lunedì 31 maggio 2010

Immigrazione: monito Onu all'Italia Pillay, non deve essere soltanto un problema di sicurezza

(ANSA) - GINEVRA, 31 MAG - ''L'immigrazione in Italia non deve essere solo un problema di sicurezza''. Lo dice l'Alto Commissario Onu per i diritti umani, Pillay. ''Nel marzo scorso - ha aggiunto - ho condotto la mia prima visita in Italia dove ho avuto discussioni aperte con il governo sulla situazione nel Paese dei migranti, dei richiedenti asilo e dei Rom. Ho espresso preoccupazione per il fatto che siano trattati come un problema di sicurezza piuttosto che porre l'accento su una politica di integrazione''.

sabato 29 maggio 2010

IMMIGRATI: CARD.TETTAMANZI, SEMPRE PIU' PERCEPITI COME INVASORI

Gli immigrati vengono sempre piu' percepiti ''come invasori''. Lo ha detto il card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, intervenendo al Festival biblico di Vicenza. ''Nel passato il naufrago era un caso estremo di viaggiatore, colpito dalla sorte - ha detto, fra l'altro -. Nella tradizione europea, la guerra sul mare era come tutte le guerre, ma fra i comandanti dei vascelli vittoriosi esisteva l'uso di non infierire sui naufraghi e, se possibile, di aiutarli''. Dopo aver sottolineato che ''questo storico patrimonio di umanita' nella disumanita' e' sparito da poco'', Tettamanzi ha specificato che ''con la seconda guerra mondiale, la nave che e' riuscita ad affondare quella nemica, se puo' si ferma ancora a controllare se ci sono dei sopravvissuti, non per accoglierli, ma per mitragliarli''. Ed ha cosi' aggiunto: ''Oggi gli immigrati giungono per mare su imbarcazioni che sono praticamente relitti, tuttavia vengono sempre meno percepiti come viaggiatori e sempre piu' come invasori. Con la nostra immigrazione, l'Occidente che temeva di diventare apatico, dopo la fine delle ideologie e la scomparsa del muro di Berlino, ha scoperto il centro ed il motivo di una nuova politica, di una ragione per edificare nuovi muri''. Per l'arcivescovo di Milano, ''e' davvero strano che il nostro tempo tecno¬logico, tempo di viaggi interplane¬tari e di possibilita' di comunica¬zione in un certo senso infinita, segni il primato delle spese legate all'immigrazione per una realta' inventata ancor prima della scrit¬tura: il muro. Si', il muro. Il muro, che nell'antichita' era costruito per difesa, oggi e' costruito per circo¬scrivere e impedire l'accesso di coloro che abitano vicino''.

Indegni sono i respingimenti , non chi li condanna

Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione Indegni sono i respingimenti , non chi li condanna L’ASGI esprime il proprio sconcerto per la scomposta reazione del ministro degli Esteri Frattini che ha definito “indegna” la condanna dei respingimenti operati dal Governo italiano, contenuta nel rapporto annuale 2010 di Amnesty International. Nel testo del rapporto Amnesty riporta dati, fatti e precisi atti normativi e giudiziari, incluse le condanne degli organismi internazionali subite dall’Italia. Da parte di un Ministro della Repubblica ci si sarebbe atteso, dunque, un atteggiamento più attento ed equilibrato di fronte ai rilievi mossi da una delle principali organizzazioni di tutela dei diritti umani operante in tutto il mondo e la cui autorevolezza è fuori discussione. In genere gli attacchi ad Amnesty International sono portati solo da parte di regimi dittatoriali e autoritari, mentre le democrazie avanzate prendono atto e riflettono. L’ASGI, che insieme a molte altre organizzazioni ha presentato alla Commissione UE una articolata denunzia sui respingimenti realizzati dal Governo italiano, ricorda come la prassi dei respingimenti si pone in gravissima violazione delle norme internazionali a tutela dei diritti umani e in particolare del diritto d’asilo, degli obblighi di salvaguardia della vita umana in mare e delle disposizioni comunitarie sulle frontiere esterne, nonché delle norme di diritto interno. L’art. 10 della Costituzione, che il Ministro ha giurato di osservare, garantisce allo straniero il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica - e il mare territoriale ne fa parte – a qualsiasi straniero a cui nel proprio Paese non sia garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Non è un caso che proprio dopo l’attuazione dei respingimenti nel mare italo-libico il numero delle domande di asilo presentate in Italia sia drasticamente diminuito, benché ognuna di esse abbia un esito complessivamente positivo tra il 40 e il 60% dei casi. L’ASGI ricorda che su quanto avvenuto nel corso dei respingimenti sono altresì pendenti indagini da parte della magistratura e che comunque l’Italia è appena stata condannata da parte del CPT, Comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti:“ La politica italiana, consistente nell'intercettare emigranti in mare e nel costringerli a tornare in Libia o in altri paesi non europei - si legge nel rapporto - rappresenta una violazione del principio di non respingimento cui l'Italia è vincolata.”

giovedì 27 maggio 2010

COMUNICATO STAMPA: DICHIARAZIONI DEL COMITATO SCHENGEN: STUPORE DEL CONSIGLIO ITALIANO PER I RIFUGIATI

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) è sorpreso che la delegazione del Comitato Parlamentate Schengen nella sua missione in Libia non abbia cercato né un incontro con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) né con il CIR, unico ente non governativo internazionale presente in Libia e nei centri di detenzione. Con stupore il CIR ha preso atto delle odierne dichiarazioni del Presidente della Commissione Margherita Boniver e anche del Vicepresidente Ivano Strizzolo. Al CIR, che spesso fa visita insieme con il suo partner libico IOPCR nel centro di Twisha, risulta che lì vengano trattenuti in questi giorni almeno 800 immigrati e rifugiati e non “un centinaio”. Risulta anche che le condizioni molto precarie nel centro di Twisha vengano ultimamente aggravate da una presenza così massiccia di persone che si trovano lì senza limite di tempo e prospettive per il futuro. “Constatiamo che ci sono stati alcuni miglioramenti nelle condizioni di immigrati e rifugiati in Libia negli ultimi tempi, e consideriamo il fatto che delle organizzazioni come la nostra possano entrare nella maggior parte dei centri di detenzione e possano procedere ad uno screening individuale delle persone come un sostanziale passo in avanti” dichiara Christopher Hein Direttore del CIR “Ma dobbiamo notare che con la missione parlamentare si è persa una preziosa opportunità di accertare veramente le reali condizioni delle persone e di impostare programmi bilaterali che possano realmente incidere sulle condizioni di vita dei migranti nel pieno rispetto dei loro diritti ” Per ulteriori informazioni: UFFICIO STAMPA CIR - Valeria Carlini tel. 06 69200114 int. 216 E-mail: carlini@cir-onlus.org Sito www.cir-onlus.org

domenica 23 maggio 2010

Permesso di soggiorno a punti per gli stranieri: sarà espulso solo chi ne ha zero

Non scatterà subito, ma 120 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Non dovranno sottoscriverlo tutti gli immigrati, ma soltanto quelli che entreranno per la prima volta nel territorio nazionale, presentando domanda di permesso di soggiorno. Se minorenni, con l’assistenza dei genitori: il regolamento si applica infatti allo straniero di età compresa fra 16 e 65 anni. E, infine, non sarà l’incubo che molti temevano: i crediti necessari a superare la prova sono 30, ma l’espulsione scatta soltanto per chi rimane a quota 0, ma basta scegliersi un medico di base iscritto nei registri delle Asl per ottenere 4 crediti. E’ finalmente pronto il testo finale dell’accordo di integrazione, volgarmente detto “permesso a punti”, e Roberto Maroni, ministro dell’Interno, sta facendo di tutto perché il Consiglio dei ministri lo approvi nella seduta di oggi pomeriggio. O quanto meno, ne avvii la discussione. Ne è passato di tempo, infatti, da quando, il 15 luglio del 2009, l’accordo è stato approvato all’interno del cosiddetto “pacchetto sicurezza”. E’ in gioco la credibilità dell’iniziativa, che ha visto lavorare per mesi i funzionari della Presidenza del Consiglio, del ministero del Lavoro, dell’Istruzione, oltre a quelli dell’Interno, e che è stata più volte annunciata in dirittura d’arrivo. Ma vediamo cosa prevede il regolamento, che è in quindici articoli con tre allegati, e che dopo il sì del Consiglio dei ministri passerà, come Dpr, alla firma di Napolitano. Lo straniero che vuole un permesso di soggiorno di durata superiore a 1 anno, dovrà recarsi allo «sportello unico dell’immigrazione», presso la prefettura, e sottoscrivere l’impegno ad acquisire, nell’arco di due anni, un’adeguata conoscenza della lingua italiana: almeno il livello parlato “A2”, secondo la classificazione del Consiglio d’Europa, indispensabile per comunicare nella vita di tutti i giorni. Dovrà poi acquisire una conoscenza sufficiente della Costituzione e della vita civile in Italia, mandare a scuola i figli minori e sottoscrivere la Carta dei valori su cittadinanza e integrazione del 2007. Lo «sportello unico» entro un mese dalla domanda sottoporrà lo straniero a un breve corso di educazione civica, di durata da 5 a 10 ore, con test finale. Non organizzerà invece corsi di lingua, ma soltanto test: per studiare lo straniero dovrà rivolgersi, a quanto è dato capire, ad associazioni, enti locali, consigli territoriali per l’immigrazione. L’accordo di integrazione, infatti, non ha una dotazione finanziaria. Se lo straniero non riesce a raggiungere nell’arco di due anni i 30 crediti previsti (con tanto di decurtazioni, che riportiamo in altro articolo) otterrà un anno di proroga. Alla fine riceverà un attestato, e con più di 40 punti otterrà “agevolazioni per la fruizione di specifiche attività culturali e formative”. Se rimane senza attestato, con punteggio da 1 a 29, niente paura. Potrebbe solo incontrare qualche ostacolo se un giorno richiedesse il permesso permanente o carta di soggiorno, perché la legge prevede che si valuti anche l’inserimento sociale dello straniero, così come nella richiesta di cittadinanza per naturalizzazione. La lettura del testo ridimensiona anche il timore che bastasse una semplice multa di un vigile per vedersi decurtare il credito: la sanzione deve essere di almeno 10 mila euro, e bisogna attendere l’esito dell’eventuale ricorso. Curiose, poi, alcune valutazioni: appena 6 crediti per un’onorificenza, magari la medaglia d’oro per aver salvato dall’annegamento un bagnante, più o meno gli stessi previsti per la scelta del medico. Infine: ce la faranno gli sportelli unici, già oggi oberati di lavoro per il rilascio dei permessi di soggiorno, a curare la regia dell’accordo? E per fortuna che non si applica ai rinnovi. di Corrado Giustiniani Il Messaggero Ecco la tabella dei crediti e delle decurtazioni, prevista dal regolamento dell’accordo di integrazione. Conoscenza della lingua italiana. Livello A1, 14 crediti (solo lingua parlata, 10); A2, crediti 24 (solo lingua parlata, 20); 28 per il livello B1 (solo parlata, 26); superiore a B1, 30 crediti. Cultura civica italiana. Livello sufficiente, 6 crediti; buono, 9; livello elevato, 12. Istruzione per adulti. Frequenza con profitto a un corso di 80 ore, 4 crediti; di 120, 5 crediti, di 250 ore, 10, di 500, 20 crediti, un anno scolastico, 30. Istruzione tecnica superiore: 15 crediti a semestre. Corsi universitari o di alta formazione. Un anno accademico e due verifiche superate, 30 crediti, tre verifiche, 32; quattro, 36, cinque verifiche, 50 crediti. Titoli di studio con valore legale in Italia. Diploma di qualifica professionale, 35 crediti; secondaria superiore, 36, specializzazione tecnica superiore, 37; laurea, 46; laurea magistrale, 48; specializzazione, 50, dottorato di ricerca, 64 crediti. Docenza. Abilitazione alla docenza, 50 crediti; svolgimento dell’attività di docenza nelle Università italiane, 54. Corsi di integrazione linguistica e sociale. Di 80 ore, 4 crediti, 5 per 120 ore, 10 per 250, 20 crediti per 500 e 30 per 800 ore. Onoreficenze pubbliche. Della Repubblica Italiana, 6 crediti. Altre, 2 crediti. Attività imprenditoriale. Crediti 4. Scelta di un medico di base. Crediti 4. Attività di volontariato. Crediti 4. Abitazione. Contratto di affitto registrato, o di affitto, o accensione di un mutuo: crediti 6. Corsi di formazione nel paese d’origine: crediti 4. Decurtazione, reati. Condanna anche non definitiva alla pena dell’arresto fino a 3 mesi, o ammenda non inferiore a 10 mila euro: meno 3 crediti. Arresto superiore a 3 mesi, meno 5. Reclusione fino a 3 mesi o multa non inferiore a 10 mila euro, meno 8. Reclusione non inferiore a 1 anno, meno 15, a 2 anni, meno 20 e a tre, meno 25 crediti. Decurtazione, sicurezza personale. Applicazione anche non definitiva di una misura di sicurezza personale, meno 10 crediti. Decurtazione, illeciti. Sanzione pecuniaria definitiva per illeciti amministrativi e tributari non inferiori a 10 mila euro, meno 2 crediti, non inferiore a 30 mila, meno 4, a 60 mila, meno 6, e a 100 mila, meno 8 crediti.

In Italia permesso di soggiorno a punti. L'opinione dell'Azione Cattolica

Le associazioni che si occupano d’immigrati hanno dubbi sull’opportunità del permesso di soggiorno a punti varato ieri dal governo. Lo straniero, quando chiederà il permesso di soggiorno, dovrà sottoscrivere un accordo di integrazione, che prevede crediti da conseguire. Ad esempio, si acquisiscono punti se si conosce l’italiano o si ha un contratto d’affitto. Alessandro Guarasci ha sentito il parere di Cristiano Nervegna, nella segreteria dell’Azione Cattolica http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=394707

Permesso di soggiorno a punti: approvata l'ultima follia xenofoba

Alfred Breitman , 21 maggio 2010, 15:05 Politica Qualcuno spieghi in base a quale criterio il migrante può essere punito in misura gravissima (l'espulsione lo condurrà in un Paese da cui è già fuggito, quasi sempre a causa di un'emergenza umanitaria; contemporaneamente, i suoi familiari resteranno soli in Italia, esposti a qualsiasi pericolo) in base a un regolamento che non dovrebbe avere valore giuridico? Per punire le colpe ci sono già le leggi dello Stato e i tribunali: togliere ulteriori "punti-vita" diventa una condanna la cui natura sfugge al buon senso, una condanna senza diritto alla difesa e senza giudice E' stato approvato al Consiglio dei Ministri il "permesso di soggiorno a punti". Con i "punti" da assegnare e togliere agli immigrati, come facevano alcuni negrieri con gli schiavi delle piantagioni di cotone, l'Italia tocca il fondo della xenofobia. La scusa per emanare tale aborto è stata: "E' uno strumento che esiste già in Canada". Non è vero, perché il soggiorno a punti canadese, elaborato dal team del ministro per l'Immigrazione Jason Kenney dopo aver ascoltato le opinioni di tutte le ong e degli specialisti nei fenomeni dell'immigrazione e della convivenza fra etnie ospitanti e migranti, è un sistema che aiuta l'immigrato a inserirsi positivamente presso la comunità ospitante, apprendendone le leggi, le usanze, la Storia, la cultura e le caratteristiche. Il welfare canadese funziona come un orologio e chi entra nello Stato si trova davanti un percorso che lo può condurre a una piena integrazione e anche a raggiungere posizioni di grande prestigio e responsabilità. Chi invece fa fatica a comprendere il nuovo tessuto sociale, viene seguito e sostenuto; in particolare i bambini e l'uinità dela famiglia sono in cima al novero delle attenzioni da parte delle Istituzioni. In Italia avviene il contrario e manca completamente un sistema di welfare, sostituito dalla demagogia intollerante, come se i programmi di integrazione togliessero qualcosa alla cittadinanza. Il percorso a punti diventa quindi un micidiale calvario e a ogni "stazione" il migrante si trova a temere di perdere ogni diritto. Qui da noi tutto è ostile, per lo straniero. Mentre una Direttiva europea fissa a dieci anni il periodo massimo di permanenza in uno Stato per ottenere la cittadinanza, per esempio, da noi i dieci anni devono essere di residenza e le autorità controllano che tale periodo sia trascorso esaminando i certificati storici di residenza, senza tenere conto che per uno straniero, specie se povero, è quasi impossibile avere sempre casa con regolare contratto, lavoro con regolare assunzione, tessera sanitaria ecc. Ma anche nel caso miracoloso che i dieci anni siano dimostrabili, dal momento della domanda, che si può presentare solo allo scadere del decimo anno di residenza, all'accettazione della stessa passano altri quattro anni. Se si considera che durante il primo anno di permanenza nessuno ottiene la residenza, occorrono minimo 15 anni, in Italia e da nessun altra parte nel mondo, per avere la cittadinanza. Per non parlare del permesso di soggiorno, il cui rinnovo è sempre una tappa tragica per l'immigrato. Basta perdere il lavoro o non riuscire a trovare casa con affitto regolare (per gli stranieri l'abitabilità è quasi una chimera e i requisiti richiesti scoraggiano i proprietari dall'affittare loro gli appartamenti) per diventare in un amen "clandestini" e quindi, in basa alla Legge 194, criminali, soggetti a retate, arresto, detenzione fino a sei mesi nei Cie (carceri-lager per immigrati) ed espulsione. Ma torniamo ai "punti", che in Italia sono veri e propri "punti-vita", come nei giochi di ruolo e nei videogame. Qualcuno spieghi in base a quale criterio il migrante può essere punito in misura gravissima (l'espulsione lo condurrà in un Paese da cui è già fuggito, quasi sempre a causa di un'emergenza umanitaria; contemporaneamente, i suoi familiari resteranno soli in Italia, esposti a qualsiasi pericolo) in base a un regolamento che non dovrebbe avere valore giuridico? Per punire le colpe ci sono già le leggi dello Stato e i tribunali: togliere ulteriori "punti-vita" diventa una condanna la cui natura sfugge al buon senso, una condanna senza diritto alla difesa e senza giudice. Inoltre, mettere nelle mani di insegnanti di lingue (magari leghisti), vigili urbani, forza pubblica e chissà chi altri il destino di uomini, donne e bambini è una grave violazione della Costituzione e delle Carte sui diritti fondamentali. Ma vi è una cosa che va ripetuta e sottolineata mille volte: chi viene punito fino a ritrovarsi a zero punti, viene espulso e il provvedimento colpisce anche i figli (che restano senza sostegno o sono costretti a tornare in Paesi dove esiste crisi), la moglie (o il marito), le persone per cui lo straniero lavora (si pensi a una badante). Quando mogli e figli restano in Italia da soli, rimangono loro la prostituzione o la schiavitù per sopravvivere. A questo proposito, i casi di donne costrette a "prestazioni speciali" in cambio di assunzione (o di una casa con regolare contratto di affitto) sono ormai la regola, visto che il permesso di soggiorno è diventato vitale. La legislazione e i provvedimenti riguardanti l'immigrazione in Italia sono folli. Il soggiorno a punti è solo l'ultima sadica e scriteriata invenzione di un potere xenofobo, dettato nelle sue linee da puro odio razziale e da cancellare, prima che qualcuno, irresponsabilmente, lo prenda a modello fuori dall'Italia. La legge 194 sull'immigrazione sta producendo a propria volta effetti devastanti; persone lungosoggiornanti -protette da una Direttiva europea contro la discriminazione - vengono imprigionate nei terribili Cie ed espulse se perdono il permesso di soggiorno, magari dopo vent'anni che vivono qui (è successo). Certo, un giorno l'Italia si vergognerà di ciò che ora accade, ma sarebbe tempo di vergognarsi e fare qualcosa adesso, avvalendosi, per creare leggi giuste e rispettose della dignità e della vita di tutti, del patrimonio di esperienza di cui dispongono gli specialisti nel campo dei Diritti Umani, gli studiosi dell'immigrazione, del razzismo e dei fenomeni persecutori, nonché gli operatori umanitari.

Immigrati a punti

Via libera del consiglio dei ministri ad un nuovo meccanismo per permettere agli immigrati di conservare il permesso di soggiorno FLAVIA AMABILE Via libera del Consiglio dei ministri al permesso a punti per gli immigrati. Quando la novità sarà legge gli stranieri che entreranno regolarmente in Italia avranno sedici punti. Come in un videogioco per mantenere il permesso di soggiorno dovranno evitare penalità, e quindi di farsi sottrarre punti. Chi arriva a zero, infatti, viene espulso. Chi arriva a 30 vince la possibilità di stipulare l’accordo di integrazione impegnandosi a conoscere l’italiano e la Costituzione, a promuovere libertà e democrazia, e a mandare a scuola i figli se minorenni. Ancora tutto da definire, però, quali saranno gli enti certificatori che controlleranno il grado di conoscenze degli immigrati sulla lingua e sulle norme italiane. Su questo punto il governo non è riuscito a trovare un accordo e si riserva di farlo in seguito. Il meccanismo dei punteggi prevede decurtazioni in caso di condanne penali anche con sentenza non definitiva. Ed una vera e propria tabella dei crediti che possono aumentare i punti: chi conosce la sola lingua parlata ha diritto a 10 crediti, la sottoscrizione di un contratto di locazione ne vale 6, la frequenza di un anno scolastico 30. Il via libero è arrivato dopo un forte braccio di ferro in consiglio dei ministri tra le posizioni più dure sostenute dall’ala leghista del governo ma anche dal ministro Maurizio Sacconi, e un fronte più morbido guidato da Gianni Letta ma sostenuto anche dal ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna e dal sottosegretario alla Presidenza con delega per la Famiglia Carlo Giovanardi. «C’erano alcuni punti che non convincevano. Assurdo legare la permanenza di un immigrato che semmai vuole restare pochi anni al superamento di una prova di italiano. Si rischia poi di creare un meccanismo burocratico inutilmente complesso e oppressivo», avverte Giovanardi. La questione degli enti certificatori, poi. Nel testo arrivato in consiglio dei ministri si individuavano soltanto quattro università in tutt’Italia. «E’ impensabile che un immigrato si sottoponga ad un viaggio di centinaia di chilometri per sostenere un esame. Secondo me un esame simile può essere svolto senza difficoltà nelle scuole». Altre modifiche sono state sollecitate da Giorgia Meloni e Mara Carfagna. Il regolamento prevede l’obbligo dell’accordo di integrazione per chi ha un’età compresa tra i 16 e i 65 anni. Da questo impegno però, il ministro della Gioventù, ha chiesto un’esenzione per quei giovani che hanno completato il ciclo della scuola dell’obbligo, che già di per sé rappresenta un chiaro segnale di integrazione. Il ministro Carfagna, invece, ha ottenuto l’esenzione del permesso a punti per i disabili e per chi è vittima della tratta di esseri umani. «Il ministro Sacconi che pensa che l’immigrazione sia circolare, e quindi composta in gran parte da persone che restano in Italia pochi anni per poi tornare in Italia, deve sapere che con questo meccanismo che chiede una forte integrazione, finirà per dover prevedere una cittadinanza per chi resta», spiega Andrea Sarubbi, del Pd. «Con il permesso di soggiorno a punti l’integrazione diventerà una corsa ad ostacoli che penalizzerà tutti: immigrati e italiani», commenta Livia Turco, presidente del forum Immigrazione del Pd. «In Canada - sottolinea - dove vige il permesso a punti, ci sono reali politiche di ingresso regolare e di integrazione, mentre qui in Italia le amministrazioni locali sono state abbandonate di fronte alle emergenze. Insomma se proprio si deve copiare, che almeno si copi bene». «Il Pdl è sempre più marginale», è invece il commento della coordinatrice delle commissione istituzionali del Pd alla Camera, Sesa Amici, «E’ la Lega a determinare l’agenda del governo». Flavio Zanonato, sindaco di Padova e vicepresidente dell’Anci con delega all’immigrazione si dice preoccupato per «la mancanza di dotazione finanziaria che appare in palese contraddizione con quel “reciproco impegno” dei cittadini italiani e stranieri, cui la stessa norma fa correttamente riferimento nel definire i processi di integrazione. Siamo ancora una volta di fronte ad una implicità attribuzione di competenze aggiuntive senza copertura».

Amato: togliere il voto agli emigrati, darlo agli immigrati

«Con il culto dei diritti della persona che abbiamo in Italia, mi fa rabbrividire che nelle nostre carceri si possa vivere come si vive. È una negazione che non dovremmo ammettere». Lo ha detto oggi alla Spezia Giuliano Amato, professore di diritto costituzionale e due volte presidente del consiglio dei ministri, ritiratosi dal 2008 dalla politica attiva, invitato come relatore alla tre giorni spezzina di approfondimento sulla libertà e sui diritti, intitolata `Parole di Giustizia 2010´. Parlando del diritto Europeo, Amato lo ha definito una «fisarmonica che si può anche espandere, ed è compito della politica». Amato ha poi parlato di immigrazione. «Ritengo che possa essere legittima una legge che stabilisca che se sei originario dell’Italia e vivi in Argentina, avrai il passaporto ma non il diritto di voto, e se sei in Italia da cinque anni non puoi non avere il diritto di voto». «Siamo ipocriti di grandissima forza - ha spiegato - perché i nipoti di bisnonni italiani in Argentina, che non parlano italiano e vogliono solo il passaporto per girare liberamente in Europa, sono ritenuti parte della comunità politica, con diritto di voto, più ancora di chi risiede qui da oltre cinque anni ed è immigrato». «L’immigrato davvero ha gli stessi diritti del nativo bianco e cristiano? - si è domandato -. Tendenzialmente qualcuno potrebbe rispondere che spesso l’immigrato è illegale, o anche che per questo è più propenso a delinquere, e dunque probabilmente non ha gli stessi diritti per questo. Il problema sta nel riconoscimento della persona e del cittadino, due status che andrebbero avvicinati di più, a partire dalla questione del diritto di voto». Amato ha detto che, partendo dal presupposto che il cittadino è tale se paga le tasse, abbiamo «oggi una quota consistente di governati senza diritto di voto». «Da ministro - ha spiegato - ho ritenuto di dover respingere gli statuti di Comuni che avrebbero voluto far votare gli immigrati perché serviva qualcosa fra l’articolo 48 e lo statuto comunale. Sono 45 i Paesi democratici che riconoscono il diritto di voto ai non cittadini. Qui, se non sei partecipe della comunità politica, non voti».

mercoledì 19 maggio 2010

ASGI - Regolamento sul tesseramento discriminatorio verso gli stranieri con permessi di soggiorno di durata limitata:

COMUNICATO STAMPA ASGI - Regolamento sul tesseramento discriminatorio verso gli stranieri con permessi di soggiorno di durata limitata: si rispettino le decisioni del giudice. Sorprende la ricostruzione da parte della Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC) apparsa nel comunicato stampa diffuso il 18 maggio 2010 in merito alla vicenda che ha visto accolto il ricorso di un giovane calciatore togolese escluso dal tesseramento in quanto sprovvisto di un permesso di soggiorno in base alla sua durata. La vicenda aveva visto, ricordiamo, il Tribunale di Lodi accogliere il ricorso, presentato da ASGI e Lodi per Mostar ONLUS, concludendo che il regolamento del tesseramento in vigore, limitando la possibilità di svolgere l'attività sportiva dei calciatori stranieri pur regolarmente residenti in Italia, ma con permessi di soggiorno di durata limitata, costituisce una violazione del diritto anti-discriminatorio (art. 43 T.U. immigrazione, d.lgs. n. 215/2003) , condannando la FIGC al pagamento delle spese legali . Quanto affermato dalla FIGC nel comunicato stampa emesso il 18 maggio 2010, ripropone esattamente le argomentazioni che la Federazione ha presentato nel giudizio avanti il Tribunale di Lodi, le stesse che il Giudice ha ritenuto del tutto infondate. Sorprende, dunque, che la FIGC - invece di preoccuparsi dell’esecuzione immediata delle decisioni dei Giudici per far cessare immediatamente le clausole restrittive giudicate discriminatorie dunque illegittime - utilizzi i comunicati stampa come una specie di giudizio di secondo grado. In particolare è illogico sostenere che FIGC sarebbe "in attesa" dei documenti richiesti (cioè il permesso di soggiorno valido fino alla fine del campionato) perché questi documenti non esistono (il sig. Shaib come altri stranieri dispone di un permesso più breve che viene di volta in volta rinnovato). Inoltre è proprio la pretesa di una maggiore durata temporale del permesso, imposta come condizione del tesseramento, ad essere stata ritenuta ritenuto illogica e gravemente discriminatoria dal Giudice. Quanto alla richiesta di informazioni alla Federazione Togolese, forse la FIGC ignora che il Togo sia un paese ove persino i calciatori hanno subito recentemente gravissimi attentati e dove quindi la Federazione locale ha ben altre problematiche da risolvere. La mancanza di risposta non può ovviamente pregiudicare il pieno diritto di tesseramento che il Giudice ha sancito a favore del sig. Shaib . Confidiamo pertanto che la FIGC voglia fare onore al suo impegno per l'integrazione e voglia tesserare immediatamente il sig. Shaib, rimuovendo prima possibile dal proprio regolamento la previsione che il Giudice ha ritenuto discriminatoria. A.S.G.I. Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione Segreteria Organizzativa / Ufficio Stampa - Udine - tel/fax +39.0432.507115 - cell. 3470091756 - e-mail, info@asgi.it - Sede legale – Torino – via Gerdil 7 – tel/fax +39.0114369158 – e-mail, segreteria@asgi.it

martedì 18 maggio 2010

A Carzano il primo sindaco di colore della regione

Bolzano - (Adnkronos) - Carzano, paese di 500 anime in Valsugana, e' il primo comune del Trentino ad avere un sindaco di colore, o quasi, e' il 31enne Cesare Castelpietra, che, alla guida di una lista civica, ha sfidato e sconfitto Pietro Tavernar, sindaco uscente. Cesare Castelpietra, di madre eritrea e di padre trentino, e' considerato un po' un Obama trentino; laureando in legge, lavoratore con partita Iva, presta consulenze in materia di privacy. Il nonno era partito dal Trentino negli anni Trenta ed il padre e' tornato in Valsugana, per effetto del deteriorarsi della situazione in Eritrea. Volto eritreo e animo trentino, dice ''Ogni tanto all'universita' ridono quando dico: noi trentini.... Ma non ho mai avuto problemi per il colore della pelle, neppure nel cercare lavoro. Parlo dialetto trentino e mi sento di qui''. In Eritrea, ci e' tornato una sola volta per salutare i parenti di sua madre. Perche' si e' candidato? ''Il Comune e' l'istituzione democratica piu' vicina al cittadino e deve avere una maggioranza e un'opposizione. Ed eccomi qui''. Con lui, il Trentino e' divenuto un po' piu' ''globale''.

domenica 9 maggio 2010

Reportage Eritrea: la storia che nessuno vuol raccontare

Il Corno d’Africa è una delle regioni più lacerate del continente: guerre incessanti, fame, povertà… Immagini che tutti conoscono. Tuttavia, pochi sanno che l’Eritrea considera che sia possibile uscire da questo cerchio infernale, risolvere i conflitti attraverso il dialogo e raggiungere un buon livello di sviluppo. Ci sarebbe di che rallegrarsene ma, agli occhi della comunità internazionale, l’Eritrea è uno Stato paria che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha messo sul banco degli imputati. In che modo questo paese, del quale nessuno parla, minaccia le potenze occidentali? Ne parliamo con Mohamed Hassan. È l’Eritrea la fonte di tutte le violenze nel Corno d’Africa? Questo è ciò che sembra pensare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha recentemente votato sanzioni contro questo paese. In particolare, l’Eritrea è stata accusata di fornire armi ai ribelli somali. Le sanzioni sono il risultato di una campagna di menzogne che ha l’obiettivo di destabilizzare il governo eritreo. Dal 1992 vi è un embargo per la fornitura di armi alla Somalia, sul territorio sono presenti esperti internazionali per controllare la situazione e, attualmente, ogni arma ha un numero di serie che permette di seguirne le tracce. Malgrado queste disposizioni, il Consiglio di Sicurezza non ha maggiori prove del presunto traffico d’armi di quante ne avesse delle armi di distruzione di massa in Irak! In compenso, oggi come allora, c’è Washington dietro questo genere di campagna diffamatoria. L’ Eritrea è anche accusata delle tensioni con Gibuti, per dispute sui confini, a causa delle quali ci furono tensioni fra i rispettivi eserciti nel 2008. L’Eritrea mai ha manifestato la benché minima rivendicazione territoriale su Gibuti. La maggior parte delle frontiere africane, sono state tracciate dalle potenze coloniali ai tempi che furono e mai sono state messe in discussione. Gli incidenti del 2008 furono una pura invenzione del governo Bush. Tutto ebbe inizio nel mese di aprile quando il presidente eritreo, Isaias Afwerki, ricevette una telefonata dall’emiro del Qatar. Questi gli trasmetteva una lamentela del presidente di Gibuti, Ismail Omar Guelleh il quale sosteneva che l’Eritrea stesse riunendo truppe alla frontiera. Il presidente Afwerki, che non aveva dato alcuna disposizione in merito al suo esercito, fu molto sorpreso da tale affermazione che perdipiù arrivava per interposta persona e non direttamente dal suo omologo. In tutti i modi, Isaias Afwerki rispose con la proposta di un incontro con Guelleh a Gibuti, in Eritrea, o se preferiva, nel Qatar. La proposta non ebbe alcuna risposta e, una settimana dopo, l’11 giugno del 2008, soldati dell’esercito di Gibuti attaccarono le truppe eritree alla frontiera. Ci fu un breve combattimento che causò una trentina di morti e dozzine di feriti di entrambi gli Stati. Il presidente del Gibuti dichiarò immediatamente che l’Eritrea aveva attaccato il suo paese. E, con sconcertante rapidità, gli Stati Uniti emisero un comunicato condannando “l’aggressione militare dell’Eritrea contro Gibuti”. Fece eco alla condanna anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E fu solo in seguito che quest’ultimo propose di inviare una commissione di esperti per analizzare la situazione e stabilire la verità sui fatti. Perché il Consiglio di Sicurezza, mise il carro davanti ai buoi? Non c’erano tensioni pregresse fra l’Eritrea e Gibuti, i due Stati avevano sempre mantenuto buoni rapporti. La questione è che gli Stati Uniti manipolano la comunità internazionale e il Consiglio di Sicurezza per fare pressioni sull’Eritrea. Come spiega l’atteggiamento del Gibuti? Il presidente Ismail Omar Guelleh non ha appoggio sociale e si mantiene al potere solo grazie al sostegno delle potenze straniere alle quali, di conseguenza, non può rifiutare niente. Ciò spiega perché ci sono tanti soldati stranieri a Gibuti e, per esempio, gli Stati Uniti hanno una sola base in Africa ed è a Gibuti. Oltre a ciò, questo piccolo paese, ospita contingenti di altre nazioni e la maggior base francese in continente africano. Quindi Guelleh dipende completamente da Washington. Se gli Stati Uniti hanno bisogno della sua collaborazione per creare una nuova crisi nella regione, non gli resta che ubbidire. E questo modo di procedere è diventata la specialità degli Stati Uniti: fomentare problemi per poi proporsi per risolverli. Nello specifico gli USA tentano di far passare l’Eritrea per uno Stato bellicoso che sta all’origine dei problemi del Corno d’Africa. Perché gli Stati Uniti vorrebbero emarginare l’Eritrea? Il governo eritreo ha una visione del proprio paese e della regione, crede cioè che sia possibile raggiungere un buon livello di sviluppo e risolvere i conflitti con il dialogo se ci si libera delle interferenze delle potenze straniere. Se si osserva la crisi in Somalia, si vedrà che l’Eritrea ha sempre predicato di riunire tutti gli attori politici del paese attorno un tavolo per dialogare, al fine di incontrare una soluzione al conflitto e ricostruire la Somalia. A questo scopo, l’Eritrea propone anche di coinvolgere la società civile: capi religiosi ma anche donne, anziani… Riunire tutti, al di là delle separazioni, per ricostruire un paese che da vent’anni non ha un governo. Indubbiamente questo sistema sarebbe efficace per restituire la pace nel paese. Ma gli Stati Uniti, d’altro canto, hanno volontariamente mantenuto la Somalia nel caos. Nel 2007 hanno persino ordinato all’esercito etiope di attaccare Mogadiscio benché fosse tornata la pace. E alla fine l’ONU chi sanzionò se non l’Eritrea! La questione è che gli USA temono che la visione dell’Eritrea faccia proseliti nel Corno d’Africa, cosa che significherebbe la fine delle ingerenze statunitensi in questa regione strategica. Di conseguenza, Washington tenta di mettere l’Eritrea in quarantena per evitare che si propaghi il “virus”. È una tecnica collaudata dagli Usa, che peraltro ha ben studiato Noam Chomsky, il quale parla di “teoria della mela marcia”: se c’è una mela marcia nel cesto bisogna toglierla prima che contamini le altre. Questa è la ragione per la quale gli Usa hanno sempre tentato di rovesciare governi (con o senza successo): Castro a Cuba, Allende in Cile, in Laos nel 1960… Chomsky spiega che in questi casi Washington interviene con il pretesto di assicurare la “stabilità” nel mondo, quando in realtà -continua Chomsky- “stabilità” significa “sicurezza” per le multinazionali e le classi dirigenti. Dunque, per Washington l’Eritrea è la mela marcia del Corno d’Africa? Certo. Mentre il vero nemico della regione è l’imperialismo, in particolare quello statunitense. Per questo l’Eritrea desidera che i paesi del Corno d’Africa si liberino delle ingerenze delle potenze neocoloniali e sviluppino un progetto comune. Il Corno d’Africa gode di una posizione geostrategica molto importante: è connessa sia con i paesi del Golfo che con l’oceano indiano dal quale passa la maggior parte del commercio marittimo mondiale; inoltre, dispone di grandi risorse, minerali, gas, petrolio, biodiversità… Se i paesi di questa regione si liberassero del neocolonialismo e riunissero gli sforzi, riuscirebbero a uscire dalla povertà, ed è ciò a cui ambisce l’Eritrea. Mentre gli USA, se questo progetto si facesse realtà, dovrebbero rinunciare al controllo della regione strategica e rinunciare ad avere accesso alla sue materie prime, ed è questa la ragione per la quale Washington fa pressioni sul presidente Isaias Afwerki per indurlo a cambiare la sua politica. In fin dei conti l’Eritrea conquistò la propria indipendenza, attraverso lunghi combattimenti, solo nel 1993, e ancora oggi continua a lottare per proteggere la propria sovranità nazionale. L’Eritrea è il paese africano che ha impiegato più tempo per riuscire a conquistare la propria indipendenza. Ricordiamo che il paese fu colonizzato dagli italiani nel 1869. Come accadde che l’Italia, che non era un grande impero coloniale, si trovò in Eritrea? È necessario situarsi nel contesto dell’Europa del XIX secolo. Allora il vecchio continente era lo scenario di una spietata lotta fra le potenze imperialiste per il controllo delle colonie e delle loro materie prime. Esisteva già una forte rivalità fra la Francia e la Gran Bretagna. L’unificazione dell’Italia nel 1861 e successivamente quella della Germania nel 1871 fecero sorgere nuovi rivali di peso. Inoltre, il mondo capitalista conobbe una prima importante crisi nel 1873, la quale provocò il progressivo smantellamento dell’impero Ottomano e aumentò gli appetiti e le rivalità delle potenze europee. La Germania, per esempio, avrebbe voluto aprofittare dello smantellamento dell’impero Ottomano per acquisire nuove colonie. I britannici, dal canto loro, appoggiavano Istanbul per bloccare l’espansione tedesca. Fu allora che il cancelliere Bismarck decise di organizzare la Conferenza di Berlino, era il 1885. Un evento fondamentale nella storia delle colonie che fino ad allora avevano prevalentemente installato fattorie commerciali sulle coste dell’Africa. Durante la Conferenza le potenze europee progettarono di colonizzare gradualmente tutto il continente africano, in modo da evitare nuovi conflitti e rilanciare l’economia capitalista. Fu così che si misero d’accordo per spartirsi la torta africana. La strategia della Gran Bretagna fu quella di suggerire all’Italia (potenza non molto minacciosa) di istallarsi nel Corno d’Africa per bloccare l’espansione di Francia e Germania (rivali molto più temute). L’Europa si spartì l’Africa, ma all’inizio del XX secolo l’Etiopia era l’unico paese indipendente del continente, perché? È a causa di un compromesso fra francesi e britannici. I primi progettavano di espandersi da Dakar a Gibuti, gli altri ambivano a dispiegare il proprio impero da Il Cairo a Città del Capo, in Sudafrica. Se si osserva la carta geografica dell’Africa, si potrà notare che i progetti coloniali erano destinati ad uno scontro frontale. Per evitare il conflitto, che avrebbe provocato enormi perdite da entrambe le parti, la Francia e la Gran Bretagna decisero di non colonizzare l’Etiopia, ma non per questo vollero rinunciare a quel territorio. Appoggiarono e armarono Menelik II che regnava in una delle regioni più ricche dell’Etiopia che, con l’appoggio delle potenze coloniali, prese il potere in tutto il territorio etiopico, concedendo a francesi e britannici l’accesso alle risorse del suo impero. Quindi, benché l’Etiopia fosse l’unico paese a non essere colonizzato, non si può certo dire che per questo fosse indipendente. Colui che si faceva chiamare Menelik II, Negusse Negest d’Etiopia, leone conquistatore della tribù di Judah, eletto da Dio, altro non era che un agente delle potenze imperialiste, incapace di costruire uno Stato moderno. Era stato scelto soprattutto perché era un cristiano ortodosso e proveniva da una delle regioni più ricche d’Etiopia. Per questo, Menelik II si trovava alla testa di un regime minoritario in un sistema feudale nel quale la maggior parte delle nazionalità non godevano di diritto alcuno e si praticava la schiavitù. Tutto ciò creò molte diseguaglianze che a tutt’oggi perdurano in Etiopia. Mentre l’Eritrea fu colonizzata dall’Italia. Più tardi, Mussolini arrivò a dichiarare che sarebbe Stato il cuore del nuovo impero Romano. Che effetti ebbe la colonizzazione italiana in Eritrea. All’epoca l’Italia aveva una popolazione prevalentemente contadina, costretta a migrare, prevalentemente in Svizzera e Francia. La nuova colonia dell’Eritrea, con il suo paesaggio da cartolina e il suo clima gradevole, divenne un sogno per molti italiani che vi si trasferirono. I coloni si insediarono insieme ai contadini e la borghesia italiana investì molto nel paese. La situazione geografica del paese era particolarmente interessante: lunghe coste ai bordi del Mar Rosso, la vicinanza con il canale di Suez al nord e lo Stretto di Bab-el-Mandeb al sud che è uno dei corridoi di navigazione più frequentati del mondo e unisce il Mar Rosso con l’Oceano Indiano. Fu così che gli italiani svilupparono piantagioni, porti, infrastrutture… Per avere un’idea del livello di sviluppo di questa colonia, basti ricordare che gli inglesi, quando invasero l’Eritrea durante la Seconda Guerra Mondiale, smontarono le fabbriche per trasferirle nel proprio paese così com’erano! Questo sembra diverso dagli abituali saccheggi e dalle mani tagliate in Congo belga. L’Eritrea era un’eccezione nello spietato mondo del colonialismo? Ci furono molti aspetti positivi, ma non ci inganniamo, il colonialismo italiano era comunque discriminatorio e i neri non avevano i diritti dei bianchi. Di fatto, quando alla fine del XIX secolo l’Italia si appropriò dell’Eritrea e di una parte dell’attuale Somalia, cercò di continuare la sua espansione verso l’Etiopia. Ma i soldati italiani furono sconfitti da Menelik II durante la battaglia di Adua, nel 1896. Negli anni a seguire, all’interno dell’intellighenzia italiana, si sviluppò l’ideologia fascista e con essa la volontà di restituire l’onore al paese che era stato sconfitto dai neri. Perciò il colonialismo italiano fu molto razzista. La popolazione eritrea era stata integrata al progetto coloniale, ma come classe inferiore. Inotre, il razzismo del fascismo italiano (che arrivò al potere nel 1922) era diretto ai neri, non era antisemita come il razzismo tedesco. Infatti, vari ebrei lavoravano nelle organizzazioni fasciste italiane e lo stesso Mussolini aveva un’amante ebrea. Solo più tardi, verso la fine della decade degli anni ‘30, l’Italia incominciò a perseguitare gli ebrei. In primo luogo perché Mussolini si era avvicinato a Hitler e, in secondo luogo, perché il partito fascista italiano aveva necessità di un nuovo impulso e, per mobilitare la popolazione italiana, Mussolini, utilizzò come capro espiatorio la comunità ebrea. Alla fine, i fascisti italiani si presero la propria rivincita sull’Etiopia quando, nel 1935, le truppe di Mussolini invasero l’unico paese non colonizzato dell’Africa. È così, anche se l’occupazione dell’Etiopia non durò molto. Nel 1941, in piena guerra mondiale, l’esercito britannico espulse gli italiani dalla regione e gli Alleati presero il controllo del Corno d’Africa. Dopo la guerra, l’Etiopia recuperò la propria “indipendenza”, ma per l’Eritrea la sorte fu diversa. L’Unione Sovietica avrebbe voluto che questa colonia ottenesse l’indipendenza, mentre i britannici volevano dividere il paese in due, così come avevano fatto dovunque: i musulmani dovevano unirsi al Sudan e i cristiani ortodossi all’Etiopia. È interessante segnalare che la Chiesa etiope era favorevole a questa opzione e faceva pressione sui cristiani eritrei affinché la accettassero. Diceva loro che se avessero rifiutato non avrebbero, da morti, ricevuto sepoltura e quindi la loro anima non avrebbe raggiunto il paradiso. Malgrado tutto ciò, i cristiani d’Eritrea rifiutarono dato che prima di tutto si sentivano eritrei! Questo sentimento di appartenenza si spiega soprattutto perché, a differenza di altre potenze imperialiste, gli italiani avevano integrato il popolo eritreo nel progetto coloniale, senza distinzioni etniche. Ma alla fine, nessuna di queste due opzioni vinse e se ne affermò una terza, degli Stati Uniti: l’Eritrea si sarebbe dovuta integrare all’Etiopia in un sistema federale. Perché gli Stati Uniti promossero questa opzione? La posizione geografica di cui godeva, aveva conferito all’Eritrea una grande importanza agli occhi di Washington durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dagli anni ‘40 il Pentagono e le industrie di armamenti private svilupparono importanti progetti nel paese: assemblaggi di aerei, laboratori di riparazioni, una forza navale… E, soprattutto, negli anni ‘50, l’intelligence statunitense stabilì all’Asmara, la capitale, una delle basi di telecomunicazioni più importanti fuori dal proprio territorio. Allora non c’era la vigilanza via satellite come oggi e i sistemi di ascolto coprivano un raggio limitato. Dall’Eritrea si poteva controllare ciò che accadeva in Africa, in Medio Oriente, nel Golfo e persino in alcune parti dell’Unione Sovietica. Questa la ragione per la quale gli Stati Uniti vollero che l’Eritrea si unisse all’Etiopia che era un alleato di Washington. John Foster Dulles, un’eminete figura della politica statunitense, allora dirigeva l’ufficio degli Affari Esteri e, in un dibattito del Consiglio di Sicurezza, riconobbe: “Dal punto di vista della giustizia si deve tenere conto delle opinoni del popolo eritreo però, con tutti gli interessi strategici degli USA nel bacino del Mar Rosso e le considerazioni per la sicurezza e la pace nel mondo, si rende necessario che questo paese si unisca all’Etiopia nostra alleata”. Ecco come si decise la sorte dell’Eritrea con gravi conseguenze che avrebbero dato inizio alla più lunga lotta per l’indipendenza in Africa… Intervista di Grégoire Lalieu e Michel Collon a Mohamed Hassan traduzione di Marina Minicuci – Campoantimperialista.it

martedì 4 maggio 2010

Eritrea, per Rsf è "più grande prigione per i media" in Africa

di Jeremy Clarke NAIROBI (Reuters) - Il presidente Isaias Afwerki ha trasformato dal 2001 l'Eritrea nella "più grande prigione per i media", e quattro giornalisti sono morti in prigionia, secondo Reporters Senza Frontiere. In Eritrea, che Rsf classifica come il paese che viola maggiormente la libertà di stampa nel mondo, non è permessa l'esistenza di media indipendenti, e i giornali e le televisioni statali non pubblicano notizie in qualche modo critiche del governo e delle sue politiche. Il governo eritreo ha recentemente definito la libertà di stampa "incompatibile" con la cultura eritrea, anche perché lo scorso anno il presidente Isaias ha detto che nessun eritreo dovrebbe voler attaccare il suo stesso paese o avere la necessità di farlo. "Circa 30 giornalisti sono detenuti nei suoi 314 campi di prigionia e centri di detenzione. Quattro di loro sono morti per le condizioni estremamente dure di queste prigioni. Altri sono semplicemente scomparsi", ha detto Rsf in un comunicato. "Governata col pugno di ferro da una cricca di ultranazionalisti che fa capo a Afeworki, questo paese del Mar Rosso è stato trasformato in pochi anni in una grande prigione all'aperto, la più grande prigione per i media in Africa". L'Eritrea nega la presenza di campi di prigionia in aree del paese che sono precluse agli osservatori internazionali, e sostiene che i gruppi per i diritti umani inventino statistiche e aneddoti per favorire propri interessi economici in Africa. Rsf sostiene che i basilari diritti di libertà di stampa sono stati ufficialmente sospesi nel 2001, dopo che alcuni ex membri del partito al governo hanno iniziato a chiedere maggiore democrazia. "Ogni accenno di opposizione è visto come una minaccia alla sicurezza nazionale. I media privati non esistono più. Ci sono solo media di stato il cui contenuto è peggiore dell'era sovietica". Secondo quanto riportato lo scorso mese dai media svedesi, le autorità eritree hanno promesso un processo ad uno dei giornalisti arrestati nel 2001, il cittadino eritreo-svedese Dawit Isaak. Diversi gruppi umanitari e alcuni partiti di opposizione in Europa hanno chiesto la sospensione degli aiuti al paese africano. L'Eritrea è al culmine di un periodo di forte estrazione aurifera, con circa 16 diverse società che operano nello stato.

lunedì 3 maggio 2010

Fao/ Diouf: più di un miliardo di uomini soffre la fame

Necessario aumentare la produzione agricola mondiale Roma, 30 apr. (Apcom) - Il numero di coloro che soffrono la fame nel mondo "è aumentato di 105 milioni rispetto al 2008 e oggi questa cifra oltrepassa il miliardo". Lo ha detto il direttore generale della Fao, aprendo a Panama la 31esima Conferenza dell'organizzazione per l'America latina e i Caraibi. Di questo miliardo, 642 milioni vivono in Asia e nel Pacifico, 265 milioni in Africa, 42 milioni in America latina e ai Caraibi e 15 milioni nei paesi sviluppati. I paesi più toccati dalla piaga della fame sono il Congo e l'Eritrea, dove rispettivamente il 75% e il 66% degli abitanti soffrono la fame. A Haiti, il paese più flagellato del continente sudamericano e dei Caraibi, sono il 58%. La crescita della sottoalimentazione in questi ultimi tre anni si spiega, secondo il direttore della Fao, con la diminuzione degli investimenti nel settore agricolo, con il rincaro delle derrate alimentari e con la crisi economica, che dal canto suo ha determinato disoccupazione e diminuzione dei redditi. Diouf ha lanciato un appello per una "politica mondiale della sicurezza alimentare", che dovrà mettere in conto la necessità di aumentare la produzione agricola del 70% nei paesi sviluppati e del 100% in quelli in via di sviluppo, se si vorrà sfamare un popolazione mondiale che nel 2050 oltrepasserà i 9 miliardi.

Religione, Eritrea nella lista nera USA

Arabia Saudita e Cina sono tra i 13 paesi che una commissione governativa USA ha dichiarato come responsabili di gravi violazioni della libertà religiosa. La relazione ha anche criticato l'amministrazione attuale di Washington e quelle precedenti per fare troppo poco per dare una base universale al diritto alla libertà religiosa. MARCO TOSATTI Arabia Saudita e Cina sono tra i 13 paesi che una commissione governativa USA ha dichiarato come responsabili di gravi violazioni della libertà religiosa. La relazione ha anche criticato l’amministrazione attuale di Washington e quelle precedenti per fare troppo poco per dare una base universale al diritto alla libertà religiosa. Questo è l'obiettivo dell'atto del Congresso che ha fondato la Commissione statunitense sulla libertà religiosa internazionale nel 1998. La Commissione indaga sulle condizioni in quelli che chiama "hot spot", dove la libertà religiosa è messa in pericolo. Il suo compito è di raccomandare politiche al governo degli Stati Uniti per migliorare le condizioni. È un "piccolo ma estremamente importante punto d'intersezione di politica estera, di sicurezza nazionale e di standard internazionale della libertà religiosa," dice il rapporto. "Purtroppo quel piccolo punto sembra ridursi anno dopo anno per la Casa Bianca e per il Dipartimento di stato." La lista di quest'anno dei "paesi di particolare preoccupazione" ne vede 13 inclusi tutti gli otto nominati l'anno scorso, Myanmar, noto anche come Birmania; Cina; Eritrea; Iran; Corea del Nord; Arabia Saudita; Sudan; e Uzbekistan — oltre a Iraq, Nigeria, Pakistan, Turkmenistan e Vietnam. Le azioni degli Stati Uniti attualmente in vigore contro gli otto paesi dell’anno includono embarghi, spesso accumulati su sanzioni già esistenti e il rifiuto dell’'aiuto finanziario o militare. Le sanzioni sono state sospese a tempo indeterminato per l'Arabia Saudita e per l'Uzbekistan è decisa una deroga di 180 giorni, in vigore. L’amministrazione del Presidente Barack Obama ufficialmente non ha accettato le conclusioni 2009 o la definizione dei paesi specificati come violatori dei diritti religiosi. Lo stesso ha fatto l'amministrazione del Presidente George w. Bush tra novembre 2006 e gennaio 2009. Oltre ai 13 designati come i peggiori trasgressori, la relazione ha individuato 12 paesi da controllare : Afghanistan, Bielorussia, Cuba, Egitto, India, Indonesia, Laos, Russia, Somalia, Tagikistan, Turchia e Venezuela. La relazione ha descritto le violazioni della libertà religiosa in Arabia Saudita come "sistematiche, notevoli e in corso" nonostante le riforme attuate da re Abdullah. "In Cina, il governo continua a impegnarsi in notevoli e sistematiche violazioni della libertà di religione o le convinzioni personali," dice il rapporto. Ha sostenuto che "un grave deterioramento dell'anno passato, in particolare nelle zone musulmane, buddista tibetane e Uiguri." “Il governo USA deve fare di più” ha detto il Presidente della Commissione.

Eritrea, gruppi d'opposizione puntano a deporre presidente

di Jeremy Clarke NAIROBI (Reuters) - I gruppi di ribelli eritrei stanno costituendo un fronte militare unito per deporre un governo che accusano di persecuzioni su base etnica e di costituire una crescente minaccia per la stabilità regionale. Lo ha detto un leader dell'opposizione a Reuters. L'Organizzazione democratica afar del Mar Rosso (Rsado) -- uno dei molti movimenti di opposizione con base nella vicina Etiopia -- ha detto che il governo del presidente Isaias Afwerki sta prendendo di mira alcuni gruppi etnici come gli afar e dovrà fronteggiare ben preso un attacco militare. La nazione africana non permette l'esistenza di opposizioni politiche e le associazioni per i diritti umani dicono che migliaiai di prigionieri politici languono in carceri sotterranee senza nessun capo d'accusa. "Eritrei innocenti vengono cacciati come animali e questo deve finire", ha detto il leader del Rsado, Ibrahim Haron. "Negli ultimi due anni il governo eritreo ha ucciso almeno 300 innocenti di etnia afar... e centinaia di altri sono in carceri segrete o in luoghi sconosciuti", ha aggiunto Haron, che ha risposto al telefono e per mail a Reuters dall'Etiopia. Gli afar vivono principalmente nel nord dell'Etiopia, ma anche in Eritrea e a Gibuti. Non è stato possibile raggiungere il ministro dell'Informazione eritreo per un commento. Il governo sostiene che i gruppi di ribelli sono dei traditori, che hanno sminuito "la lotta": la guerra di 30 anni per l'indipendenza combattuta e vinta contro le meglio equipaggiate forze etiopiche. I ribelli hanno riconosciuto il ruolo del presidente Isaias come leader della guerriglia durante la guerra terminata nel 1991, ma ora sostengono che abbia tradito gli ideali, rifiutandosi di dividere il potere. Isaias non ha intenzione di indire elezioni o di permettere all'opposizione di fare politica nel paese. I ribelli hanno rivendicato decine di attacchi in Eritrea, ma non è possibile verificare le loro affermazioni, a causa delle severe restrizioni di viaggio nel paese. Il Rsado ha detto di avere ucciso centinaia di soldati eritrei dall'inizio del 2009. "Isaias ha rovinato il Paese. Finché il suo regime non sarà deposto, il mondo assisterà ad un'altra Somalia nel Corno d'Africa", ha detto Haron. "Lui è una minaccia per la sicurezza della regione". Nel dicembre scorso, le Nazioni unite hanno imposto delle sanzioni all'Eritrea per avere provocato disordini in Somalia e Gibuti. Il governo ha respinto le accuse e ha detto che Washington fabbrica false prove. "Sarà creato presto un fronte militare unificato... a cui seguiranno massicce azioni militari", ha detto Haron.