“DOV’ E’ TUO FRATELLO?”
Gen 4,9
Lettera
Pastorale dei Vescovi Cattolici dell’ Eritrea
(Traduzione
dall’originale in lingua tigrina)
Asmara,
Pasqua di Risurrezione, 2014
“DOV’ E’ TUO FRATELLO?”
Gen. 3,9
Saluto
1. “Ai nostri veri
figli nella fede” e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, “grazia,
misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro” (1Tim 1,2). In questo tempo pasquale in
cui Cristo ha vinto il peccato e la morte, è nostro sincero augurio che tutti
voi rivestiate la pienezza della sapienza e dell’ intelligenza che Egli ha
abbondantemente riversato su di noi (cf. Ef
5, 8-9).
Diletti fratelli e
sorelle in Cristo, la fede non è solo “fondamento delle cose che si sperano e
prova di quelle che non si vedono”, ma tramite essa “noi sappiamo che i mondi
furono formati dalla parola di Dio” (Eb
11,1-3) e alla sua luce comprendiamo il significato vero degli eventi che si
verificano in questo mondo. Animati da questa fede, vi indirizziamo la presente
lettera pastorale.
Scopo
2. In questi
tempi in cui numerosi uomini e donne, ingannati da un’erronea comprensione del
progresso, si allontanano sempre più dalla fede, “ringraziamo sempre Dio per
tutti voi, ricordandovi nelle nostre
preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno
nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante
speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1Tes
1,3). L’anno
delle fede che si è appena concluso ci ha aiutato a far “brillare la fede
all’interno dell’esperienza umana, percorrendo così le vie dell’uomo
contemporaneo. In questo modo è apparso come la fede arricchisce l’esistenza
umana in tutte le sue dimensioni” (Lumen Fidei[1]
5).
Abbiamo avuto la grazia di iniziare quest’ anno della fede con grande
entusiasmo, di viverlo riflettendo sul nostro cammino spirituale, pregando e lodando
il nome del Signore e compiendo opere di penitenza. All’ interno di esso abbiamo
avuto il dono della nuova Eparchia di Segheneiti, compenso alla grande fede dei
nostri padri. Per tutto ciò eleviamo coralmente il nostro inno di
ringraziamento al Signore.
3. Il Sommo Pontefice emerito Benedetto XVI, nel Motu Proprio Porta Fidei[2],
ha offerto ispirate indicazioni a tutta la Chiesa e a noi pastori di anime, con
particolare riferimento ai tempi in cui viviamo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i pastori in essa,
come Cristo devono mettersi in cammino per condurre gli uomini fuori dal
deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio,
verso Colui che ci dona la vita in pienezza. Capita ormai non di rado che i
cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali
e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un
presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo
non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era
possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo
richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra
più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi
di fede che ha toccato molte persone” (PF,
2).
4. E’ precisamente per
invitarci a rimanere saldi nella fede in questi tempi di grave crisi che
Benedetto XVI ha indetto l’ anno della fede. Come l’ apostolo Paolo esortava il
discepolo Timoteo a “cercare la fede” (cf. 2Tm 2,22) con la stessa costanza
di quando era ragazzo (cf. 2Tm 3,15), anche noi, pastori della Chiesa di
Dio che è in Eritrea, sentiamo il dovere di vigilare affinché “nessuno diventi
pigro nella fede” (PF 15).
Cari Fratelli e
sorelle, nell’ assicurarvi che abbiamo pregato per voi “che non venga meno la
vostra fede” (Lc 22,32), sentiamo indirizzata
anche a noi l’esortazione che Gesù rivolse a Pietro a confermare i fratelli
nella fede. Da parte sua, il Santo Padre Francesco, nell’ Esortazione Apostolica
Evagelii Gaudium[3],
ci ha ricordato che l’ interrogativo di Dio «dov’è
tuo fratello?» (Gen 4,9) interpella anche ciascuno di noi. Pertanto, vi scriviamo la presente lettera nell’
intento di farci carico dei problemi e delle sofferenze dei nostri fratelli, di
sperimentare “la grande gioia del credere” (EG
5) e di “ravvivare la percezione dell’ampiezza di orizzonti che la fede
dischiude, per confessarla nella sua unità e integrità, fedeli alla memoria del
Signore, sostenuti dalla sua presenza e dall’azione dello Spirito Santo”(Ibid.).
PARTE I
CHIUSURA DELL’ ANNO DELLA FEDE
5. Le iniziative dell’ anno della fede si proponevano di risvegliare in
noi il desiderio di intraprendere un rinnovato camino nella vita della fede. In
tale prospettiva, la chiusura di tale anno fu non tanto un punto d’arrivo,
quanto un punto di partenza verso un orizzonte di vita e di fede al quale ci
incamminiamo premuniti dei frutti di cui ci hanno arricchito le celebrazioni
giubilari.
Dobbiamo riscoprire quale e quanta gioia infonde le fede, quale e
quanta differenza corre fra chi crede e chi non crede, quale privilegio e quale
predilezione divina comporta il dono della fede, quale e quanta privazione
significa la mancanza o la perdita della fede. Senza questo dono l’ uomo perde
ogni senso di orientamento e cammina fra le vicende di questa vita come in un
oceano senza traguardi, privo di una chiave per comprendere la propria origine
e il proprio fine. Tutto, per lui, si
riduce entro gli angusti limiti del puro caso. Per l’ uomo della fede, al
contrario, Dio è il senso primo ed ultimo della creazione e del mondo, frutto
della sua paterna tenerezza e provvidenza, che ci chiama ad essere
corresponsabili del perfezionamento delle realtà create.
6. Senza la fede, il dolore e l’ ingiustizia non hanno né un senso, né uno
sbocco. Con la fede, Dio ci si propone come Colui “che tergerà ogni lacrima” (Ap 21,4) dai volti dei sofferenti e dei
perseguitati” e ci dona la certezza che “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (Lc 3,6). Senza la fede, anche le
migliori esperienze dell’ esistenza umana –
la vita, l’ amore, la concordia, la pietà, l’ aiuto reciproco, la bontà
– sono incapaci di superare i limiti della finitudine umana. Con la fede esse
diventano come l’ inizio dell’ eternità. Con la fede, Dio buono e provvidente è
al centro dell’ origine e del compimento di ogni esperienza positiva e di ogni
valore; tutto quanto compiamo ha in Cristo “l’ iniziatore e il perfezionatore
di ogni cosa buona” (Eb 12,2). Senza la fede, la morte è la fine di ogni
cosa e l’esaurimento definitivo di tutti i rapporti. Con la fede, essa è il
passaggio dal percorso terreno all’ inizio della pienezza in Dio e alla
restaurazione della comunione con chi ci ha preceduti nel cammino della vita.
7. Senza la fede, il mondo è solo un semplice prodotto del caso, la
nostra vita un fuscello in balia delle forze della negatività, e il nostro
destino una condanna al nulla. Nella fede in Dio, scopriamo le nostre radici
nella sua bontà creatrice, recuperiamo le ragioni della fraternità che ci lega vicendevolmente
e puntiamo lo sguardo verso il nostro ultimo approdo in Lui; la vita, per
quanto carica di problemi e di sofferenze, viene ancorata nelle certezze che
Dio ci garantisce. Tutto quanto “non viene raddolcito da Cristo è sempre aspro
e amaro” (S. Bernardo). La fede in Colui che è “ la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) illumina e guida la nostra
esistenza. Senza di essa ci si smarrisce nelle tenebre: “se non crederete, non
avrete stabilità” (Is 7,9).
8. L’ affermazione che la nostra fede “è la vittoria che ha sconfitto
il mondo” (1Gv. 5,4) non implica odio
o disprezzo per il mondo, ma un invito a sconfiggere la superbia, la malizia, l’
odio, il peccato, e a superare i limiti delle realtà terrestri verso una
profonda comunione con il Signore, verso la pienezza della vita e della gioia.
E’ nella fede che nell’ uomo emerge la sua somiglianza con Dio. E’ in essa che
gli uomini si riscoprono figli di un unico Padre e perciò fratelli gli uni
degli altri, pronti a farsi carico gli uni degli altri. Infatti, Dio, che “ha
creato l’uomo per l’ immortalità e lo fece a immagine della sua natura” (Sap 2,23), non smette mai di
interrogarlo: “dov’è tuo fratello?”
“L' uomo, sollecitato
incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto
indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo l'esperienza
dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri. L'uomo,
infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il
significato della sua vita, della sua attività e della sua morte” (Gaudium et Spes[4] 41). Come ci ha ricordato
il Sommo Pontefice Francesco “non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non
conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni.
Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più
facile trovare il senso di ogni cosa” (EG
266).
9. La Chiesa, la cui missione è di illuminare le realtà terrestri con
la parola del Vangelo (cf Apostolicam
Actuositatem[5]
5), insegna che “la luce
della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo… La fede non è luce
che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri
passi, e questo basta per il cammino… All’uomo che soffre, Dio non dona un
ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una
presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di
sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto
condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa
la luce” (EG 57). E’ in questo
contesto che la Chiesa ci invita a raccogliere la domanda di Dio: “dov’e tuo
fratello?”. In quanto pastori di questa chiesa locale, ci accingiamo a farlo
spinti non da motivi di prestigio o da interessi di parte, ma da vero e sincero
desiderio di servizio. Infatti, “una fede autentica – che non è mai comoda e individualista –
implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere
valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra”
(EG 183).
10. Vedere nella luce della fede significa “accettare il grande dono
portato da Gesù” (LF 1). Infatti,
“nella fede, dono di Dio, virtù soprannaturale da Lui infusa, riconosciamo che
un grande Amore ci è stato offerto, che una Parola buona ci è stata rivolta e
che, accogliendo questa Parola, che è Gesù Cristo, Parola incarnata, lo Spirito
Santo ci trasforma, illumina il cammino del futuro e fa crescere in noi le ali
della speranza per percorrerlo con gioia. Fede, speranza e carità
costituiscono, in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana
verso la comunione piena con Dio. Come è questa via che la fede schiude davanti
a noi? Da dove viene la sua luce potente che consente di illuminare il cammino
di una vita riuscita e feconda, piena di frutto?” (LF 7).
11. “Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi
enigmi della condizione umana che, ieri come oggi, turbano profondamente il
cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il
bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la
vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine
l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi
traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo” (Nostra Aetate[6] 1). “Se manca la base
religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in
maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi
della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione,
tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto
ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente
percepito” (GS 21).
II
LA NOSTRA SITUAZINE ATTUALE
12. Volgendo ora lo
sguardo al nostro lontano e recente passato, troviamo vari motivi per cui
rendere grazie al Signore. Dal punto di vista ambientale, il paese non possiede
ricchezze naturali comparabili a quelle di molti altri paesi; ha però goduto di
una quantomeno relativa situazione di tranquillità, al riparo cioè da notevoli
catastrofi naturali. Tradizionalmente, abbiamo un popolo timorato di Dio,
desideroso di vivere in pace e armonia con gli altri, lontano da conflitti
inter-tribali e inter-relgiosi. Apprezza le diversità culturali non come fattori
di divisione, ma come fattori di arricchimento vicendevole. Guarda al proprio
futuro con un saggio senso di misura. Un popolo innamorato e assetato della
pace, in una parola.
Tutto ciò si spiega
solo con una storia, una cultura e una visione della vita profondamente
radicate nella plurisecolare fede cristiana. L’ interrogativo “dov’è tuo fratello?”,
che oggi grava sulla coscienza di tutti noi, cade su un terreno che ha sempre coltivato i valori della
solidarietà e della condivisione fra individui, famiglie e gruppi in tutti i
momenti della vita, in quelli della gioia, così come in quelli della sofferenza.
Dobbiamo pregare incessantemente affinché questi grandi valori si mantengano e
continuino a crescere: “Signore, aumenta la nostra fede”. Infatti, come diremo
in seguito, oggi soffiano venti nuovi: nuove correnti di idee, abitudini e
prassi minacciano la tenuta di tali valori.
Constatiamo che sono
stati compiuti alcuni sforzi per promuovere la ricostruzione del paese. Nel
contempo, essendo naturale che si guardi sempre al meglio, non possiamo
permetterci di dimenticare il molto che resta ancora da fare. Ci sono ferite da
curare e da guarire. Il positivo che c’è non può renderci ignari del
negativo che grava sulla vita della
nostra popolazione. E ciò abbraccia un ampio ventaglio di aspetti e di settori:
l’ aspetto personale e psicologico, così come quello sociale e pubblico; la
vita materiale, così come il livello morale e spirituale. Il papa Francesco ci
ha ricordato che “spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione
del loro paese” (EG 184).
Le tragedie del mare
13. “Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande,
Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più”
(Mt 2,17). Nei mesi di settembre ed ottobre dell’anno appena trascorso, proprio
nel periodo in cui da noi si risveglia la natura e si raccolgono i frutti della
terra, all’ inizio dell’anno secondo il nostro calendario, si è abbattuta sul
nostro paese e sul nostro popolo una tragedia che ha profondamente scosso la
comunità mondiale: l’annegamento di centinaia di giovani nostri connazionali
nelle acque del Mar Mediterraneo. Era il culmine di una odissea che si ripeteva
da anni, fra traversate di montagne e di fiumi, di deserti e di mari, alla
mercé di criminali trafficanti di esseri umani. Si è pianto, e si è pianto
tanto, nelle case e fra il pubblico: “Le strade di Sion sono in lutto, i suoi
sacerdoti sospirano, le sue vergini sono afflitte ed essa è nell’ marezza” (Lam 1, 4). La parola del profeta fa da
sfondo al pianto di Rachele, rievocato nel Vangelo di Matteo. Entrambi si rifanno
agli eventi del 587 PdC, quando l’ invasore babilonese spinge il popolo fuori da
Gerusalemme, lo raduna sulla spianata di Rama (oggi Ramallah) e brucia la
città. Infine, il popolo d’ Israele viene condotto ostaggio in Babilonia.
Rachele, che rappresenta il popolo e le madri d’ Israele, piange i figli “che
non sono più”. Nel fare memoria del grande lutto degli Israeliti, il profeta
non chiude l’ orizzonte della speranza e del ritorno.
14. L’ evangelista Matteo, memore della tomba di Rachele a Betlemme, la
ricollega con la strage degli innocenti decretata da Erode. Rachele è
inconsolabile perché questi “non sono più”. Ma è un pianto che sale al cospetto di Dio, ed è l’
unico capace di consolare e di guarire le ferite dell’ anima. Non solo con la parola,
ma con la speranza e con la risurrezione dei morti. Il grido “non sono più”,
vien così trasformato e strasfigurato dalla certezza che la colpa è riparata
dalla risurrezione di Gesù.
Che tragedie come quelle che hanno tristemente segnato la storia del
nostro paese in questi ultimi decenni si avverino alle porte di un continente
progredito è davvero, come continua a ripetere il Santo Padre, inaccettabile e
incompatibile con il grado di civiltà e di progresso oggi raggiunto.
Con Rachele, la madre di tutti, e con tutte le madri, eleviamo al
Signore il nostro pianto e la nostra preghiera. Mentre imploriamo affinché i
nostri giovani defunti trovino nel Signore definitivamente quella pace e quella
serenità che hanno invano cercato su questa terra, ai loro genitori, famigliari
e parenti estendiamo i nostri più sinceri sentimenti di solidarietà e di
compartecipazione al loro lutto.
Le fughe in massa dal
paese
15. Ora però dobbiamo prestare ascolto alla voce del Signore che ci
interpella e ci inquieta: “dov’ è tuo fratello? Dov’è tuo nipote, tua nipote?
In che condizioni vivono?...”. Noi ci chiediamo a nostra volta: chi risponde di
questo tristissimo stato di cose? Le responsabilità si pongono a diversi
livelli e in diversi ambiti. Le radici infatti sono profonde e complesse e vanno
viste in un quadro più ampio e più articolato: “dove, in che situazioni, si
trova il nostro paese nel suo insieme?”. E’ un interrogativo che non possiamo
eludere col dire: “sono io forse responsabile di mio fratello?”
· Dobbiamo francamente
prendere atto che l’ attrattiva di un livello di vita migliore all’estero ha
finito per creare irrealistiche aspettative ed irrealizzabili illusioni, che a
loro volta inducono i giovani e i loro genitori a un indiscriminato uso di
mezzi. Come, per esempio, i matrimoni improvvisati, impreparati o addirittura
falsi. C’è chi si fa sedurre dalla speranza di una vita da “assistito
permanente” all’ estero, rinunciando a qualsiasi tentativo di guardare se c’è
qualche altra alternativa nel proprio paese.
· Ma al di là questi
casi, la tragicità del motivi di fondo e della radice dei problemi è
innegabile. E tutto ciò suscita grossi interrogativi: fino a quando questa
magmatica fuga umana? Perché mai la
durezza delle condizioni di vita nelle traversate del deserto e del mare, il
peso finanziario che comportano, i rischi per la vita che si corrono, non
riescono a convincere i giovani a retrocedere da avventure, meglio dire
disavventure, di queste proporzioni? Visto che tante di queste storie sono poi finite
in tragedia, non c’è qualche altra alternativa di soluzione?
· Ci si può realisticamente
chiedere se è la situazione di “non pace e di non guerra” che viviamo da tempo
a metterci in queste condizioni. Ma, allora, cosa è che manca? La volontà politica
o l’ oggettiva possibilità di mettervi fine? Se la comunità internazionale non ha ancora
fatto la proprio parte in proposito, e dato che ogni soggetto è il primo
responsabile della soluzione dei propri problemi, è nell’ interesse della parte
lesa assumersi in primis l’
iniziativa del proprio riscatto. Ciò non toglie che chi riveste ruoli di
responsabilità abbia l’ obbligo di chiedere: piuttosto che condannare i nostri
giovani al gioco degli sfruttatori e dei trafficanti di essere umani, non è
meglio individuare vie e strategie per uscire da questa assurda situazione di
“non pace e di non guerra”? Poiché questa volontà manca cospicuamente, ecco che
migliaia di ragazzi e ragazze, attratti dalla prospettiva di un minimo di
libertà, di dignità e di qualità di vita, continuano nella disperata corsa
incontro alla tortura e alla morte.
16. E’ nella natura delle cose che le bestie feroci contendano la vita
agli uomini. Oggi, purtroppo, si è arrivati ad un situazione in cui si avvera
l’ assioma “homo homini lupus”: l’ uomo, creato a immagine e somiglianza di
Dio, è trasformato in merce di scambio, squartato e mutilato dei suoi organi vitali.
E tutto solo per vile guadagno. Stiamo assistendo a vicende inaudite, a un
ritorno alla legge della giungla. Ci chiediamo: se la coscienza degli autori di
questi crimini ha perso ogni sensibilità, come è possibile che il resto del
mondo li tolleri? Gli stati che governano i paesi dei perpetratori e delle
vittime del crimine possono davvero dire
di avere esaurito tutti i mezzi a loro disposizione per porvi rimedio? Cosa
dobbiamo dire? La verità è che, “sconvolto
l'ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi
guardano solamente agli interessi propri e non a quelli degli altri; cosi il
mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece
l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere
umano” (GS 37). Finché le cose stanno
così, certamente
non si potrà sfuggire al giudizio di Dio, ma nemmeno a quello del tempo e della
storia.
D’ altronde, non mancano voci che giustamente invocano un’ azione accurtamente
pianificata e coordinata, un cambiamento di mentalità, interventi concreti,
efficaci ed incisivi. Occorre puntare sulla domanda di mirate strategie
legislative e politiche. Trascurare questa esigenza rende tutti gravemente
responsabili davanti a Dio e davanti agli uomini: “Tutti infatti dobbiamo
comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa
delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2Cor 5,10).
La qualità di vita
17. Conosciamo bene le piaghe che affliggono il nostro popolo al giorno
d’ oggi, condannando alcuni alla morte ed altri a una misera sopravvivenza: povertà,
malattie endemiche come l’ HIV-AIDS, esilio e vicende ad esso connesse…
In spirito di fraterna
condivisione e solidarietà invochiamo per gli uni il riposo nel regno eterno e
per gli altri la forza e la consolazione di Dio.
Da molti anni, la nostra terra subisce un incessante processo di
desertificazione. Occorrono puntuali iniziative per arrestare tale processo e
proteggere l’ integrità del creato. Occorre coscientizzare il popolo in tale
proposito, perché “Dio ci vuole custodi del creato e dei nostri fratelli” (Papa
Francesco). Solo allora il creato tornerà ad essere, a sua volta, nostro custode.
Ad abbandonare la nostra terra non sono solo le risorse naturali, ma
anche le ricchezze umane:
· migliaia di giovani istruiti, o con elevate potenzialità
intellettuali, ci lasciano in quella che si può realmente definire “una fuga
dei cervelli”;
· bambini raggiungono i genitori all’estero in
viaggi di non ritorno;
· genitori raggiungono i figli e, una volta ottenuto
il permesso di soggiorno, non rientrano più.
In una parola, ci troviamo a fare i conti con un vero e proprio
drenaggio di risorse e di energie umane. Cosa sarà di un paese dove le fasce
più produttive mancano all’ appello? A fare di una nazione ciò che deve essere
è l’ uomo con tutte le sue potenzialità.
18. Ci terrorizza la prospettiva di un drastico spopolamento del
territorio. Certamente, il ricordo e la nostalgia del proprio paese
continueranno ad accompagnare gli esiliati in terra straniera. Ma, nella storia,
si conoscono pochi casi di massiccio ritorno di esiliati nella terra d’ origine.
Fra le generazioni che la nazione ha perso, probabilmente per sempre, non ci
sono solo le fasce giovanili e medie, ma anche i bambini nati e cresciuti all’
estero. Se non si provvederà in tempo a far sì che queste generazioni non
perdano i contatti con le proprie radici, la nazione avrà gravi problemi da
affrontare. E’, questo, il grido di allarme che sale dal paese e si indirizza a
tutti: alle persone singole come alle famiglie, agli anziani, alle autorità
politiche, come a quelle religiose. Bisogna correre ai ripari con coraggio e
creatività per trattenere chi non è partito e per richiamare chi è partito.
19. C’è nel nostro tempo una netta trasposizione da quel detto dei
nostri padri - “il proprio paese è
insaziabile come il proprio occhio” – a quello che ha finito per predominare
oggi: “il tuo paese è dove prevale il tuo benessere”. Se l’ uno e l’altro sono valori
irrinunciabili, la soluzione, allora, è un’ altra: esplorare vie e strategie
per fare in modo che il paese offra al cittadino una vera ed effettiva possibilità
di autorealizzazione. Ci si permetta di ripetere quanto scrivevamo in una
nostra lettera pastorale del 2001: “Non ha senso chiedersi: ‘perché i nostri
giovani abbandonano il loro paese?’ - dal momento che nessuno lascia un paese
che offre latte e miele, come si suole dire, per sistemarsi in un’ altro che
offre le stesse opportunità. Se la patria fosse uno spazio dove regna la pace e
la libertà e dove non manca il lavoro, non ci sarebbe nessun motivo per
scegliere la via dell’ esilio, della solitudine e delle difficoltà di ogni
genere” (Dio ama questo Paese 29).
Situazioni psicologiche e morali
20. Per i suddetti motivi e per mille altre cause incompatibili con la
vita e la dignità umana, sta prevalendo l’ incertezza sul futuro delle persone.
C’è un crescente disprezzo per il valore della vita umana, un tendenza a cercare la soluzione ai propri problema in
mezzi e metodi di cui non si valuta la moralità. D’ altra parte, la delusione
per il mancato raggiungimento dei fini che ci si proponeva, la vanificazione
delle proprie aspettative, il guardare a terre lontane come all’ unica
alternativa per la un’ autorealizzazione, stanno inducendo un numero sempre
crescente di persone alla frustrazione e alla disperazione. Ci si trova all’
interno di un orizzonte che si fa sempre più cupo e più pesante.
Di pari passo, la disgregazione della famiglia all’ interno del paese –
a causa del servizio militare senza limiti di tempo e senza retribuzione, della
reclusione di molti giovani nelle prigioni e nei centri di ridisciplinamento,
ecc. – sta esponendo alla miseria non solo genitori anziani e senza supporto,
ma intere famiglie, con gravi ricadute non solo a livello economico, ma anche psicologico
e mentale. Il rapido, quasi endemico, diffondersi di malattie come il diabete, i
problemi di pressione sanguigna e le patologie cardiologiche, ne è un segnale
fra i più emergenti.
La società civile
21. Si nota un indebolimento generalizzato dei valori morali sociali e
delle colonne portanti del vivere insieme, una tendenza verso incurabili forme
di decadenza sociale (cf. Ger
4,11-21).
a. La
famiglia.
Per varie cause – fra cui ancora il servizio militare nazionale, l’impatto
dei mezzi di comunicazione di massa e le condizioni di vita dei giovani - l’
influsso degli anziani e dei genitori sui figli e sulla gioventù in genere sta
scemando vistosamente. Vorremmo dire agli anziani e ai genitori di non abdicare
alle proprie responsabilità, anche se molti fattori negativi sembrano
contendergliele, di continuare ad esercitare il loro ruolo di mediazione e di
persuasione, di non lasciarsi sedurre da interessi privati, di guardare
lontano; soprattutto di salvare la famiglia, perché la sua tenuta è la salvezza
del paese. Poiché la famiglia è il terreno primario dove fiorisce e matura la
fraternità, l’ interrogativo “dov’è tuo fratello?” riguarda anzitutto l’ ambito
famigliare. La famiglia è il nucleo della Chiesa e il
fondamento della società. E’ lì che “le diverse generazioni si incontrano e si aiutano
vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare
i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale” (GS 52). Perciò, “tutti coloro che hanno
influenza sulla società e sulle sue diverse categorie, devono collaborare
efficacemente alla promozione del matrimonio e della famiglia” (Ibid.).
b. La ricostruzione morale
22. Un potere pubblico non più al servizio del
bene comune, ma strumento di accaparramento di interessi privati o di parte, l’
individualismo, il favoritismo, la corruzione… sono segni di un’ incipiente, o
forse avanzata, emergenza morale. La corruzione non si limita alle transazioni
pecuniarie, ma comprende tutti i comportamenti avulsi dai comuni criteri di
moralità pubblica e personale. Si sta diffondendo la tendenza a badare ai propri
interessi, senza valutare e tanto meno denunciare la moralità dei mezzi impiegati.
Dissimulare la verità e assecondare la menzogna è una dimensione fondamentale
della corruzione. Sono tutte patologie morali che occorre curare con il ripristino
dei principi di trasparenza e di responsabilità e, più in profondità, con un
sussulto della coscienza e del timore di Dio. Altrimenti finirà per
trionfare incontrastata l’ anarchia, l’
ingiustizia e la violenza. Alle guide religiose di tutte le denominazioni spetta
il compito di risvegliare le coscienze, di promuovere la conversione dei cuori
e delle menti, alle autorità civili quello di instaurare una politica di chiarezza, di trasparenza e di
legalità.
c. La legalità
23. Un tratto
caratteristico della tradizione del nostro popolo è il senso della legalità, la
deferenza verso il codice morale istituzionalizzato. C’è, nella nostra
tradizione, più timore per chi si appella alle norme della legge, che per chi
ti minaccia con la forza dell’ arma. Sarà forse perché questa tradizione è
andata venendo sempre meno che, di pari passo, la corruzione sembra pervadere
il tessuto della nostra convivenza sociale?
Poiché il principio di legalità è imprescindibile da ogni progetto di
ricostruzione morale e sociale, non si finirà mai di inculcarne l’ importanza.
Nel trattamento di chi viene accusato per un reato, la giustizia non può e non
deve essere dissociata dall’ umanità e dalla compassione.
Su tale premessa, ogni
causa giudiziaria deve essere legalmente fondata, proceduralmente motivata e
tempestivamente portata a termine. Più in generale, l’ attivazione del
principio di costituzionalità, esigenza acutamente avvertita e pressantemente invocata
da chiunque apprezza il valore della giustizia e della libertà, non può più essere disattesa.
All’ interno della
stessa problematica va collocata l’ attuale assenza di un’ aperta discussione dei problemi del paese, del dialogo
maturo e spassionato, di un’ informazione oggettiva e veritativa. Il
pettegolezzo, il diffuso mormorio, la maldicenza, la menzogna o, nei migliore
dei casi, il disinteresse per il bene comune… sono in larga parte frutto di un’
informazione non corretta o, peggio ancora, di una disinformazione eretta a
sistema. La mancanza del dialogo, dell’ ascolto reciproco, dell’ interessamento
vicendevole, stanno allargando e approfondendo le nostre differenze e
restringendo gli spazi di una duratura soluzione dei problemi.
d. L’ istruzione
24. Perchè l’
istruzione giochi il suo fondamentale ruolo di caposaldo del progresso culturale
e sociale, della crescita integrale dei giovani, dello sviluppo globale del
paese, occorre urgentemente provvedere a che le istituzioni a ciò deputate
siano ampliate, rinnovate, modernizzate. Occorre riprendere, ambientare, contestualizzare
e inculturare i principi e le metodologie più avanzate che hanno accompagnato
la crescita dei paesi più progrediti. Fare tesoro delle esperienze educative
altrui può essere fonte di grande arricchimento.
Come nel passato, così
nel presente, la Chiesa è aperta ad ogni possibilità di offrire il suo
contributo in questo campo, promuovendo i valori della verità, della
fraternità, della libertà, dell’ eguaglianza, della democrazia, della
giustizia, dei diritti e della dignità della persona e della legalità.
“L'ordine sociale e il
suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle persone…
Quell'ordine è da sviluppare sempre più, deve avere per base la verità,
realizzarsi nella giustizia, essere vivificato dall'amore, deve trovare un
equilibrio sempre più umano nella libertà” (GS
36).
c. Le ristrettezze economiche
25. Quando
consideriamo che le nostre famiglie vivono, o sopravvivono, ormai solo grazie
alle rimesse dei famigliari all’estero, da una parte - memori di quel detto dei
nostri padri secondo cui “Dio permette,
sì, i problemi, ma mai senza vie d’ uscita” - avvertiamo un sincero sentimento di
gratitudine, dall’ altra ci rendiamo conto che la dipendenza dai famigliari
all’estero non può essere una soluzione permanente. Se non si creano opportunità di lavoro, se ai
giovani non viene concessa la possibilità di rendersi autosufficienti, se non si
mette fine alla stagnazione dell’ agricoltura, del commercio e dell’ industria,
non si uscirà mai dal circolo vizioso della dipendenza e della povertà. Si fa bene a insistere sull’
autosufficienza della nazione, ma non si può dimenticare che essa passa
attraverso l’autosufficienza degli individui e delle famiglie. Non bastano eleganti
e altisonanti slogan. Servono opportunità lavorative.
Gli esorbitanti prezzi dei beni di consumo, l’ assoluta insufficienza
dei salari, l’ inarrestabile impennata degli affitti, il prolungato blocco delle attività edilizie, l’
impossibilità di dedicarsi ad attività lavorative elettive… ci hanno messo di
fronte ad una disperata emergenza economica. Come si farà ad uscire da queste
situazioni, se non c’è spazio per l’ iniziativa privata, per l’intraprendenza e
per la creatività? Come si fa a parlare dell’ indipendenza e della dignità di
una nazione, senza presupporre la
dignità e l’ indipendenza delle persone?
Non è più questione di un livello di vita più o meno confortevole, ma
del problema del vivere o non vivere, della mancanza di essenzialissimi beni,
quali l’ acqua, il pane, la luce… Chiediamo, a nome di tutti, l’ attenzione delle
autorità pubbliche e il loro impegno per la creazione di un sistema economico
all’ altezza della dignità della persona umana.
d. La
vita spirituale e morale
26. Siamo
sinceramente preoccupati per le ferite morali e spirituali che affliggono la
nostra società. A volte ci chiediamo se non sia in corso un processo di
alterazione identitaria, un progressivo capovolgimento dei valori e del codice
morale, un’ insinuarsi di principi di disfacimento della coscienza etica. Ci
vengono in mente le parole di San Paolo: “…Gli uomini saranno egoisti, amanti
del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati,
senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili,
nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall’ orgoglio…” (Tim 3,2-4). Il culto del demonio, che
spesso si presenta sotto le mentite spoglie della modernità, può prendere piede
anche così. Saranno del tutto infondate le voci sulla presenza di culti
satanici anche fra noi? Non lo sappiamo, ma il fatto stesso che se ne parli non
può non preoccuparci: “A differenza dei tempi passati, negare Dio o la
religione o farne praticamente a meno, non è più un fatto insolito e
individuale. Oggi infatti non raramente un tale comportamento viene presentato
come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo” (GS 2).
Anche da noi si stanno instaurando
striscianti tendenze ad accantonare la religione quale principio ispiratore
della vita e misura della moralità umana, o a strumentalizzarla a scopi meramente
lucrativi. Ci sono propagandisti pseudo-relgiosi nella cui predicazione viene completamente
svuotato o deprezzato il valore redentivo della croce e della sofferenza. Occorre
inculcare in tempo e fuori tempo che la religione è il valore che più profondamente
forgia la coscienza delle persone ed edifica la vera libertà e l’ autentico
senso della vita.
27. A nessuno possono sfuggire le
gravi conseguenze derivanti dal fare della religione un fattore di divisione e
di disgregazione, anziché principio di coesione e di unità e di un vero senso
di appartenenza alla comunità nazionale. Senza un autentico rapporto con Dio e
con i dettami della retta coscienza e del vero senso religioso, diventa
difficile creare equilibrati ed armoniosi rapporti sociali. La riuscita del
dialogo, della composizione delle differenze e della collaborazione per il bene
comune, si fonda sulla capacità di ascolto, sul rispetto reciproco e sul sentimento
di giustizia che ogni autentico senso religioso ispira.
28. Un’ altro aspetto che, nella
nostra società, è venuto imponendosi con tutta la sua carica distruttiva è la
degenerazione del rapporto con il denaro. Quando il denaro diventa il criterio
di impostazione di tutte le relazioni sociali, inevitabilmente si cade nel
machiavellismo pratico, per cui il fine giustifica qualsiasi mezzo. Ed è quanto
vediamo verificarsi in vari ambiti della vita pubblica: nel commercio, negli
uffici, nella compravendita e negli affitti delle case; la ricerca del denaro è
l’ unica cosa che conta, al di là di ogni moralità e di ogni rispetto per l’
uomo, per la sua dignità e per i suoi diritti. Cos’ altro c’è, se non il
denaro, dietro l’orrendo traffico di esseri umani, la compravendita degli
organi, la prostituzione...? Solo un ritorno ad un autentico senso religioso ci
può affrancare dalla schiavitù e dall’ idolatria del denaro, l’ anti-dio per
eccellenza. L’ apostolo Paolo ci avverte: “non abbiamo portato nulla in questo
mondo e nulla possiamo portarne via” (1Tim.
6, 7). E Gesù: “nessuno può servire a due padroni…Non potete servire a Dio e a
mammona” (Mt. 6, 24).
La
radice di tutti i mali
29. Il peccato: ecco la radice di ogni
male, a livello personale e sociale. La vita incentrata esclusivamente su sé
stessi, il tornaconto, l’ ingordigia, la corruzione, l’ irresponsabilità, che
intossicano la nostra convivenza sociale, sono i frutti velenosi di questo
“male oscuro” della nostra vita. Il radicarsi e il propagarsi di simili
deviazioni è la vera e grande minaccia all’ unità, alla pace e alla vita stessa
della nazione. Anche se, come si è già detto, le responsabilità per i mali del
paese si articolano a diversi livelli e in diversi ambiti, nessuno può
ritenersi innocente a tale riguardo, poiché “se diciamo che non abbiamo
peccato… la verità non è in noi” (1Gv
1,18).
L’ unica via per un’autentica crescita
delle persone, l’ unico principio per l’ instaurazione di una società
rappacificata e degna dei valori inerenti alla dignità umana, è la restituzione
dell’ assoluta centralità e del primato a Dio e, di riflesso, all’ uomo, sua
immagine e somiglianza: “se non è Dio che costruisce, invano faticano i
costruttori” (Sal 127,1).
Quando si dice “nazione” non ci si
riferisce semplicemente a un territorio, ci si riferisce a un popolo che
condivide lo stesso cammino storico, gli stessi valori culturali, le stesse
idealità morali, alla sua capacità di affrontare i momenti di serenità e di
differenza in spirito di unità e di solidarietà. Un cammino verso un vero e
autentico progresso presuppone la custodia, la promozione, e lo sviluppo di
questo insieme di valori.
Il
cammino della pace
30. Abbiamo parlato più sopra (n. 12)
del nostro popolo come di “un popolo amante della pace”, ed è una grande benedizione.
Tuttavia, “la pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi
unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è
effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita ‘opera
della giustizia’ (Is 32,7). È il
frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che
deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia
sempre più perfetta” (GS 78).
Il vero nemico della pace è l’
ingiustizia (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica[7] 2317). Il rispetto
delle persone, della loro dignità e dei loro diritti è la pietra angolare della pace. L’ assenza di
tale rispetto distrugge i fondamenti della pacifica convivenza umana. Per
questo, chiediamo la liberazione di quanti, arrestati, ne sono in attesa da
tempi più o meno prolungati. Sia resa giustizia a quanti sono detenuti senza le
dovute norme di legge, i dimenticati nelle prigioni…
Sono tempi in cui l’ inquietante interrogativo “dov’è tuo fratello? La voce del
sangue di tuo fratello grida a me dal suolo” (Gen 4,9-10) risuona più forte che mai.
Conclusione
In questo periodo di Pasqua, in cui
anche la nazione celebra il ventitreesimo anniversario di indipendenza, è
dovere di tutti pregare perché il Signore benedica questo paese e ne faccia una
terra di speranza, di pace e di giustizia. E’ altrettanto importante che tutti
- popolo e autorità religiose e statali - uniscano i loro sforzi perché ciò
avvenga. Sappiamo bene che il popolo è instancabile nella preghiera per la
pace. Sul fondamento della parola di Gesù – “se mi chiederete qualcosa nel mio
nome, io lo farò” (Gv 14,13) –
abbiamo la certezza che le nostre preghiere non sono vane. Perciò, apriamo il
cuore e la mente a Colui che ci dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
Non come la da il mondo, ve la do. Non sia turbato il vostro cuore e non
abbiate timore” (Gv 14,27-28).
III
LA
TESTIMONIANZA
“Mi sarete testimoni” (Atti 1,8): l’evangelizzazione.
31. “E’ urgente recuperare il carattere
di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte
le altre luci finiscono per perdere il loro vigore” (LF 4). Far sì che la fiamma
della fede sia sempre viva e la sua luce sempre luminosa non significa altro
che realizzare nella vita la parola di Gesù: “Mi sarete testimoni a
Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della
terra” (At 1,8).
Questa
impegnativa parola del Signore viene rivolta a noi oggi. Quando, all’ inizio, fu
raccolta dagli Apostoli, la comunità dei fedeli crebbe prodigiosamente, e la
Chiesa è in crescita ancora oggi. Anche noi siamo chiamati ad inserirci in
questa corrente di viva di testimonianza. Rispondendo alla stessa chiamata i
primi annunciatori del Vangelo nella nostra Terra, San Frumenzio e i Nove Santi
Romani e, in tempi più recenti, S. Giustino de Jacobis e i missionari dei successivi decenni hanno ravvivato e
accresciuto la primitiva fiamma della fede. A noi è toccata la benedizione di
raccogliendo i frutti maturi della loro predicazione e della loro testimonianza.
Nel nostro paese, il popolo di Dio, raccolto nella Chiesa cattolica e
articolato in quattro eparchie, si sforza di vivere la sua vocazione leggendo i
segni dei tempi e seguendo gli insegnamenti della Chiesa universale.
32.
Rendiamo il nostro filiale omaggio a tutti i vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose
e fedeli, che ci hanno trasmesso la fiamma della fede, mentre, sulle loro orme,
ci impegniamo a tenerla sempre più viva. Storicamente, la fede cattolica si è
espressa attraverso lo sforzo di dare continuità alla parola evangelizzatrice e
all’opera di Gesù con una molteplicità di iniziative: istruzione, cura dei
malati e degli orfani, promozione della donna, all’ interno di un complesso
programma di promozione integrale della persona. E’ un fine che la Chiesa
continua a perseguire anche oggi approfondendolo e ampliandolo in un’ attenta
lettura dei segni dei tempi. E’, in buona sostanza una riposta all’
interrogativo del Signore: “dov’è tuo fratello?”.
E’
preoccupante vedere i rischi che la fede corre fra i nostri connazionali,
particolarmente giovani, che, sradicati dalle proprie radici, vivono dispersi
in tanti paesi del mondo. A tutti, in generale, si impone l’ esigenza di non
prendere per garantito l’ impegno della fede, di non adagiarsi nell’ acquisito,
di mantenere viva la coscienza che il peccato esiste e che dobbiamo fare i
conti con i nostri limiti, e di affidarci alla grazia di Dio. Il primo passo da
fare in questa direzione è la penitenza: riconoscere le nostre debolezze, non
stancarci mai di chiedere perdono per il male che facciamo e di perdonare a chi
ci ha fatto del male, non rispondere al male con il male…
33.
Il nostro cammino di fede in generale, l’ anno della fede in particolare,
esigono un urgente rinnovamento. Esso richiede anzitutto un esame di coscienza
sulla qualità del nostro rapporto con Dio Padre, con Gesù Cristo Signore e con
lo Spirito Santo Vivificatore. E poi sulle le nostre relazioni con gli altri:
quale la situazione spirituale dei nostri fedeli cristiani? Quale la situazione
morale ed umana della nostra società in genere? Quali le condizione del
fratello, della sorella, a cui dobbiamo guardare con gli occhi delle fede? “Il
Concilio
Vaticano II ha presentato la conversione ecclesiale come l’apertura
a una permanente riforma di sé per fedeltà a Gesù Cristo […]. Ci sono strutture
ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore;
ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le
sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza
“fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si
corrompe in poco tempo”.[8]
34.
L’ insegnamento e la vita di Gesù, cosi come quelli dei suoi discepoli, si
incentrano sul piccolo seme che, per crescere e fruttificare, deve cadere in
terra e morire. E’ il programma di vita di ogni cristiano e della Chiesa. Ciò
significa che non dobbiamo lasciarci scoraggiare dalle prove e dalle sofferenze
che addobbiamo affrontare a causa della fede, poiché “è quando sono debole che
sono forte” (2Cor 12,32). Ci deve
confortare la parola di Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre
vostro è piaciuto darvi il suo regno” (Lc
12,23).
Quanto
al nostro cammino nel futuro, possiamo far tesoro delle parole che Papa Giovanni
XXIII, canonizzato da poco, pronunciò in occasione dell’ apertura del Concilio
Ecumenico Vaticano II: “Alacri, senza timore, dobbiamo continuare
nell’opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso
per quasi venti secoli” (n. 4). La nostra missione come Chiesa, oggi, è quella
di dedicarci alla testimonianza e all’ evangelizzazione con immutata fedeltà e
con instancabile dedizione, nella certezza che lo Spirito Santo, che operava
per mezzo degli Apostoli, non mancherà di donarci la forza, il desiderio e la
volontà di portare a compimento l’opera iniziata (cf. At 2,29; 4, 13.29.31;9, 27-28).
35. In quali modi concreti possiamo
rinvigorire la nostra testimonianza? Occorre essere misericordiosi e riconciliatori,
vivere conformandosi non alla mentalità di questo mondo (Rm 12,2), ma a Cristo, farsi carico dei problemi e delle sofferenze
del prossimo: “Animati dall'amore di
patria e nel fedele adempimento dei doveri civici, i cattolici si sentano
obbligati a promuovere il vero bene comune e facciano valere il peso della
propria opinione in maniera tale che il potere civile venga esercitato secondo
giustizia e le leggi corrispondano ai precetti morali e al bene comune.” (AA 14). La Chiesa stessa, nelle sue
guide e nei suoi membri, deve compiere la sua missione profetica attraverso un
cammino di penitenza e di conversione: “Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò
e starai alla mia presenza… Sarai come la mia bocca. Essi torneranno a te” (Ger 15,19).
Non è difficile individuare le
priorità che dovranno guidare l’ azione della Chiesa nel presente e nel futuro.
La nostra esperienza storica ci ha trasmesso la centralità della liturgia e
della catechesi, in simbiosi con la vita quotidiana. I seguenti documenti della
Chiesa universale saranno particolarmente la base delle nostre scelte
prioritarie: 1. La Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa
Lumen Gentium; 2. L’ Esortazione
Apostolica di Paulo VI Evangelii Nuntiandi; 3. L’ Enciclica di Giovanni
Paolo II Redemptoris Missio; 4.lI Sinodo Generale dei Vescovi
del 2012 sulla nuova evangelizzazione; 5. L’ Esortazione Apostolica del Santo
Padre Francesco Evangelii Gaudium.
L’ evangelizzazione consiste, in una
parola, nell’ annuncio di Cristo Redentore del mondo. E’ questo il consolante messaggio che la
Chiesa trasmette all’ uomo in “ogni occasione opportuna e non opportuna” (2Tim 4,2). Ed è questo il dono più
prezioso che noi offriamo al paese
perché lo possa vivere nell’ascolto della parola di Dio, nella vita
sacramentale, nella divina liturgia, e lo testimoni con la vita.
Punti
deboli della nostra vita di fede
a. Cristiani nominali
36. Uno dei problemi di cui il
Concilio Ecumenica Vaticano II ha trattato con viva preoccupazione è quello che
si definisce “cristianesimo nominale”. Ne accenna per esempio la Gaudium et Spes: “La
dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro
vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo” (n. 43)
Il cristiano nominale vive ed opera a
prescindere dal presupposto della fede, non ne fa il principio guida
dell’esistenza, adotta un criterio opportunisticamente selettivo circa i
principi evangelici e vive al di fuori della vita liturgica della comunità dei
credenti; in un parola, è un battezzato che non vive gli impegni derivanti dal
battesimo (cf EG 15): “Figlioli, non
amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1Gv 3,18).
37. E’, questo, un settore della
società che attende la nuova evangelizzazione. Con questa si intende, come
disse Paolo VI in America Latina (Haiti), un annuncio compiuto con nuovo
slancio, con un nuovo spirito, con rinnovata creatività e credibilità. Tutto
ciò presuppone un’ attenta lettura delle trasformazioni in atto nella nostra
società, per poi rispondervi con un annuncio che sappia sapientemente adottare
linguaggi, criteri pedagogici, metodi e mezzi nuovi. Nello stesso ambito di
impegno si colloca la pastorale dei lontani, di quanti hanno fame e sete di
Dio, ma non hanno avuto modo di soddisfarla. In ogni essere umano infatti vi è
un insito bisogno di Dio, e solo nell’ incontro con il Signore l’ uomo potrà trovare
la pace e la tranquillità vera (S. Agostino).
38. Tutti i
membri della Chiesa sono chiamati a impegnarsi nella nova evangelizzazione. La
coscietizzazione dei fedeli laici a tal riguardo è compito che non può essere
né disatteso, né dilazionato. Poiché è attraverso la vita di testimonianza,
prima di qualsiasi altro esercizio, che si esprime l’ evangelizzazione, occorre
stabilire una coerente sintesi fra Vangelo e vita quotidiana: “I laici animino
la propria vita con la carità e la esprimano con le opere, secondo le proprie
possibilità. Si ricordino tutti che, con il culto pubblico e la preghiera, con
la penitenza e la spontanea accettazione delle fatiche e delle pene della vita,
con cui si conformano a Cristo sofferente (cfr. 2Cor 4,10; Col
1,24), essi possono raggiungere tutti gli uomini e contribuire alla salvezza di
tutto il mondo” (AA 16).
b.
Secolarismo
“Mi meraviglio
che così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo, passiate
ad un altro vangelo” (Gal 1,6): così
Paolo rimproverava quanti, da una fervida fede, erano passati all’estremo
opposto. Osservando la rapidità con si stano diffondendo, anche da noi, taluni deprecabili
fenomeni come la magia, l’ adulterio, la menzogna, il furto, la corruzione, i
tradimenti exta-matrimoniali, non possiamo non sentire rivolto anche alla
nostra società il rimprovero di Paolo.
“Tali atteggiamenti possono avere
origini diverse: la ribellione contro la presenza del male nel mondo, l’
ignoranza e l’ indifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle
ricchezze, il cattivo esempio dei credenti, le correnti di pensiero ostili alla
religione, e infine la tendenza dell’ uomo peccatore a nascondersi, per paura,
davanti a Dio e a fuggire davanti alla sua chiamata” (CCC 29). Sono tutte manifestazioni
di quel complesso ed articolato fenomeno che è il secolarismo o la mondanità
spirituale. “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?
Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né
sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci
erediteranno il regno di Dio” (1Cor 6,9).
c.
Insufficiente formazione cristiana
40. [Siate] sempre pronti a rispondere
a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). E’ un
impegno, questo, che presuppone un’ approfondita conoscenza ed assimilazione
del messaggio della fede, lo studio dottrinale, la partecipazione alla vita
sacramentale e la crescita del senso ecclesiale. In un tempo in cui è
assolutamente insufficiente vivere della elementari nozioni apprese nell’
infanzia, esiste una specie di analfabetismo religioso, che deve essere
superato. “Nelle condizione storiche in cui si trova, l’ uomo incontra molte
difficoltà per conoscere Dio con la sola luce della ragione…Per questo ha
bisogno di essere illuminato dalla rivelazione di Dio” (CCC 37-38).
I punti
fermi della nostra fede
a. Fiducia nella Provvidenza di Dio
41. “Crescete nella grazia e nella conoscenza
del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo” (2Pt 3,18). E’ nel totale affidamento di noi stessi alla sua grazia
e al suo aiuto che dobbiamo cercare la soluzione ai nostri problemi, non nel ricorso
ai maghi e ai divinatori: “Tutte le forme di divinazione sono da respingere:
ricorso a Satana o ai demoni, evocazione dei morti o altre pratiche che a torto
si ritiene che “svelino” l’ avvenire. La consultazione degli oroscopi, l’
astrologia, la chiromanzia, l’ interpretazione dei presagi e delle sorti, i
fenomeni di veggenza, il ricorso ai medium manifestano una volontà di dominio
sul tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed insieme un desiderio di
rendersi propizie potenze nascoste. Sono in contraddizione con l’ onore e
rispetto, congiunto a timore amante, che dobbiamo a Dio solo” (CCC 2116).
b. Fedeltà alla Chiesa di Cristo
42. La sequela del “Cristo totale” è
il distintivo del vero credente. Il corpo non è separato dal capo di Cristo,
per cui è assurda l’affermazione: “Cristo sì, la Chiesa no”. Ciò comporta
fedeltà e amore deferente verso la
Chiesa e verso il suo insegnamento. Solo ciò garantirà pienezza e maturità alla
nostra fede.
c. Sequela della Croce di Cristo
43. “Cristo, come la Chiesa ha sempre
sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente
sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e
affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella
sua predicazione, è dunque di annunciare la Croce di Cristo come segno
dell'amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia” (NAe 4). Seguire Cristo significa disporsi a portare la sua Croce:
“se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua” (Mt
16,24). La nostra fedeltà e dedizione alla Chiesa cresce nella misura in cui aumenta
la nostra fedeltà alla Croce di Cristo. L’ accettazione della volontà di Dio in
ogni momento della vita e la pazienza e la perseveranza nella prova sono frutto
del nostro radicamento nel mistero della Croce. Nel momento in cui, di fronte
alla sofferenza e alle prove della vita, ci chiediamo “perché? Perché a me?”,
possiamo trovare l’ unica risposta solo nella Croce di Cristo. Ciò vale per le
difficoltà che incontriamo sia nella vita sacerdotale, così come nella vita
consacrata e nella vita matrimoniale e famigliare.
Il Cristianesimo è nato e fiorito nella Croce, e il cristiano trovarà la
ragione per perseverare nella prova tornando ai piedi della Croce.
c. Ascolto della Parola di Dio
44. “Non di solo pane vive l’ uomo, ma
di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). “Ecco, verranno giorni, - dice il Signore – in cui manderò
la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la
parola del Signore” (Am 8,11). Una
delle massime finalità dell’ anno della fede era di ravvivare questa fame e
questa sete nel popolo di Dio e fare della parola del Signore la sorgente del rinnovamento.
In sintonia con il Concilio Vaticano
II, auspichiamo che “con la lettura e lo studio dei sacri libri ‘la parola di
Dio compia la sua corsa e sia glorificata’ (2 Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa,
riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall'assidua frequenza del
mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare
nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione per la parola
di Dio, che ‘permane in eterno’ (Is
40,8; cfr. 1Pt 1,23-25)” (Dei Verbum[9]
26). Dato che “non conoscere la Scrittura è non conoscere Cristo” (S. Ireneo),
sollecitiamo i parroci e i pastori del popolo di Dio a promuovere zelantemente
la lettura e la conoscenza della Sacra Scrittura.
E’ consolante notare segni di un
risveglio di interesse per la lettura della Bibbia. Rammentiamo. nel contempo, che
è assolutamente importante che tale lettura sia costantemente aderente a una
sana interpretazione e fedele al magistero della Chiesa. La traduzione della
Bibbia nelle nostre lingue locali è una benedizione. Occorre proseguire in
questo sforzo con la dovuta preparazione e competenza.
d.
Vita sacramentale
45. Memore della promessa di Cristo -
“Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”
(Mt 11,28) - “la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto
per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra
liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che
del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli” (DV 28). Essendo l’ Eucarestia “fonte e culmine di tutta la vita
cristiana”( Sacrosanctum Concilium[10]
47), non è possibile edificare la Chiesa senza di essa. Esistono, nel nostro
paese, plurisecolari tradizioni di religiosità popolare. Occorre che esse, per
conservare ed accrescere la loro genuinità, siano costantemente nutrite da un’
intensa vita sacramentale. E’ una precisa istanza dell’ Anno della Fede appena
celebrato.
Con gioia notiamo nel nostro popolo il
desiderio e la volontà di partecipare alla divina Eucaristia. Desideriamo, nel
contempo, raccomandare che tale partecipazione sia attenta e spiritualmente
impegnativa. Ciò si dovrà constatare nei frutti che tale partecipazione produrrà
nella vita quotidiana, che dovrà essere rinvigorita dall’ accostamento al
Sacramento della Penitenza, dalla recezione del Santissimo Sacramento e dall’ unità della vita famigliare fondata
sul matrimonio, fino al congedo da questo mondo con l’ Unzione degli
Infermi.
Con Maria “Stella del mare”
46. Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, il nostro
sincero desiderio per voi è che , seguendo le orme di Maria “stella del mare”,
viviate e cresciate saldi nella fede, nella speranza e nella carità. Solo se
vivrete il tempo presente forti in questa fede e in questa speranza (cf. Ef 5,16; Col 4,5) e attenderete il tempo futuro
ancorati nella pazienza (cf Rm 8,25), darete una verace ed efficace
testimonianza al Vangelo di Cristo Signore. L’esortazione del Concilio Vaticano
a questo riguardo è sempre attuale: “E questa speranza non devono nasconderla
nel segreto del loro cuore, ma con una continua conversione e lotta «contro i
dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni» (Ef 6,12), devono esprimerla anche
attraverso le strutture della vita secolare” (LG 35).
Vi sia di conforto, di stimolo e di ispirazione
Maria Santissima, alla quale il pontefice emerito Benedetto XVI si rivolgeva
con queste parole: “Quando, piena di
santa gioia, attraversasti in fretta i monti della Giudea per raggiungere la
tua parente Elisabetta, diventasti l'immagine della futura Chiesa che, nel suo
seno, porta la speranza del mondo attraverso i monti della storia. Ma accanto
alla gioia che, nel tuo Magnificat, con le parole e col canto hai
diffuso nei secoli, conoscevi pure le affermazioni oscure dei profeti sulla
sofferenza del servo di Dio in questo mondo. Sulla nascita nella stalla di
Betlemme brillò lo splendore degli angeli che portavano la buona novella ai
pastori, ma al tempo stesso la povertà di Dio in questo mondo fu fin troppo sperimentabile”
(Spe Salvi 50).
Conclusione
Risorgere con Cristo significa passare
dalle tenebre alla luce. Se non saremo figli della luce, non vedremo la verità.
E senza la verità, non c’è libertà (Cf Gv
8,32). “Pregando sempre con gioia con voi, a motivo della vostra cooperazione
col Vangelo” (Fil. 1,4), su tutti voi
invochiamo la libertà, la pace e la gioia che il Padre ci ha donato con la
risurrezione di suo Figlio, e ci ha
chiamato ed esserne testimoni forti e credibili.
O
Maria “tu fosti in mezzo alla comunità dei
credenti, che nei giorni dopo l'Ascensione pregavano unanimemente per il dono
dello Spirito Santo (cfr At 1,14) e lo
ricevettero nel giorno di Pentecoste. Il « regno » di Gesù era diverso da come gli uomini avevano potuto immaginarlo. Questo
« regno » iniziava in quell'ora e non
avrebbe avuto mai fine. Così tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro
Madre, come Madre della speranza. Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra,
insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su
di noi e guidaci nel nostro cammino!” (SS 50).
“Stella della nuova
evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce” (EG 288).
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce” (EG 288).
Vescovi
Cattolici dell’ Eritrea
[1] Papa Francesco, Lettera Enciclica Lumen Fidei. D’ora in
poi: LF.
[2] D’ora in poi: PF.
[3] D’ora in poi: EG
[4] Vaticano II,
Costituzione pastorale Gaudium et Spes,
d’ora in poi: GS.
[5] Id., Decreto Apostolicam Actuositatem, d’ora in poi: AA.
[6] Id., Dichiarazione Nostra Aetate, d’ora in poi NAe.
[7] D’ora in poi: CCC
[8] EG 26.
[9] Concilio Ecumenica
Vaticano II, Cost. Dog. sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, d’ora in poi: DV.
[10] Concilio
EcumenicaoVatiano II, Cost. sulla Liturgia Sacrosanctum
Concilium.
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