martedì 7 settembre 2010
L’«amico» Gheddafi: riapre la caccia all’eritreo
Rischio deportazione
Ventuno giovani migranti rinchiusi nei lager libici. Due sono invalidi
Dimenticati i 205 arrestati a luglio. Qualcuno ha ritentato la fuga in Italia
udegiovannangeli@unita.it
Iriflettori si sono spenti. Gli indignati
dell’ultima ora sono tornati
in letargo. Ma in Libia le
retate sono riprese. I lager a
riempirsi. Ai «dimenticati di
Brak» si aggiungono i deportati di
Kuifia. Storie agghiaccianti. Che
chiamano in causa, ancora una volta,
le responsabilità di un Governo,
quello italiano, che dopo aver celebrato
glishow romani del Colonnello,
continua a ignorare gli appelli disperati
che giungono dalla Libia.
Dell’odissea degli oltre 200 eritrei
segregati per giorni e giorni nel lager
di Brak, nel deserto libico, l’Unità
ne ha dato conto a più riprese,
grazie, soprattutto, al contributo di
un sacerdote indomito: don Mussie
Zerai, eritreo, responsabile dell’ong
Habesha, un’associazione che si occupa
di accoglienza dei migranti
africani.Don Zerai ci aggiorna sulla
vicenda dei 205 «liberati» da Brak:
«Alcuni di loro - rivela a l’Unità -
hanno cercato di raggiungere l’Italia.
Ma non ce l’hanno fatta». Altri
continuano a chiedere di avere un
incontro con qualche funzionario
dell’Ambasciata italiana a Tripoli,
in modo da poter illustrare la loro
storia e veder riconosciuto il diritto
all’asilo. Ma anche questa richiesta
è caduta nel vuoto.
Per il Governo italiano la «pratica
è chiusa», Definitivamente. Con
affari miliardari in fase di definizione,
guai a innervosire l’«amico
Muammar» tirando fuori il dossier
sui diritti umani. Meglio chiudere
gli occhi. E occuparsi d’altro. E poco
importa che le retate sono riprese.
Che è ripresa la caccia all’eritreo. A
Tripoli, a Bengasi...Quella raccontata
daMussie Zerai, sulla base di contatti
diretti con alcune delle vittime,
è la storia di sedici ragazzi e cinque
ragazze di nazionalità eritrea,
tutti profughi, prelevati dalle autorità
libiche dalle loro abitazioni nella
città di Bengasi: «Li sono andati a
cercare - sottolinea Zerai - andavano
a colpo sicuro...». È la sera del 3
settembre. L’incubo ha inizio. E nelle
testimonianze raccolte dal fondatore
di Habesha, si «arricchisce» di
particolari agghiaccianti. «I ragazzi
- racconta don Zerai -mi hanno detto
di essere stati messi assieme a
persone che hanno commesso reati
quali omicidi, stupri, spaccio di droga...
Trattati alla stregua di criminali
comuni». Questo avviene nel centro
di detenzione di Algedya, mentre
le cinque ragazze sono state condotte
nel carcere di Kuifia, nei pressi
di Bengasi. «La situazione più grave
- prosegue il suo raccontoMussie
Zerai - riguarda due ragazzi: uno
che ha una gamba amputata e ha
bisognodi cure continue. Invoca assistenza,
che gli viene negata».
L’altra emergenza riguarda un
ragazzo con problemimentali. «Da
quanto mi hanno riferito - dice il
sacerdote eritreo - questo ragazzo
continua a sbattere la testa contro
il muro.Èinuna condizione di totale
confusione. Avrebbe bisogno di
cure specifiche, andrebbe tolto da
quella cella...». Così non è. Quel ragazzo
con disturbimentali e l’altro
con una gamba amputata, e gli altri
quattordici loro compagni di
sventura, per le autorità libiche sono
«migranti illegali» e dunque da
trattare alla stregua di criminali.
Nonbasta.Adallarmarli ulteriormente
è stata una visita indesiderata:
quella diun rappresentante dell’Ambasciata
eritrea a Tripoli, il
quale ha comunicato loro che presto,
molto presto, a causa della
mancanza di un passaporto valido
saranno deportati nel Paese d’origine.
Quel Paese dadove erano fuggiti.
«Al che i ragazzi hanno chiamato
per chiedere aiuto», spiega Mussie
Zerai. «Ho parlato con gli esponenti
di diverse organizzazioni
umanitarie e con Laura Boldrini
(portavoce in Italia dell’Unhcr,
ndr)- afferma il sacerdote -. A tutti
loro ho chiesto di attivarsi non solo
per impedire la ventilata deportazione
di queste persone, ma anche
perché si arrivi a una soluzione globale
». Una speranza che si scontra
con la colpevole inerzia della diplomazia
italiana. E del suo responsabile:
Franco Frattini. «Tutto questo
accade in conseguenza dell’Accordo
Italia-Libia, secondo il quale il
leader Gheddafi si impegna a fermare
nel suo Paese i profughi richiedenti
asilo, impedendo loro
di beneficiare della Convenzione
di Ginevra e di godere dunque
dei propri diritti fondamentali»,
sottolineano Roberto Malini, Matteo
Pegoraro e Dario Picciau,
co-presidenti dell’organizzazione
per i diritti umani EveryOne.
«Chiediamo pertanto - aggiungono
- al Governo italiano, in particolare
alministro Frattini, di attivarsi
al più presto per scongiurare
un’imminente deportazione
che potrebbe mettere in serio pericolo
di vita i profughi...».
«La soluzione per noi - insiste
il responsabile di Habesha - continua
a rimanere quella di avviare
un programma di reinsediamento.
Per tutti i rifugiati e i richiedenti
asilo che sono in Libia, l’unica
soluzione vera è di essere reinsediati
in un Paese che garantisce i
loro diritti.È quello che continuanoa
chiedere: vogliamo essere accolti
in un Paese democratico che
rispetta i nostri diritti di richiedenti
asilo e di rifugiati». Tra questi
Paesi c’è l’Italia.Un Paese il cui
ministro dell’Interno non perde
occasione per esaltare i successi
(leggi respingimenti forzati) ottenuti
con l’Accordo di Bengasi. Un
Paese che ha assistito tra l’incredulo,
l’indignato e il compiaciuto
ai recenti show del Colonnello
«convertitore». Un Paese che nel
nome degli affari miliardari con
Tripoli è venuto meno al rispetto
di Convenzioni ratificate e ai più
elementari principi di umanità.
Il forziere del Rais. È questo
che fa gola. Secondo alcuni, ricorda
il corrispondente di El Pais a
Roma,MiguelMora -Gheddafi dispone
di una liquidità di circa 65
miliardi di dollari, e punta a nuove
partecipazioni in Eni, Impregilo,
Finmeccanica, Terna e Generali.
Oltre ad essere, con il 7% del
pacchetto azionario, il primo azionista
di Unicredit, il più grande
gruppo bancario italiano, che a
sua volta controlla Telecom, Rcs
e Assicurazioni generali.❖
Rastrellamenti
Ora potrebbero essere
rispediti in Eritrea
perché senza documenti
Prelevati dalle loro
case di sera, tra loro
anche cinque ragazze.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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