di Emilio Drudi
“Auschwitz non ci
abbandona, ci ricorda quali orrori può compiere l’uomo”: è il passo più
significativo dell’intervento fatto in occasione della Giornata della memoria dal
presidente Mattarella, che ha poi aggiunto: “E’ un’illusione alzare i muri e
ricercare negli Stati nazionali una inverosimile sovranità perduta: i
nazionalismi generano diffidenza, rivalità e ostilità. E questa è una china
pericolosa che abbiamo vissuto nel ‘900”.
Ecco, è proprio in
queste parole il valore più profondo della Giornata della Memoria: ricordare
per fare i conti con il passato ma anche, ancora di più, con il presente. Non seguire
questa via maestra significa tradire lo spirito stesso dell’appuntamento
annuale del 27 gennaio, facendone una cerimonia vuota, senz’anima. La memoria,
infatti, non è, non deve essere, un esercizio sterile del ricordo. Al
contrario, ha significato e vigore soltanto se diventa “assunzione di
responsabilità”: se ci spinge a studiare, analizzare, a capire come mai si è
potuti arrivare al “male assoluto” della Shoah. Ci si accorgerà subito, allora,
che la Shoah non è stata una atrocità improvvisa, nata e finita con il nazismo.
Al contrario: la Shoah ha radici antiche, in fenomeni come l’antigiudaismo
religioso, la xenofobia, il nazionalismo, il razzismo che impregnano la storia
millenaria dell’intera Europa ed hanno alimentato l’immaginario antiebraico: il
pregiudizio e l’odio astratto, immotivato, per qualcosa che non si conosce e
che viene percepito come “diverso” e, dunque, come nemico. Il nemico sul quale
scaricare problemi, colpe, incertezze, insicurezza, paure.
Il massacro di sei
milioni di ebrei non ci sarebbe stato senza l’accettazione cieca di questo
“immaginario” da parte della gente comune: c’è questo “immaginario” alla base
dell’obbedienza passiva, totale, senza chiedersi il perché, a leggi e ordini
criminali, da parte di milioni di uomini e donne “normali”. O, quanto meno,
alla base dell’opportunismo, del conformismo, dell’indifferenza che hanno
portato a voltare le spalle di fronte alla sorte “dell’altro”. Alla sorte di
milioni di “altri”. Una sorte atroce, che inizia con la soppressione dei
diritti, trasformando milioni di esseri umani in “non persone”, e che arriva
alla soppressione della vita stessa.
Il punto, oggi, è
capire se dopo lo sterminio di un intero popolo, questo immaginario sia stato
sconfitto oppure sia ancora vivo. Se, in concreto, circostanze, situazioni,
pregiudizi, comportamenti, scelte, interessi come quelli che hanno portato alla
Shoah siano tuttora presenti tra noi. I fatti ci dicono che non solo
quell’immaginario antisemita avvelena ancora le nostre società, ma che ne sono
stati coltivati altri simili, con la stessa radice: contro i rom, ad esempio, o
contro l’Islam, o gli immigrati e i profughi. Contro chiunque, insomma, sia
percepito come “straniero”. “Diverso”. Ovvero: alimentata giorno per giorno
dalla scarsa conoscenza, dal pregiudizio, dall’egoismo, la macchina della
“costruzione del nemico” continua a funzionare, creando un muro di ostilità o
quanto meno di indifferenza per la sorte di una moltitudine di uomini e donne,
in una spirale perversa che addormenta le coscienze ed è spesso funzionale al
potere.
La vicenda dei
profughi e dei migranti esplosa negli ultimi anni è emblematica. L’intero
sistema che, per affrontarla, è stato messo in piedi dal Nord del mondo,
dall’Unione Europea in particolare, è concepito per alzare barriere tra “noi” e
“loro”, tra la Fortezza Europa e i disperati che bussano alle sue porte. Poco
importa se questo fa di milioni di persone “res nullius”: esseri umani senza
diritti, intrappolati tra le dittature, le guerre, le persecuzioni, il
terrorismo, le catastrofi naturali, le carestie da cui fuggono e il muro di indifferenza innalzato dal mondo
ricco, agiato, libero, democratico. Esseri umani che le politiche di esclusione
adottate dai “potenti” del pianeta confinano sempre più spesso in una terra di
nessuno via via più estesa e periferica, fino a rendere impercettibile la loro
tragedia. Desaparecidos: fatti sparire, in modo che del loro destino non si
parli nemmeno e che ci sia una apparente situazione di normalità.
Non a caso proprio
uomini che hanno vissuto in prima persona l’orrore delle leggi razziali e della
Shoah si sono levati per primi a denunciare l’indifferenza che troppo spesso
circonda la tragedia dei profughi e a contestare la barriera culturale,
politica, umana innalzata nei loro confronti. Come Piero Terracina, uno dei
pochissimi ebrei romani scampati ad Auschwitz. O Massimo Ottolenghi, il
partigiano “Bubi” di Giustizia e Libertà, morto in questi giorni, protagonista
del salvataggio di 200 ebrei. Entrambi hanno insistito con forza sul diffuso,
colpevole “voltarsi dall'altra parte” di tanta, troppa gente. Proprio come è
accaduto con gli ebrei.
Ma, a parte il
“sentire comune”, anche le decisioni prese da numerosi governi, dalla politica
in generale, mostrano sorprendenti, assurde, dolorose analogie con il periodo
buio della discriminazione istituzionalizzata. Accade, tanto per citare, con i
respingimenti a priori, decisi senza esaminare i singoli casi personali, ma
basandosi unicamente sulla nazionalità, la provenienza, il “gruppo”: come si
faceva, appunto, con gli ebrei. O, ancora, con le muraglie di filo spinato, i
blocchi, le norme anti immigrazione, così simili agli ostacoli incontrati dagli
ebrei dopo l’adozione delle leggi razziali in Germania e in Italia. Basti
citare la tragedia della nave S. Louis, carica di mille ebrei in fuga dalla
Germania ma respinti da tutti: come non vedervi un’analogia con i barconi di
richiedenti asilo costretti a filtrare di nascosto tra le maglie della polizia
di frontiera della Turchia? Quella Turchia alla quale l’Europa ha promesso tre
miliardi di euro in cambio della blindatura dei confini per bloccare l’esodo da
luoghi devastati da guerre e terrorismo come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan.
Per non dire della decisione del governo danese di confiscare i beni eccedenti
la quota di 1.300 euro che i migranti portano eventualmente con sé. “Per
contribuire alle spese di mantenimento e alloggio”, è la giustificazione, quasi
a far passare l’idea che chissà quali ricchezze, gioielli, diamanti, i profughi
portano con sé di nascosto. Proprio come la propaganda nazista e fascista
diceva degli ebrei che, scacciati dalle loro case, cercavano in qualche modo di
raggiungere una frontiera amica.
Allora torniamo alle
parole del presidente Mattarella: “Auschwitz non ci abbandona, ci ricorda quali
orrori può compiere l’uomo”. E facciamone tesoro per le nostre scelte e i
nostri comportamenti di oggi: per non dover scoprire domani che stiamo
costruendo giorno per giorno un altro orrore.
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