domenica 23 maggio 2010
Amato: togliere il voto agli emigrati, darlo agli immigrati
«Con il culto dei diritti della persona che abbiamo in Italia, mi fa rabbrividire che nelle nostre carceri si possa vivere come si vive. È una negazione che non dovremmo ammettere». Lo ha detto oggi alla Spezia Giuliano Amato, professore di diritto costituzionale e due volte presidente del consiglio dei ministri, ritiratosi dal 2008 dalla politica attiva, invitato come relatore alla tre giorni spezzina di approfondimento sulla libertà e sui diritti, intitolata `Parole di Giustizia 2010´.
Parlando del diritto Europeo, Amato lo ha definito una «fisarmonica che si può anche espandere, ed è compito della politica».
Amato ha poi parlato di immigrazione. «Ritengo che possa essere legittima una legge che stabilisca che se sei originario dell’Italia e vivi in Argentina, avrai il passaporto ma non il diritto di voto, e se sei in Italia da cinque anni non puoi non avere il diritto di voto».
«Siamo ipocriti di grandissima forza - ha spiegato - perché i nipoti di bisnonni italiani in Argentina, che non parlano italiano e vogliono solo il passaporto per girare liberamente in Europa, sono ritenuti parte della comunità politica, con diritto di voto, più ancora di chi risiede qui da oltre cinque anni ed è immigrato».
«L’immigrato davvero ha gli stessi diritti del nativo bianco e cristiano? - si è domandato -. Tendenzialmente qualcuno potrebbe rispondere che spesso l’immigrato è illegale, o anche che per questo è più propenso a delinquere, e dunque probabilmente non ha gli stessi diritti per questo. Il problema sta nel riconoscimento della persona e del cittadino, due status che andrebbero avvicinati di più, a partire dalla questione del diritto di voto».
Amato ha detto che, partendo dal presupposto che il cittadino è tale se paga le tasse, abbiamo «oggi una quota consistente di governati senza diritto di voto».
«Da ministro - ha spiegato - ho ritenuto di dover respingere gli statuti di Comuni che avrebbero voluto far votare gli immigrati perché serviva qualcosa fra l’articolo 48 e lo statuto comunale. Sono 45 i Paesi democratici che riconoscono il diritto di voto ai non cittadini. Qui, se non sei partecipe della comunità politica, non voti».
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