martedì 15 luglio 2008
Horn of Africa refugees struggle for new life in Sudan
14/07/2008 01:54 KHARTOUM, July 14 (AFP)
Zooming through the dusty streets of the Sudanese capital driving a
motor rickshaw, illegal Eritrean immigrant Ahmed Abdu waves his hand
at building sites lining the road.
"The city is growing and growing," said Abdu, a former conscript
soldier who fled to Sudan to look for work after a decade of forced
national service in his native country across the border.
"It's not easy here, but at least there are opportunities, " the
30-year-old added.
Sudan is perhaps better known worldwide for the estimated four million
internally displaced people (IDPs) within its own borders rather than
as a destination for people seeking refuge from outside.
But as many Sudanese flee the conflict in the western region of
Darfur, thousands of people from neighbouring countries are also
seeking refuge in Sudan, fleeing repression, poverty or fear of
conflict in their own countries.
There are at least 226,000 refugees in Sudan according to the United
Nations refugee agency (UNHCR) -- 157,000 of them from neighbouring
Eritrea.
Life is tough in Eritrea, a small Red Sea state whose young people are
swallowed up in decades-long national service because of years of
stalemate with arch-foe Ethiopia since all-out war between the two
ended in 2000.
Eritrean border guards operate a shoot-to-kill policy along the
frontier, but some 15,000 Eritreans still managed to flee to Sudan
last year alone, according to UN estimates.
"I'm not expecting big money because Khartoum is so expensive," said
Abraham Ghebreselassie, once a teacher in an Eritrean military
training camp and now a painter and decorator.
"But at least now I have the opportunity to earn my own money,"
something he said was "impossible" when he was in the Eritrean army.
Many refugee communities are well-established in Sudan, where for
decades people have sought shelter from conflicts in their own
nations.
Others are attracted by the rapid growth of Khartoum since Sudan began
exporting oil in 1999. The capital now hosts at least 30,000 refugees.
While most of Sudan remains poor and chronically under-developed,
Khartoum has a fast-growing economy backed by billions of dollars of
rising oil revenue.
-- 'It's so expensive here and so many are looking for work' --
Despite strict trade sanctions imposed by the United States, Khartoum
is enjoying an infrastructure and housing construction boom fuelled by
investment from China, Malaysia, India and the Gulf.
Those coming to Khartoum dream of jobs in expensive hotels and top-end
restaurants serving the growing number of business consultants, oil
workers, foreign investors and an army of international aid workers.
But they have to compete with an estimated 1.2 million Sudanese IDPs
who are also trying to earn a living in the baking heat of Khartoum,
where the summer temperature can exceed 45 degrees Celsius (113
degrees Fahrenheit).
Earnings are basic and living standards often extremely low for many,
but Sudan can still offer better opportunities than back home.
Haile Tesfay, an Ethiopian, works as a cleaner and driver in Khartoum
and earns around 300 Sudanese pounds (150 dollars, 96 euros) a month.
It is a small salary in a high-price capital, but he counts himself
lucky to have regular employment.
"It is so expensive here and there are so many looking for work," he said.
Life is hard and the impact of the fast-growing economy is trickling
down slowly to ordinary Sudanese, let alone those new to the country.
Many of the illegals have already spent their life savings on large
fees to smugglers to ensure they reach Khartoum safely.
"I walked eight days from Eritrea to reach Sudan," Ghebreselassie
said. "I served a decade in the army and the life was terrible. I had
to get out when I had a chance," he added.
Some say they plan to use Sudan as a stepping stone for onward travel
north to Egypt and from there to Europe or Israel.
"I was arrested for a month when I arrived," Ghebreselassie added. "I
didn't come to Sudan for money, but because I couldn't live any longer
in Eritrea."
Clampdowns by police have left many people fearful, however, and
regular arrests are made to smash what Sudanese security forces say
are well-organised smuggling rings.
The United Nations is therefore working on a "major registration
programme" with the Khartoum government to clarify the legal status of
those living in the country illegally, UNHCR spokeswoman Fatoumata
Sinkoun Kabasaid said.
"It's important to do because they are subject to arrest if they don't
have the proper documentation, " she added.
Eritreans previously repatriated by force have been jailed in tough
punishment camps under brutal conditions, human rights groups say.
On the streets of Khartoum, Abdu says he wants only to be allowed to
make a living in peace.
"I have only the small wish to earn enough to live, eat and to provide
for when I have a family," he said.
Eritrea: un Paese alla deriva (Nigrizia)
Un grido di dolore per una nazione che è ormai al collasso.
Pubblichiamo alcuni stralci di un toccante testo che ci arriva
dall'Eritrea, comprese due brevi testimonianze, raccolte dall'autore.
Tutti i nomi, compreso quello dell'autore, sono fittizi.
Hayat, 21 anni . Mi sono rifiutata di fare il servizio militare. Le
mie amiche mi avevano raccontato i problemi che le ragazze devono
affrontano: lavori pesanti, molestie sessuali, violenza,
discriminazione.
Il mio fidanzato si trova in Norvegia e mi chiese di andare a
Khartoum.' ci avrebbe pensato lui a prepararmi i documenti.
Riuscii a falsificare la mia carta d'identità e un permesso di viaggio
fino a Tesenei, al confine con il Sudan. Mi costarono $1500.
Sfortunatamente al posto di blocco di Tesenei fui arrestata e messa in
prigione. Restai per due mesi in una cella dove fui picchiata
quotidianamente. Mi chiedevano di rivelare i complici che mi avevano
aiutata a falsificare i documenti. Ero picchiata quotidianamente con
bastoni e una frusta di cuoio. Tre volte hanno messo una candela
accesa sotto la mia vagina per ottenere la confessione.
Dopo due mesi, quando mi fecero passare in una piccolo stanza con
altre 10 ragazze, mi sentii meglio. Dopo una settimana
confidenzialmente venni a sapere che due delle ragazze erano spie
governative. Ci davano una tazza di tè e una zuppa di lenticchie al
giorno. Dopo altri 5 mesi fui trasferita a Wia, un posto malfamato
vicino a Massawa, per addestramento militare. Vi restai per altri 12
mesi in condizioni severe, dure. Alla fine tomai a casa. La dottoressa
mi disse che, a causa dei colpi ricevuti ho bisogno di un immediate
intervento chirurgico al seno destro e aggiunse che dubita che io
possa avere dei bambini. Mi hanno rovinato la vita... (e scoppia in un
pianto dirotto).
Agos, 31 anni. A Debre Zeit, in Etiopia, ho completato i miei studi di
ingegnere meccanico aeronautico. Ho poi lavorato all'aeroporto di
Addis per 5 anni. Quando scoppiò la guerra dei confini sono stato
deportato dall'Etiopia in Eritrea. Mio padre, che era un etiopico,
morì nel 1989. Ad Addis lasciai mia madre, due sorelle e la mia
fidanzata. Quando raggiunsi Asmara andai da mio zio, felice d'essere
ritornato in un' Eritrea indipendente.
Dopo una settimana mi recai all'aeroporto dell'Asmara per cercare
lavoro. Mi dissero di tornare dopo una settimana. Al mio ritorno
trovai una macchina ad aspettarmi che mi portò in prigione per ragioni
totalmente sconosciute. Per tre mesi restai confinato in una cella.
Non subii alcun interrogatorio. Poi mi misero assieme ad altri e vi
rimasi per altri 18 mesi. Ancora nessun interrogatorio. Un giorno
venne un ufficiale che mi disse di tornare a casa e mi ordinò dì non
rivelare ad alcuno quello che era accaduto. Quando osai chiedere
perché ero stato arrestato, mi fece riportare in prigione. Vi rimasi
per altri 45 giorni. Quando fui liberato, mi fu dato lo stesso
avvertimento. Io non aprii bocca e tomai da mio zio. Non conosco
ancora il mio crimine. Ho perso la mia famiglia, ho perso il mio
lavoro e desidero solamente ritornare ad Addis dove sono nato.
Lo smantellamento di un paese pieno di promesse
L'Eritrea è un paese senza peso nelle relazioni internazionali.
Sorprende tuttavia per le sue assurdità, le sue contraddizioni e le
sofferenze che vengono inflitte al suo popolo.
Ed è capitato proprio a me, un eritreo della diaspora. Sono rientrato
in Eritrea dopo dieci anni e sono rimasto scioccato dagli stenti e
dagli abusi a cui il popolo è sottomesso. Noi, eritrei in diaspora,
veniamo a conoscere solamente i grandi eventi dalle prime pagine
dell'opposizione. Quello che invece rende impossibile la vita al
popolo sono gli abusi quotidiani del partito che è al potere, e che i
media internazionali considerano semplicemente parte di una routine.
Durante la mia permanenza nel paese mi domandavo spesso se in Eritrea
c'è un governo o è solo un individuo che lo amministra come proprietà
privata. È ridicolo che un paese riconosciuto dalla comunità
internazionale e membro delle Nazioni Unite, possa trasgredire leggi
impunemente e commettere simili abusi. Come è possibile che ufficiali
governativi possano rispondere, come è capitato a me: "Queste sono le
nostre leggi; gli altri paesi non ci interessano" . E magari il
giorno dopo fanno il contrario. Non sono ne un politico ne un
giornalista, ma un eritreo della diaspora che ha a cuore il suo paese
e la sua gente; vorrei vedere posta la parola fine alle sue
sofferenze. Scrivo solo per aiutare a creare un'opinione pubblica che
faccia pressione per un cambiamento nel paese. Il popolo ha sofferto
abbastanza. E questa situazione è tanto più dolorosa perché è
provocata da quei fratelli e sorelle che abbiamo aiutato a raggiungere
l'indipendenza. E' un fatto: il partito di Isaiah Afeworki ha ridotto
la nazione alla schiavitù, a uno stato di terrore e di lutto.
Una nazione che non c'è più
Distribuzione di cibo in un campo profughi
Dal 1998 il popolo eritreo assiste, con disappunto e impotenza, a un
graduale ma percepibile annientamento del suo paese. Il governo
approfittò del conflitto sui confini con l'Etiopia per bloccare il
commercio privato, paralizzare il libero mercato e ogni forma di
proprietà privata. Industrie fiorenti, fabbriche, compagnie
commerciali ed edili sono ridotte alla paralisi. E' stato tolto il
permesso di operare anche alle compagnie di importazione ed
esportazione. E' deprimente girare per la capitale Asmara e trovare
praticamente vuoti botteghe e magazzini che una volta conoscevano
l'abbondanza. Le aziende che hanno il permesso di funzionare sono solo
quelle che appartengono alla Corporazione del Mar Rosso, la sezione
economica del partito. Ma Corporazione del Mar Rosso, che ambiva di
sostituire le industrie private e di assorbire la domanda di mercato,
ha fallito nel suo obbiettivo di assicurare i beni di consumo
sufficienti a soddisfare la domanda. Il risultato è evidente: penuria
di pane, zucchero, olio, benzina, medicine, bevande d'ogni tipo,
cereali, apparecchi elettronici, ecc. (...)
Per il popolo i beni di consumo scarseggiano; però farina, olio da
cucina, zucchero, materiale elettronico, pezzi di ricambio per
macchine, ecc. sono importati a basso costo dal governo e venduti in
dollari a una tribù nomade del Sudan, i Rashaida, in un posto di
confine chiamato Togolit o Transit. Si tratta di un vergognoso mercato
nero che avviene a cielo aperto. (...)
E' scioccante pure l'esistenza di una piantagione di chat, foglie di
droga, illegale quindi ma appartenente al governo, nella zona di
Anagule e Fagena, sulla strada per Filfìl-Solomuna. Questo scandalo
venne alla luce solo nei mesi scorsi, ma iniziò ben quattro anni fa.
Uno dei proprietari terrieri che vi coltivava il caffè mi confidò che
dovette abbandonare la sua terra senza spiegazioni e senza compensi.
(…) I signori del partito e gli ufficiali dell'esercito, approfittando
della situazione, vivono nell'abbondanza dentro le loro ville. Mi è
stato detto di giovani del servizio civile che sono stati impiegati a
costruire, gratis, ville e agenzie di commercio per i membri del
partito e dell'esercito. Non c'è da meravigliarsi della corruzione in
un paese come l'Eritrea, dove non esistono leggi, se non quelle che
servono alla classe nel potere. La gente si domanda: dov'è finita la
promessa d'uno splendido futuro? Dov'è la libertà per cui si è versato
tanto sangue? Che tipo d'indipendenza ci è data dopo un'attesa di 30
anni?
(...)
Comunicazione sotto controllo
Il quadro politico e' scoraggiante. La situazione cominciò a
peggiorare nel 2000 durante e dopo il terzo periodo di ostilità con
l'Etiopia. Il 18 settembre 2001, il giorno che i Gì 5 furono
arrestati, la radio annunciò la chiusura della stampa privata: non
restarono che i mass media dello stato, un quotidiano in tigrino, un
settimanale in inglese, una stazione radio in FM e due canali di
televisione.
Trasmettono ciascuna in lingua diversa, ma il loro contenuto è
identico, letteralmente. Una volta ascoltata la radio, tutti gli altri
mezzi sono superflui. ERINA, l'Agenzia Eritrea di Notizie, esercita un
totale controllo sulle trasmissioni. Non c'è confronto con nessun
altro paese africano dove pullulano giornali, radio FM e stazioni TV.
Il partito al potere non si e' mai atteggiato a campione dei diritti
umani, ma la situazione in questo campo divenne insostenibile
all'inizio dell'ultima decada. Arresti arbitrari, imprigionamento
senza accusa, torture sono all'ordine del giorno. I metodi di tortura
sono stati rivelati da chi è stato liberato o è riuscito ad evadere.
Si tratta di testimonianze raccolte nel paese o all'estero. Awate.
com, sito dell'opposizione, parla di 12 metodi di tortura usati dal
partito di Isaiah Afeworki: una tortura allo stile cinese riservata ai
sospetti politici, ai dissidenti religiosi e ai giovani che tentano di
fuggire dal paese.
La cosa peggiore è che non si sa dove vengano rinchiusi gli arrestati,
per cui familiari e amici non possono contattarli nemmeno in caso di
malattia o d'altre necessità. Non possono difendersi ne' avere un
avvocato. Viene loro tolto ogni accesso al mondo esterno. A chi è
accusato di crimini comuni può anche essere permesso di incontrare i
propri famigliari, ma mai ai prigionieri politici.
Ci sono centinaia di agenti segreti che operano nel paese sotto la
direzione di Abraham Kassa, membro influente del politburo. Come uno
arriva nel paese, familiari e amici lo mettono in guardia dal parlare
della situazione con qualsiasi persona. La paura dell'arresto è il
sentimento predominante. Vengono incarcerati e multati di $2500 anche
i genitori di giovani che fuggono dal paese. E, con un salario mensile
di $20, questi non potranno mai pagare. In questo caso uno dei
genitori viene arrestato e alla famiglia viene negata la razione
mensile di alimenti, l'uso del telefono, il passaporto, il documento
di viaggio, ecc.
Il governo attuale e' riuscito ad isolare il paese dal resto del
mondo. I rari turisti non possono circolare per il paese senza un
permesso. Vaste zone, soprattutto nei pressi delle frontiere con
l'Etiopia, sono chiuse agli stranieri. Non ci sono i giornalisti
stranieri che risiedano nel paese. Nel novembre scorso, il mondo
ricevette come uno shoc l'espulsione di 13 missionari cattolici,
religiosi che avevano insegnato nelle scuole, nutrito e curato la
gente per molti anni. La loro presenza fu percepita come una minaccia
per il governo. La ragione ufficiale fu che scadeva il permesso di
soggiorno. Ma tutti sanno che fu una mossa per isolare e neutralizzare
la chiesa cattolica, che ha un potere effettivo e una voce libera e
chiara. Il governo favorisce le chiese nazionali, che non hanno legami
esterni e si sente minacciato dalla Chiese che hanno contatti esterni
come lo è il Vaticano per i cattolici.
(…) La carta d'identità non basta nemmeno per spostarsi all'interno
del paese. "Siamo prigionieri in casa nostra", mi disse una signora.
Le vittime di questa realtà sono soprattutto i giovani che sono
confinati nei campi, nei collegi militari o nelle loro famiglie. Il
governo vuole sapere dove si trovano. Non hanno libertà di movimento.
Ordigni ritrovati sul territorio eritreo dopo il conflitto con
l'Etiopia. Le tensioni con Addis Abeba restano alte.
Ecco l'assurda realtà di ogni eritreo. Il governo si nasconde dietro
la scusa del "conflitto di confine con l'Etiopia" e della politica
pro-etiopica degli Stati Uniti. Ripete che occorre pazienza perché la
causa delle difficoltà attuali sta appunto in questo conflitto. Ma la
retorica è troppo ovvia. Il popolo intuisce che le vere cause stanno
nell'agenda segreta del partito. Ma ciò che più offende la gente sono
le altisonanti dichiarazioni e interviste del presidente e di alti
funzionari del partito che sostengono che il paese è prospero e il
futuro roseo.
Arrivano perfino a dire che l'Eritrea sta raggiungendo
l'autosufficienza alimentare, mentre al popolo manca di pane e dei
prodotti di prima necessità.
Larghe porzioni del paese hanno visto il governo razziare granturco,
sorgo, frumento, con la promessa di un rimborso in denaro o in
mashella, durra. Che io sappia nessuno è stato rimborsato. Nei pressi
di Keren la gente non poteva vendere liberamente al mercato prodotti
come arachidi e sesamo. Il tutto veniva comperato dal governo a metà
prezzo. Per questo gli anziani definirono il governo di Afeworki
shifta, bandito.
(…)
E' legittimo questo governo?
Questo governo non e' mai stato eletto. Il popolo fu invitato a votare
solo in occasione del referendum per l'indipendenza nel 1993. Da
allora non è stata organizzata nessuna elezione politica. Fu il
partito a eleggere il presidente Isaiah non il popolo.
Ha ragione quindi la gente di concludere che questo governo non ha
legalità ne giuridica ne morale.
Dopo l'indipendenza, la pressione per costruire un paese democratico,
tenere libere elezioni con sistema multipartitico obbligarono il
partito a creare la Commissione Costituzionale che nel 1997 stese una
Costituzione moderna e apprezzata. Ma con la scusa la guerra di
confine con l'Etiopia questa costituzione è rimasta lettera morta. E
con questo si raggiunse il colmo della contraddizione: poco a poco il
potere legislativo eletto dal popolo fu eliminato ed oggi in Eritrea
il potere legislativo, esecutivo e giudiziario sono un tutt'uno.
Importanti affermazioni della costituzione, mai ratificata, danno
risposta alla domanda.
Il Paragrafo 8 afferma: "Noi, popolo eritreo... desideriamo che la
costituzione che stiamo adottando possa divenire un'alleanza tra noi e
il governo che verrà formato secondo la nostra libera volontà. Essa
dovrà servire come mezzo per governare in armonia questa e le
generazioni future e per creare una giustizia e una pace che siano
fondate sulla democrazia, l'unita' nazionale e la legge". A questo si
aggiunge quanto dichiara il Paragrafo 9: "Oggi 23 maggio 1997, data
storica, dopo una partecipazione popolare attiva e l'opera
dell'Assemblea Costituente, approviamo e ratifichiamo solennemente
questa Costituzione, legge fondamentale del nostro Sovrano e
Indipendente Stato dell'Eritrea" .
Infine due articoli dichiarano implicitamente l'illegittimità del
governo e dello stesso Isaiah Afeworki. "La costituzione proclama i
principi su cui lo stato e' basato e da cui sarà guidato e determina
l'organizzazione e l'azione del governo. E' la sorgente della
legittimità governativa. .." (N° 2.2). "Questa costituzione e' la legge
suprema del paese e la fonte di tutte le leggi dello Stato, e tutte le
leggi, ordini e atti contrari alla lettera e al suo spirito devono
esser considerate senza valore legale" (N° 2.3).
(…) Se il partito al potere credesse nella costituzione ne
rispetterebbe almeno lo spirito.
Esperti di legge internazionale e di scienze politiche, inoltre,
affermano che l'attuale governo dell'Eritrea si è messo
automaticamente fuori dalla legge per i numerosi abusi commessi contro
i diritti umani. La awate.com, web site dell'opposizione, ha redatto
una lista di individui "ricercati" nell'Eritrea del dopo Isaiah. Sono
persone che dovranno rispondere per crimini contro l'umanità, primo
fra tutti lo stesso presidente. Se ne parla oramai anche tra la gente.
Gli anziani, stanchi di questo governo, parlano di un tribunale
popolare, secondo la cultura del paese, per tutti coloro che hanno
inflitto grandi sofferenze al paese. Tutti s'aspettano che questa
situazione di paura, oppressione e dittatura d'un despota finisca e
già si parla e si pianifica il dopo Isaiah.
martedì 8 luglio 2008
Eritreans urge AU to stop Egypt, Libya deportations
Mon 7 Jul 2008, 10:44 GMT
[-] Text [+] By Tsegaye Tadesse
ADDIS ABABA, July 7 (Reuters) - Hundreds of Eritrean refugees marched in Addis Ababa on Monday demanding the African Union (AU) stop Egypt and Libya deporting Eritreans who they said faced possible execution if sent home.
Egypt deported up to 1,000 Eritrean asylum seekers last month in its biggest forced return of probable refugees for decades, despite activists' concern they might face torture.
Waving Eritrean flags, a group of about 500 Eritrean refugees marched through pouring rain to the Egyptian, Libyan and U.S. embassies in the Ethiopian capital Addis Ababa, headquarters of the African Union.
Organisers said they would deliver a petition to the AU Commission chairman Jean Ping.
A copy of the petition seen by Reuters said the demonstrators had been told by human rights groups that "within a few days" Libya would also begin the forced deportation of some 500 Eritrean refugees it had detained.
"If these Eritreans are returned they will be tortured, sent to prison and some may even be executed," it said.
Egypt has harboured tens of thousands of African migrants in its territory, but its attitude changed in recent months after it came under pressure to halt rising numbers of Africans crossing its sensitive border with Israel.
At an AU summit in Egypt last week, the head of the U.N. refugee agency said his organisation was having talks with Egyptian authorities about the deportations.
Egypt has denied the UNHCR access to detained Eritreans since February, although the agency saw 140 of them following international pressure. UNHCR has asked Egypt for information on the location and fate of 1,400 Eritreans. (Writing by Daniel Wallis; Editing by Bate Felix) (For full Reuters Africa coverage and to have your say on the top issues, visit http://africa.reuters.com/)
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