Agenzia Habeshia
Profughi bloccati alle
frontiere europee
Centinaia di
profughi sono bloccati a Ventimiglia, a Como, alle soglie della frontiera delle
Alpi. A Milano ne sono arrivati quasi 3.500 e continuano ad aumentare perché
appena il 20 per cento riescono a proseguire il loro viaggio, rispetto
all’85/90 per cento degli anni scorsi.
A Como, in
particolare, secondo le ultime segnalazioni, sono intrappolati circa 500
migranti, ospitati in alloggi di fortuna o accampati alla meglio nel parco di fronte
alla stazione. Quasi tutti hanno cercato più volte di entrare in Svizzera o per
attraversarla verso la Germania o per chiedervi asilo, specificando di avere
nel paese parenti disposti ad ospitarli ed aiutarli. Nella stragrande
maggioranza dei casi, sono stati respinti, anche quando hanno potuto esibire
attestazioni e documenti di familiari che, domiciliati da tempo in Svizzera,
dichiarano appunto di poterli e volerli accogliere. Solo
pochi, aiutati da volontari e magari dopo numerosi tentativi a vuoto, sono
riusciti ad arrivare al Centro di Registrazione per presentare domanda di
tutela internazionale. E’ uno stillicidio quotidiano, nel quale non sembrano
esserci criteri certi nelle procedure di accettazione o respingimento, tanto da
indurre il sospetto che alle guardie di confine siano stati impartiti ordini di
servizio restrittivi finora non resi noti ufficialmente, con il risultato di
aumentare la confusione, l’incertezza e, dunque, la sofferenza di tante
persone, tra le quali vanno segnalati, oltre tutto, almeno un centinaio di
minorenni.
A Ventimiglia la
situazione è analoga: centinaia di migranti stanno ripetutamente tentando di
arrivare a Mentone, ma vengono quasi sempre intercettati e respinti. Anche i
pochissimi che riescono a filtrare sono in genere individuati in breve tempo e
rimandati indietro. E il Brennero, intanto, è sempre chiuso. Si registra così
spesso un riflusso verso Milano e il suo hinterland o addirittura verso Bologna
e Roma.
E’ una situazione
che sta esplodendo, come dimostrano i disordini avvenuti nei giorni scorsi a
Ventimiglia, dove purtroppo si è dovuta registrare anche la morte di un agente
di polizia. Ma rischia di essere soltanto l’inizio, se si pensa a quanto accade
nei centri di accoglienza in Italia: i campi sempre più affollati, i tempi d’attesa
lunghissimi per chi vuole chiedere asilo in Italia o proseguire il suo
itinerario verso altri paesi europei, il clima di enorme incertezza inducono
sempre più spesso i migranti a fuggire, per cercare di superare la frontiera, anche
sfidando il rischio di essere rimandati indietro al primo controllo e
affidandosi magari alle organizzazioni di trafficanti che hanno messo radici
anche in Europa.
Il punto è che
l’Europa è sempre più chiusa e continua ad alzare barriere alle sue frontiere,
sia quelle esterne, sia quelle interne tra i singoli Stati. In particolare
appare evidente, in questo contesto, il fallimento del programma di relocation:
erano stati previsti 160 mila posti entro il 2017 ma ad oggi ne sono stati
attivati in concreto solo poco più di 3.500, dei quali 902 dall’Italia e il
resto dalla Grecia. E’ evidente che se il progetto funzionasse, nessuno dei
richiedenti asilo si esporrebbe al rischio di un viaggio in clandestinità verso
l’ignoto, dove l’unica certezza sono le difficoltà e le sofferenze che si
incontreranno lungo il cammino, spesso l’incomprensione o addirittura
l’ostilità di molti, la prospettiva sempre più frequenti di finire nelle mani
dei trafficanti, esattamente come è accaduto a tantissimi di loro in Africa,
prima dello sbarco in Italia.
Emergono allora due
esigenze a cui dare risposte immediate:
– Rimettere in moto il piano di relocation,
chiedendo a Bruxelles e ai singoli Stati Ue di rispettare gli impegni presi,
secondo il principio, più volte ribadito da vari leader europei, che “ciascuno
deve fare la propria parte”.
– Attuare finalmente
in Italia (che finora si è rivelata essenzialmente un paese di transito per i
migranti) un sistema di accoglienza in grado di superare la situazione attuale
che registra oltre 90 mila posti nelle strutture “straordinarie” (Cas e Cara) e
meno di 25 mila in quelle destinate ad accompagnare i profughi in un percorso
di inserimento sociale (Sprar), portando le sue capacità di “ospitalità”
permanente ai livelli della media europea.
Un problema
particolare ed estremamente delicato è, in questa situazione, quello dei minori
non accompagnati. Ne arrivano sempre di più: risultano triplicati negli ultimi cinque
anni. E sempre di più ne spariscono senza lasciare traccia. Ce ne sono
tantissimi anche tra i profughi bloccati a Ventimiglia, a Como, a Milano, ai
posti di frontiera: ragazzi nella stragrande maggioranza identificati allo
sbarco e dunque formalmente “presi in carico” dallo Stato italiano e poi
“spariti”. Appare evidente che per tutti loro occorre una attenzione
particolare. E’ certamente positiva la decisione del Governo italiano di aprire
entro brevissimo tempo 35 nuovi centri di accoglienza dove prendersi cura di
questa speciale categoria di profughi, i più deboli e a rischio, come hanno
denunciato a più riprese numerose Ong e la stessa Europol. La situazione che si
è creata nelle ultime settimane, però, esige interventi immediati che
coinvolgano l’intera Europa:
– Facilitare, da
parte dei Governi dell’Unione, l’ingresso dei ragazzi che abbiano nel paese
parenti e familiari disposti a prendersi cura di loro, a cominciare dai minori
bloccati in questi giorni alle frontiere.
– Uniformare e
rendere le più rapide possibile le procedure per l’affidamento a familiari
presenti o negli stessi paesi di sbarco (essenzialmente Italia e Grecia) o in
altri paesi di tutta l’Europa comunitaria, come prevede anche il regolamento di
Dublino.
– Attivare e
potenziare i servizi sociali territoriali che devono prendersi cura dei profughi
minorenni non accompagnati che non risultano avere familiari in uno dei paesi
europei, ospitandoli in comunità di accoglienza adeguate, senza escludere in
futuro soluzioni migliori, come l’affidamento a famiglie disposte ad
accoglierli o ad eventuali parenti ritrovati o arrivati nel frattempo in
Europa.
Non si tratta di
interventi straordinari. Si tratta solo di applicare le leggi e le regole che gli
Stati Ue si sono dati. Anzi, di rispettare i valori da cui è nata l’idea stessa
di Unione Europea. Dare risposte adeguate all’attuale crisi dei migranti,
allora, va forse molto al di là del problema in sé: è una sfida in cui è in gioco il futuro
dell’Europa.
don Mussie Zerai
presidente
dell’agenzia Habeshia
Roma, 13 agosto 2016
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