lunedì 26 novembre 2018

Il diritto dei deboli non è un diritto debole!

Meno sgomberi, più accoglienza diffusa
Il diritto dei deboli non è un diritto debole!
Bisogna evitare a tutti livelli, l'affermazione di fatto di un principio molto grave, che "il diritto dei deboli possa essere un diritto debole" questo è inaccettabile in una democrazia sana e matura, perché una vera democrazia fa di tutto per tutelare il diritto dei più vulnerabili, dei più deboli, a maggior ragione di chi è arrivato rischiando la vita convinto di trovare protezione e asilo. I fatti di questi ultimi mesi e l'annunciato decreto sicurezza rischiano di far passare nel opinione pubblica l'idea che il diritto dei più deboli è calpestabile, che non vale nulla, perciò un diritto debole. Tutto ciò è gravissima lesione alla dignità delle persone che si trovano in stato di bisogno e di fragilità. Una dannosa erosione di valori che danno sostanza alla democrazia, la Solidarietà, la Giustizia, la Libertà.
Roma. Parte dei migranti evacuati dal campo “spontaneo” dietro la stazione Tiburtina vagano ancora da una strada all’altra. Dormono all’aperto. Mangiano, dove quando e come possono. Nessuno mette in dubbio la legittimità di questo e di altri, analoghi sgomberi di centri accoglienza improvvisati o di edifici invasi abusivamente. Oltre tutto, strutture di questo genere finiscono, più volte, per creare situazioni molto border line, nelle quali riesce a infiltrarsi di tutto. Solo che spesso queste evacuazioni forzate non prevedono e non offrono soluzioni di accoglienza e alloggio alternative: riportano magari “legalità e sicurezza” – come si dice sempre – negli spazi occupati ma creano gravi condizioni di disagio, emarginazione e, in definitiva altra illegalità e insicurezza.
Mineo. Centinaia di migranti hanno dato vita a una vasta, forte protesta. Denunciano le pesanti condizioni di vita all’interno del centro di accoglienza, il più grande e famoso d’Europa. Qui non si tratta di una struttura abusiva: si tratta di un enorme campo “governativo”, che dipende dal ministero dell’interno e dalla prefettura, ma il tipo di “ospitalità” non è molto dissimile da quello di tanti campi “spontanei”. E l’angoscia per il futuro esattamente la stessa. Anzi, ora, con le restrizioni annunciate dal Governo, ancora più pesante.
Roma e Mineo. Ma si possono citare decine, centinaia di casi analoghi in tutta Italia. Il punto è, infatti, che a non funzionare è il sistema stesso. Tutto il sistema, perché invece di accogliere diventa esso stesso uno strumento di clandestinazione forzata, parcheggiando i migranti come in un limbo, per anni, nell’attesa infinita delle risposte alle domande di asilo e facendo quasi sempre dei “fantasmi” senza diritti persino quelli che ottengono il permesso di soggiorno, perché quasi non esiste un percorso di inclusione sociale che se ne faccia carico. 
Gli ultimi provvedimenti previsti dal Governo, a partire dal capitolo immigrazione del decreto sicurezza, peggioreranno ulteriormente la situazione: per i rifugiati, ma anche per la vita delle città, grandi e piccole, che ospitano una qualche struttura che si occupa dei migranti. Quello che emerge, infatti, è la volontà non di migliorare ma di restringere al massimo l’accoglienza e, di contro, moltiplicare la politica di chiusura e respingimento. Sono diverse le cose che preoccupano nel programma messo in moto. In particolare, però,
– La soppressione di fatto del sistema Sprar, il capitolo gestito dai Comuni, la parte migliore di tutto il sistema, ispirato al principio dell’accoglienza diffusa e l’unico che preveda un itinerario di integrazione sociale, basandosi su piccoli nuclei sparsi nel territorio. In sostanza, il solo settore che funziona. In questo modo si tornerà alle grandi “concentrazioni” senza sbocco, quasi sempre ingestibili e che sono, queste sì, fonte di problemi, frustrazione, difficoltà, sospetto, ostilità, ecc.
– L’abolizione della “tutela umanitari” Ovvero, l’abolizione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari. Aggiunto agli effetti del decreto Minniti-Orlando che ha abolito il diritto di ricorrere in appello contro le sentenze di respingimento delle commissioni incaricate di esaminare le richieste di asilo, questo provvedimento ridurrà drasticamente la concessione dei permessi di soggiorno, trasformando in “clandestini” migliaia di migranti che avrebbero invece tutto il diritto di essere tutelati, in base ai motivi che li hanno costretti a scappare. Una delle giustificazioni è che la “tutela umanitaria” esisterebbe solo in Italia. Non è vero: forme di tutela di questo tipo, magari denominate in modo diverso, esistono nella maggioranza degli Stati Ue e qualcuno che l’aveva abolita la ha poi reintrodotta.
– Il taglio drastico della cosiddetta “retta” assegnata ai Cas e in genere alle strutture di accoglienza per ciascuno degli ospiti. Dagli ormai “famosi” 35 euro giornalieri (di cui solo 2,5 destinati in contanti al migrante) si scende ad appena 19 e probabilmente anche di meno, attraverso aste al ribasso. Una cifra insufficiente anche per la sola sopravvivenza. E i tagli riguardano essenzialmente due voci: l’insegnamento della lingua italiana e la formazione lavoro. Ovvero, paradossalmente, proprio le due voci essenziali per avviare un percorso di inserimento ed evitare quella insicurezza e quella illegalità, in una parola, quello sbando che si dice di voler combattere.
Non a caso numerosi sindaci hanno votato una serie di mozioni in cui chiedono con forza di sospendere il capitolo immigrazione del decreto sicurezza. Lo hanno fatto sindaci di città grandi e importanti come Torino e Bologna, di città medie come Latina, di realtà piccole come Cerveteri. Ogni tipo di Comune, in tutta Italia. Perché i sindaci sanno bene quali sono i problemi dell’accoglienza e come risolverli, visto che li affrontano in concreto tutti i giorni. E i sindaci sono lo Stato in prima linea: lo Stato che vive tra la gente e si trova a fare i conti con le decisioni prese dal Governo.
Quasi in contemporanea con la mobilitazione dei sindaci, esponenti del Governo hanno ostentato il proprio apprezzamento per i corridoi umanitari andando di persona ad accogliere alcune decine di migranti. “Questa – hanno detto – è l’emigrazione che ci piace”. In realtà, in questi “corridoi” il Governo non c’entra granché e non spende un solo euro: li organizza l’Unhcr con la Chiesa cattolica e la Chiesa Valdese. Ma è vero, così dovrebbe essere l’immigrazione: regolare e gestita. “Regolare e gestita” sia nel viaggio di arrivo sia dopo, nell’accoglienza. Serve un programma di reinsediamento europeo per 300mila persone all'anno, per rispondere meglio con efficacia ai bisogni di protezione e di sicurezza di chi viene accolto e di chi accoglie. Per combattere realmente il traffico di esseri umani e traffico di organi, e risparmiare le orribili violenze e vessazioni per i mal capitati in fuga cercando protezione.
Alla luce di tutto questo e, in particolare, proprio di quelle dichiarazioni sui corridoi umanitari, l’Agenzia Habeshia chiede con forza di:
– Cessare immediatamente gli sgomberi forzati senza aver previsto una sistemazione alternativa per tutti gli ospiti evacuati, sul modello di quanto avviene nei sistemi di accoglienza più avanzati dei paesi europei. Un vero processo di inclusione sociale, culturale ed economico.
– Sospendere il capitolo immigrazione del decreto sicurezza e impostare di contro una riforma radicale del sistema, basata sull’accoglienza diffusa propria dello Sprar, che va reso obbligatorio in tutti i comuni italiani, con quote predefinite in base alle singole situazioni e superando il più rapidamente possibile la rete dei Cas, a cui è legata gran parte dei problemi dell’immigrazione
– Garantire la massima autonomia di giudizio delle commissioni esaminatrici delle richieste di asilo, senza ingerenze o pressioni dall’alto, ed accelerare i tempi per le risposte
– Ripristinare il secondo grado di giudizio in caso di respingimento della domanda
– Aprire canali legali di immigrazione gestiti direttamente dallo Stato in Italia e negli altri paesi europei, sotto l’egida della Ue, che consentano di evacuare le migliaia di profughi intrappolati in Libia e in altri paesi di transito e prima sosta. Canali che non si limitino alle poche decine o centinaia di quelli organizzati finora solo da istituzioni come le Chiese, la Comunità di Sant’Egidio, ecc.
Questo appello è rivolto in particolare al Governo italiano, all’Unione Europea, ai parlamentari di tutti i gruppi politici presenti a Roma e a Bruxelles.

Don Mosè Zerai,
presidente dell’Agenzia Habeshia

Roma, 26 novembre 2018  

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