venerdì 28 dicembre 2007

Romanina: Rifugiati politici rischio sgombero

IMMIGRAZIONE 16.2409/07/2007 Sull'orlo dello sgombero i 500 africani della Romanina: ultimatum ai rifugiati Rimandato lo sgombero dei rifugiati e titolari di permessi di soggiorno umanitario, eritrei, sudanesi, etiopi e somali, che dal febbraio 2006 risiedono nella vecchia sede dell’università Tor Vergata. ''Da domani occupazione illegale'' ROMA - Romanina: ultimatum ai rifugiati. Rimandato di ventiquattrore lo sgombero dei circa 500 tra rifugiati politici, e titolari di permessi di soggiorno umanitario, eritrei, sudanesi, etiopi e somali, che dal febbraio 2006 risiedono nella vecchia sede dell'università Tor Vergata, a Romanina. Il contratto di locazione tra il Comune di Roma e la proprietà, Enasarco, è scaduto il 30 giugno 2007. Il Gabinetto del sindaco aveva proposto miniappartamenti per le 45 famiglie e gli altrettanti bambini, e un centro d"accoglienza con camere da 4 posti per i single. Ma i rifugiati reclamano il diritto alla casa e rifiutano trasferimenti in centri di accoglienza. "Da domani è occupazione illegale”, dice il vice-capo di Gabinetto del sindaco, Luca Odevaine, mentre la carovana di autobotti dei pompieri e furgoni della polizia si allontana da via Arrigo Cavaglieri 6/8. E adesso la proprietà potrebbe chiedere lo sgombero forzato. Lo stabile era stato occupato nel dicembre del 2005, con il supporto di Action. Dopo un primo sgombero, la trattativa del Comune di Roma con la proprietà, Enasarco (Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) portò alla firma di un contratto di locazione il 28 febbraio 2006. Il Comune ha pagato l’affitto fino al 30 giugno 2007. Il tempo necessario per trovare le tre strutture che oggi propone ai 360 residenti censiti. Sì, perché almeno un centinaio, arrivati in un secondo momento, non sono stati registrati e quindi rimangono fuori dalla trattativa. Il Comune, come concordato con un comitato di rappresentanti eletti dai residenti dello stabile, propone tre strutture, nel V e VIII municipio. Una per i nuclei familiari in mini appartamenti. E due per i singoli, la maggioranza, in stanze con massimo 4 letti, uso cucina e servizi in comune, sotto gestione di una cooperativa sociale. Ma i rifugiati non ci stanno. “Siamo fuggiti dalla guerra, abbiamo attraversato il deserto e il mare per trovare protezione in Italia e dopo anni di precarietà sapete proporci soltanto un centro d’accoglienza! Vogliamo una casa, vogliamo la nostra autonomia. Chiediamo solo che sia rispettato il diritto d’asilo”, dice uno dei circa cento ragazzi in piedi davanti all’entrata dello stabile. Odevaine replica: “Piena libertà di circolazione senza vincoli di orari e massima disponibilità per una co-gestione della struttura”. Ma dai rifugiati arriva un secco no. A niente serve la proposta di inviare una delegazione di quattro rappresentanti per visitare i centri proposti, di cui è tenuto segreto l’indirizzo e di cui non sono state mostrate che delle fotografie ai rappresentanti del comitato. “Siamo stanchi di essere sbattuti da un centro all’altro - dichiara Abraham, eritreo -. Sono quattro anni che vivo tra strada e centri occupati”. Abraham era all’Hotel Africa, alla stazione dei treni Tiburtina fino allo sgombero dell’agosto 2004. E come lui molti altri. Segno che il problema accoglienza dei rifugiati, nella città capitale dell’emergenza abitativa, continua ad essere rimandato. La palla adesso è lasciata nella metà campo della proprietà. “Da domani – recita il comunicato inviato dal Gabinetto del sindaco ai cittadini di Via Cavaglieri 6/8 e alla Prefettura di Roma -, la permanenza nel palazzo verrà considerata a tutti gli effetti una occupazione abusiva”. Da domani insomma, Enasarco ha carta bianca per richiedere l’intervento delle forze dell’ordine per uno sgombero forzato. (gdg) © Copyright Redattore Sociale

giovedì 27 dicembre 2007

Intervista 18 Dicembre 2007

L’Europa costruisce muri, e l’Italia è la prima a mettere mattoni A cura di Marzia Coronati • 18 December 2007 Mussie Zerai, eritreo che vive a Roma da più di 15 anni, è il responsabile dell’ong Habesha, un’associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani. Dal viaggio alla casa al lavoro ai documenti, Mussie racconta le difficoltà di una persona che arriva in Italia dall’Africa.

Fortress Europe

Errances africaines. Aux avampostes du continent Realizzato nel febbraio 2004 da Reda Benjelloun e messo in onda dal canale televisivo marocchino 2M - nella trasmissione Grand Angle - documenta le rotte di migranti e rifugiati sub-sahariani attraverso il Marocco verso le due enclave spagnole di Ceuta e Melilla. La vita nella foresta, sulle montagne di Gourougou e Bel Younech, le attività delle ong locali, le deportazioni alla frontiera algerina, a Oujda, e le violenze della polizia lungo l'alambrada. Duranta 62 minuti. Imperdibile

Rifugiati Eritrei

Sicilia: Lo sbarco dei richiedenti asilo eritrei in italia.

Filmato del 18.09.2007

Giornata Mondiale dei prigionieri di coscienza in Eritrea il 18.09.2007

mercoledì 19 dicembre 2007

Approvazione moratoria contro la pena di morte

Comunicato stampa E' stata approvata ieri a New York dall'assemblea dell'ONU la moratoria non vincolante contro la pena capitale nel mondo, questo è l'ennesimo successo che portrerà speriamo presto verso l'abolizione definitiva da tutto il mondo della pena di morte. I dati sono chiari il mondo è sempre più vicino alla cancellazione di tale barbarie; i Paesi che dicono "sì" a tale moratoria sono ben 104 (più del previsto) e di tutti i continenti, la pena di morte é applicata in un numero sempre minore di Stati; tra questi troviamo dei baluardi, purtroppo ben influenti, come USA e Cina. Ci rallegriamo e ci congratuliamo con chi ha lavorato e lavora con impegno per tale risultato, e ci auguriamo che tale risoluzione, anche se non vincolante, faccia riflettere e interrogare coloro che ancora amministrano la giustizia con la morte. Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo

Intervista

A cura di Marzia Coronati • 18 December 2007 Mussie Zerai, eritreo che vive a Roma da più di 15 anni, è il responsabile dell’ong Habesha, un’associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani. Dal viaggio alla casa al lavoro ai documenti, Mussie racconta le difficoltà di una persona che arriva in Italia dall’Africa. Mussie Zerai, ass.Habesha, si presenta [2:25m]: Hide Player | Download Dall'Eritrea all'Italia, il viaggio della speranza [8:27m]: Hide Player | Download Accoglienza all'italiana, iltrauma dei Cpt [6:42m]: Hide Player | Download Accesso al mondo del lavoro [3:12m]: Hide Player | Download politiche di integrazione europee [12:22m]: Hide Player | Download Mussie Zerai, dell’associazione Habesha, è a Roma dal 1992. Quando è arrivato in Italia dal suo paese, l’Eritrea, possedeva un visto regolare e il viaggio lo ha fatto a bordo di un aereo. Oggi, ci racconta Mussie, qualsiasi eritreo che vuole raggiungere l’Europa deve prima di tutto attraversare la frontiera tra Eritrea e Sudan. , dice Mussie. Una volta in Sudan, gli eritrei si ritrovano spesso abbandonati a se stessi, l’unica cosa su ui possono contare è la solidarietà, nella speranza che chi è partito prima di loro li ospiti sotto un tetto così da raccimolare qualche soldo per continuare il viaggio. Spesso il governo sudanese, di concerto con quello eritreo, organizza delle retate per rimpatriare i migranti. Le persone in Sudan non si sentono sicure e sono incentivate a proseguire il viaggio verso Nord. , continua Mussie. Dopo il Sudan, l’ostacolo successivo è il deserto. Un’insidia gigante, . Molti di loro vengono presi dai militari e trattenuti in una delle 21 carceri della Libia, finanziate anche dal governo italiano, dopo essere stati ripuliti di tutto quello che hanno. Anche qui si conta sulla solidarietà di parenti e amici per farsi finanziare la liberazione e il proseguo del viaggio, cioè la traversata del Mediterraneo. Quando le persone giungono in Italia, il primo trauma è l’impatto con i Cpt, i centri di permanenza temporanea dove vengono rinchiusi e privati della loro libertà, proprio loro che sono venuti a cercare la libertà. E’ per questo che i suicidi sono oati all’interno di queste strutture. Il problema italiano è che non c’è un sistema di accoglienza nazionale, manca una legge organica sul diritto di asilo. , spiega Mussie . Oggi ci sono delle esperienze pilota, ma sono ancora insufficienti e poco funzionali. Ancora non si è creata una rete di accoglienza nazionale, in cui ogni comune dia la disponibilità di quante persone può accogliere, cosicchè i centri di permanenza abbiano già una mappa dei posti disponibili dove mandare le persone. A Roma gran parte degli africani vivono in case occupate, ad esempio alla Romanina. Qui in un palazzo di sette piani che era stato affittatto del comune per essere messo a disposizione per eritrei, etiopi, somali e sudanesi vivono circa 600 persone. Era stato presentato un progetto, in collaborazione con il X municipio, per creare un centro di seconda accoglienza, ci ha spiegato Mussie, dove si sarebbero potuti offrire corsi professionali e di lingua per accompagnare i migranti alla autonomia. Questo progetto non è stato totalmente approvato dal comune, che ha proposto di trasferire le persone in altre strutture, ma i migranti hanno rifiutato perchè sono stanci di essere traferiti da un centro a un altro, in posti che più che case sembrano ghetti. Anche l’accesso al mondo del lavoro è complicato. , ci dice Mussie, . Indietro, in Africa non torna quasi nessuno, perchè la situazione attualmente non lo permette. Degli eritrei, quasi nessuno vorrebbe fermarsi in Italia, ma tutti la vedono come nazione di passaggio, per andare altrove: in Inghilterra o nei paesi scandinavi per esempio, perchè in Italia non trovano le possiblità di vita che avevano sognato. L’accordo di Dublino prevede che il primo paese in cui si approda è quello che ti deve ospitare. Chi prova ad andarsene dopo avere registrato le proprie impronte digitali in Italia, viene rimandato indietro , ci ha raccontato Mussie. In più oggi l’Europa, come si è detto anche al recente incontro ull’Africa tenutosi a Lisbona, sta capendo come fare per bloccare gli arrivi, mentre i migranti chiedono di portare avanti un programma di settlement, come accade in altri paesi come l’Australia, perchè le persone che fuggono da guerre o situazioni a rischio vengano accolte nel paese di primo o di secondo approdo. conclude Mussie. Leave a Reply Name (required) Mail (will not be published) (required) Website I Nostri Programmi Mash Up Da Place Settimanale di cultura d'n'b Mash Up Da Place - Puntata n° 9 » 17/12/2007 Siamo arrivati all'ultimo appuntamento della stagione 2007 di Mash Up Da Place. Dopo una breve interruzione per le vacanze di Natale, Muh & dj RooKie torneranno di nuovo a gennaio con la stagione 2008. In chiusura a questa nona puntata, vi dedichiamo un dj-set eseguito dal vivo da dj RooKie. E come sempre, potrete ascoltare le new releases in vinile di questa settimana ed i consigli sugli eventi drum'n'bass in giro per l'Italia. Buon ascolto! TRACKLIST: #EVACUATE/MISANTHROP/RENEGADE HARDWARE #PROMISE LAND/ALIX PEREZ & YOUTHMAN/STEP.. Caffè Sarajevo Cultura e attualità dell'est europeo Mosca: i freddi giorni delle elezioni » 17/12/2007 Nostro reportage che racconta la Russia dei giorni del rinnovo della Duma Mosca è sotto la neve; qui i pochi ragazzi che parlano inglese mi dicono, scherzando, che loro sono tra gli esigui sostenitori del global warming. Ai russi che incontro non dispiacerebbe infatti avere qualche grado sopra lo zero, sia in termini climatici che rispetto alla scala immaginaria del livello di democrazia e libertà d’espressione nel loro paese. Siamo nei primi giorni di dicembre.. BackBeat La politica USA a suon di rock Back Beat Usa ‘08, puntata VI: le primarie in Iowa » 17/12/2007 Si scaldano i motori delle primarie americane, ed anche Back Beat entra nel vivo della competizione Usa. Oggi parliamo delle primarie democratiche dell’Iowa, lo stato dove –i primissimi di gennaio- si voterà per primo ed il cui risultato è spesso considerato come un’anticipazione di quello che accadrà al livello federale. Lo stato dell'Iowa è il 29° stato degli USA, la sua capitale è Des Moines. Il nome dello stato deriva da quello di una tribù di nativi americani, gli.. Scirocco Voci dal Mediterraneo Medlink: l’alternativa di civilta` » 15/12/2007 Si e` aperto presso la casa del Mediterraneo a Roma il secondo incontro delle societa` civili mediterranee. Anche quest'anno Medlink ospita decine di attivisti per la pace, la democrazia e i diritti umani dalle quattro sponde del mare nostrum. Tema della tre giorni romana: "oltre le crisi di civilta`, per costruire alternative nel Mediterraneo." All' incontro non potevano mancare i microfoni di Scirocco, che riprendono a raccontare Medlink da li` dove si erano fermati lo scorso anno. Nella prima edizione.. Radio Carta Notizie in movimento Da Mumia a Sacco e Vanzetti. 60 anni di detenzioni politiche made in Usa » 13/12/2007 La giustizia americana e i reati politici. Cosa è cambiato dal secolo scorso a oggi? La puntata di Radio Carta di questa settimana tenterà di indagare su questo interrogativo, raccontando due storie, una più recente, quella cioè di Mumia Abu Jamal, e una risalente a 60 anni fa: il caso di Sacco e Vanzetti. Ospiti della puntata: Silvia Baraldini, ex detenuta politica Bianca Cerri, americanista Matteo Marolla, ass. Sacco e Vanzetti Domenica Mumia Abu Jamal, scrittore e giornalista statunitense, attivista delle Pantere Nere, la.. Radio Laser Science in Action! nuvole pesanti all’orizzonte » 13/12/2007 Nell'attesa che il formato riacquisti una sua normalità dopo la doppietta filiare che ha cambiato la vita a metà della redazione, questa settimana con Bussola ci occupiamo di nuove fosche nuvole agli orizzonti polari: le nuvole mesosferiche. In trasmissione anche il lancio della nuova edizione dello sportello Sn.Info e una nuova rubrica "2 minuti d'autore" a cura di Sedna. .. Mediascape Global watch on media issues Lo stato dei media comunitari nell’Unione Europea » 12/10/2007 Questo studio è stato commissionato dall'Unione Europea con l'obiettivo di dare un quadro unitario ai media comunitari in Europa. Le esperienze hanno radici storiche e sociali molto variegate. Lo studio tracccia le diverse forme di essere media comunitario oggi e le prospettive di sviluppo del terzo settore dell'audiovisivo, accantoai servizi pubblici tradizionali e i cosiddetti "corporate media". Lo stato dei media comunitari nell’Unione Europea (Download pdf) State of the community media in the European Union Executive Summary I. Introduction Community Media (CM) constitute a.. Mediasetta il settimanale sul lavoro e i diritti dei lavoratori Mediasetta 12: Lavoro digitale [2007-05-28] » 28/05/2007 Ultima puntata del ciclo di mediasetta, sul tema del lavoro informatico.Lavoro digitale La situazione passata, attuale e futura delle prospettive di "classe" di tutti coloro che si occupano di lavoro informatico.Brevi cenni alla storia recente della new economy, al software libero Linux insieme a Nicolas.In studio Cristiano Muccini, regia di Andrea Pavin. .. Ricerca Archivi Tematici Ambiente AudioNews Brevi Conflitti Cooperazione Diritti Economia Editoriali Politica Radio1812 Repressione Progetti & Servizi Aggiornamenti Feed RSS Amisnet RSS Feed Network RSS Feed Podcast Amisnet Podcast (su iTunes)

mercoledì 12 dicembre 2007

CISA SPECIAL REPORT

CATHOLIC INFORMATION SERVICE FOR AFRICA (CISA) ERITREA: A Caged People in Urgent Need of Global Action - and Prayers CISA SPECIAL REPORT ASMARA, December 11, 2007 (CISA) -The people of Africa's youngest nation, 14-year-old Eritrea in the northeast, live as if locked up in a vast prison manned by a rogue communist regime. CISA is today able to reveal the sufferings of the tyrannized and poverty-stricken Eritreans, groaning under the weight of Africa's last single-party dictatorship. Prone to prolonged droughts, its economy destroyed by more than 30 years of war, Eritrea is one of the world's poorest countries, with up to 60 percent of its 4.6 million people surviving on less than a dollar a day. The legacy of war is still evident in unexploded landmines, destroyed infrastructure and displaced people. The government of President Isaias Afewerki has crippled the private sector through Maoist policies and kicked out relief and development agencies, insisting that it alone can serve the needs of the people. Not even the Church has been spared. Last month, the regime refused to renew the entry visas of 14 Catholic missionaries, ordering them out. A source told CISA the move is part of "a nationwide campaign to neutralize, paralyze, isolate and nationalize the Catholic Church." But the expulsion is also a cruel attack on poor Eritreans who depended for survival on projects run by the missionaries. The projects will most certainly collapse, as the local Church cannot sustain them. The regime is one of the leading abusers of religious freedom worldwide, with as many as 2,000 mostly evangelical Christians languishing in detention for their faith. The state recognizes only four religions: Orthodox, Catholicism, Lutheran and Islam. Suppressed society It is not easy to get an accurate picture of the situation in Eritrea. Even Eritrean exiles are silenced by the fear of having their relatives harassed back home by the government should they speak out. Another source with considerable experience in Eritrea gave CISA, on condition of anonymity, a hard-to-believe account of the dire conditions imposed on the people by their rulers. Through an elaborate police system, the state keeps a keen eye on goings-on around the country. A visitor will be struck by the overwhelming presence of state militias everywhere. "It is a very suppressed society; if you talk, you just disappear," our source said. "There are militias all over. You see, almost everyone is a military person. In every village you will find militias. It is very well-organized. You cannot say anything." The government has clamped down on its critics and all independent media. There are no civil society groups. State media specialize in entertainment and propaganda, especially against the country's 'enemies': Ethiopia, the United Nations, the international community, non-registered churches. Human rights violations are rampant, including compulsory, unending military service for persons under 40, even for priests and religious. The state harasses parents whose children flee the country in search of opportunity. Though primary and secondary education is free of charge, the quality is dismal due to lack of teachers and basic supplies. Secondary students spend their final year in secret camps. "We do not know what goes on there, but we do know that when they graduate they are in military uniform," our source said. A few graduates are enrolled in state colleges while the rest go for further military training. Soldiers are not paid, but receive a small allowance. Many of them have families, as parents urge sons to marry before they are recruited. Girls also marry or have children early to avoid conscription. Killing enterprise Freedom of movement is restricted, especially for missionaries who cannot move far out of their stations without permission from the authorities. They must also register at roadblocks. A government decree allowing every vehicle only 30 litres of fuel a month has also hampered the Church's pastoral work. There is hardly a private sector in the country. The government imports basic commodities to sell to the public at subsidized prices, making the people "depend directly on the government, so that they can feel that it is the one that takes care of them. It is also a way of killing private enterprise." Eritrea became independent from Ethiopia in 1993 after a 30-year separatist rebellion. The two nations again plunged into another devastating border war five years later. After 14 years of independence, many people must be questioning the real value of their hard-won freedom - but only silently. "Eritreans are so quiet you would think they have no problems," our source said. __._,_.___

Vittime dell'immigrazione

L’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione FORTRESS EUROPE http://fortresseurope.blogspot.com presenta RAPPORTO NOVEMBRE 2007 RAPPORTO NOVEMBRE 2007 – Ancora decine di morti alle porte dell’Unione europea. In Spagna è una strage. Sono 127 i migranti che hanno perso la vita a novembre tentando di superare I confini Ue, 119 dei quali sulla rotta per le Canarie. Naufragi in Mauritania, Marocco, Gambia e Algeria, mentre in Sicilia sono stati trovati i corpi di altre 4 vittime del naufragio di Vendicari. In Grecia e a Cipro la polizia di frontiera spara sui migranti e uccide due persone. Le vittime dall’inizio dell’anno sono almeno 1.470. Intanto, mentre Madrid prepara i rimpatri in Senegal dei minori non accompagnati, la conferenza euro-africana di Lisbona promuove il modello spagnolo: pattugliamenti congiunti, esternalizzazione dei campi di detenzione e rimpatri. L'Italia, che ha da poco accolto 40 dei 600 rifugiati eritrei detenuti a Misratah, in Libia, invia una missione in Libia in cerca di un accordo Barça ou Barçakh. Barcellona o l’inferno. Lo ripetono da anni, in wolof, i giovani di Saint Louis e Dakar, pronti a partire, costi quel che costi, per raggiungere il centro del mondo: l’Europa. È una storia lunga e comincia nel 2005 dai 17 morti ammazzati sotto gli spari della Guardia Civil e dell’esercito marocchino a Ceuta e Melilla [...] Scarica il rapporto su http://fortresseurope.blogspot.com

lunedì 10 dicembre 2007

NECS-Europe

Network of Eritrean Civil Societies in Europe (NECS-Europe) C/0 Eritreans for Peace and Democracy – P.O.Box 401 - 1214 Vernier – Geneva – Switzerland – necs_europe@yahoo.com PRESS- RELEASE NECS Urged EU to take President Issias to task over the gross human rights abuse in Eritrea. (Lisbon 7-12-07) Representatives of the Network of Eritrean Civic Societies in Europe (NECS - Europe) urged The European Union to strengthen its call for the respect of human and democratic rights in Eritrea. At a conference organised ahead of the Euro-African summit in Lisbon, representatives of the network outlined the catalogue of gross human and democratic rights abuse continuing unabated in the country and urged MEPs to heed to the EU’s own resolutions which the government of Eritrea has failed to take note of, during the meetings at the summit. Responding to the appeal Ana Gomes MEP thanked the delegation for their presence and reiterated that the EU had indeed made calls through the resolutions for the Eritrean government to have regard for human rights in the country. She further stated that European Parliament’s request to visit Eritrea had so far been frustrated by various excuses from the Eritrean government. In her presentation to the conference Ms Selam Kidane of NECS Europe stated that what makes the Eritrean situation different from all the other situations in Africa is the fact that in current day Eritrea there are no systems and mechanisms for highlighting, recording and addressing the human rights abuse. She said ‘we have heard from a human rights group based in Harare, we have heard from a member of an Ethiopian opposition party recently released from prison, we saw pictures of horrendous abuse in Angola, but in Eritrea there are no human rights organisations to highlight the abuse that goes on, imprisoned dissidents are languishing in jail incommunicado for over six years and the journalists who would be recording this to bring us the coverage of the sort we saw this morning are also in jail’. During extensive interviews given to the international media later on in the day the NECS delegation stated; ‘it is imperative that the EU linked development aid to discernable improvements in the country’s overall human rights culture. NECS has never called and will never call for the withdrawal of emergency aid as this would have a catastrophic implication for our people, however the allocation of €122 million from the European development fund in the absence of clear commitment to improve human rights in Eritrea goes against the EU values’. As well as briefing MEPs, human rights campaigners and the media NECS distributed its latest briefing paper prepared ahead of the Euro-African summit. Further to outlining NECS’ concerns the paper made the following recommendations: 1. Release of Prisoners: The EU should strengthen its call for the immediate release of all those who are illegally detained in Eritrea. It should put more energy and political resolve in highlighting and defending human rights and fundamental freedoms in Eritrea. 2. Democratic governance: The EU should insist in the development of democratic institutions and introduction of democratic governance in Eritrea. Eritrea is currently governed by the wishes of one man with no transparency and accountability. The EU ought to support Eritrean civic organisations currently operating within the EU as they need resources for human capacity building to enable them function properly and be effective defenders of human and democratic rights as such organisations do not exist in Eritrea. 3. Strong Action: The EU should follow its demand with strong and decisive action if Eritrea fails to be governed by the rule of law and democratic principles. Instituting a travel ban to members of the Eritrean government and the ruling party would give a clear signal to the Eritrean authorities of the importance the EU places on human rights and it would also give real hope to the Eritrean people. 4. Aid and Human Rights: Development aid ought to be linked to discernable improvements in the country’s overall human rights culture, or to an agreement either for the provision of human rights training for members of the state security apparatus, or for assistance in the development of independent local human rights organisations and defenders. The Commission's allocation of €122 million in bilateral aid for 2008-2013 from the 10th European Development Fund, in the absence of any visible change or even willingness to improve human rights in Eritrea, goes against EU values and needs to be re-examined. 5. Urgent Resolution of the Border Issue: In order to remove a source of instability that has contributed towards insecurity in the entire Horn of Africa and the deterioration of human rights in both Ethiopia and Eritrea, there is a need for key members of the international community, especially the EU, to undertake sustained high-level advocacy to ensure Ethiopia’s unconditional compliance with the international ruling on the border between the two countries, and the demarcation of this border as a matter of urgency. Note to Editors 1. Linking Human Rights and Development – A Strategy for Africa was a conference organised by Amnesty International (Portugal) with the support of Ana Gomes. MEP at the European Centre Jean Monnet in Lisbon on the 6th Dec 2007. NECS-Europe is a network of Eritrean human and democratic Rights organisations based Across Europe. Lisbon, 7 december 2007

domenica 9 dicembre 2007

Che fine ha fatto la dignità UMANA???

vergognoso!!!! OGNI COMMENTO E' SUPERFLUO!!!! Le immagini che seguono sono estremamente dure, però riteniamo doveroso mostrarle, perché fatti così gravi non devono passare inosservati. Il mondo deve sapere, la gente deve essere informata di quanto accade in Cina, di come possa disumanamente divenire normalità il disprezzo per la vita. Una bimba appena nata giace morta sotto il bordo del marciapiedi, nella totale indifferenza di coloro che passano. La piccina è solo un'altra vittima della politica crudele del governo cinese che pone il limite massimo di un solo figlio nelle città (due nelle zone rurali), con aborto obbligatorio. Nel corso della giornata, la gente passa ignorando il bebè. Automobili e biciclette passano schizzando fango sul cadaverino. Di quelli che passano, solo pochi prestano attenzione. La neonata fa parte delle oltre 1000 bambine abbandonate appena nate ogni anno, in conseguenza della politica del governo cinese. L'unica persona che ha cercato di aiutare questa bambina ha dichiarato: 'Credo che stesse già per morire, tuttavia era ancora calda e perdeva sangue dalle narici'. Questa signora ha chiamato l'Emergenza però non è arrivato nessuno. 'Il bebè stava vicino agli uffici fiscali del governo e molte persone passavano ma nessuno faceva nulla... Ho scattato queste foto perché era una cosa terribile...' 'I poliziotti, quando sono arrivati, sembravano preoccuparsi più per le mie foto che non per la piccina...' In Cina, molti ritengono che le bambine siano spazzatura. Il governo della Cina, il paese più popoloso del mondo con 1,3 miliardi di persone, ha imposto la sua politica di restrizione della natalità nel 1979. I metodi usati però causano orrore e sofferenza: i cittadini, per il terrore di essere scoperti dal governo, uccidono o abbandonano i propri neonati. Ufficialmente, il governo condanna l'uso della forza e della crudeltà per controllare le nascite; però, nella pratica quotidiana, gli incaricati del controllo subiscono tali pressioni allo scopo di limitare la natalità, che formano dei veri e propri 'squadroni dell'aborto'. Questi squadroni catturano le donne 'illegalmente incinte' e le tengono in carcere finché non si rassegnano a sottoporsi all'aborto. In caso contrario, i figli 'nati illegalmente' non hanno diritto alle cure mediche, all'istruzione, né ad alcuna altra assistenza sociale. Molti padri vendono i propri 'figli illegali' ad altre coppie, per evitare il castigo del governo cinese. Essendo di gran lunga preferito il figlio maschio, le bambine rappresentano le principali vittime della limitazione delle nascite. Normalmente le ragazze continuano a vivere con la famiglia dopo del matrimonio e ciò le rende un vero e proprio un peso. Nelle regioni rurali si permette un secondo figlio, ma se anche il secondo è una femmina, la cosa rappresenta un disastro per la famiglia. Secondo i dati delle statistiche ufficiali, il 97,5% degli aborti è rappresentato da feti femminili. Il risultato è un forte squilibrio di proporzioni fra popolazione masch ile e femminile. Milioni di uomini non possono sposarsi, da ciò consegue il traffico di donne. L'aborto selezionato per sesso sarebbe proibito dalla legge, però è prassi comune corrompere gli addetti per ottenere un'ecografia dalla quale conoscere il sesso del nascituro. Le bambine che sopravvivono finiscono in precari orfanatrofi. Il governo cinese insiste con la sua politica di limitare le nascite e ignora il problema della discriminazione contro le bambine. Alla fine, un uomo raccolse il corpo della bambina, lo mise in una scatola e lo gettò nel bidone della spazzatura. FATELA GIRARE QUESTA E-MAIL, NON TROVATE SCUSE CHE NON AVETE TEMPO, CHE LA FARETE DOPO. OGNI GIORNO TRA NOI CE NE MANDIAMO DI TUTTI I TIPI, PER QUELLE IL TEMPO CE L'ABBIAMO SEMPRE. -------------------------------------------------------------------------------- La potenza di Windows