domenica 31 gennaio 2010
Il marketing del Cavaliere e il bipolarismo della xenofobia
di ILVO DIAMANTI
IL PREMIER Silvio Berlusconi nei giorni scorsi ha sostenuto l'equazione: + immigrati = + criminalità. E ha ribadito il proposito di agire in modo coerente e conseguente. Ridurre gli immigrati per abbassare il numero dei reati e dei criminali. Altre fonti autorevoli hanno contestato la fondatezza di questa relazione.
A partire dalle statistiche sui reati. (Trascurando, peraltro, che il tasso di criminalità cresce insieme al grado di marginalità sociale. I ricchi non rubano per strada o nelle case. E finiscono in carcere molto più raramente dei poveracci). A noi interessano, invece, le ragioni di questa affermazione. Proprio in Calabria, proprio alla presentazione del piano antimafia. Più logico sarebbe stato un riferimento ai fatti di Rosarno, al ruolo delle organizzazioni criminali e della 'ndrangheta nel mercato e nello sfruttamento dell'immigrazione clandestina. Rivendicando a sé e al governo i successi conseguiti nella lotta alle mafie nell'ultimo anno. Invece no. Piuttosto che alle organizzazioni criminali ha preferito rivolgersi alla criminalità comune, sottolinearne il legame con gli immigrati. Silvio Berlusconi non è un "radical-choc". Raramente indulge alle battute di "bassa lega". Non gli riescono bene come gli attacchi ai magistrati o a "certa stampa" che avvelena le coscienze. Però gli capita. Ogni tanto. E mai a caso.
Perché la scelta dei temi e delle parole, nella comunicazione di Berlusconi, non avviene mai a caso. Mai. D'altronde, i precedenti sono, al proposito, pochi e facili da ricordare. Lo scorso maggio affermò che non è possibile spalancare le porte a tutto il mondo. Che "l'Italia non sarà mai un paese multietnico". Annuncio un po' tardivo, visto che ci vivono ormai 4 milioni e mezzo di stranieri (Rapporto Caritas-Migrantes 2009). Ma, appunto, è "l'annuncio" che conta. E, poi, il 4 giugno: "In alcune città italiane, come Milano, a camminare per il centro, vedendo il numero di cittadini stranieri, sembra di essere in una città africana". Perché a Parigi, Londra oppure a New York, nelle altre metropoli globali, evidentemente, è diverso. Tutti rigorosamente bianchi. Ma Silvio Berlusconi non è un radical-choc. Se maneggia la xenofobia non lo fa per convinzione ma per opportunità. Per marketing. Un tema fra gli altri. Come il calcio, il dolore, lo sport, le donne. Basta far caso ai momenti. Le frasi appena ricordate risalgono, infatti, alla campagna elettorale delle ultime europee. Nell'ultimo caso, il 4 giugno, al comizio conclusivo tenuto a Milano insieme a Bossi. Anche oggi siamo in piena campagna elettorale. E se il nemico, per Berlusconi, è il Pd, insieme all'UdC, l'avversario è la Lega. A cui ha ceduto la candidatura alla presidenza di due regioni importanti: il Piemonte e il Veneto (un'enclave). La Lega: alleata necessaria eppure scomoda per un partito, il PdL, che ha una base elettorale estesa nel Mezzogiorno. Ed esprime orientamenti molto diversi dai leghisti. La criminalità, ad esempio, non è tutta uguale agli occhi degli elettori.
La criminalità "comune": preoccupa molto gli elettori di centrodestra. Meno quelli di centrosinistra, più reattivi nei confronti della criminalità "organizzata". Vediamo i dati dell'ultima indagine di Demos-Unipolis (novembre 2009). La criminalità "comune" è considerata più grave di quella "organizzata" dal 19% degli elettori del Pd e dal 16% tra quelli dell'IdV. Fra gli elettori del PdL questo sentimento è espresso da una componente doppia: 35%; e di quasi tre volte superiore fra quelli della Lega: 50%. Simmetrico e complementare l'orientamento rispetto alla criminalità organizzata. La considera più grave di quella comune il 76% degli elettori nel Pd e nell'IdV, ma il 58% nel PdL e il 49% dei leghisti (che lo ritengono, a torto, un problema che non tocca il "loro" mondo, ma il Sud). Lo stesso profilo caratterizza l'atteggiamento verso gli immigrati. Li ritengono un pericolo per la sicurezza o per il lavoro: il 30% tra gli elettori del Pd, il 39% dell'IdV, il 62% del PdL e il 66% della Lega. In questo bipolarismo della xenofobia, gli elettori dell'UdC si pongono in posizione intermedia. A metà strada fra sinistra e destra.
In Italia, dunque, la paura della criminalità è diffusa, come quella nei confronti degli immigrati. Perlopiù, le due paure vanno insieme e contagiano tutti i contesti e tutti gli elettorati. Ma alcuni in modo diverso e maggiore rispetto agli altri. Negli ultimi anni, queste paure si sono allentate. In particolare dopo le elezioni politiche del 2008, che hanno sancito il successo chiaro e netto del centrodestra. Ciò ha reso la paura degli altri meno utile, politicamente - e meno interessante per i media. Ma oggi siamo di nuovo in campagna elettorale. Alla vigilia delle regionali, che riscriveranno i rapporti fra gli schieramenti, ma anche al loro interno. Per cui la paura torna ad essere un buon tema di marketing politico. Gli scontri di Rosarno evocano la rivolta degli stranieri contro la 'ndrangheta calabrese. Sono stati rappresentati associando immigrazione, sfruttamento, criminalità organizzata, Mezzogiorno. Tutti insieme, in un campo di significati unitario. Che disturba soprattutto il PdL. Mentre piace alla Lega e non dispiace al centrosinistra. Da ciò la preoccupazione del premier: sottolineare il legame fra immigrazione e criminalità "comune", evocando, insieme, l'invasione degli stranieri. Temi che incontrano il favore degli elettori di centrodestra, soprattutto nel Nord. Mentre il tema della criminalità "organizzata" resta sullo sfondo. Nonostante i risultati ottenuti dal governo su questo fronte. Per non sottolineare di più i meriti del ministro Maroni (e della Lega). Per non turbare troppo la sensibilità degli elettori del PdL, disturbati dalle voci e dalle inchieste che ne hanno coinvolto leader nazionali e locali.
Così vanno le cose in questo paese. Dove tutto è valutato in base all'impatto politico mediatico. A partire dalle parole. Negri o terroni; rom, romeni o romani; trans o escort; criminali comuni o mafiosi. È solo questione di voti e di share.
IMMIGRATI: PEZZOTTA, LEGA NON CONDIVIDE VALORI CHIESA
"Insistendo con una inutile polemica anticlericale sull'immigrazione, il Ministro Calderoli dimostra di non voler guardare in faccia alla realta'. Lo invitiamo ancora una volta a non mistificare numeri, dati e statistiche. Monsignor Mariano Crociata ha denunciato una situazione che e' sotto gli occhi di tutti e l'Unione di Centro ne condivide le preoccupazioni. Prendiamo atto che, nonostante tante dichiarazioni a difesa della cultura cristiana, quando poi si tratta di condividerne i valori da parte della Lega si scatena sempre una reazione 'solforosa' contro la Chiesa". Lo dichiara il deputato dell'Unione di Centro Savino Pezzotta in relazione all'intervista a Ministro per la semplificazione, Roberto Calderoli, pubblicata oggi dal quotidiano 'La Padania'.
sabato 30 gennaio 2010
Il doppio equivoco di vescovi e Palazzo Chigi
Le cifre danno torto a entrambi.
Sul boom dei detenuti incide
la clandestinità
MARCO CASTELNUOVO
L’equazione di Berlusconi «meno clandestini, meno crimini» è rimbalzata talmente tanto che ieri è intervenuta pure la Cei: «Dai nostri dati risulta che la percentuale della criminalità tra italiani e stranieri è analoga se non identica», ha detto il segretario generale Mariano Crociata.
Chi ha ragione? Per scoprirlo, è necessario innanzitutto fare alcune distinzioni.
La prima riguarda gli stranieri regolari e irregolari: è certamente vero, come dice la Cei (e il Viminale conferma nel suo ultimo rapporto) che il tasso percentuale di reati commessi da stranieri regolari è di poco più alto rispetto a quello commesso dagli italiani. È circa dell’1,3% contro lo 0,75% dei cittadini italiani. Hanno dunque ragione i vescovi nel sostenere che non c’è alcuna correlazione tra l’incremento del numero degli stranieri e il numero di reati, tanto che i primi continuano a crescere, mentre i crimini, come ha annunciato anche recentemente il ministro Maroni, per fortuna calano.
Berlusconi però non si riferiva genericamente agli immigrati, ma più precisamente ai clandestini. Sono loro, a ben guardare i dati, a fare la differenza: circa l’80 per cento dei reati degli immigrati infatti sono commessi da irregolari. Il dato si desume anche dalle denunce. Quelle a carico degli stranieri sono il sei per cento, percentuale proporzionata alla popolazione residente straniera. Peccato però che la cifra fa riferimento a tutti gli stranieri, clandestini compresi, che si stima siano più di un milione: una cifra arrotondata per difetto e in continua espansione, mentre i regolari sono circa quattro milioni. Insomma un quinto degli stranieri compie i tre quarti dei crimini. Possibile?
Sì, ma anche qui bisogna introdurre una distinzione sulla tipologia dei reati commessi.
Innanzitutto va chiarito che tra coloro che oggi si trovano in condizione di clandestinità, solo il 30% è entrato in modo irregolare nel nostro territorio. Gli altri si «sono trovati clandestini» dopo che il loro permesso di soggiorno è scaduto. Viceversa, molti clandestini sono diventati regolari grazie alle varie sanatorie che si sono succedute negli anni.
Le condizioni di disagio e la mancanza di lavoro sono i fattori che più spingono gli immigrati a commettere reati: e più queste condizioni sono estreme più è facile «ingrossare la schiera della criminalità», come dice il premier. E allora, vediamo che tipo di reati gli stranieri compiono. Praticamente non rapinano banche (il 3 per cento delle denunce), né uffici postali (6 per cento). Mentre all’estremo opposto ci sono i borseggi (70%). È di mano straniera circa metà delle rapine nelle abitazioni, il 19% delle estorsioni, il 29% delle truffe e frodi informatiche. All’interno di queste percentuali, bisogna poi suddividere tra regolari e non. Ci sono alcuni crimini commessi quasi esclusivamente da irregolari (i furti, ad esempio) ed altri, invece, che vengono in parte compiuti anche da regolari (contrabbando, estorsioni, violenza carnale).
Infine, i numeri sui detenuti. Ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano lo scorso 20 gennaio alle Camere nel presentare lo stato della Giustizia in Italia che ci sono nel nostro Paese 65.067 detenuti, di cui 24.152 stranieri, ovvero il 37,1 per cento. Detto così, è una cifra abnorme, rispetto al 6 per cento di stranieri residenti. Va però considerato che il 30% degli immigrati finisce in carcere per infrazioni legate alla loro condizione di irregolari. E questo al netto del reato di clandestinità introdotto lo scorso agosto che benché abbia visto già 12.500 denunce, stenta a vedere le prime condanne. Un terzo dei clandestini è in prigione per trasgressione delle leggi in materia di immigrazione (14,7%), false dichiarazioni sull’identità (4,2%), resistenza a pubblico ufficiale (3,8%), falsità di privati in atti pubblici e atti falsi (3,4%). Inoltre, la motivazione dell’arresto degli stranieri è spesso legata a piccoli reati per i quali è prevista una pena detentiva di breve durata, e alla mancata concessione di misure alternative alla pena detentiva, che invece sono usualmente concesse agli italiani.
SALUTE:DERMATOLOGI IN AFRICA PER STUDIO MALATTIE DIMENTICATE
(ANSA) - ROMA, 29 GEN - Camici bianchi in Africa per studiare le malattie 'dimenticate', ovvero quelle patologie soprattutto dermatologiche molto diffuse nel continente nero e spesso sconosciute in Occidente ma che, con il crescente flusso di immigrati, iniziano a presentarsi anche agli occhi, in vari casi impreparati, dei nostri medici. Nasce con questo obiettivo il 'Progetto Etiopia', promosso dall'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della poverta' (Inmp) e l'azienda dermocosmetica Vichy. Grazie alla collaborazione Inmp-Vichy, quindici giovani medici specializzandi in dermatologia, da varie universita' italiane, potranno seguire uno statge di 60 giorni presso l'Italian Dermatologiocal Centre (Idc) dell'Ayder University di Mekele (cui da anni l'Inmp offre supporto clinico, scientifico e didattico), nella regione del Tigray nel nord dell'Etiopia, con il riconoscimento delle autorita' etiopi e l'aiuto di tutor italiani e africani. Il fine e' chiaro: fornire ai medici strumenti ed esperienza per riconoscere precocemente e trattare patologie 'dimenticate', dalla scabbia alla difterite, dal tetano alla poliomelite. In un'area di oltre 50mila Km quadrati e dove vivono 5 mln di persone con una scarsissima presenza di medici, l'Idc ha effettuato, dal 2005 ad oggi, oltre 45mila visite e piu' di 2mila ricoveri. Il 60% delle diagnosi ha riguardato patologie dermatologiche annoverate tra le prime dieci cause di mortalita' nel Tigray, riscontrate in oltre il 30% dei casi su bambini. Proprio in questo scenario si misureranno e verranno formati i medici del Progetto Etiopia. Con un obiettivo: acquisire conoscenze specifiche che li aiutino nella gestione dei pazienti provenienti dal sud del mondo, sempre piu' numerosi, una volta tornati a casa. Ed il fine, ha sottolineato il direttore dell'Inmp Aldo Morrone, e' anche ''favorire, attraverso appropriate e tempestive cure mediche, l'integrazione delle popolazioni migranti in Italia''. (ANSA).
Immigrazione e questione democratica in Francia
30-01-2010 di Jean Michel Merlin -
Fonte: Nouvelle Cité
Un commento della redazione francese di “Nouvelle Citè” alle affermazioni del presidente Sarkozy
E’ accaduto venerdì 22 gennaio 2010. Sono sbarcati in Corsica 124 rifugiati richiedenti asilo, di nazionalità curda, provenienti dalla Siria. Tra di loro, 29 donne e 38 bambini. Individuati dalla polizia francese, sono stati subito distribuiti in diversi Centri di detenzione amministrativa per essere avviati verso l’espulsione nei Paesi di provenienza. Una procedura rapida che ha ricevuto il plauso di Eric Besson, Ministro dell’immigrazione, ma fortemente contestata dalle associazioni attive nel campo dell’accoglienza dei rifugiati.
Ad ogni modo, già il giorno seguente la maggior parte dei rifugiati è stata rimessa in libertà dal tribunale competente per un vizio di procedura. In effetti, i rifugiati clandestini, secondo la legge, hanno diritto a una procedura che prevede l’assistenza di un avvocato e la possibilità di presentare domanda di asilo politico.
Di fronte al rifiuto dei giudici di essere messi di fronte al fatto compiuto, il Presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, ha affermato che verrà applicata, con giustizia, la legge del diritto di asilo, ma che coloro che non ne potranno usufruire, saranno riaccompagnati alla frontiera. Ha aggiunto di temere il fenomeno di un arrivo massiccio di rifugiati a tal punto incontrollato, come nel caso dell’Italia, da favorire l’introduzione di « criminali » nel paese transalpino: «Non lascerò la Francia disarmata davanti a fenomeni come quello che abbiamo visto in Italia ».
Per comprendere queste affermazioni, bisogna tener presente che da almeno da due anni è in corso in Francia una forte contrapposizione tra mondo associativo e potere politico. Le realtà associative e del volontariato non contestano la legge sull’immigrazione nel suo complesso, ma denunciano i metodi impiegati nella sua attuazione, considerati una degenerazione della democrazia. Recentemente il presidente di Emmaus France ha denunciato l’arresto di sans-papier, clandestini, avvenuto all’interno della sede di una comunità dei Compagni di Emmaus .
La Caritas Francia ha sostenuto, con altre organizzazioni umanitarie, una serie di azioni volte a far valere il diritto di protestare contro il trattamento degli immigrati.
La stessa Conferenza episcopale francese ha elevato forti proteste contro il clima di sospetto che circonda gli immigrati, spesso presentati come possibili terroristi, con il risultato di una continua minaccia di sanzioni giuridiche nei confronti dei volontari che prestano soccorso agli immigrati. Anche l’opinione pubblica si mostra, talvolta, scioccata fino ad episodi di aperta opposizione, come è accaduto di fronte al comportamento della polizia che giunge ad arrestare gli immigrati quando questi si recano a riprendere i figli dalla scuola.
I cristiani, dunque, e la Chiesa cattolica in particolare, stanno offrendo una forte testimonianza di rispetto della dignità umana nel nome del Vangelo, che spesso obbliga il potere politico a riconsiderare la propria posizione in materia.
Il nonviolento, il regista e i sudanesi. Zetalab, le ore della follia
Un insegnante di greco che tiene corsi sulla non violenza ai poliziotti. Un autore di documentari sui migranti. E trenta sudanesi fuggiti dal Darfur. Sono tra le vittime dello sgombero violento del centro sociale palermitano. Ma ora la storia ricomincia
Il primo è un docente universitario di greco, fondatore di un laboratorio della nonviolenza. Aveva persino tenuto seminari ai poliziotti. Gli hanno rotto il naso, venticinque giorni di prognosi e due punti di sutura. Il secondo è un regista, autore di documentari sui migranti premiati nei festival in tutta Europa. Lo hanno trascinato in strada per i capelli, prima di aggredirlo a calci. Infine trenta sudanesi, nella testa gli orrori del Darfur ed in tasca il permesso di soggiorno come rifugiati politici, costretti per cinque notti a dormire accampati sul marciapiede di via Boito. Fino a domenica mattina, quando gli attivisti hanno sfondato il muro di mattoni costruito per sigillare l`edificio sgomberati e si sono rimpossessati dell`ex laboratorio. È l`osceno bilancio di un giorno di follia a Palermo, è il risultato dell`azione della polizia contro il Laboratorio Zeta, il più atipico dei centri sociali siciliani.
Andrea Cozzo, 51 anni, insegnante alla facoltà di Lettere, aveva tenuto - tra i tanti - un seminario rivolto alle forze dell`ordine: «La gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di tensione». Evidentemente non c`erano suoi alunni, martedì pomeriggio, nel cordone di celerini che ha fatto partire tre cariche una più brutale dell`altra. È bene chiarire che lo scorso 19 gennaio non ci sono stati "scontri" tra occupanti e polizia, ma un`aggressione gratuita, improvvisa e senza motivazioni. Durante queste ore di follia, Cozzo aveva provato a mediare tra forze dell`ordine e manifestanti. «All`improvviso, nel tardo pomeriggio, mentre davo le spalle al cordone della polizia, ho visto volare una bottiglia e poi non ho capito nulla», racconta. «Un poliziotto si è gettato addosso a me e mi proteggeva con il suo corpo. Ho cercato di ringraziarlo. So che è stato ferito anche lui». Vincenzo Guarrasi, preside della facoltà di Lettere, solidarizza con Cozzo: «Si tratta di un atto esecrabile. Il professore, noto per il suo impegno civile, è stato colpito mentre difendeva un luogo di accoglienza e di inclusione». Gandolfo Sausa, 55 anni, professore di religione e nonviolento dichiarato, è stato prima picchiato, poi arrestato e infine prosciolto.
«Mi hanno trascinato per alcuni metri tirandomi per i capelli», ci racconta Enrico Montalbano, regista e autore di documentari sull`immigrazione che hanno fatto il giro d`Europa. L`ultimo, "La terra (e)strema", racconta il lavoro dei migranti nell`agricoltura stagionale ed è uno dei tanti frutti della produzione culturale dello Zetalab. «La carica è stata immotivata, non può partire tanta violenza da una bottiglietta di plastica. Vuota. I poliziotti mi hanno circondato ed hanno cominciato a colpirmi mentre ero a terra. Con la coda dell`occhio ho visto uno che stava per saltarmi addosso. Un suo collega lo ha fermato all`ultimo istante. Poi, approfittando, di un momento di pausa, mi hanno trascinato via». Tutto filmato, un video ha ripreso questa scena incredibile. Un nugolo di poliziotti con scudi e bastoni separano i colleghi dai manifestanti, gli altri circondano e picchiano un uomo a terra, indifeso. L`intervento decisivo è di Pietro Milazzo, sindacalista Cgil e destinatario qualche mese fa di un surreale «avviso orale» da parte del questore, che lo invitava a «mutare condotta». Un provvedimento contro cui si schierarono Rita Borsellino, padre Alex Zanotelli, Leoluca Orlando e il comitato Addiopizzo.
Infine i sudanesi. Circa 30 rifugiati erano ospitati nei locali di Via Boito. Alcuni di loro avevano lavorato nel circuito dell`agricoltura stagionale ed erano stati anche a Rosarno. Il centro di Palermo era comunque un punto di riferimento per la comunità sudanese: tutti con lo status di rifugiato politico, dunque meritevoli di accoglienza da parte dello Stato. «Non si tratta solo di ospiti, ma compartecipi di un`esperienza», ricorda Umberto Santino, presidente del Centro Impastato, al microfono del presidio di fronte ai locali sgomberati e accanto alle tende nelle quali dormono gli africani. «Hanno visto il peggio che potevano vedere in patria. Non solo la miseria, ma gli orrori della guerra. Sono ancora traumatizzati», ricorda Montalbano. E questa è l`accoglienza che hanno ottenuto in Europa.
Non è la solita storia del centro sociale sgomberato. Il Laboratorio Zeta è un luogo che aveva ottenuto ampi riconoscimenti ufficiali. «Persino nel portale internet del Comune era indicato come uno dei luoghi di accoglienza che la città offriva», ricorda Fulvio Vassallo, docente a Giurisprudenza. Un luogo incluso nella carta dei servizi cittadina. Nel 2006, Zetalab era parte integrante della "Rete contro la violenza alle donne e ai minori" di Palermo, nata da un protocollo d`intesa firmato - tra gli altri - dalla Giunta insieme ad Università di Palermo, Policlinico, Procura della Repubblica, Provincia. E, tanto per continuare coi paradossi, carabinieri e polizia. Dal 2004, il Comune stipulava il contratto per la fornitura di luce e acqua, prova inconfutabile della rilevanza sociale del centro.
Con testardaggine degna di miglior causa, l`associazione Aspasia ha voluto ad ogni costo (era stato individuato un sito alternativo) prendere possesso di quel cubo di cemento per impiantarci un asilo privato. «Un esempio non nuovo di uso privato di locali pubblici», commenta Santino. E conclude: «Un Comune incapace di darsi una politica culturale che non sia la pioggia di contributi ad associazioni, enti, comitati di feste rionali con pizzo incorporato, appositamente costituiti al fine di incettare pubblico denaro, e che non ha mai dato una risposta dignitosa agli esuli africani che hanno il diritto di ottenere l`asilo politico. Questo coacervo di incapacità, di clientelismo mai sfiorito, di associazionismo interessato, in nome di una legalità tanto predicata quanto trasgredita, ha prodotto la violenta defenestrazione degli operatori del Laboratorio e dei rifugiati».
Domenica gli attivisti dello Zetalab si sono ripresi lo spazio sgomberato, soprattutto per ridare un tetto ai trenta rifugiati sudanesi costretti a dormire in tende all`aperto. In attesa dell`esito positivo di una nuova trattativa con il Comune. Intanto, dicono, «torniamo a casa». Poi si vedrà.
Immigrati, Comuni nel mirino per troppi 'favori'
Massa, nuove minacce al vice sindaco. Lettere minatorie al prefetto e al sindaco di Arezzo
INTOLLERANZA RAZZISTA. La Toscana è a rischio?
Massa, 30 gennaio 2010 - Ancora scritte minacciose contro la vicesindaco e assessore all’edilizia del comune di Massa e ancora lettere minatorie ad Arezzo, recapitate stavolta al sindaco del capoluogo e al prefetto. Alla base di questa offensiva delirante sembra esserci un comune denominatore: il razzismo, l’antisemitismo e soprattutto presunti favoritismi agli extracomunitari che verrebbero compiuti a Massa nell’assegnazione delle case popolari e in provincia di Arezzo con le politiche per l’integrazione.
Episodi diversi e geograficamente lontani ma che concorrono a creare un clima di tensione come sottolinea, condannandolo, il presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini che esprime solidarietà a tuitti i destinatari delle minacce.
«Rosarno = Massa, Nardi 6 la 1 della lista» e poi la stella a cinque punte e il logo Br. La nuova scritta minatoria scoperta ieri mattina su un muretto lungo una strada collinare di Massa ha reso chiara, a dispetto della “firma” terroristica, la matrice razzista delle minacce che hanno colpito negli ultimi giorni la vicesindaco e assessore all’edilizia del Comune, Martina Nardi, ma anche il sindaco, Roberto Pucci. Riferimenti a Rosarno e alle case popolari che il Comune di Massa concederebbe agli stranieri erano già presente nella lettera minatoria, anch’essa siglata con il logo Br, scoperta dalla polizia giovedì mattina in municipio, abbandonata sul tavolo di un usciere durante l’allarme bomba provocato da una telefonata anonima al 113.
La busta era indirizzata: “X il vicesindaco Nardi” e conteneva anche alcune cartucce di fucile. Nella notte tra martedì e mercoledì, inoltre, una stella a cinque punte con la scritta Br era stata tracciata anche sul muro della villetta del sindaco, che si trova non lontano dal muro su cui ieri è stata scoperta la nuova scritta minatoria ai danni di Nardi.
Ad Arezzo invece circolano lettere di contenuto razzista e con minacce ai destinatari. Il primo ad essere colpito il sindaco di Montevarchi, poi il primo cittadino del capoluogo Giuseppe Fanfani e il prefetto Salvatore Montanaro. Secondo l’estensore, o gli estensori, delle lettere, i sindaci sono «rei» di favorire gli immigrati e le politiche dell’integrazione. Nell’ultima missiva in ordine di tempo, arrivata in coincidenza con il Giorno della Memoria, si inneggia all’olocausto e ad Auschwitz, con la quale Arezzo si è gemellata. Questo potrebbe essere l’elemento scatenante del risentimento antisemita che ispira le lettere a Fanfani e Montanaro. E non a caso nelle missive si loda Luc Nancy, il filosofo francese autore del libro Il mito nazi.
E’ polemica invece a Pontedera per alcuni manifesti che annunciano una manifestazione in ricordo dei caduti nelle foibe e in cui appare una croce celtica stilizzata. I manifesti sono firmati da un gruppo di «nostalgici della repubbica sociale italiana». L’iniziativa è stata stigmatizzata dal sindaco della città.
Le aperture del canditato presidente della regione del centrosinistra Enrico Rossi sui centri di identificazione per gli immigrati vengono apprezzate dal deputato del Pdl Gabriele Toccafondi che ha invitato il suo partito ad aprire un dialogo. Rossi si è detto in linea massima disponibile purché i centri rispettino i criteri di umanità e di accoglienza, aggiungendo che comunque preferirebbe piccoli centri e non uno solo a livello regionale come invece è intenzionato del governo. D’accordo con Rossi si è dichiarata l’Italia dei Valori mentre un giudizio negativo è arrivato da Sinistra ecologia e libertà e da Sinistra per la Costituzione. Da parte sua la neo candidata alla presidenza del Pdl Monica Faenzi ha dichiarato che «tra le prime cose da fare c’è l’abrogazione della legge toscana sull’immigrazione che di fatto legittima i clandestini».
venerdì 29 gennaio 2010
IMMIGRATI: S.EGIDIO, PREOCCUPANTI AFFERMAZIONI ESPONENTI DI GOVERNO
(ASCA) - Roma, 29 gen - La Comunita' di Sant'Egidio ha espresso oggi, ''preoccupazione per le recenti affermazioni di uomini di governo'' sul tema dell'immigrazione e della sicurezza. Pur non nominando mai il premier Berlusconi, la comunita' cattolica, facendo seguito anche alle parole pronunciate stamane dal segretario della Cei, mons. Mariano Crociata, ha affermato che ''l'irragionevole equiparazione tra immigrazione e criminalita' non solo non corrisponde alla verita', ma conduce alla criminalizzazione degli immigrati stessi, non rispettando i diritti delle persone e deformando la realta'''.
S.Egidio cita anche i dati Istat degli ultimi anni che, si sottolinea, mostrerebbero che ''gli immigrati stabilitisi nel nostro Paese e che si trovano in una situazione di regolarita' non violano le leggi per reati penali piu' dei cittadini italiani. Se le carceri italiane sono sovraffollate e con un numero elevato di immigrati - si aggiunge - e' a causa del reato di immigrazione clandestina che riguarda l'87% delle denunce relative agli immigrati''. Si fa notare poi come la gran parte dei detenuti stranieri sia in attesa di giudizio.
''Accomunare immigrazione e criminalita' e' dunque ingiusto oltre che infondato e occulta, sotto la coltre della polemica mediatica, la questione fondamentale dell'integrazione. Soltanto una vera politica di integrazione e una semplificazione legislativa per regolarizzare la presenza di tanti lavoratori stranieri - conclude S.Egidio invitando anche il Governo ad ascoltare le parole di Benedetto XVI - e' la risposta necessaria in questo tempo storico di grandi spostamenti di popolazioni''.
Immigrati: Eurispes, per 24,4% tolgono lavoro a italiani
ROMA (MF-DJ)--Secondo il 24,4% degli italiani gli immigrati tolgono lavoro agli italiani, mentre per l'86,4% svolgono lavori che gli italiani non vogliono fare: e' quanto emerge dal rapporto Eurispes Italia 2010, che sottolinea come la convinzione che gli immigrati tolgano il lavoro agli italiani e' tanto piu' diffusa quanto piu' a destra si collocano gli intervistati: si passa dal 17,,3% dei soggetti di sinistra al 33,3% di quelli di destra.
Per la meta' del campione (46,1%) un atteggiamento di diffidenza verso gli stranieri e' giustificabile ma solo in alcuni casi; per il 22,8% la diffidenza e' un atteggiamento pericoloso, per il 17,7% e' riprovevole e per il 10,4% condivisibile. E' inoltre comune l'idea che gli immigrati aumentino la criminalita' (64,7%), che contribuiscano alla crescita economica del Paese (60,4%) e che permettano un arricchimento culturale (59,1%). Minoritarie sono l'opinione che gli immigrati aumentino il rischio di malattie (35,6%), quella che minacciano la nostra identita' culturale (29,9%).
Nella maggior parte dei casi (58,8%) si pensa che la presenza di immigrati in Italia sia superiore alla possibilita' ricettiva del territorio e dell'economia, il 15,9% ritiene invece la presenza straniera proporzionata alle possibilita' ricettive e il 13,3% inferiore. Quanto al modo in cui il Governo dovrebbe contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, il 33,6% ritiene necessario inasprire i controlli alle frontiere, il 25,5% suggerisce di agevolare la regolarizzazione dei migranti, per il 18,5% sarebbe opportuno erogare aiuti ai Paesi di provenienza, e infine per il 13,5% sarebbe giusto ridurre i visti di ingresso dai Paesi da cui provengono i flussi piu' consistenti.
Quanto al clima di xenofobia che si e' diffuso in Italia, il 31,7% degli italiani sottolinea la responsabilita' dei media, secondo il 24,7% gli episodi di xenofobia sono il frutto del comportamento degli immigrati, il 17,2% fa riferimento alle politiche del Governo e il 13,3% all'0atteggimaento degli italiani. Infine, il 60,3% ritiene che puo' essere cittadino italiano anche chi e' nato in Italia da genitori stranieri, mentre uno su dieci ritiene che sia necessario essere figlio di italiani. red/rov
(END) Dow Jones Newswires
January 29, 2010 06:16 ET (11:16 GMT)
Tra immigrati e italiani stesso tasso di criminalità
I dati ufficiali dimostrano che l'80% delle denunce a carico di stranieri riguarda irregolari;
ma anche tra questi, in quattro casi su 5 il reato contestato è l'assenza del permesso di soggiorno
ROMA - Sono i numeri a dire che gli immigrati non delinquono più degli italiani. Secondo i dati dell'Istat, il tasso di criminalità degli immigrati regolari, in Italia, è "solo leggermente più alto" di quello degli italiani (tra l'1,23% e l'1,4%, contro lo 0,75%) ed è addirittura inferiore tra le persone oltre i 40 anni. Di fatto, i dati sono "equiparabili". E' vero invece la stragrande maggioranza dei reati commessi da stranieri in Italia è opera di immigrati irregolari.
Parlano ancora le cifre ufficiali, secondo le quali il 70-80% degli stranieri denunciati sono irregolari. Anche qui, però, i dati sono da leggere con attenzione perché, sul totale delle denunce, l'87% riguarda proprio la mera condizione di clandestinità: il reato commesso da 4 stranieri su 5 denunciati riguarda insomma l'essere stati sorpresi in Italia senza permesso di soggiorno e dunque la violazione delle leggi sull'immigrazione.
In generale, dicono le statistiche, non esiste un legame fra l'aumento degli immigrati regolari e l'aumento dei reati in Italia: tra il 2001 e il 2005, ad esempio, mentre gli stranieri sono aumentati di oltre il 100%, le denunce nei loro confronti sono cresciute del 45,9%.
Al di là delle polemiche politiche, sono comunque nettamente superiori gli aspetti positivi dell'immigrazione. In Italia gli immigrati regolari, secondo i più recenti rapporti di Caritas Migrantes e Ismu, sono oltre quattro milioni e mezzo, il 7,2% della popolazione, una percentuale che supera per la prima volta la media europea (6,2%). Dal 1998 al 2008, la crescita è stata del 246% e se il trend resterà invariato, come prevede l'Istat, nel 2050 gli italiani di origine straniera saranno oltre 12 milioni.
I lavoratori stranieri sono circa due milioni e producono il 10% del Pil nazionale. I vantaggi dello Stato sono visibili da altri numeri: gli immigrati versano ogni all'Inps sette miliardi di euro e pagano al Fisco una cifra che supera i 3,2 miliardi di euro. Inoltre, ogni cento neonati in Italia, ormai più del 12% ha un almeno un genitore straniero.
Berlusconi e Finocchiaro, Scontro sugli immigrati criminali
di Greta Privitera
Si accende la polemica dopo le frase del premier Silvio Berlusconi: «Meno stranieri, meno criminalità», e la prima a rispondere in rima è stata Anna Finocchiaro, Presidente dei senatori Pd, che fulmineamente ha risposto: « Altro che immigrati. Diciamo: meno premier, meno crimini». Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, si dice esterrefatto dalla battutaccia della Finocchiaro e sottolinea che: «A parti inverse si sarebbe scatenata una tempesta ma alla sinistra, si sa, tutto deve essere concesso». La Presidente dei senatori Pd, che si è sempre distinta per determinazione e audacia, si è scusata della battuta fatta ai danni del Presidente del Consiglio ma ci ha tenuto a precisare: «Certamente la battuta nei confronti del presidente del Consiglio è stata infelice e di questo mi scuso. Ma paragonare gli immigrati ai criminali è un fatto gravissimo e ho trovato questa equiparazione davvero odiosa».
Noi pensiamo che: tra gli immigrati criminali e il premier incriminato, voi, con chi state?
Il commento Il tic degli antimmigrat: Criminalisare tutti
Non che questo li giustifichi, ma le sgangherate dichiarazioni di Silvio Berlusconi, del Leghista Maroni e delle altre a seguire sono di natura meccanica. Il cervello non c’entra. C’entra invece un corto circuito intellettuale che rinscimunisce e che scatta ogni qual volta l'opposizione o la Caritas parla o fa.
«La riduzione degli extracomunitari "clandestini" significa meno forze che ingrossano la criminalità», queste le parole del premier a Reggio Calabria. Chiaro come il sole: extracomunitari "clandestini" vengono criminalisati, spogliati della loro dignità di Persone. Ma Berlusconi e Maroni (e gli altri a seguire), vittime di quel clic, di quel corto circuito, hanno lavorato di bianchetto, fatto sparire «La parola Persone, dignità» e, agitando il solo «extracomunitari Clandestini», si sono esibiti nel solito, trito e macchiettistico attacco al più debbole e a chi tenta di difendere la dignità di essere umani di questi immigrati senza documenti.
«Trovo volgare - dice Turco - l’equazione fatta da Berlusconi su immigrazione e criminalità», così denunciando forti carenze del governo in materia di diritti non essendoci una qualche differenza fra immigrazione e immigrazione "clandestina". Ma da un Berlusconi sotto stress dell'aggressione, ora l'elezioni regionali non ci si poteva aspettare altro. In quanto a Maroni, bisogna aver pazienza: non solo è soggetto ai clic intellettuali, ma deve mantenere alto il bercio leghista-manettaro, sennò il Bossi lo caccia. E dunque ha sparato là, senza troppo affaticare il cervello, che immigrazione "Clandestina" messa sul lo stesso piano dei mafiosi. Peccato che Berlusconi non avesse parlato di lotta contri chi sfrutta immigrazione irregolare, contro i nuovi schiavisti nelle aziende agricole, edilizia ...Sarebbe stato molto più dignitoso per un governo in materia di immigrazione e diritti che fa acqua da tutte le parti.
A farla fuori dal vaso è stato anche - ma questa non è una novità - il Giornale attacando la Caritas-Migrantes, che a commento delle dichiarazioni di Berlusconi ha voluto precisare che «la criminalità degli immigrati regolari in Italia è solo leggermente più alta di quella degli italiani». A parte quell'ipocrituccio «solo leggermente», come lo definisce il Giornale c’entra, perché gli immigrati vengono dipinti come Il problema di questo paese, quando il problema reale di questo paese sono il mal governo, coruzzione, mafia e tanto sciacalagio politico. Berlusconi, ha parlato di clan-de-sti-ni, senza far cenno ai regolari dimenticando però essere senza un documento regolare non vuol dire senza dignità o diritti riconosciuti universsalmente. Criminalisare tutti gli immigrati sprovisti di documento vuol dire fare un grosso regalo alla criminalità organizata, lo stato che spinge ai marigini della società migliaia di esseri umani, aumentando la possibilità che questi si rivolgano alla criminalità per sopravivere, è uno stato che non ha capito come governare il fenomeno migranti.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, dice il proverbio. Però c'è qualcosa ancor peggiore: i Berlusconi, i Maroni, la lega e tanti politici e giornali che sentendoci benissimo giocano poi sporco, tutto per ottenere qualche voto di qualche spavento dalle cronache che gli organi di stampa di questo paese bombardano i citadini.
Mosè
giovedì 28 gennaio 2010
Minori Migranti: Save the Children, stop ai rinvii verso la Libia. 1005 quelli effettuati nel corso del 2009, anche di bambini.
La protezione, l'accoglienza e lo sviluppo dei minori stranieri che giungono in Italia è stato l'argomento al centro dell'audizione di Save the Children da parte del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, svoltasi oggi a Roma.
L'organizzazione internazionale, chiamata a intervenire nell'ambito di un'indagine conoscitiva sulle nuove politiche in materia di immigrazione condotta dal Comitato, ha illustrato la propria posizione in merito ai rinvii in Libia di migranti rintracciati in acque internazionali e sul sistema dell'accoglienza dei minori stranieri in Italia.
Tra il 5 maggio e il 7 settembre 2009 sono stati 1.005 i migranti ricondotti in Libia nell'ambito di 8 operazioni effettuate dall'Italia (in particolare, 883 persone attraverso l'attività congiunta libico-italiana e 172 prese e riportate in Libia dalle autorità libiche)(nota1) .
Un numero non quantificabile di migranti respinti è costituito da bambini, come attestato anche da fonti Onu(nota2), e sulla base del monitoraggio dei flussi migratori arrivati via mare attraverso la frontiera Sud nei mesi e anni scorsi, nell'ambito dei quali la presenza di minori è costante.
Save the Children ha rinnovato al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen la richiesta che l'Italia non ripeta più azioni di rinvio verso la Libia dei migranti rintracciati in acque internazionali e che venga istituito - all'interno dell'accordo Italia-Libia - un sistema di monitoraggio indipendente sulla conformità delle condizioni e delle procedure di accoglienza dei migranti e in particolare dei minori.
Save the Children sottolinea come tali operazioni di rinvii si svolgano - come dichiarato dallo stesso Governo (nota3) - senza procedere ad alcun tipo di valutazione sullo status delle persone che si trovano a bordo delle imbarcazioni, con la conseguente possibilità, confermata dai fatti, che vengano rinviati in Libia anche bambini e adolescenti.
Secondo l'organizzazione internazionale i rinvii costituiscono una grave violazione dei diritti umani fondamentali dei migranti, e dei minori in particolare, e contravvengano quanto previsto dalla normativa nazionale, comunitaria ed internazionale in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, divieto di refoulement, tutela delle categorie vulnerabili e obbligo di identificazione. Inoltre la Libia è un Paese che non garantisce in alcun modo la protezione dei migranti sul suo territorio, anche in considerazione del fatto che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra.
In particolare, a proposito delle condizioni in cui vengono trattati i minori migranti transitanti in Libia, Save the Children esprime una forte preoccupazione per le informazioni acquisite dagli operatori della Ong in Sicilia durante colloqui informali di gruppo con i minori.
Le condizioni dei migranti in Libia
Secondo tali informazioni è ancora molto alto il flusso di migranti che entrano in Libia, sperando poi di partire alla volta o dell'Italia o di altri paesi. La gran parte di queste persone giunge con trafficanti che le tengono ammassate in edifici dispersi per le campagne libiche, in attesa di organizzare un viaggio che si fa sempre meno sicuro e più difficile. La permanenza può durare mesi e mesi, in condizioni di sovraffollamento e alla mercé dei trafficanti dai quali si dipende in tutto. Talvolta queste persone possono essere scoperte e arrestate dalla polizia libica e finire quindi o in prigione o espulsi dal paese, rischiando di morire nella traversata del deserto.
La dura testimonianza di D., eritreo, 16 anni
D., ragazzo eritreo di 16 anni, racconta di essere arrivato più di un anno fa in Libia con la zia. E' rimasto per più di sei mesi chiuso in una case isolata, nelle campagne libiche, sotto il controllo di trafficanti, allontanandosene poco o niente, ma riuscendo ad ottenere in una di queste saltuarie uscite una certificazione dell'ACNUR locale che lo dichiarava rifugiato. Tale certificazione non gli è servita quando è stato fermato dalla polizia libica, che gli ha strappato il tesserino e lo ha condotto nella prigione di Mistratah dove per un mese è stato chiuso in uno stanzone insieme a moltissime altre persone, sia maggiorenni che minorenni, dove le percosse erano all'ordine del giorno e riceveva un pezzo di pane e un formaggino al mattino e della verdura bollita la sera. Poiché sono poche ormai le persone che possono permettersi di corrompere i poliziotti per uscire, D. racconta di persone detenute in quel carcere da due-tre anni, senza più speranze e tanto provate da non avere più la volontà di uscirne. Dopo un mese di detenzione il ragazzo è riuscito a scappare, approfittando assieme a molti altri di un cancello momentaneamente lasciato aperto. Tra i molti che con lui hanno tentato l'azzardo e sono stati ricatturati, D. non c'era. Senza potersi chiedere cosa fosse stato nel frattempo della zia, ha trovato un barcone che partiva dopo pochissimi giorni, uno di quelli riusciti ad abbandonare le coste libiche e ad approdare su quelle italiane. E' arrivato a Novembre a Pozzallo dove è stato preso in carico da Save the Children, adesso è ospite in una comunità SPRAR (per richiedenti asilo) della Sicilia.
Note
1) Fonte: Audizione dell'Ambasciatore d'Italia a Tripoli, Francesco Paolo Trupiano, davanti al Comitato Schengen del 13 ottobre 2009. Fonti di stampa non solo confermano tale dato ma, sulla base di una ricerca effettuata su ogni invio, calcolano in 1.329 gli emigranti e rifugiati respinti fra maggio e settembre. Fonte: Redattore Sociale, 16 settembre 2009.
2) UNHCR su rinvio verso la Libia dell'1 luglio 2009 di 81 migranti di cui almeno 6 minori.
3) Fonte: Audizione del Comitato Schengen del Sottosegretario al Ministero dell'Interno Alfredo Mantovano, del 22 settembre 2009.
Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Save the Children Italia
Tel: 06.48070023-71
press@savethechildren.it
Immigrati in Lombardia, quasi triplicati negli ultimi nove anni
Romeni, marocchini e albanesi i più numerosi. La Regione al primo posto per studenti stranieri
IX rapporto stilato dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità (Orim),
MILANO - La Lombardia registra una progressiva crescita dell’immigrazione straniera sul proprio territorio che, al 1 luglio 2009 raggiunge la quota di 1.170mila presenze, tra immigrati regolari e non provenienti da Paesi a forte pressione migratoria: 110mila in più rispetto allo stesso periodo del 2008 con un incremento del 10,4%. È il dato saliente che emerge dal IX rapporto stilato dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità (Orim), presentato questa mattina a Milano. Nell’arco degli ultimi nove anni il numero di presenze degli stranieri è quasi triplicato, dato che, secondo l’allora primo rapporto Orim, nel 2001 si contavano quasi 420mila immigrati.
Secondo il rapporto, la Lombardia raccoglie un quarto dell’immigrazione in Italia e le prime tre nazionalità più presenti sono quella romena (169mila unità, +3% sul 2008), quella marocchina (oltre 127mila, +10,6% rispetto al 2008) e quella albanese (quasi 116mila, con un +10,2%). Sempre secondo il rapporto, anche per l’anno scolastico 2008-2009, la Lombardia si conferma al primo posto nel nostro Paese per la presenza di studenti stranieri nelle scuole di ogni ordine e grado, con 151.937 iscritti alle scuole statali e non, che rappresentano circa un quarto di tutti gli alunni con cittadinanza non italiana presenti in Italia.
Al 1 luglio 2009 gli immigrati in provincia di Milano sono 418mila (+ 8,7% rispetto al 2008), di cui 236,9mila solo a Milano città, che rispetto al 2008 ha registrato una crescita del 9,7%. Nel corso dell’ultimo decennio la provincia di Milano ha perso il ruolo di principale polo di attrazione: se nel 2001 deteneva il 52% del totale dei presenti in regione, nel 2009 è scesa al 42%, quota che si riduce ulteriormente al 36% se si tiene conto del distacco della nuova provincia di Monza-Brianza. Dopo Milano le province con più immigrati sono Brescia (184,9mila, 10,6% in più rispetto al 2008), Bergamo (134,3mila, 16,9% in più) e Varese (72,9mila, 11,9% in più). Seguono le province di Monza-Brianza (68,5mila, 6,9% in più), Pavia (61,3mila, 4,6% in più), Cremona (48,2mila, 9,5% in più), Como (48mila, 10,2% in più), Lecco (30,5mila, 4,1% in più), Lodi (29,4mila, 17,5% in più), Sondrio (9,3mila, 10,7% in più).
Gli immigrati senza un valido titolo di soggiorno sono 153,4 mila, 5mila in più rispetto al 2008, anno in cui la crescita rivelata era stata di 18mila unità rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda la religione prevalgono i musulmani (l’Islam è professato dal 40% degli immigrati) che sono circa 420mila, seguiti dai cattolici (circa 300mila) e dagli altri cristiani (290mila, di cui l’80% ortodossi). Il rapporto si sofferma anche sul tema lavoro. La quota di immigrati che in Lombardia dichiara di avere un impiego, senza considerare la regolarità del contratto di lavoro, è passata dal 71,4% nel 2001 al 71,5% nel 2009.
La disoccupazione, sempre in calo fino al 2007, ha fatto registrare un’inversione di tendenza: aumentata di un punto percentuale nel 2008, è salita di 5,3 punti nel 2009 collocandosi a quota 11,3% (13,2% calcolando solo la popolazione attiva), ovvero su valori simili a quelli d’inizio decennio quando oscillava tra il 12-13%. In Lombardia, come nel resto d’Italia, l’andamento della criminalità negli ultimi dieci anni si mostra tendenzialmente stabile. Confrontando gli anni 1996 e 2007 delle statistiche della delittuosità, la variazione percentuale del totale dei delitti denunciati è pari al 4,5%, pur con delle differenze nei diversi territori. Nello stesso arco temporale si rivela che aumentano i reati a sfondo sessuale e diminuiscono quelli connessi alla droga. (fonte: Apcom)
Immigrazione: lavoro nero, autodenuncia
Nessuna sanzione se il datore di lavoro sana
(ANSA) - ROMA, 27 GEN - I lavoratori clandestini otterranno un permesso di soggiorno temporaneo in cambio dell'autodenuncia della propria condizione. E il datore di lavoro che sceglie di denunciare l'impiego di lavoratori clandestini e ne assicura la regolarizzazione e il pagamento delle retribuzioni e dei contributi arretrati non incorrera' in sanzioni. Sono le novita' previste da una delega al governo che recepisce la Legge comunitaria 2009 da oggi all'esame dell'aula del Senato.
L’Aida sbarca ad Alassio
Domani al PalaRavizza nella vicina Alassio alle ore 21 va in scena la versione dell’Aida della produzione del teatro dell’opera di Milano, con la regia di Mario Riccardo Migliara, insieme con l’orchestra filarmonica di Milano, e la corale lirica ambrosiana.Per gli amanti del genere ecco la trama dell’Aida:
Aida, principessa etiope,viene catturata e condotta in schiavitù in Egitto.Radamès un comandante militare,è combattuto nella scelta tra l’amore per aida e la fedeltà al faraone. Radamès è amato da Amneris, figlia del Faraone, ma non ricambia il sentimento della principessa.Il re degli etiopi,( Amonasro,padre di Aida) si fa catturare per trovare un modo per vincere la guerra,aprroffitando del fatto che nessuno conosce la sua vera identità. Radamès dice ad Aida che la guerrà finirà con un ultimo attacco.Amonasro lo sente, e fa fallire l’attacco,e la guerra è vinta dagli etiopi.Radamès si fa punire dal padre e dal faraone e viene seppellito vivo.Aida innamorata di lui si fa seppellire accanto.
La rassegna teatrale alassina proseguirà il 25 febbraio con lo spettacolo “Girgenti amore mio”
con Gianfranco Iannuzzo.Il 10 marzo va in scena “Donna Flor e i suoi due mariti”.
Chiuderà la rassegna il “Barbiere di Siviglia” di Rossini il 18 marzo.
Per chi è interessato alle manifestazioni ricordo che il palazzetto ha una capienza limitata per motivi di sicurezza per il cantiere del campo sportivo a fianco. Buon divertimento
Kenia – Etiopia: la guerra della diga sull’Oromo, del pesce e del lago Turkana
LIVORNO. Alla remota frontiera tra Kenya ed Etiopia è scoppiata un'altra di quelle guerre "dell'acqua e del fuoco" che credevamo dimenticati e i cui brutali echi tribali ci arrivano in ritardo, come se fossero attutiti da una lontananza che non ci riguarda. Eppure quel che è successo in un villaggio kenyano ci parla della sorda lotta per la sopravvivenza di frammenti di umanità, di un puzzle di popoli, usanze, religioni che preme ed esplode lungo le retrovie lontane del nostro benessere, che scarica in scaramucce sanguinose ed odi ancestrali le tensioni provocate da un'ingiustizia globale che a quelle latitudini diventa predazione. E' successo nel Sud-Sudan, è accaduto qualche giorno fa con il progrom genocida di musulmani organizzato dai cristiani nello Stato nigeriano del Plateau. Dietro l'odio etnico e religioso ci sono però sempre ben più concrete dispute per la terra e per beni ambientali, resi sempre meno disponibili dai cambiamenti climatici, per l'energia o per risorse minerarie sempre più preziose per dalla richiesta del nuovo colonialismo multinazionale e transnazionale.
Gli stessi interminabili conflitti della Repubblica democratica del Congo e dei Grandi Laghi e della Somalia (ma anche gli altri in giro per il mondo) hanno questa ragione, ben nascosta dietro simili paraventi che ci mostrano solo la rabbia fondamentalista o la ferocia tribale, per non parlare della follia della Lord Resistance Army che semina il terrore nel cuore di tenebra dell'Africa, al confine tra Uganda, Rdc e Sudan, diventata forse la zona più pericolosa del mondo tra il disinteresse del mondo.
Di fronte a tutto questo sembra piccola e marginale cosa quanto accaduto nel distretto di Lokituang, dove 6 kenyani sono stati uccisi ed oltre 2.000 abitanti del villaggio di Todonyang sono strati costretti ad abbandonare le loro case in seguito all'attacco della milizia etiopica Merrile che venerdì scorso ha nuovamente varcato la frontiera con il Kenya uccidendo due poliziotti ed un civile. Secondo il commissario del distretto Lokitaung, Jack Obuo, «Gli etiopi hanno rubato i due fucili dei poliziotti abbattuti e rapito tre pescatori locali». Successivamente due dei pescatori sono stati ritrovati morti e orribilmente mutilati: «I loro corpi sono stati ritrovati che galleggiavano nel lago Turkana - ha detto Obuo - e i loro organi, comprese le orecchie, le dita, il naso, erano scomparse. Andrò ad Omorate in Etiopia, in compagnia del team di sicurezza del mio distretto, per presentare una protesta ufficiale in relazione all'attacco ed anche per negoziare il recupero dei fucili».
La tensione alla frontiera è cresciuta, con la partenza di diversi kenyani, in seguito all'aumento dell'insicurezza alimentare provocata dalla lotta per le zone di pesca e dalla rarefazione dei pascoli per il bestiame. In un'area dove gli Stati e le loro strutture sono poco più di un nome, spesso sono le chiese a svolgere un ruolo di protezione sociale. Steven Ochieng, un prete della chiesa cattolica di Todonyang, ha spiegato ai giornalisti che lo hanno contattato che «Gli abitanti del villaggio hanno cercato rifugio tra le mura della chiesa dove sono nutriti e ricevono delle cure. In questi ultimi 10 mesi nella regione sono state uccise oltre 60 persone dalla milizia armata Merrile. Qui abbiamo sotterrato più di 60 persone uccise dagli etiopici e siamo dispiaciuti che il governo non faccia niente per far cessare questi attacchi».
Se le milizie etniche non conoscono confini e Stati, è però vero che i governi sono ben presenti dietro le loro razzie. Come spiegare altrimenti il fatto che gli attacchi dei Merrile siano aumentati in numero e ferocia dopo che in Kenya è aumentata l'opposizione alla costruzione da parte dell'Etiopia della diga Gilgel Gibe III lungo il fiume Oromo (della quale Greenreport ha già parlato) per produrre energia elettrica?.
Quello che è certo è che la tensione alla frontiera etiope-kenyana sta crescendo dopo le proteste dei pescatori kenyani contro la diga che sbarrerebbe l'Oromo, il principale affluente del lago Turkana, che gli fornisce l'80% dell'acqua, che è la loro unica fonte di sostentamento. Circa 300.000 pescatori e pastori dipendono dal lago Turkana, mentre centinaia di migliaia di persone, soprattutto contadini, fanno affidamento sulle inondazioni annuali dell'Omo per poter coltivare lungo la riva del fiume e per il pascolo del bestiame. Le popolazioni del Turkana, insieme ad associazioni ambientaliste, hanno già organizzato quattro manifestazioni per protestare contro la costruzione della diga e per fermare i suoi lavori di costruzione che sono già arrivati ad un terzo della struttura. La diga è considerata da tutti una grave minaccia per il Turkana e per le sue fragili risorse naturali che permettono la sussistenza di molte persone e la vita di una biodiversità ricca quanto in pericolo.
Il governo centrale di Nairobi è sospettato di fare il doppio gioco con gli etiopi. Samia Bwana, che dirige l'associazione ambientalista Friends of Lake Turkana, ha spiegato che «Durante i due anni che ci vorranno per riempire il bacino della diga il lago Turkana si ritirerà, aumentando la sua salinità, danneggiando l'economia locale, degradando la biodiversità ed aumentando il rischio di conflitti transfrontalieri, La costruzione della diga deve essere fermata in attesa di una valutazione da parte del Kenya, che ha detto che vuole importare l'energia prodotta dall'Etiopia, dell'impatto che la diga avrà sulla gente del posto e sull'ambiente. Quello che chiediamo al governo del Kenya è di rivalutare e ripensare quel che si sta facendo, prima che sia troppo tardi».
Secondo Richard Leakey, un noto paleoantropologo ed ambientalista kenyano, «Le condizioni di vita di centinaia di migliaia di kenyani che abitano intorno al lago Turkana, il più grande lago desertico del mondo, saranno degradate. Il progetto della diga etiope non porterà nient'altro che una tragedia e danni al Kenya. Stanno lavorando in un Paese noto per la siccità, noto per la mancanza di precipitazioni, per fornire costosa energia al Kenya. Non c'è futuro per i sistemi idroelettrici in alcune zone aride dell'Africa».
La diga potrebbe essere addirittura inutile, visto che il Kenya ha un piano per la realizzazione di un grande campo eolico lungo le ventose rive del Turkana che produrrà 300 MW. La diga sull'Omo dovrebbe arrivare a 1.870 MW quando (e se) sarà completata nel 2013. Dovrebbe, perché secondo Leakey «Lo studio di fattibilità per la diga etiope è stato fatto così male che la diga non si può riempire anche a causa di crepe la cui esistenza è già nota. Se non si riempierà non lasceranno mai uscire l'acqua e se non lasceranno uscire l'acqua il lago Turkana non calerà solo di qualche metro... sarà spazzato via».
martedì 26 gennaio 2010
Da profughi a novelli sposi Aranshi e Zari hanno detto "sì"
Dal 'Veliero' di Follonica, dove erano profughi, al matrimonio: una storia d'amore
Follonica (Grosseto), 25 gennaio 2010 - Aranshi e Zari sono marito e moglie. I due giovani 'eritrei-follonichesi' si sono uniti in matrimonio ieri mattina nella chiesa di San Leopoldo: una cerimonia celebrata dal parroco don Enzo Greco con rito religioso misto per rispettare le confessioni degli sposi, lei (Aranshi, 19 anni) cristiana cattolica e lui (Zeremariam detto Zari, 24 anni) cristiano ortodosso.
La loro storia d’amore era cominciata in Eritrea poco prima di imbarcarsi sullo scafo che dalle coste africane li avrebbe portati a Lampedusa e da lì al villaggio 'Il Veliero' di Follonica, dove hanno trascorso cinque mesi da novembre 2008 a marzo 2009 in attesa dell’asilo politico, assieme ad altri duecento profughi. Ottenuto il permesso di soggiorno, Aranshi e Zari sono rimasti nel Golfo: Giulia e Luca, una coppia follonichese con due figli, li hanno 'adottati' ospitandoli nel proprio appartamento e Zari ha trovato un lavoro alla cooperativa sociale 'Il Nodo'. Un vero posto fisso, con contratto a tempo indeterminato.
E nel luglio scorso è nata la loro bambina, che hanno voluto chiamare proprio Giulia. Ora che la famiglia si è allargata, è arrivato anche il matrimonio. La sposa indossava un vestito bianco con velo lungo, un abito semplice ma con una particolarità: era il vestito che Giulia ha indossato alle sue nozze. I due eritrei hanno voluto Giulia e Luca anche come testimoni all’altare, assieme a due connazionali. A terra, petali di fiori. Tra il centinaio di invitati alla cerimonia non potevano mancare alcuni stranieri che hanno condiviso con i neosposi l’avventura del 'Veliero': hanno raggiunto Follonica già sabato, accolti dai volontari che hanno contribuito a organizzare il matrimonio, una catena di solidarietà tra i colleghi di Zari e la Caritas. Dopo il "sì" tutti a Massa Marittima per il pranzo nuziale a base di piatti tradizionali eritrei cucinati dagli stessi sposi con l’aiuto degli amici e qualche specialità maremmana per integrare il menu. E il matrimonio di Aranshi e Zari non si è celebrato solo a Follonica: in Eritrea hanno festeggiato anche i villaggi dei due sposi, dove vivono le famiglie.
di Gianluca Domenichelli
Anche ai rifugiati e titolari di protezione sussidiaria l’assegno per le famiglie con almeno tre figli minori.
Il chiarimento dell’INPS con la circolare n. 9 del 22 gennaio 2010 che rende giustizia alle aspettative dei rifugiati con oltre due anni di ritardo.
L’assegno per i nuclei familiari numerosi è una prestazione monetaria - concessa dal Comune con fondi INPS - che può essere richiesta dal genitore cittadino italiano o comunitario, residente nel territorio dello Stato, che abbia nella propria famiglia anagrafica tre bambini, minori di anni 18, che siano figli propri o del coniuge o da essi ricevuti in affidamento preadottivo, e sia titolare di un reddito non eccedente la soglia stabilita dalla legge.
Con la circolare n. 9 del 22 gennaio 2010 l’INPS ha chiarito che l’assegno può essere concesso anche ai cittadini stranieri titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria in quanto l’art. 27 del Decreto legislativo n. 251/07 di attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, prevede per i titolari di tali status il medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria.
Sono dovuti trascorrere circa tre anni dall’entrata in vigore di questo decreto legislativo perché l’INPS revocasse la precedente circolare n. 62/04 con la quale si stabiliva che non era possibile corrispondere l’assegno ai cittadini stranieri rifugiati politici, poiché “questa prestazione non rientra nelle “assicurazioni sociali” per le quali, ai sensi dell’art. 24 lett. b) della Convenzione sullo status di rifugiati, gli Stati contraenti devono concedere ai rifugiati politici il medesimo trattamento attribuito ai propri cittadini”.
D’ora in avanti i Comuni possono riconoscere l’assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minori ai cittadini stranieri titolari dello status di rifugiati politici e di protezione sussidiaria.
Tutte le informazioni sull’assegno nel sito dell’INPS.
(R.M.)
lunedì 25 gennaio 2010
Beirut, cade Boeing etiope esclusa l'ipotesi attentato
Non è stato un attentato terroristico a causare la caduta in mare questa notte a largo delle coste di Beirut del Boeing 737-800 delle linee aeree etiopi con a bordo 90 tra membri dell'equipaggio e passeggeri, tra cui la moglie dell'ambasciatore francese in Libano. Lo ha affermato il presidente libanese Michel Suleiman.
Parlando in una conferenza stampa congiunta col ministro dei trasporti Ghazi Aridi, Suleiman ha anche assicurato che le forze armate libanesi stanno lavorando assieme all'Unifil, la missione Onu schierata nel sud del Libano, per cercare di portare in salvo eventuali superstiti. Fino ad ora, secondo quanto riferito dai media locali, sono stati recuperati cinque corpi senza vita. Degli 83 passeggeri nella lista, 54 sono libanesi, 22 etiopici, un iracheno e un siriano, oltre ad altri cinque libanesi con passaporti rispettivamente canadese, russo, francese e britannico. In Libano è stato poco fa decretato lutto nazionale. L'aereo, diretto ad Addis Abeba, è precipitato poco dopo il decollo dall'aeroporto di Beirut intorno alle 2:30 locali (l'1:30 in Italia), e il luogo del disastro è stato identificato a circa 3 km e mezzo dalla costa libanese, di fronte alla località di Naame, una decina di km a sud di Beirut. Testimoni oculari citati dalla tv locale Lbc hanno affermato di aver visto "una palla di fuoco" cadere in mare. "Non si può ancora dire con certezza quale sia stata la causa del disastro", ha affermato il ministro Aridi, che non ha però escluso che "le pessime condizioni meteorologiche" possano aver contribuito, se non determinato, l'incidente.
Lunedì 25 gennaio 2010 08.48
Immigrazione, Ratzinger: «Serve soluzione pacifica»
Appello Benedetto XVI prega per l'accoglienza degli stranieri e ricorda al mondo che anche Gesù è stato un rifugiato
Andrea Gagliarducci «Soluzioni giuste e pacifiche ai problemi dell'immigrazione». L'appello di Benedetto XVI è in un passaggio del discorso dell'Angelus di ieri. L'occasione è il saluto alle famiglie del Movimento dell'Amore Familiare «e a quanti questa notte hanno vegliato nella chiesa di san Gregorio VII pregando per soluzioni giuste e pacifiche ai problemi dell'immigrazione». È un auspicio che il Papa fa suo. Benedetto XVI non ha mai fatto mancare la sua voce sui temi dell'immigrazione. L'approccio della Chiesa è quello di combinare l'accoglienza con la legalità, ma senza che la seconda prevalga sulla prima. Una linea sempre seguita dalla Santa Sede, in un incessante lavoro di comprensione e cura del fenomeno migratorio. L'impegno della Chiesa sul campo è notevole: basti pensare alla Caritas e alla Fondazione Migrantes, che insieme firmano il più completo dossier statistico sull'immigrazione in Italia ogni anno. È praticamente scontato che il tema dell'immigrazione sarà toccato anche nel Consiglio Permanente della Cei, che inizia oggi e termina il 27 gennaio. Ieri Benedetto XVI si è limitato ad un accenno sul problema, in un discorso più che altro dedicato ai temi dell'unità dei cristiani. Ma è un accenno significativo. D'altronde, monsignor Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, nei giorni scorsi aveva invitato a «incrociare» il problema dell'immigrazione con quello dell'ecumenismo. Un invito suffragato dai numeri: degli oltre 4 milioni di immigrati, 2.011.000 sono cristiani, di cui 1.105.000 (28,4 per cento) ortodossi, soprattutto provenienti dalla Romania, 739.000 cattolici (19 per cento), 121.000 protestanti (3,1 per cento) e 46.000 (1,2 per cento) altri cristiani. L'attenzione sul tema non è mai venuta meno. Pochi hanno notato - complice la concomitanza della visita del Papa in Sinagoga - delle parole di Benedetto XVI lo scorso 17 gennaio, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante, dedicata ai minori rifugiati. «Anche Gesù è stato un rifugiato», aveva ricordato il Papa, riferendosi alla fuga in Egitto dopo le minacce di Erode contro tutti i neonati della Giudea. E aveva sostenuto che «occorre porre ogni cura perché i minori che si trovano a vivere in un Paese straniero siano garantiti sul piano legislativo e soprattutto accompagnati negli innumerevoli problemi che devono affrontare. Mentre incoraggio vivamente le comunità cristiane e gli organismi che si impegnano a servizio dei minori migranti e rifugiati, esorto tutti a tenere viva la sensibilità educativa e culturale nei loro confronti, secondo l'autentico spirito evangelico». Benedetto XVI non ha mancato di far sentire la sua voce anche durante i fatti di Rosarno. E sono state parole fortissime: «I recenti gravi incidenti - ha detto il Papa - ci hanno offerto l'immagine tragica di una "guerra tra poveri", tra immigrati sfruttati e popolazioni italiane indigenti. Una guerra provocata da una criminalità organizzata che dopo aver sfruttato per anni i clandestini cerca ora di liberarsene come oggetti ingombranti».
domenica 24 gennaio 2010
I destini sospesi Rifugiati a Venezia
LIBRI.Un libro raccoglie gli scritti e le storie dei profughi provenienti dai Paesi in guerra che continuano ad essere respinti dai nostri porti. Il ricavato della vendita andrà alla rete "Tuttiidirittiumanipertutti".
«Non so ancora quale sogno mi riserverà il destino ma promettimi, o dio, che non lascerai che finisca la primavera». Così Zaher Rezai scriveva nel suo taccuino, al buio, nascosto dentro una cella frigorifera nel grande ventre di quella nave che da Patrasso lo portava a Venezia. «Giardiniere apri la porta del tuo giardino. Io non sono un ladro di fiori. Io stesso mi sono fatto rosa, non vado in cerca di un fiore qualsiasi». Lontano dalla guerra in Afghanistan e da quelli che i generali chiamano i suoi effetti collaterali. Lontano dalla fame, dalla miseria con solo quindici anni di vita alle spalle. «Questo mio corpo così assetato forse non arriverà all’acqua del mare». Era solo un ragazzino, Zaher Rezai, quando è finito stritolato sotto le ruote di un camion, nella banchina del porto. Cercava di eludere i controlli della polizia doganale. Quella polizia che, lui lo sapeva bene, lo avrebbe rimandato a Patrasso invece di aiutarlo e di dargli quell’assistenza umanitaria cui lui aveva due volte diritto: come profugo e come minorenne. «E se un giorno in esilio la morte deciderà di prendersi il mio corpo, chi si occuperà della mia sepoltura? Chi cucirà il mio rosario?».
Le poesie di Zaher oggi sono diventate un libro: “Il porto dei destini sospesi” che raccoglie anche tutto il seminato della rete veneziana Tuttiidirittiumanipertutti cui va il merito di aver sollevato davanti ad una opinione pubblica che non vedeva o non voleva vedere, il caso dei profughi provenienti dai paesi in guerra. Profughi che rientrano a pieno titolo nella definizione di Rifugiato sancita dalla convenzione di Ginevra ma che continuano ad essere respinti - illegalmente respinti – dai porti di Venezia e di Ancona. Sono tanti come Zaher. Tanti che come lui ci hanno lasciato la pelle, oltre che la dignità, in un viaggio infernale che dura in media due o tre anni. Afghanistan, Pakistan, Turchia, Grecia e poi, nascosti nelle stive di qualche grande nave da carico, Venezia e l’Europa. Un lungo rosario di violenze, privazione e sopraffazioni.
Due anni per poi venire rispediti da qualche solerte doganiere a Patrasso, in un campo profughi che pare un lager nazista, e da là ancora indietro, sino a riconsegnarti alle autorità del tuo paese natale che non ti perdoneranno di essere scappato. Indietro verso un futuro di galera, tortura, morte. Uno scrittore di cui, mi perdonerete, ho dimenticato il nome, ha osservato che al giorno d’oggi non ci sono più viaggiatori ma solo turisti. Si sbagliava. Eccoli qua i veri viaggiatori del mondo globalizzato. Il libro realizzato a più mani dagli attivisti della rete contiene, oltre alle poesie trovate nel taccuino, un fumetto di Claudio Calia, che ha raccontato con il suo stile secco ed essenziale, la storia di Zaher. La prefazione è di Gianfranco Bettin. L’introduzione dell’assessora verde alla Pace del Comune, Luana Zanella, già vicecapogruppo dei Verdi alla Camera nel corso dell’ultima legislatura con il centrosinistra al governo, che è riuscita nella non facile impresa di finanziare la stampa del volume.
L’intero ricavato infatti, andrà a coprire le iniziative della rete, tra le quali, non dimentichiamolo, il ricorso al tribunale europeo, dichiarato “ammissibile” dalla corte, e che vedrà l’Italia e la Grecia nel banco degli imputati per violazione dei diritti umani. “Il porto dei destini sospesi” raccoglie anche le corrispondenze da Patrasso scritte da Alessandra Sciurba per Melting Pot quando, assieme ad altri attivisti per i diritti umani, ha raggiunto la città greca per documentare con foto, filmati ed interviste le condizioni vergognose in cui sono trattenuti i profughi in attesa del rimpatrio forzato. Il libro, la cui copertina è stata realizzata dall’artista veneziano Luigi Gardenal, è stato scritto con il preciso intento di descrivere la situazione di illegalità diventata legge grazie alle omertà, alle deresponsabilizzazioni, all’arbitrarietà e al menefreghismo che imperano in quella sorta di limbo giuridico che è diventato la frontiera portuale italiana. è un libro che scandalizza, questo.
Un libro che ci fa provare la vergogna di vivere tranquilli da “questa” parte della frontiera. Che ci mette davanti agli occhi, con chiarezza, mucchi di brutte cose che non vorremmo vedere. Cose che non dovrebbero esistere perché non hanno neppure una giustificazione utilitarista e il male fatto senza scopo è ancora più cattivo. Il porto dei destini sospesi sarà presentato questa mattina alle ore 11 nella cornice di tutto rispetto dell’Ateneo Veneto, a due passi dal teatro La Fenice di Venezia. Oltre ai già citati Luana Zanella, Gianfranco Bettin e Luigi Gardenal, sarà presente, come ospite d’onore, lo scrittore Moni Ovadia. Ci saranno che gli attivisti della rete che, tra tante difficoltà, hanno voluto realizzare questo volume per dar voce a chi voce non ha e raccontare la storia di Zaher e degli altri profughi afghani. Raccontare la storia di queste dolorose e profonde ingiustizie perché altri non abbiano a patirle ancora. Sono loro, quelli che si sono occupati della sepoltura di Zaher. Sono loro che hanno cucito il suo rosario.
sabato 23 gennaio 2010
“Fiori e Diritti”: incontri ad Albenga e Savona
Savona. Sono quattro gli appuntamenti liguri, dal 25 al 28 gennaio, per Desie Muhret Mesfin, coltivatrice di fiori in una grande piantagione in Etiopia. Il suo racconto, testimonianza simbolica delle problematiche vissute da 70 mila braccianti etiopi, è a supporto della campagna “Fiori e Diritti” promossa in Liguria e in Italia per lo sviluppo di una floricoltura più attenta alle persone e all’ambiente. Gli incontri verranno introdotti da Cristiano Calvi, presidente della Bottega Solidale Onlus – movimento Fiori e Diritti e autore del libro Rose e lavoro (edizioni Terre di Mezzo).
Mercoledì 27 gennaio farà tappa ad Albenga, alle ore 17,15, presso l’Auditorium San Carlo a Palazzo Oddo in via Roma. Giovedì 28 gennaio, alle ore 17, sarà a Savona, nella sala mostre del Palazzo della Provincia in via Sormano. Quest’ultimo incontro sarà introdotto da Cristiano Calvi, presidente del movimento Fiori e Diritti, e vedrà un intervento del presidente della Provincia Angelo Vaccarezza. Al termine dell’incontro seguirà un aperitivo equo solidale.
Il movimento “Fiori e Diritti”, grazie a un progetto sostenuto dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Genova e dalla Provincia di Savona, sta sensibilizzando i cittadini sul tema perché cresca la consapevolezza nei propri acquisti e si sviluppino filiere certificate dal punto di vista sociale e ambientale anche in ambito floricolo che valorizzino le imprese che producono in modo corretto nel sud del mondo e nei nostri territori. Per questo in Liguria è stata avviata la prima certificazione sociale e ambientale italiana per fiori e piante, con il nome di “Fiore Giusto”: un’associazione che riunisce il movimento “Fiori e Diritti”, i sindacati Cgil-Cisl-Uil, il Distretto Floricolo del Ponente, il mercato dei fiori di San Remo, l’associazione nazionale degli esportatori Ancef. I primi fiori certificati sono attesi per la prossima primavera.
Il movimento “Fiori e Diritti” e la campagna sono stati avviati dalla associazione La Bottega Solidale Onlus di Genova, in collaborazione con le organizzazioni Bottega della Solidarietà di Savona, Kikoa di Albenga, Terre Solidali di Sanremo.
Ad Aperitivo in concerto Ethio Jazz
Either/Orchestra e Mulatu Astatke
"Aperitivo in Concerto" apre il nuovo anno con un grande evento. Domenica 24 gennaio 2010, alle ore 11, sul palco del Teatro Manzoni di Milano ci saranno due nomi eccezionali: Either/Orchestra, una delle big band più acclamate sulla scena internazionale, e il celeberrimo vibrafonista Mulatu Astatke, considerato il padre dell'Ethio-jazz. Per entrambi si tratterà della prima e unica data italiana.
Fondata nel 1985 dal sassofonista Russ Gershon, la Either/Orchestra da tempo realizza progetti in cui le forme contemporanee si sposano ai molteplici linguaggi della tradizione africana-americana. L'orchestra, che vanta solisti d'eccezione come lo stesso Gershon e il baritonista Charlie Kohlhase, ha allacciato un rapporto particolare e originalissimo con alcuni grandi artisti etiopi, testimoniato anche discograficamente dalla nota serie Ethiopiques, dedicata al fiorire rigoglioso del jazz e di un nuovo tipo di linguaggio musicale popolare, basato sulla commistione fra tradizione etiope e canzone pop americana, sviluppatosi in Etiopia a partire dagli anni Sessanta con risultati di straordinaria rilevanza, rimasti a lungo sconosciuti in Occidente.
Nel 2004, prima orchestra americana a presentarsi in Etiopia dopo l'esibizione della Duke Ellington Orchestra nel 1973, la Either/Orchestra ha partecipato all'Ethiopian Music Festival di Addis Abeba, collaborando con alcuni celebri artisti locali, fra cui Mulatu Astatke (alcuni ricorderanno la sua straordinaria partecipazione alla colonna sonora del film Broken Flowers di Jim Jarmusch), vibrafonista e tastierista di vaglia, collaboratore di Duke Ellington, fondatore del cosiddetto Ethio-jazz, in cui si fondono retaggi etiopi con influenze latinoamericane e improvvisazione jazzistica.
Per la prima volta in Italia in un tale contesto improvvisativo, Mulatu Astatke, con la collaborazione dell'altrettanto celebre cantante Mahmoud Ahmed, presenterà assieme a Either/Orchestra una rilettura affascinante e coinvolgente di un grande momento storico della musica africana e dei suoi rapporti con il jazz. Un viaggio alla riscoperta di affascinanti radici che riguardano tutti noi.
PER INFORMAZIONI
Teatro Manzoni
via Manzoni, 42
Tel. 02.7636901
info@teatromanzoni.it
www.aperitivoinconcerto.com
www.teatromanzoni.it/aperitivo
venerdì 22 gennaio 2010
Maroni lancia la task force anti-immigrati: eliminare il degrado o si rischia la violenza
Dopo Castel Volturno, San Nicola Varco e Rosarno,
il ministro in Prefettura annuncia nuovi interventi
Maroni ha dichiarato di aver fatto «un’analisi accurata e approfondita» della situazione in Campania, e in particolare nelle province di Napoli e Caserta, in cui «esiste un grave degrado sociale - negli ultimi anni persone, non solo immigrati, sono state sfruttate da datori di lavoro senza scrupolo - che può rischiare di portare a esplosioni di violenza come avvenuto a Rosarno». Secondo il ministro leghista il degrado, per quanto riguarda gli immigrati, «deriva da anni di non curanza». «Stavo per dire tolleranza», ha chiosato poi con un sorriso, prima di specificare i termini di quel degrado: «Occupazioni abusive, allacci abusivi che comportano anche emulazione. Violazioni delle norme urbanistiche: è assurdo che ci siano attorno alle case dei mafiosi mura più alte del consentito dagli strumenti urbanistici». E se Reggio Calabria è il modello da cui sarà «ricalcata» la task force annunciata, è anche la città in cui sarà «esportato» - dopo Bari - il «modello Caserta», a cui il ministro ha riservato un passaggio («attivo da più di un anno, ha funzionato bene»).
Immigrazione: presentato il primo rapporto AUR. Stufara: "L'Umbria accogliente non deve abbassare la guardia"
"L'Umbria sempre di più multietnica e accogliente, negli ultimi 20 anni ha realizzato mille621 progetti sulle tematiche dell'immigrazione. Ora, con quasi 90 mila immigrati regolari presenti nel territorio regionale, non dobbiamo fermarci, al contrario, dobbiamo costruire nuovi percorsi di inclusione e integrazione sociale partendo dalla conoscenza del fenomeno anche grazie a importanti studi come quello che presentiamo oggi". Lo ha affermato stamani a Perugia l'assessore regionale alle politiche sociali, in occasione della presentazione del Primo Rapporto sull'Immigrazione in Umbria realizzato dall'Agenzia Umbria Ricerche.
All'incontro, oltre all'assessore Stufara, sono intervenuti il presidente dell'"Aur", Claudio Carnieri, il sindaco di Perugia, Wladimiro Boccali, il direttore dell'Aur, Anna Ascani, la ricercatrice dell'Agenzia, Elisabetta Tondini, Paolo Montesperelli e Paolo Naso, docenti delle Università di Salerno e La Sapienza di Roma. Erano presenti il direttore dell'Ufficio scolastico regionale, Nicola Rossi e il sindaco di Terni, Leopoldo Di Girolamo. La presentazione del Rapporto continua nel pomeriggio con una tavola rotonda coordinata dal giornalista Giuliano Giubilei, alla quale interverranno Flavio Lotti, coordinatore del Tavolo della Pace, Giuseppe Silvestri, direttore della Direzione Immigrazione del Ministero del Lavoro, Alì Adel Jabbar, sociologo dell'Università Ca' Foscari di Venezia, mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas, Stefania Giannini, rettore dell'Università per Stranieri di Perugia, Sumaya Abdel Qader, scrittrice e Anselmo Botta, dirigente CGIL.
Illustrando i tratti salienti dello studio Stufara ha sottolineato che "la presenza di migranti in Umbria si appresta ad oltrepassare la soglia del 10per cento della popolazione, soglia mai raggiunta in alcuna regione italiana e che l'Umbria potrebbe superare per prima. Si stima, inoltre - ha aggiunto - una ulteriore crescita nei prossimi anni per raggiungere, nel 2014, il 15 per cento". Per l'assessore si tratta di "un dato quantitativamente rilevante che si è prodotto in un tempo relativamente breve. Segno, questo, di una stabilizzazione delle migrazioni nella nostra regione che da terra di passaggio diviene una meta per stabilirsi e lavorare".
"Lo studio evidenzia anche un elevato grado di integrazione più sul versante sociale che su quello lavorativo - ha detto l'assessore - e una capacità di andare ben oltre la semplice accoglienza. Emerge infatti, un fitto reticolo di relazioni e collaborazioni in azioni che riguardano i singoli contesti locali fra istituzioni, soggetti e territori, che contribuisce a mantenere elevato il livello di protezione sociale. In pratica - ha detto - in Umbria sono stati sperimentati percorsi e attuate politiche che hanno permesso di costruire le condizioni per far crescere l'inclusione e l'inserimento sociale dei nuovi cittadini. La legge regionale umbra sull'immigrazione risale al 1990, agli inizi di questo processo. In vent'anni di applicazione della ‘18/1990' sono stati realizzati ben 1621 progetti particolarmente radicati e capillari nei territori e nelle comunità locali, con un protagonismo diffuso di associazioni, cooperative, scuole e municipalità".
In proposito grande interesse ha suscitato in molte zone del paese l'esperienza condotta in Umbria di insegnamento della lingua e della cultura civica italiana ai migranti utilizzando il web, le radio e le emittenti televisive locali. "Abbiamo voluto - ha detto Stufara - declinare in forma contemporanea quanto in Italia già accadde negli anni '60, nella fase in cui il servizio pubblico radiotelevisivo svolse un ruolo primario nell'alfabetizzazione del paese attraverso la celebre trasmissione ‘Non è mai troppo tardi' del maestro Manzi".
"Dal Primo rapporto sull'immigrazione - continua l'assessore - emerge anche che interi comparti economici nella nostra regione si reggono ormai prevalentemente sul lavoro delle maestranze migranti come l'edilizia, così presente in Umbria. Questi lavori, insieme all'agricoltura ed alle attività di cura nelle case dei nostri anziani non potrebbero continuare a svilupparsi se private dell'apporto degli immigrati e delle immigrate. Un lavoro che per i migranti, ancor più che per gli autoctoni, è precario e poco qualificato, con dei riflessi critici anche sul versante della sicurezza".
Tra i punti delicati e sui quali è ormai inevitabile avviare profonde riflessioni, Stufara evidenzia "la grande questione delle seconde generazioni, con tutto il carico di difficoltà nella costruzione della propria identità per quei giovani, spesso nati e cresciuti nelle nostre terre, figli di immigrati, e per i quali la legislazione italiana appare arretrata ed inadeguata". Di primaria importanza anche i gravi risvolti che il razzismo e la xenofobia sempre più diffusi stanno provocando. "Le campagne di odio - ha detto - sono di grande pericolosità. Le eccessive e brutali semplificazioni che non tengono conto della complessità delle problematiche legate all'immigrazione forniscono parziali risposte securitarie facendo lievitare la clandestinità e dando vita ad una vera guerra tra poveri. Occorre invece un approccio concreto e pragmatico per evitare ulteriori effetti drammatici della crisi".
Il presidente dell'Aur, Claudio Carnieri, ha spiegato che "il problema fondamentale che esce squadernato da questo rapporto è la necessità di lavorare per costruire consapevolmente le piste cognitive, le culture, le consapevolezze, per fare di questa nuova realtà multietnica, un tratto essenziale della quotidianità, della vita democratica delle nostre città e dell'identità complessiva dell'Umbria contemporanea".
Per Carnieri la lettura del volume non può prescindere dalla conoscenza di alcuni dati essenziali: il totale degli stranieri in Umbria è di 85mila 947, per il 22,9 per cento sono di cittadinanza romena, il 18per cento albanese, il 10,7 per cento marocchina. Nella divisione per provincia 67mila296 sono residenti nella provincia di Perugia, 18mila651 in quella di Terni. Le donne hanno una presenza prevalentemente con 35mila,655 contro 31mila 641 maschi a perugia e 10mila 335 donne contro 8mila316maschi nella provincia di Terni.
"Questa nuova dimensione demografica dell'Umbria - ha precisato il presidente dell'Aur - non costituisce solo uno straordinario cambiamento dei caratteri sociali e culturali della comunità regionale, ma può rappresentare un'enorme opportunità per un arricchimento forte del senso di sé che fa l'identità di un territorio. Quello che è in gioco oggi è una nuova e più ricca trasformazione della qualità sociale e civile della regione che vent'anni fa è stata all'avanguardia nelle politiche di accoglienza. Dipende da ciascuno che questa prova sia vissuta e costruita come obiettivo di tutti".
giovedì 21 gennaio 2010
Immigrati, Maroni: a Castelvolturno rischio ordine pubblico
CASERTA (Reuters) - Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha detto oggi che la situazione a Castelvolturno, la località campana teatro di una rivolta di immigrati nel settembre 2008 dopo l'uccisione di sei africani, può tornare a "esplodere", dopo le violenze di qualche giorno fa a Rosarno, tra extracomunitari, forze dell'ordine e residenti.
Il ministro, dopo una riunione in prefettura a Caserta, ha annunciato la costituzione di una task force per le province di Napoli e Caserta che si occuperà di immigrazione clandestina e lavoro nero.
"Bisogna intervenire in modo coordinato -- e noi lo faremo insieme ai Comuni, alla Provincia e alla Regione -- per risanare un situazione che rischia di esplodere in un problema di ordine pubblico", ha detto oggi Maroni a Napoli, dove partecipava a un convegno su criminalità e piccole e medie imprese.
A Castelvolturno, in provincia di Caserta, si sono trasferiti diversi immigrati provenienti da Rosarno, in Calabria, dopo tre giorni di violenze scoppiate a seguito del ferimento di due giovani lavoratori stranieri.
Nella cittadina campana i numerosi immigrati svolgono lavori agricoli, edili e altre attività. In alcuni casi, dicono gli inquirenti, vengono utilizzati come manodopera da clan camorristici per attività illegali.
Nel settembre 2008 Castelvolturno fu teatro di una vera e propria rivolta dopo l'uccisione di sei stranieri in un agguato camorristico.
"Abbiamo voluto affrontare situazioni di grave degrado che possono portare a esplosioni di violenza come quella di Rosarno", ha detto poi nel pomeriggio Maroni, parlando ai giornalisti dopo la riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica delle due province campane.
"Abbiamo deciso la costituzione presso la Prefettura di Napoli di un gruppo di lavoro, una task force, composta dal ministero del lavoro dell'Interno e i (rispettivi) servizi ispettivi, ma anche dal ministero delle Attività Produttive, oltre ad altri esponenti del mondo produttivo, per valutare quali interventi siano utili per affrontare situazioni di degrado che riguardano l'immigrazione clandestina, il lavoro irregolare, gli abusi edilizi e gli allacciamenti abusivi a servizi".
Il ministro ha parlato di "una situazione delicata che non si può risolvere solo con l'intervento delle forze dell'ordine e che ci suggerisce un approccio più completo con tutti gli attori, anche la Regione". Per Maroni la task force "deve valutare non se, ma come e quando intervenire su queste situazioni che riguardano persone di tutte le nazionalità, anche italiani, sfruttate da datori di lavoro senza scrupoli".
Nigeria, 464 morti negli scontri religiosi a Jos
JOS, Nigeria (Reuters) - Gli scontri tra gruppi musulmani e cristiani nella città nigeriana di Jos hanno causato, secondo attivisti per i diritti umani, 464 morti in quattro giorni.
Il bilancio dei morti, hanno fatto sapere funzionari della moschea, è salito, rispetto ai 150 iniziali, da quando è stato possibile recuperare i corpi delle comunità di località vicine a Jos.
"Abbiamo trovato più di 200 corpi nella moschea di Kuru Gada Biu e altri 22 a Mai Adiko", ha detto Muhammad Tanko Shittu, importante religioso musulmano che si sta occupando delle sepolture di massa, il quale aveva parlato inizialmente di 177 morti tra i musulmani.
L'associazione Usa per i diritti umani Human Rights Watch ha detto, invece, che sono 65 i cristiani uccisi.
I dati ufficiali della polizia sono significativamente più bassi: 20 morti, 40 feriti e 168 arrestati da domenica scorsa.
Il vice presidente Goodluck Jonathan ha ordinato ieri alle truppe di riportare la calma a Jos e di impedire il ripetersi di scontri come quelli avvenuti nel novembre 2008, quando circa 700 abitanti furono uccisi nel più grave episodio di violenza interconfessionale da anni nel Paese africano.
Non è chiaro se il presidente Umaru Yar'Adua, ricoverato in ospedale in Arabia Saudita da quasi due mesi, sia stato informato della situazione.
Le violenze di questi giorni sono scoppiate dopo una polemica tra musulmani e cristiani sulla ricostruzione di case distrutte negli scontri del 2008.
Probabilmente, l'episodio non avrà un grosso impatto sulla seconda economia dell'Africa sub-sahariana. L'industria petrolifera è nel sud, e il settore bancario è concentrato principalmente a Lagos, capitale commerciale del Paese.
Soldati e veicoli blindati pattugliano oggi la città, mentre i residenti che si avventurano fuori dalle proprie case fanno gesti per segnalare che sono disarmati.
Gli abitanti dicono che la maggior parte delle persone restano comunque al coperto a causa delle voci che circolano sulla presenza per le strade di membri di gruppi armati travestiti da militari o poliziotti.
"Il governo ha ricevuto con preoccupazione rapporti su uomini che indossano finte uniformi e che attaccano ignari cittadini. Si stano adottando misure per risolvere la questione", ha detto ieri sera il governatore dello stato di Plateau, Jonah Jang.
La popolazione nigeriana è più o meno divisa equamente tra cristiani e musulmani, anche se poi le credenze animiste sono diffuse un po' ovunque.
Sono oltre 200 i gruppi etnici che vivono di solito in pace, gli uni accanto agli altri, nel Paese dell'Africa occidentale, anche se 1 milione di persone sono rimaste uccise nella guerra civile del 1967-70 e ci sono stati anche in seguito scoppi di violenza legati alla religione.
Immigrati: il sindacato vieta lo sciopero ai negri
di Vittorio Macioce
Invisibili. Li vedono solo da clandestini, quando stanno nelle piantagioni dei nuovi signori del latifondo, sotto la schiavitù della ’ndrangheta, della camorra, della mafia. Quando finiscono nel fuoco di certe piazze da far west, sui marciapiedi del sesso, da delinquenti, da rapinatori, da razziatori di ville. Quando lavorano no, non li vede nessuno. La normalità non paga. Invisibili. Invisibili soprattutto per il sindacato, che li ha lasciati alla deriva, che li vede come carne da macello, come questione politica, come un affare. Questo sindacato di pensionati ed ex tute blu, di funzionari in giacca e cravatta e aspettative non li riconosce. Questo sindacato che assomiglia sempre più a una società di servizi, con fini di lucro, specializzato in dichiarazione dei redditi, in corsi di formazione lavoro con i soldi Ue, in tutto quello che è affari e parcelle non riesce neppure a intercettarli. Stanno giù, troppo giù. Invisibili. E se per caso pensano di scioperare, per un solo maledetto giorno, la risposta di Cgil, Cisl e Uil è un no in piena faccia. Gli invisibili non scioperano.
C’è una domanda che da un po’ di tempo rimbalza su blog, social network, quotidiani, tazebao, bollettini vari, giornalini delle parrocchie: che cosa accade se quattro milioni di immigrati incrociano le braccia? È un ritornello che arriva dalla Francia, dove l’appuntamento è per il primo marzo. La giornata senza migranti è stata buttata lì, quasi per caso, da Emma Bonino. La guerriglia di Rosarno l’ha rilanciata, creando un tam tam nel sottobosco del web.
Lo scenario è quello di un’Italia dove chi fa i lavori più duri, quelli che nessuno vuole più fare, quelli che mandano avanti le fabbriche del Nord, i latifondi del Sud e le aziende del Nord-Est si ferma, sciopera, non lavora. È un modo per contarsi e per mandare un segnale: noi ci siamo e siamo utili. Molti operai, per la verità, questo sciopero non possono permetterselo. Non possono rinunciare a un giorno di salario. E questo la sa anche la Bonino. Ma, a quanto pare, l’ostacolo maggiore è un altro.
Quando la giornata senza migranti è arrivata nelle segreterie del sindacato più di qualcuno ha avuto una mezza sincope. Uno sciopero degli immigrati? Non scherziamo. La Cisl ha fatto sapere che il discorso è troppo vago, servono contenuti precisi, certe cose non s’improvvisano: «È inutile parlare alla pancia degli immigrati». La Uil ha risposto con un no secco: «Gli italiani non capirebbero questo tipo di sciopero». La Cgil ha preso atto, tergiversato, con generici vediamo. Cose del tipo: il primo marzo è troppo presto, meglio prima delle elezioni e poi non è che possono incrociare le braccia solo gli immigrati, qui serve una grande manifestazione nazionale, con italiani e stranieri in piazza, insieme. Hanno cominciato, insomma, a buttarla sulla politica. Imbarazzo.
I comitati «primo marzo» quasi non volevano crederci. Ma come, proprio i sindacati storici ci boicottano? Impossibile. Eppure è così. Kurosh Danesh, iraniano, dirigente Cgil dice: «Non esiste lo sciopero generale etnico. Esiste lo sciopero generale dei lavoratori. Semmai potremmo ragionare su uno sciopero con al centro il tema dell’immigrazione». Ed è tutta un’altra filosofia.
Il timore è che tutta questa storia sfugga di mano. Gli immigrati si sono avvicinati al sindacato solo negli ultimi anni. È un’onda che sta riportando le confederazioni a questioni antiche, quando non si riscrivevano le Finanziarie ma si lottava per il salario. Quando il sindacato non era un comitato di affari. I lavoratori extracomunitari sono il 6,1 per cento degli iscritti: 332.561 tesserati dalla Cisl, 297.591 dalla Cgil, 190.078 dalla Uil, 103mila la quota Ugl. Se fanno lo stesso lavoro di un italiano guadagnano, in media, 238 euro in meno al mese. In tempo di crisi sono i primi a perdere il lavoro. Questo è quello che raccontano i dati Istat.
Il sindacato da troppo tempo vive come un club di pensionati, che conosce tutti i segreti della concertazione, ma fatica a fare i conti con la generazione senza posto fisso, con il tramonto di tute blu e colletti bianchi, con chi viene da lontano. Non li rappresenta. Non sono il suo popolo. Forse è per questo che lo sciopero degli invisibili spaventa il sindacato. È qualcosa di nuovo, che viene dal basso, difficile da gestire, fuori dalle logiche di chi scende in piazza per far cadere i governi o per proteggere le roccheforti del Novecento. Gli invisibili non possono scioperare da soli. Il sindacato deve metterci sopra il suo marchio, certificarli. «Meglio un’ora di sciopero di tutti i lavoratori, italiani compresi».
È la vecchia ricetta, con la speranza di sposare i vecchi iscritti con quelli nuovi, i pensionati con i proletari o con quei 90mila «cafoni» ufficiali, e un’esercito di schiavi clandestini, che faticano nei latifondi. Ma l’80% ricerca Eures) dei lavoratori stranieri sogna un sindacato tutto loro. E questo per Cgil, Cisl e Uil è peggio di un terremoto. È il crollo di un nuovo muro, la fine di un’utopia, quella di un sindacato universale, capace di conciliare in una sola formula magica tutti gli interessi. Ecco allora l’ultima risposta: non contate gli invisibili.
Libia, la “soluzione finale”
di Furio Colombo 10 settembre 2009 Vedi il filmato in allegato.
Un laccetto di cuoio bagnato, stretto al collo del prigioniero, incatenato e abbandonato al sole per un giorno. Il sole asciugherà gradatamente il laccetto di cuoio, portando al soffocamento. Dipende dall'ora in cui si ricordano di liberarti, dipende dai tentativi folli di liberarti da solo se la sera ti raccolgono vivo per ributtarti nella cella senz'aria e senza luce, tre metri per tre, dodici o quindici persone o se buttano un altro corpo di clandestino consegnato alla Libia nella fossa comune, nel deserto intorno al centro di detenzione infinita di Cufra.
Un bastone dietro le gambe, all'altezza delle ginocchia. Ti forzano a tenerlo con le mani legate, restando però piegato, ma in piedi. Finché resisti. Poi cadi come capita: di faccia, di schiena, di fianco e resti abbandonato sotto il sole – vivo o morto – fino alla notte.
Una buca in cui ti forzano a scendere fino a metà delle cosce. In quella posizione, e con le braccia immobilizzate, devi per forza restare dritto in piedi, perché non puoi piegarti neppure se svieni. Oppure ti pieghi in avanti a testa in giù, finché non ti portano via, vivo o morto.
È il racconto reso di fronte alle telecamere di Rai3 da prigionieri sopravvissuti al tormento libico, quasi sempre con la corruzione o la fuga. Lo ha visto tutta l'Italia la sera del 6 settembre, nella trasmissione-denuncia “Respinti” di Riccardo Iacona. I prigionieri di questa terribile storia sono i “respinti in mare” da militari italiani. La avranno vista – spero – i deputati e senatori, quasi tutti nel centro-destra, quasi tutti nel centro-sinistra, che hanno votato il trattato di amicizia e integrazione militare tra Italia e Libia nel giugno del 2009. E' il trattato in base al quale l'Italia paga la Libia per affondare i barconi dei disperati, per proibire ai pescatori italiani di aiutarli (pena l'accusa di essere mercanti di schiavi) per ordinare a Marina Militare Italiana e a Guardia di Finanza di “soccorrere” i naufraghi – bambini e donne incinte comprese – per riportarli in Libia. In Libia li aspettano, per un tempo infinito e senza che alcuna autorità internazionale intervenga, le carceri di Gheddafi, la tortura, la morte. Il tutto votato dal Parlamento Italiano ed eseguito dal ministro dell'Interno Maroni.
Questa spaventosa serie di eventi che sta seminando migliaia di morti in mare tra l'Africa e l'Italia, sta trasportando alla morte forzata in Libia altre migliaia e migliaia di esseri umani “respinti” in mare, mentre il ministro Maroni – di fronte alle proteste indignate di Europa e Nazioni Unite – conferma: “Non cambieremo le nostre direttive neppure di un millimetro”. Oppure, addirittura con un macabro sorriso, ripete: “Macchine, avanti tutta”. Questa spaventosa serie di eventi è un investimento. Accumula, attorno all'Italia e contro ciascuno di noi, un vasto giacimento di odio. Infatti provoca disperazione, dolore, insopportabili (benché rare, tenute nascoste) immagini di esseri umani, che si aggrappano inutilmente alle mani di un soldato italiano invocando pietà, supplicando di non essere spinti a terra, in Libia. Immagini di bambini e di donne incinte che – in base ad ogni legge non si possono respingere – consegnati agli sgherri di Gheddafi. Ma tutto ciò avviene sotto la bandiera italiana di una nave che aveva finto il soccorso.
Poiché nella “soluzione finale” dell'immigrazione secondo i leghisti, secondo i libici, le carceri sono contenitori stipati e bui, in un caldo infernale e quasi senza cibo, e la detenzione infinita è segnata dalla tortura, lo sventolare nell'aria fresca del Mediterraneo di un tricolore resta l'ultima immagine, la morte della speranza. L'odio che l'Italia sta seminando tra chi sopravvive nel mondo povero sarà immenso. Per l'Italia un pericolo mortale, oltre che una spaventosa vergogna, sanzionato da un voto bipartisan nel Parlamento italiano.
La Cassazione sui clandestini "Con figli no all'espulsione"
di ELSA VINCI
LA SENTENZA. Accolto il ricorso di un immigrato irregolare
"Il rimpatrio danneggia l'equilibrio del bambino"
ROMA - Soggiorno a tempo per il clandestino che vuol vedere il figlio". La Cassazione dice no alle espulsioni di immigrati irregolari che intendono svezzare, crescere, educare i propri bambini. I Supremi giudici hanno raccolto le ragioni di un padre e bocciato il giudizio dei magistrati della corte d'Appello di Milano: avevano revocato il decreto che autorizzava un soggiorno in Italia per due anni finalizzato all'assistenza dei figli minori. Il diritto di un bimbo a "vedere" il padre ha spinto la Corte a sdoganare il permesso "a tempo".
Sono poco meno di 900 mila, 520 mila nati lungo lo Stivale e nelle isole, secondo il rapporto 2009 di Save the children. Molti parlano italiano, vanno a scuola (sono il 7 per cento degli studenti), professano fede cristiana. Eppure i minori immigrati e figli di immigrati sono a volte costretti a subire la più cieca delle ingiustizie, l'abbandono coatto dei genitori che vengono espulsi.
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/01/21/news/la_cassazione_sui_calndestini_con_figli_no_all_espulsione-2027084/
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