giovedì 15 settembre 2016

Dare un futuro migliore ai rifugiati : L'Istruzione ha un ruolo chiave, deve essere parte integrante del sistema di accoglienza.

RAPPORTO UNHCR DOCUMENTA LA CRISI NELL’ISTRUZIONE DEI RIFUGIATI
Il rapporto pubblicato oggi dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) mostra che più della metà - 3,7 milioni - dei sei milioni di bambini in età scolare sotto il mandato dell’Agenzia non ha la possibilità di frequentare alcuna scuola.
Circa 1,75 milioni di bambini rifugiati non frequentano la scuola primaria e 1,95 milioni di rifugiati adolescenti non hanno accesso alla scuola secondaria. Per i rifugiati la probabilità di non poter frequentare la scuola è cinque volte superiore alla media globale.
"Si tratta di una crisi per milioni di bambini rifugiati", ha dichiarato Filippo Grandi, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. "L’istruzione dei rifugiati è gravemente trascurata, quando invece rappresenta una delle poche occasioni a nostra disposizione per trasformare e costruire delle generazioni future che possano cambiare le sorti di decine di milioni di persone costrette alla fuga a livello globale."
Il rapporto confronta i dati a disposizione dell’UNHCR relativi all'istruzione dei rifugiati con i dati dell’UNESCO sulle iscrizioni scolastiche a livello globale. Solo il 50 per cento dei bambini rifugiati ha accesso all'istruzione primaria, rispetto a una media globale di oltre il 90 per cento. E quando questi bambini crescono, il divario diventa un baratro: solo il 22 per cento degli adolescenti rifugiati frequenta la scuola secondaria rispetto a una media globale del 84 per cento. Riguardo all’istruzione superiore, solo l'uno per cento dei rifugiati frequenta l'università, a fronte di una media globale del 34 per cento.
Il rapporto viene pubblicato prima dell’incontro dei leader mondiali che si terrà il 19 e il 20 settembre in occasione del Vertice dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sui rifugiati e migranti e del Vertice dei leader sulla crisi globale dei rifugiati ospitata dal Presidente degli Stati Uniti. In occasione di entrambi i vertici l’UNHCR chiede ai governi, ai donatori, alle agenzie umanitarie e ai partner per lo sviluppo, nonché ai partner del settore privato di rafforzare il loro impegno per garantire che ogni bambino riceva un'istruzione di qualità. Farà da sfondo alla discussione l’Obiettivo 4 sullo Sviluppo Sostenibile, "Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”, un obiettivo che non sarà realizzato entro il 2030 se non sarà dato accesso all’istruzione alle popolazioni vulnerabili, tra cui i rifugiati e altri migranti forzati.
"Mentre la comunità internazionale sta valutando quale sia il modo migliore per affrontare la crisi dei rifugiati, è essenziale andare oltre la mera sopravvivenza", ha dichiarato Grandi. "L’istruzione permette ai rifugiati di plasmare positivamente il futuro sia dei loro paesi di asilo che dei loro paesi d'origine quando un giorno dovessero farvi ritorno."
Anche se il rapporto sottolinea i progressi compiuti dai governi, dall'UNHCR e dai suoi partner nel favorire l’iscrizione a scuola di un numero maggiore di rifugiati, va condotta una battaglia sui grandi numeri. Se la popolazione di rifugiati in età scolare si è assestata globalmente su un livello stabile di circa 3,5 milioni di persone nel corso dei primi dieci anni del millennio, in media vi è stato un aumento annuale di 600mila bambini e adolescenti dal 2011. Nel solo 2014, la popolazione di rifugiati in età scolare è cresciuta del 30 per cento. Con questo tasso di crescita, l'UNHCR stima che saranno necessarie almeno 12mila aule e 20mila insegnanti aggiuntivi su base annua.
I rifugiati vivono spesso in regioni in cui i governi stanno già lottando per istruire i propri figli. Affrontano il compito supplementare di trovare strutture scolastiche, insegnanti formati e materiali di apprendimento per decine o addirittura centinaia di migliaia di nuovi arrivati, che spesso non parlano la lingua in cui avviene l’insegnamento e che, in molti casi, hanno perso tre o quattro anni di scuola. Più della metà dei bambini e degli adolescenti rifugiati esclusi dalla scuola in tutto il mondo si trovano in sette paesi: Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Kenya, Libano, Pakistan e Turchia.
Con l’esempio della Siria, il rapporto mostra come il conflitto abbia la potenzialità di invertire le tendenze positive in materia di istruzione. Mentre nel 2009 il 94 per cento dei bambini siriani aveva accesso all'istruzione primaria e secondaria inferiore, a giugno del 2016 solo il 60 per cento dei bambini siriani andava a scuola, con circa 2,1 milioni di bambini e adolescenti che non hanno accesso all'istruzione in Siria. Nei paesi vicini, oltre 4,8 milioni di rifugiati siriani sono registrati presso l'UNHCR, dei quali circa il 35 per cento è in età scolare. In Turchia, solo il 39 per cento dei bambini e adolescenti rifugiati in età scolare è iscritto e ha accesso all’istruzione primaria e secondaria, il 40 per cento in Libano e il 70 per cento in Giordania. Ciò significa che quasi 900mila bambini e adolescenti siriani rifugiati in età scolare non vanno a scuola.
Nel mese di febbraio in occasione della conferenza che si è tenuta a Londra per sostenere la Siria e la regione circostante, i donatori si sono impegnati in un piano per raggiungere 1,7 milioni di bambini e ragazzi rifugiati siriani e altri appartenenti alle comunità di accoglienza in Libano, Giordania, Egitto, Iraq e Turchia, e 2,1 milioni di bambini che all'interno della Siria non hanno accesso alla scuola. Con l'inizio del nuovo anno scolastico a settembre, il lavoro dei governi ospitanti si è dimostrato impressionante: la Giordania e il Libano hanno rafforzato il loro sistema scolastico raddoppiando i turni nelle scuole; in Egitto il 90 per cento dei bambini rifugiati siriani si sono iscritti a scuola; la Turchia ha incrementato gli sforzi per incoraggiare l’iscrizione. Tuttavia, il finanziamento previsto da questa conferenza non è stato ancora pienamente raggiunto, con il rischio di compromettere alcuni di questi progressi.
"Il progresso visto in Egitto, Giordania, Libano e Turchia dimostra che c’è la potenzialità per invertire le tendenze in materia di istruzione dei rifugiati, ma ciò può avvenire solo se la comunità internazionale investe in questa direzione", ha detto Grandi.
Il rapporto esamina anche alcune situazioni in cui i rifugiati si trovano da lungo tempo, ma che ricevono meno attenzione. Rispetto a quanto avviene nel campo profughi di Kakuma nel nord del Kenya, il rapporto racconta la straordinaria storia di una giovane ragazza del Sud Sudan, Ester, che ha recuperato più anni scolastici per arrivare all'ultimo anno di scuola secondaria. Nel campo di Kakuma solo il tre per cento dei bambini è iscritto alla scuola secondaria e meno dell’1 per cento arriva all'istruzione superiore.
Il rapporto chiede ai governi di dare priorità all’inclusione effettiva dei bambini rifugiati nei sistemi nazionali e nei piani pluriennali per l’istruzione. In Ciad, la recente transizione di tutte le scuole in un sistema nazionale ha dato sia ai bambini rifugiati e che alle comunità ospitanti l’opportunità di studiare. Tuttavia, la mancanza di fondi si traduce in un sovraffollamento delle aule, oltre che nella carenza di risorse materiali.
Tenuto conto del fatto che la durata media del periodo in cui un rifugiato si trova in una situazione di migrazione forzata è di vent’anni, il rapporto chiede ai donatori la transizione da un sistema di emergenza a uno schema di finanziamento pluriennale e prevedibile che permetta una pianificazione sostenibile, una programmazione di qualità e un monitoraggio accurato delle opportunità di istruzione per i bambini e gli adolescenti rifugiati, e anche per i cittadini del paese ospitante.
Il rapporto si conclude con la storia esemplare di Nawa, una rifugiata somala che ha iniziato la sua istruzione solamente all’età di 16 anni in un centro di apprendimento comunitario in Malesia. Dopo quattro anni, sta per iniziare un corso di base all'università e allo stesso tempo si sta impegnando come insegnante volontaria nella sua scuola, per restituire quanto ha ricevuto.
"La storia di Nawa dimostra che non è mai troppo tardi per investire nell'istruzione dei rifugiati, e che investire nell’istruzione di un solo rifugiato crea beneficio per l'intera comunità ", ha dichiarato Grandi.
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