Gentile commissario,
le scriviamo a nome
dell’Agenzia Habeshia che, come forse saprà, si occupa della tragedia dei
profughi e dei migranti e che, dunque, vorrebbe vedere in lei un alleato nel
difficile cammino teso a dare libertà, dignità e sicurezza ai milioni di
persone costrette ad abbandonare la propria terra.
Partiamo da una delle
ultime, drammatiche richieste di aiuto. Certamente conoscerà il rapporto
dell’Onu che appena poche settimane fa ha denunciato che oltre 400 mila bambini
sono vittime della carestia, in Nigeria, a causa della situazione provocata dai
miliziani fondamentalisti di Boko Haram. Anzi, secondo l’Unicef, 75 mila
rischiano di morire di fame nei prossimi mesi, al ritmo di 200 al giorno. Senza
contare le uccisioni, i rapimenti, i saccheggi che investono interi villaggi,
gli attentati, le stragi e tutto il nord del paese precipitato da anni sotto il
controllo diretto dei fondamentalisti fedeli all’Isis. E allora qualcosa non
torna se ripensiamo alle sue dichiarazioni, diffuse da tutti i media europei,
secondo cui non occorre cambiare i criteri delle nazionalità dei rifugiati da
accogliere e “ricollocare” in qualcuno degli Stati dell’Unione.
“Se confrontiamo
Italia e Grecia, vediamo che fino all’80 per cento dei migranti che
attraversano l’Egeo sono profughi, mentre la maggioranza di quelli che arrivano
in Italia dal Mediterraneo centrale, anche in questo caso l’80 per cento, sono
irregolari. Non intendiamo cambiare i criteri…”: questa è la dichiarazione che
le ha attribuito la stampa, in risposta a chi le chiedeva se non pensasse a
qualche modifica per le nazionalità da ridistribuire, visto che in Italia non
ci sono “abbastanza siriani ed eritrei”. Ecco, già questa idea delle
nazionalità come “requisito a priori” sembra a dir poco assurda. Se non altro
perché – lei lo sa bene – secondo il diritto internazionale e la Convenzione di
Ginevra, le richieste di asilo vanno esaminate caso per caso, ascoltando le
storie individuali di ciascuno e non, invece, espletate in base a criteri di
“appartenenza nazionale” come purtroppo si sta ormai facendo, tanto da accogliere
solo coloro che fuggono dalla Siria sconvolta dalla guerra o dall’Eritrea
schiavizzata dalla dittatura di un regime autoritario.
Se proprio vuole,
tuttavia, parliamo pure di nazioni e paesi. Abbiamo detto della Nigeria, dove
per migliaia di persone l’alternativa è morire sotto i colpi di Boko Haram o di
fame. Andiamo oltre: ad esempio, prendiamo il Sud Sudan. Anche in questo caso,
lei è troppo ben informato, per il ruolo che riveste, per non sapere che la
guerra civile che sta devastando il paese da tre anni, tanto da provocare
almeno 10 mila morti e 3 milioni di profughi, rischia di trasformarsi in un
vero e proprio genocidio, con le fazioni in lotta pronte ad ammazzare e a fare
strage in base all’etnia, seguendo la logica perversa della pulizia etnica. Lo
denuncia un rapporto dell’Onu pubblicato all’inizio di dicembre, in aggiunta
all’ormai “abituale” corollario di uccisioni, rapimenti, villaggi saccheggiati
e incendiati, incursioni persino all’interno dei campi profughi posti sotto le
insegne dell’Unhcr. Per non dire della “carestia provocata”: già, a parte i
cambiamenti climatici e la siccità, da almeno due anni non si fanno più le
semine a causa della guerra e, dunque, non ci sono raccolti per soddisfare
almeno in parte i bisogni alimentari della popolazione.
Allora, che dire?
Chi fugge da questo inferno non deve essere accolto in Europa come rifugiato?
Ma l’elenco di
situazioni come questa è lunghissimo. La Somalia implosa e in preda alla guerra
civile, con i miliziani di Al Shabaab, affiliata ad Al Qaeda, che mettono a
segno una media di oltre 900 attentati l’anno, con centinaia, migliaia di morti
e, anche qui, una siccità e una carestia che investono milioni di uomini e
donne. Il Mali dove, contrariamente a quanto si continua a dire in Europa, la
guerra esplosa con la rivolta del 2012 nelle regioni del nord, il cosiddetto
Azawad, non è mai finita, come dimostra la lunga, quotidiana catena di
attacchi, attentati, agguati, uccisioni. Il calvario del Darfur, la martoriata
regione del Sudan che non conosce pace da anni e che alimenta, appunto, un
flusso costante di profughi che vedono nella fuga l’unica via di salvezza dalle
violenze di ogni genere perpetrate dalla polizia del regime di Al Bashir, i
famosi “diavoli a cavallo”. Lo Yemen, travolto dalla guerra tra sciiti e
sunniti: anche qui migliaia di morti e milioni di profughi o sfollati,
disperati scacciati dalle loro case e dalle loro città anche dalle bombe e
dalle armi che l’Europa (e l’Italia in particolare) vende, insieme agli Stati
Uniti, ad una delle fazioni in lotta. O, ancora, il Gambia, soggiogato per anni
da una dittatura feroce, che speriamo sia stata davvero scacciata dalle
elezioni di qualche giorno fa. O la Repubblica Centrafricana. O lo stesso
Niger, scelto dall’Europa per farne un grande “hub” di smistamento per i
profughi ma che sembra tutt’altro che sicuro, in seguito alla crescente
escalation di attacchi terroristici da parte di Boko Haram dalla Nigeria e di
jihadisti di Aqim e dell’Isis dal Mali, tanto che nel giugno scorso il
coordinatore delle Nazioni Unite, Fode Ndiaye, si è appellato alla comunità
internazionale parlando senza mezzi termini di “crisi umanitaria”…
Si potrebbe
continuare – lei lo sa – per chissà quanto ancora. Con l’Afghanistan, ad
esempio, dove l’Unione Europea vuole “rimpatriare” 80 mila profughi, come se il
paese fosse diventato all’improvviso “pacifico e sicuro”. Purtroppo i media
parlano poco di queste tragedie e l’opinione pubblica ne sa poco. Ma che si
tratti, appunto, di tragedie lo denunciano i profughi che continuano a bussare
alle porte dell’Europa, in fuga dalla Nigeria, dal Sud Sudan, dal Sudan, dalla
Somalia, dal Gambia e così via: basta scorrere l’elenco delle nazionalità dei
tanti giovani sbarcati in Italia. Però, stando alle sue dichiarazioni, a quanto
pare queste situazioni non sarebbero “sufficienti” ad aprire le porte della
solidarietà in Europa. Non bastano a garantire – come pure prevede il diritto
internazionale – aiuto e accoglienza.
Perché questa
scelta? Habeshia non riesce a spiegarselo. A meno che il motivo non sia che questi Stati da cui si
è costretti a fuggire sono in buona parte proprio gli stessi con cui l’Unione
Europea ha stretto tutta una serie di trattati per fermare i profughi prima
ancora che arrivino alle sponde del Mediterraneo. Ci riferiamo ai Processi di
Rabat e Khartoum, agli accordi firmati a Malta nel novembre 2015, al patto con
la Turchia da lei esaltato e che, in effetti, funziona benissimo come
“barriera” posta al di là dell’Egeo: peccato che funzioni sulla pelle dei
profughi. Già, perché accordi e patti di questo genere servono all’Europa per
esternalizzare le sue frontiere addirittura al di là del Sahara o comunque
lontano dalla sponda meridionale del Mediterraneo, delegando ad altri il lavoro
sporco di sorvegliarle, queste frontiere, e renderle invalicabili. E le sue
dichiarazioni, ora, rischiano di dare voce ulteriore a chi vuole alzarle ancora
di più le barriere dell’egoismo e dell’indifferenza e si appella da sempre a
una politica di chiusura e respingimento.
Noi speriamo
davvero, come Habeshia, di essere smentiti. Ma – a meno di smentite, appunto – proprio
questo emerge dalle sue parole riferite dai media. Parole
che sembrano dimenticare che lasci la
casa solo quando la casa non ti lascia più stare1… Cordiali
saluti,
Don Mussie Zerai,
presidente dell’Agenzia Habeshia
Emilio Drudi,
portavoce dell’Agenzia.
Roma, 8 dicembre
2016
NOTA
1 – Giuseppe
Cederna, Home. I versi successivi
dicono: Nessuno lascia la casa a meno che
la casa non ti cacci fuoco sotto i piedi, sangue caldo in pancia, qualcosa che
non avresti mai pensato di fare, finché la falce non ti ha segnato il collo di
minacce…
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