Eccellenza Sig. Presidente,
Prof. Mario Draghi
sono rientrato da pochi giorni da Lampedusa, dove il 3 ottobre è stata ancora una volta ricordata la tragedia in cui hanno perso la vita ben 368 migranti, quasi tutti eritrei in fuga dalla dittatura che da almeno vent’anni opprime il paese e ruba la vita in particolare ai giovani. Sembra ieri, eppure da quell’alba triste in cui si è consumata la strage sono già passati otto anni. Il tempo, però, non ha lenito il dolore. Anche perché sono ancora tanti, troppi, i fattori che mantengono aperte le ferite dell’animo.
Tre soprattutto:
– Non si è ancora stata fatta piena chiarezza su quanto è accaduto e su tutte le eventuali responsabilità.
– Non si è mai concretizzata ed anzi sembra ormai del tutto abbandonata la proposta di riunire in un unico luogo le salme delle vittime, creando una sorta di memoriale non solo di questa strage ma nel nome di tutti i giovani che, negli ultimi anni, costretti a lasciare la propria terra, sono scomparsi nel Mediterraneo o lungo le vie di fuga “a terra”.
– Non si è ancora riusciti nemmeno a dare un nome a tutte le vittime, perché i familiari possano deporre un fiore sulle loro tombe.
Ecco, queste mie righe nascono proprio da quest’ultimo punto. Non solo molti di quei ragazzi – donne e uomini – restano sconosciuti. Ho appreso con dolore, sorpresa e profondo sconcerto che almeno dieci salme – una identificata e le altre nove, la maggioranza, non ancora – sono state dissepolte per essere inumate in nel campo comune.
E’ accaduto nel cimitero di Sciacca. Lo ha scoperto una signora eritrea arrivata dalla Svizzera per pregare sulla tomba della sorella. Sono anni che questa signora affronta periodicamente il sacrificio di quello che potrebbe definirsi quasi un pellegrinaggio del dolore. Ma questa volta a dolore si è aggiunto dolore, perché ha dovuto constatare che nella tomba su cui si era tante volte soffermata in preghiera non era più sepolta la sorella ma un’altra persona. Ne è seguito un rapido accertamento, a cui ho partecipato io stesso, e ne è venuto fuori che altri 9 profughi, tutti senza nome,hanno subito la stessa sorte. La giustificazione delle autorità comunali di Sciacca è stata che, avendo requisito a suo tempo i loculi necessari su richiesta della Prefettura, ha ora dovuto restituirli ai proprietari su disposizione del Tribunale, trasferendo di conseguenza quelle dieci salme nel campo comune, tanto più che si trattava in maggioranza di persone sconosciute.
Non voglio entrare nelle motivazioni legali o, diciamo, “pratiche”, che possono aver indotto l’amministrazione comunale di Sciacca a prendere questa decisione. Mi limito a sottolineare due cose. La prima è che mi sembra a dir poco assurdo e irrispettoso rimuovere una salma senza avere la delicatezza di comunicarlo ai familiari. E quanto agli “sconosciuti”, penso che sarebbe stato doveroso avvertire le autorità di governo e le organizzazioni o le associazioni che fin dall’inizio si sono occupate e continuano ad occuparsi della vicenda, in modo da concordare insieme una soluzione diversa da quella della fossa comune. E’ certamente vero, infatti, che finora non si è riusciti a dare un nome a quei poveretti e a molti altri come loro, ma il lavoro della commissione d’indagine non è terminato e provvedimenti del genere, oltre a risultare oltraggiosi per le vittime, rischiano di complicare gli accertamenti,già di per sé difficili e lunghi.
Non solo. Sotto il profilo morale, quanto è accaduto sembra quasi il segnale di una sorta di volontà di chiudere per sempre questa terribile storia, cancellando persino la “testimonianza” che è di per sé rappresentata da ciascuna di quelle salme – senza nome o con un nome non fa molta differenza – e di conseguenza cancellando, insieme a quella “testimonianza”, la memoria stessa di quella strage che è diventata il simbolo della enorme tragedia dell’immigrazione negli ultimi 25 anni.
Vorrei allora ricordare – senza alcuna punta polemica ma con estrema decisione e convinzione – gli impegni presi dal governo italiano nell’ottobre 2013, all’indomani di quel terribile naufragio. Si parlò non solo della necessità di fare “piena luce” sulla strage ma, a proposito delle vittime, di onoranze funebri solenni, che testimoniassero l’impegno dello Stato italiano e la sua vicinanza con le famiglie delle vittime e con isuperstiti. A otto anni di distanza, invece, si deve scoprire che alcune salme vengono addirittura praticamente sfrattati. Quasi nascoste. E il timore è che, seguendo il principio adottato dall’amministrazione di Sciacca, lo stesso accada anche in altri Comuni siciliani che accolgono quei poveri resti nei loro cimiteri.
Le chiederei, allora, di fare in modo che il precedente di Sciacca non si ripeta e che, anzi, quelle dieci salme tornino ad avere ciascuna una propria, particolare sepoltura: nient’altro che quello che accade nei cimiteri – magari modestissimi, ma pieni di dignità e umanità – dedicati in alcuni paesi africani, come la Tunisia o l’enclave spagnola di Ceuta, ai resti mortali dei migranti recuperati in mare. Anzi, le chiederei, in realtà, molto di più: il caso di Sciacca potrebbe essere l’occasione per rilanciare gli impegni presi dal Governo nel 2013. Come? Ad esempio, sostenendo di più il lavoro della commissione impegnata a dare un nome e un volto alle vittime ancora sconosciute e rilanciando il progetto del memoriale.
Grazie dell’attenzione e per quanto vorrà fare. Resto ovviamente a disposizione per qualsiasi chiarimento e le invio intanto i mei più cordiali saluti.
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