Sig.ra Luciana Lamorgese
Ministro dell'Interno
La scrivo come presidente dell’Agenzia Habeshia, che si occupa, come forse saprà, della sorte dei profughi/migranti, dei loro familiari e, più in generale, del difficile problema dell’emigrazione.
Sono passati più di due anni dal naufragio di una barca di migranti avvenuto nel dicembre del 2019 in prossimità di Lampedusa, lo stesso mare della strage del 3 ottobre 2013, con ben 266 vittime, quasi a segnare una continuità con quella tragedia che ha sconvolto le coscienze di tutta Europa. Una continuità che nasce in particolare dal dolore per il destino di migliaia di profughi e migranti inghiottiti dal mare sulla faticosa via dell’esilio. Anche in quel dicembre 2019 ci furono numerose vittime. A rilanciare ora la ferita di quel secondo naufragio di Lampedusa è la notizia, diffusa ampiamente dai giornali siciliani, di quanto si sta verificando nel cimitero di Piano Gatta ad Agrigento.
In questo luogo di meditazione e preghiera, come forse le è stato riferito, accade che nel deposito sono conservate numerose bare in attesa di sepoltura. Un’attesa lunghissima (dovuta a questioni amministrative e contese legali sulla costruzione di nuovi loculi e la gestione in generale, nelle quali ovviamente non vogliamo entrare) che ha avuto effetti devastanti. Secondo quanto scrivono le cronache, infatti, numerose bare sono esplose, con tutte le conseguenze che può ben immaginare.
I familiari dei defunti si sono appellati alle autorità locali per chiedere quanto prima un intervento risolutivo, obbedendo alla sollecitudine e alla delicatezza che richiede una situazione come questa. Ecco, mi rivolgo a lei pensando a sei defunti rimasti sconosciuti: sei salme anonime di profughi restituite dal mare il 3 dicembre del 2019. Quei corpi, come si evince dal documento posto sul coperchio della bara, furono trasferiti in Sicilia poco dopo il recupero e accolti appunto nel cimitero di Agrigento. Avrebbero dovuto essere sepolti entro pochi giorni e invece sono ancora nel deposito provvisorio. Abbandonati da tutti.
Le chiedo allora un gesto di umana pietà per risolvere al più presto questa assurda situazione. Per tutti quei defunti naturalmente, ma in particolare per quei sei poveri morti sconosciuti che non hanno nessuno che si occupi di loro, come purtroppo spesso accade per le salme anonime dei profughi recuperate nel nostro mare.
Questo doloroso episodio, anzi, offre lo spunto per rilanciare un progetto proposto dall’Agenzia Habeshia ormai diversi anni fa alle istituzioni italiane: realizzare un memoriale che, riunendo le 366 vittime di Lampedusa dell’ottobre 2013, diventi il simbolo delle migliaia di vite spezzate che hanno fatto del Mediterraneo un immenso cimitero. Un sacrario della memoria dove seppellire anche tutte le salme di migranti anonime, come appunto le sei attualmente ad Agrigento, e che diventi un “luogo della memoria”. Intendendo per “memoria” non il semplice “esercizio del ricordo” ma una precisa, doverosa “assunzione di responsabilità”, in modo da capire come possa essere accaduto e possa accadere ancora che tanti giovani debbano morire nel tentativo di realizzare il loro sogno di libertà e di una vita migliore.
Resto a disposizione per eventuali chiarimenti. Nel ringraziarla per quanto potrà fare, le invio intanto i miei più cordiali saluti,
don Dr. Mussie Zerai
Presidente dell’Agenzia Habeshia
Roma, 15 febbraio 2022
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