mercoledì 11 settembre 2019

Re: La recente nazionalizzazione delle scuole cattoliche

  Council of Catholic Hierarchs - Eritrea


A Sua Eccellenza Signor Semere Re'esom
Ministro dell'istruzione pubblica.
Asmara - Eritrea

                                                                               Asmara, 04 Settembre 2019


I contributi della Chiesa cattiica in campo educativo e le recenti statalizzazioni
1. E' da sempre nei desideri e nell'agenda di noi Vescovi della Chiesa Cattolica incontrarci con le autoritd governative per dialogare su tutto cid che attiene alla situazione della nostra Chiesa e della nostra Nazione. Purtroppo, a questo desiderio non d stato mai accordata una qualsiasi considerazione da parte delle autoritd statali. Cid, tuttavia, non ci induce a rinunciare ad elevare, ancora una volta, la nostra voce di protesta contro l'arbitrario e unilaterale provvedimento assunto di recente dal governo della Nazione con la statalizzazione delle nostre cliniche e delle nostre scuole, strutture attraverso cui la Chiesa adempie la sua missione.
2. Sono trascorsi quasi due anni da quando, per ordine del governo, d stata chiusa la "Scuola Secondaria Santissimo Redentore" del nostro Seminario di Asmara. Si tratta di un'istituzione che, dal lontano 1860, per pin di un secolo, spostandosi in varie localitd, ha svolto un'elevata funzione culturale e spirituale, coltivando numerosi giovani per il servizio della Chiesa e del Paese. La decisione di chiudere un'istituzione con all'attivo un contributo di tale portata ha lasciato interdetti tutti: chiunque abbia cercato di scorgervi una seppur minimamente plausibile spiegazione d rimasto privo di una risposta.

3. Successivamente si d proceduto alla requisizione di ben 8 nostre strutture sanitarie, con l'assurdo e irricevibile pretesto di essere dei doppioni (l). Nei mesi scorsi d seguita la nazionalizzazione di altre 2l cliniche. E ultimamente, lo scorso 3 settembre, eccoci con la nazionalizzazione di tre nostre scuole secondarie, una delle quali comprensiva anche delle classi elementari. Erano:
l) la scuola elementare e media inferiore e superiore "S. Giuseppe", dei Fratelli Lassalliani, Cheren;
2) la scuola media superiore dei Frati Cappuccini, Addi-Ugri;
3) la scuola media inferiore e superiore "S. Francesco", dei Frati Cappuccini, Massawa.
Su tutti questi provvedimenti formuliamo ora la nostra doverosa e legittima protesta.
4. Come abbiamo gid spiegato nelle piir svariate occasioni, la Chiesa, nel prendere una posizione su temi e problemi di rilievo, inizia con la dichiarazione della propria identitd e missione. Lo fa per l'ovvia ragione che quanto dice e fa, cosi come le istituzioni che fonda e coordina, scaturiscono dal slo essere e dalla missione di cui d stata investita dal suo Signore. Cristo suo fondatore, che ha
gli uomini durante la sua esistenza terrena, ha inviato la sua Chiesa a proseguire la sua stessa missione nel tempo e nello spazio. Anche se il compito primario della Chiesa di sanato e istruito annunciare la parola di salvezza, intrinseca a tale mandato d la "promozione integrale" della persona Di qui il suo impegno non secondario nei campi dell'istruzione, della sanitd e dello sviluppo sociale in generale. Svolge tali compiti non solo nell'interno dei suoi sacri recinti, bensi nei campi aperti delle scuole, delle cliniche e degli ospedali, dovunque ciod gli uomini e le donne reclamano il diritto e il bisogno di essere curati e istruiti e la Chiesa si sente in grado di contribuire al loro benessere globale, umana, la cura ciod dell'essere umano nell'anima e nel corpo.

5. Come nei due mila anni de] suo cammino attraverso la storia, anche oggi la Chiesa rivendica per sd un insieme di diritti e doveri strettamente derivanti dalla sua natura e dalla sua missione, come: insegnare i principi della fede cristiana, istituire e gestire centri e strutture per agevolare ai giovani l'accesso alle scienze umane e contribuire al progresso della societd, e quindi, proprio per questo, possedere proprietd mobili e immobili congrue allo svolgirnento della sua multiforme missione. Poichd si tratta di diritti naturali ad essa accordati da Dio stesso, permetterne o negarne l'esercizio non speffa, per nessun titolo, alla volontd o al capriccio di chicchessia.
6. Se, come si d detto, d diritto e dovere della Chiesa, da sempre e dappertutto, possedere e gestire strutture atte a promuovere la conoscenza \mana e spirituale, dagli asili alle pii elevate istituzioni universitarie, quali le finalitd specifiche della sua azione in tali ambiti?
a) Anzitutto si tratta di farne dei luoghi dove si formano le coscienze e si preparano uomini e donne pienamente maturi e qualificati ad occupare un proprio posto nella societd e ad offrirvi un proprio contributo; luoghi dove imparare a discernere i propri diritti e doveri e a far prevalere [e ragioni della giustizia e della pace;
b) le istituzioni educative della Chiesa offrono ai genitori la possibilitd di esercitare l'inalienabile diritto di scelta dei contesti e degli indirizzi forrnativi per i loro ligli;
c) d in tali istituzioni che la Chiesa offre la sua millenaria esperienza pedagogica e il suo plurisecolare patrimonio culturale al cittadino desideroso di adeguate conoscenze intellettuali e di un'autentica crescita umano-morale.
d) Nessun altro scopo, apefto o coperto, si propone la Chiesa nella gestione delle sue istituzioni educative, se non l'onesto, corretto e appassionato contributo alla promozione integrale dell'uomo, oggi come ieri. Lo possono testimoniare senza tema di smentita, quanti, uomini e donne di qualsiasi religione e corso di vita, sono passati per le nostre aule, vi hanno assaporato gli insegnarnenti di vita, e oggi sono sparsi per il rnondo intero. Le istituzioni religiose e lo sviluppo delle scuole nella nostra storia

7. Un rapido sguardo alla storia dell'istituzione seolastica e dei suoi sviluppi rivela un'innegabile veritd: fin dall'antichitd, anche nella nostra terra, i centri religiosi sono i luoghi della fioritura degli studi, della letteratura e dell'arte, insomffra della civiltd nel suo insieme; cid e particolarmente vero delle chiese Cristiane, cosi come delle moschee, che in tale modo si sono ritagliate nella storia un ruolo di preminenza. Tutti conosciamo il oontributo, nella riostra terra, degli antichi monasteri e chiese ortodosse, delle moschee e scuole coraniche, nella storia della scrittura e della letteratura. In sintesi, la formazione, la costituzione e la definizione identitaria e culturale del nostro paese sono fondamentalmente tributarie alle istituzioni religiose.
8. E' altrettanto noto l'apporto della Chiesa Cattolica nell'avvio e negli sviluppi dell'educazione moderna. Introducendo per prima l'arte tipografica nel Corno d'Africa, essa ha aperto la strada alla carta stampata e quindi all'evoluzione della cultura contemporanea.
In epoca coloniale, istituite dal governo per i nativi, e gestite dal Vicariato Apostolico nei limiti del livello di istruzione imposto a quest'ultimo dal governo stesso, ci furono delle rinomate scuole, come quelle di Addi Ugri (S. Giorgio), Segheneyti (S. Michele), Addi Keih (Salvago Raggi), Asmara (V. Emanuele). Dopo la seconda guerra mondiale, per limitarci alla sola cittd di Asmara, fiorirono il Comboni College, l'Universitd di Asmara, il Collegio La Salle, il Collegio S. Anna, la Scuola diurna e serale S. Bernardo, la Scuola primaria e secondaria di S. Antonio Godaif ... ed altre ancora. Dal1965, per iniziative di Sua Beatitudine Mons. Abraha Frangcois, di venerata memoria, furono attive a lungo circa 70 scuole;.annesse alle parrocchie rurali sparse in tutto il territorio.
A iniziare dai tempi del colonialismo italiano, isistemi amministrativi moderni, l'evoluzione della coscienza politica e della cultura letteraria, il progresso delle lingue, hanno trovato i loro migliori cultori negli eritrei usciti dalle scuole gestite dalla Chiesa cattolica e da altre denominazioni religiose. I loro contributi nei processi politici e nella lotta per l'indipendenza occupano un posto di eminenza nella storia di questo paese.
9. E dunque, in quale categoria di possibili e immaginabili spiegazioni inquadrare questo espropriare la Chiesa delle sue istituzioni educative, strumenti attraverso cui ha profondamente inciso nella crescita, nel progresso e nella civiltd di un intero popolo? Con quali fondamenti si di osato dichiararla, con i fatti piuttosto che con le parole, priva di ogni titolo e di ogni diritto di
rivendicazione nei riguardi di tali istituzioni? Se questo non d odio contro la fede e contro la religione, cos'altro pud essere? Togliendo i ragazzi e i giovani da strutture capaci di formarli ai supremi valori del timore di Dio e della legge morale, quali nuove generazioni si vuole preparare per il futuro di questo paese?
10. Con stretto riferimento alle scuole recentemente nazionalizzate, giustificazione del provvedimento non sono state citate dalle autorith, nd d'altronde potrebbero esserlo, nessuna trasgressione delle norme amministrative scolastiche, nessuna infrazione delle regole, nessuna inadeguatezza pedagogica o didattica, nessuna colpa per commissione o per omissione. Da sempre le nostre scuole si sono distinte per qualitd e livello, come d evidenziato dallo svolgimento delle loro quotidiane affivith, e soprattutto dal conseguimento dei migliori risultati negli esami nazionali.
In considerazione di tutto cid, ben lungi dal subire le recenti ingiustificabili alienazioni, esse i pii alti riconoscimenti e incoraggiamenti. Queste cose lo Stato le sa, e, se del caso, se ne pud sincerare riprendendo in mano i rapporti regolarmente inviati al ministero avrebbero dovuto meritare della pubblica istruzione nel corso degli anni.
11. Nella comprensione della Chiesa, d responsabilitd delle autoritd statali assicurare che tutti i cittadini trovino scuole e centri educativi all'altezza della loro missione, garantire ai ragazzi e ai giovani un insegnamento adeguato alla loro eti e alle varie fasi della loro crescita, verificare se le scuole svolgono fedelmente la loro funzione e se seguono le direttive nazionali in materia. Le stesse direttive nazionali devono essere concepite e applicate in maniera tale da essere di valido aiuto a chi ha un ruolo nello svolgimento della missione educativa, incoraggiando chi ha bisogno di incentivi, correggendo chi necessita di correzione, promuovendo la crescita delle istituzioni scolastiche statali e incentivando un'ulteriore qualificazione delf insegnamento e dei processi di ricerca e non statali in tale campo.
I diritti dei genitori e della Chiesa
12. Lo stato ha il dovere di riconoscere e rispettare i diritti universali dei genitori in materia, e questi ultimi hanno il diritto di scegliere i programmi e gli indirizzi scolastici che ritengono preferibili per i loro figli. La Chiesa stessa rivendica la libertd di offrire l'insegnamento scolastico a quanti scelgono di avvalersene. Questo diritto deve essere debitamente riconosciuto e rispettato.
13. Al di le di tutto cid, prendere risoluzioni e intraprendere azioni in qualsiasi modo lesive di questo ed altri diritti, non d accettabile, ed d soprattutto dannoso per tutti. Separando i ragazzi e i giovani dai loro genitori e dalla Chiesa, ignorando i suddetti diritti naturali e universali per "appropriarsi" di tutta la gioventi, impedendo di fatto alla societd civile e alla Chiesa di svolgere la loro missione a vantaggio degli uomini e delle donne di questo tempo e di questo paese, si finisce per restringere o rimuovere lo spazio dell'esercizio della legittima liberti e del diritto fondamentale ed universale delle persone. Quando tutto viene monopolizzato dallo Stato, allora viene negata la liberta del singolo e se ne paralizzano le attivitd. E dove la liberta e il diritto sono negati, non c'e piu spazio ne per la pace, ne per la liberta, ne per il diritto.
base a questi principi, noi, corne persone, come eritrei e come cattolici, formalmente respingiamo tutti i passi che, di tempo in tempo, vengono assunti dallo Stato contro le nostre istituzioni sociali. Ci dichiariamo non disposti a scendere a compromessosi con la violazione dei diritti e dei doveri che ci spettano come cittadini e come credenti. Non si dimentichi che, quando veniamo privati di tali diritti, il primo a divenirne vittirna sono gli uomini e le donne di questo paese, in fondo questo stessa nazione. Per le finalitd per le quali esistono, e per come hanno sempre operato e servito, le nostre istituzioni sono interamente a servizio del popolo e della nazione. Deve essere chiaro nella consapevolezza di tutti che, quando tali istituzioni vengono statalizzate e i diritti della Chiesa conculcati, i conseguenti gravissimi danni ricadranno sulle spalle dell'intero popolo e dell'intera nazione.
ln Conclusione
14. Dopo aver esplorato, seppure in minima parte, il passato e il presente della missione della Chiesa in campo educativo nel nostro paese, possiamo concludere che il consuntivo che ne emerge di segno altamente positivo e non presta il fianco a giudizi negativi.
Pertanto:
a) considerato che le azioni che si stanno assumendo ai danni delle nostre istituzioni educative e sanitarie sono contrarie ai diritti e alla legittima libertd della Chiesa, e pesantemente limitano l'esercizio dei postulati della sua fede, della sua missione e dei suoi servizi sociali, chiediamo che le recenti risoluzioni vengano rivedute e il conseguente corso d'azione tempestivamente fermato.
b) chiediamo inoltre che a tutte le istituzioni educative e sanitarie della Chiesa, in quanto legittimatemene appartenenti a noi cittadini eritrei, venga concesso di poter continuare i loro preziosie altamente apprezzati servizi al popolo.
c) In caso ci si trovasse di fronte a situazioni bisognose di correzioni o di aggiustamenti, non solo d bene, ma addirittura l'unica via praticabile, che cid awenga nel contesto di un aperto e costruttivo dialogo.
frutto la sua lunga tradizione, la sua plurisecolare esperienza, le sue energie e risorse, dare continuitd al suo servizio in campo educativo, a qualsiasi livello e di qualsivoglia genere, nel rispetto delle relative normative statali. Riteniamo lesiva della sua libertd e dei suoi diritti qualsiasi azione contraria a una tale
missione. Fintanto che non le saranno restituiti tali diritti, essa, insieme con i suoi fedeli, continuera ad elevare la sua implorante voce al Signore, cosi come non cesserir di chiedere giustizia a chi detiene il potere di amministrarla.
15. Dichiaramo altresi che d nei piani e nei propositi della Chiesa mettendo a
Che il Signore renda questa nazione un paese dove regnano la pace, la giustizia e la verita.
Gli Eparchi Cattolici
Mons. Menghisteab Tesfamariam, arcivescovo metropolita,
Mons. Thomas Osman, Eparca, Barentu.
Mons. Kidane Yebio, Eparca, Cheren.
Mons Fikremariam Hagos, Eparca, Segheneyti.

lunedì 9 settembre 2019

Eritrea: Lettera Appello al Governo Italiano


Al prof. Giusepep Conte,
presidente del Consiglio
p.c. on. Luigi Di Maio,
Ministro degli Esteri


Gentile presidente,
torniamo a scriverle, a nome dell’agenzia Habeshia, dopo la lettera-appello che le abbiamo inviato alla vigilia del suo viaggio ad Asmara, un anno fa. Un altro anno di gravi sofferenze e soprusi subiti dal popolo eritreo. E di grande delusione – l’ennesima delusione – per chi sperava che la firma del trattato di pace con l’Etiopia, dopo vent’anni di guerra, avviasse finalmente il nostro Paese sulla strada della libertà e della democrazia.
Vogliamo partire da un episodio accaduto proprio in questi giorni. Come certamente sa, il regime ha chiuso e preso possesso di sette scuola gestite da organizzazioni religiose, in maggioranza cattoliche ma anche cristiane protestanti e islamiche. Scuole completamente gratuite, frequentate dai ragazzi delle famiglie più povere ed emarginate e che operavano in diverse città, scelte con il criterio di intervenire lì dove la necessità è maggiore. Il Governo ha giustificato il provvedimento con la legge del 1995 che assegna alla esclusiva competenza dello Stato ogni forma di attività sociale e di assistenza. Ma che questa legge sia soltanto un pretesto emerge dal fatto che in realtà quegli istituti hanno operato per anni, senza che lo Stato si sia mai intromesso. C’è da credere, allora, che si tratti di una ritorsione contro la Chiesa Cattolica eritrea la quale, attraverso i suoi vescovi, ha sollecitato una concreta politica di riforme, l’attuazione della Costituzione approvata nel 1997 ma mai entrata in vigore, la convocazione di libere elezioni. 

E’ – questo delle scuole – solo l’ultimo anello di una lunga catena di vicende che dimostrano come dalla firma della pace in poi, nel luglio del 2018, in Eritrea in realtà non sia cambiato nulla. Prima ancora delle scuole, nel mese di luglio, sono stati progressivamente chiusi ben 21 ospedali o centri medici, anche questi gestiti da organizzazioni religiose, anche questi completamente gratuiti, anche questi unico, essenziale punto di riferimento per migliaia di persone delle classi più svantaggiate. Anche questi dislocati nelle zone dove sono più evidenti il bisogno, il disagio, la povertà. E queste prepotenze, pur colpendo di fatto, in primo luogo, proprio il popolo in nome del quale la dittatura dice di governare, per certi versi sono ancora il meno, perché non sono mai cessate persecuzioni molto più dirette, fatte di soppressione di ogni forma di dissenso, arresti, sparizioni forzate, carcerazioni senza alcuna accusa, galera, angherie e minacce anche nei confronti dei dissidenti della diaspora che cercano di combattere o comunque non esitano a denunciare il regime dall’esilio.
La realtà, in Eritrea, è cristallizzata a un anno e più fa: non è stato liberato uno solo delle migliaia di prigionieri politici (detenuti in condizioni inumane e quasi sempre in località segrete e inaccessibili) ma anzi altri se ne sono aggiunti; la Costituzione del 1997, “congelata” prima ancora che entrasse in vigore con il pretesto della guerra contro l’Etiopia, resta lettera morta; continua, nonostante non ci sia più neanche il pretesto del “nemico alle porte”, la militarizzazione totale della popolazione, attraverso quel servizio di leva a tempo indefinito che ha trasformato il paese una enorme caserma/prigione, fornendo al regime sia soldati in armi che manodopera a bassissimo costo per un lavoro che rasenta la schiavitù.

Che nulla sia cambiato lo dimostrano non solo le voci delle migliaia di ragazzi che continuano a scappare, svuotando l’Eritrea delle sue energie migliori, ma anche la recente relazione di Human Rights Watch e soprattutto il rapporto dell’Onu che nel luglio scorso (a un anno esatto dalla “pace”) ha confermato il mandato alla Commissione d’inchiesta sulla violazione dei diritti umani. O, peggio, se qualcosa c’è di nuovo, questo “nuovo” è solo un incredibile rafforzamento della dittatura, grazie all’apertura di credito “al buio” concessa al regime da parte della comunità internazionale e, in particolare, proprio dall’Italia, all’indomani della riconciliazione con l’Etiopia. Un rafforzamento, cioè, di quello che è il nodo cruciale: l’Eritrea è quello che è stata in tutti questi anni ed è tuttora – spingendo centinaia di migliaia di persone ad abbandonarla – non perché ci fosse la guerra con l’Etiopia, ma perché ad Asmara è al potere una delle più feroci dittature del mondo.
Un anno fa, partendo per Asmara, lei tenne più volte a sottolineare il fatto che l’Italia era il primo Stato occidentale a recarsi in visita ufficiale in Eritrea dopo la firma della pace. Una visita che – si disse – avrebbe inaugurato una sorta di “nuovo corso”. A quel suo viaggio hanno fatto seguito diverse altre importanti “aperture”, come la missione ad Asmara dell’allora viceministro degli esteri Emanuela Del Re, con al seguito decine di imprenditori italiani, o l’impego a finanziare una serie di opere e infrastrutture nel paese. Ecco, a un anno di distanza, ribadiamo con ancora più forza l’appello che le abbiamo lanciato allora. Comprendiamo bene che un Governo, uno Stato, deve avere rapporti anche con dittature come quella di Asmara. E’ nell’ordine logico della politica internazionale. Il punto, però, è “come” vengono impostati questi rapporti. Si può fare finta di nulla, chiudendo gli occhi di fronte alla realtà, in nome di interessi geostrategici ed economici. Oppure si può partire proprio da quella realtà, per impostare ed aprire i rapporti ponendo precise condizioni preliminari: tenendo ben ferma, cioè, la questione del rispetto dei diritti umani come requisito irrinunciabile e invalicabile, anteposto ad ogni altro genere di interessi.

La cosiddetta “realpolitik” liquida o addirittura bolla il tipo di scelta che suggeriamo come del tutto teorica e non percorribile. In una parola, “roba da sognatori idealisti”. Noi ci limitiamo a ricordare che le innumerevoli situazioni di crisi che stanno sconvolgendo in questi anni l’Africa e più in generale il Sud del mondo, sono quasi sempre frutto proprio della “realpolitik”. E che la vera sfida, se si vuole trovare una soluzione a queste “crisi” disastrose che alimentano la fuga di milioni di persone, è avere il coraggio di adottare una politica diversa, più vicina agli interessi veri delle popolazioni e più attenta alle realtà in cui ci si trova ad operare.
Questo discorso vale anche per l’Eritrea, dove è la “realpolitik”, appunto, a contribuire a tenere in piedi la dittatura che è al potere ormai da vent’anni, contro il suo stesso popolo. Costituendo il nuovo esecutivo, lei ha voluto precisare che sarà “un governo di svolta”. Ecco, alla luce di quello che anche in quest’ultimo anno si è rivelata l’Eritrea, chiediamo a lei e al nuovo ministro degli esteri, Luigi Di Maio, di segnare una immediata, decisa discontinuità nei rapporti stabiliti dall’Italia nei confronti di Asmara. Un cambiamento netto, anzi, l’abbandono, in buona sostanza, di quella politica di progressivo riavvicinamento e “recupero” o addirittura di rivalutazione della dittatura di Isaias Afewerki, che è iniziata sul finire del 2013 ma che ha progressivamente segnato una accelerazione negli ultimi anni, fino a raggiungere il culmine nei mesi del suo precedente Governo.

Si tratta di scegliere tra l’attuale sistema di potere e la stragrande maggioranza della popolo eritreo che ne è schiavizzato. E i popoli non dimenticano mai chi si schiera al loro fianco. Di più: con questa scelta l’Italia può lanciare un segnale importante all’Unione Europea, inaugurando e guidando un modo diverso di porsi da parte del Nord nei confronti del Sud del mondo.
Confidiamo che vorrà tener conto di queste nostre considerazioni e nel ringraziarla comunque per l’attenzione che vorrà dedicarci, le inviamo i nostri più cordiali saluti,


don Mussie Zerai
presidente dell’agenzia Habeshia