo momento ci sono nel mondo ben 51 milioni di profughi e sfollati. Un’altissima percentuale proprio nel quadrante del Mediterraneo: migliaia, milioni di uomini e donne in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente. La soluzione non può  certamente essere la militarizzazione del Mediterraneo, come è avvenuto in parte anche con Mare Nostrum (pur riconoscendo a questo progetto il merito di aver salvato migliaia di vite umane), come avverrà con Frontex Plus e come è stato chiesto di fare ancora di più, affidando i compiti di pattugliamento alla Nato. Né può esserlo la prosecuzione della politica attuata finora, rivolta a esternalizzare e a spostare sempre più a sud i confini della Fortezza Europa, fino alla frontiera libica con l’Egitto, il Sudan, il Chad, l’Algeria, con il risultato di abbandonare i profughi in pieno Sahara. Per questo formuliamo alcune proposte volte a affrontare l’enorme, crescente fenomeno dei profughi in maniera totalmente diversa: ‘lavorare’ a monte, per cercare di eliminarne le cause del problema, invertendo la scelta adottata finora di intervenire a valle, guidati da criteri esclusivamente, rigidamente emergenziali e securitari. Sono proposte concrete per le quali chiediamo risposte precise ed altrettanto concrete”.

Proposte concrete… Quali in sintesi le più urgenti?
“Direi almeno quattro: corridoi umanitari; sostegno ai paesi di transito e prima sosta; interventi congiunti nei ‘punti di crisi’; un sistema di accoglienza europeo unico. Cerco di entrare nei dettagli, capitolo per capitolo:
- Corridoi umanitari. Istituire una serie di corridoi umanitari che, con la collaborazione dell’Unhcr, consentano di aprire ai profughi le ambasciate europee nei paesi di transito e di prima sosta, in modo da esaminare sul posto le richieste di asilo e consentire così a tutti coloro che hanno diritto a una qualsiasi forma di protezione internazionale di raggiungere in condizioni di sicurezza il paese scelto e disposto ad accoglierli.
- Paesi di transito e di prima sosta. Con la collaborazione e d’intesa con i governi locali, studiare ed attuare interventi e programmi di aiuto per rendere più sicuri i paesi di transito e prima sosta, creando così condizioni di vita accettabili, nei tempi di attesa, per i profughi che presentano richiesta d’asilo all’Europa e, a maggiore ragione, per quelli (in realtà la grande maggioranza) che intendono restare invece proprio in quei paesi, non lontano dalla propria terra, nella speranza che si creino le condizioni per poter tornare sicuri in patria in tempi non troppo lontani. L’azione combinata di questo programma e dei corridoi umanitari può risultare l’arma più efficace per sottrarre i profughi e i migranti al ricatto dei mercanti di morte e alle loro organizzazioni criminali.
- Interventi nei “punti di crisi”. Varare una politica comune e mirata dell’Unione Europea nei cosiddetti “punti di crisi”, per eliminare o quanto meno ridurre le cause di questo esodo enorme direttamente nei paesi d’origine dei profughi. Innanzi tutto, in questo momento, nel Corno d’Africa che, insieme alla Siria, è la regione dove il fenomeno è più grave ed evidente, come dimostrano le statistiche sulla ripartizione nazionale dei rifugiati approdati negli ultimi nove mesi sulle coste italiane ed europee.
- Sistema di accoglienza unico. I profughi, dopo aver ottenuto il diritto d’asilo, lo status di rifugiato o una qualsiasi forma di protezione internazionale, sono spesso abbandonati a se stessi, privi in pratica di diritti e di prospettive. Accade in diverse realtà, ma in particolare accade in Italia: non a caso tantissimi rifugiati – quelli appena arrivati ma anche molti ospiti già da tempo del Paese – vorrebbero andarsene verso nazioni più ospitali ed organizzate, ma ciò non è possibile a causa delle norme comunitarie vigenti. Proprio in questi giorni, ad esempio, l’Italia sta obbligando i profughi a farsi identificare e a rilasciare le proprie impronte digitali, spesso prima ancora di entrare nei Centri di accoglienza, intrappolandoli in uno Stato dove non desiderano restare. Da questa situazione assurda e in contrasto con i diritti umani si può uscire solo varando e adottando un nuovo sistema di accoglienza e di asilo politico, unico e condiviso da tutta l’Unione Europea. Un sistema che preveda progetti uguali in tutti i paesi Ue per una dignitosa “prima ospitalità” e per il successivo inserimento sociale, civile, economico, culturale dei richiedenti asilo, concedendo loro la libera circolazione e residenza. Ci sono, in questo contesto, interventi che si possono realizzare in tempi rapidi e con relativa facilità: il superamento dell’accordo Dublino 3; l’accelerazione e la semplificazione dei processi di ricongiungimento familiare, oggi spesso bloccati da cavilli burocratici e pretestuosi. Potrebbero essere i primi, decisivi passi reali verso l’attuazione di un programma europeo di re insediamento”.

Ma ci sono le risorse per questa che appare una autentica “rivoluzione” del sistema?

“Non credo sia  un problema di risorse, ma di mentalità. Direi di ‘cultura’. Finora sono stati spesi centinaia di milioni di euro in interventi di tipo ‘securitario’, per il controllo e la difesa delle frontiere. Pattugliamenti e respingimenti in mare, ad esempio; famigerati patti bilaterali con paesi della sponda sud del Mediterraneo di dubbia democrazia, come quello tra Italia e Libia; perfino la costruzione di  barriere fisiche invalicabili, come lungo il confine tra Grecia e Turchia o nell’enclave spagnola di Ceuta e Melilla in Marocco. Se si vanno a vedere i bilanci degli ultimi anni, si scopre che il rapporto è di 3 a 1: tre euro, forse anche di più, in progetti di ‘difesa’ e solo 1 per l’assistenza. Basterebbe, intanto, invertire questo rapporto. Ecco perché sui punti che ho elencato – voglio ripeterlo con forza – chiediamo risposte rapide e concrete. E’ l’unico modo per onorare davvero la memoria dei 366 morti di Lampedusa e delle altre 26 mila vittime che si sono registrate negli ultimi anni solo nel Mediterraneo. Lo chiediamo innanzi tutto al presidente Martin Shuz, al ministro Federica Mogherini e alla presidente Laura Boldrini, che hanno voluto essere a Lampedusa a un anno esatto dalla strage. Ci aspettiamo da loro risposte in grado di onorare le vittime, di asciugare le lacrime dei superstiti, di dare aiuto e dignità alle migliaia di disperati che bussano alle porte dell’Europa”.

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