L’Europa continuana a costruire “barriere” giuridico legali o politiche
nei confronti dei profughi: trattati per il controllo dell’immigrazione e i
rimpatri forzati con vari Stati africani e del Medio Oriente; accordi
bilaterali tra Stati o addirittura tra polizie (come nel recente caso del
Sudan) per attuare in concreto quei trattati; misure sempre più restrittive per
la concessione dell’asilo o di altre forme di protezione internazionale;
respingimenti di massa; procedure di identificazione sommarie negli hotspot
come anticamera di “riconsegna” agli Stati di provenienza o di transito;
“pratiche” sempre più lente e incerte per i ricongiungimenti familiari e
ostacoli frapposti da varie ambasciate anche quando le richieste sono state
accolte dal Ministero dell’Interno; mancanza pressoché totale di corridoi
umanitari anche in situazioni di grave pericolo.
Questa politica – come già denunciato in varie occasioni – “produce” di
continuo nuove situazioni ad alto rischio o conferma e aggrava quelle già
segnalate in passato e mai risolte. Di seguito la descrizione sommaria di
alcuni di questi casi, che sottoponiamo all’attenzione dell’Unhcr, chiedendo di
fare tutto quanto è possibile per trovare una soluzione, d’intesa con Bruxelles
e le cancellerie degli Stati Ue ma anche con i Governi dei paesi africani
interessati.
– Sud Sudan
E’ l’ultimo allarme pervenuto all’agenzia Habeshia, frutto del forte
aggravamento di una situazione già denunciata. Nel centro accoglienza di Mba
Kandu, posto sotto le insegne dell’Unhcr, nel comprensorio di Yambiyo,
centinaia di profughi di varia nazionalità (eritrei, etiopi, somali, con
numerose donne e bambini) sono in balia dei miliziani che si contendono il
controllo della zona, un’area strategica vicino al confine con il Congo. Nei
giorni scorsi gruppi di guerriglieri, dopo aver sopraffatto il piccolo presidio
di guardia, hanno fatto irruzione nel complesso, saccheggiando tutto quello che
potevano e, soprattutto, sequestrando alcune ragazze. La persona che ha chiesto
aiuto ad Habeshia con un telefono cellulare ha detto di non sapere che fine
abbiano fatto quelle poverette. Ogni giorno i profughi vivono nel terrore che
raid analoghi possano ripetersi. Qualcuno di loro ha proposto di fuggire in
massa ma non è stato e non è tuttora possibile: quei profughi non saprebbero
dove andare e comunque non sono in grado di attraversare, con donne e bambini,
una regione infestata di miliziani e dove infuriano i combattimenti e gli
scontri a fuoco.
Occorre garantire la
protezione del campo, magari con truppe Onu, oppure organizzare un canale
umanitario per evacuarlo e trasferire quei profughi in un posto più sicuro,
magari fuori dal Sud Sudan.
Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia
338.4424202 – 0041.765328448
Dalla tarda primavera scorsa si sono moltiplicati gli arresti di
profughi, soprattutto eritrei. E’ un’operazione sistematica, iniziata con vaste
retate a Khartoum e nelle altre città principali e proseguita poi nella fascia
settentrionale del paese, lungo le strade e le piste che conducono verso la
Libia e l’Egitto, per bloccare i migranti che cercano di passare o magari si
avvicinano semplicemente al confine. Centinaia, forse migliaia di persone sono
state rinchiuse nei centri di detenzione oppure nelle comuni carceri criminali
in attesa di essere rimpatriate contro la loro volontà. Particolarmente grave è
la situazione degli eritrei, che rischiano di essere riconsegnati alla
dittatura dalla quale sono scappati, con la prospettiva di “sparire” nelle
prigioni del regime o anche peggio. Tutto lascia credere che questo giro di
vite impresso dal presidente Omar Al Bashir al problema migranti sia legato
direttamente al Processo di Khartoum e all'accordo bilaterale tra le polizie
italiana e sudanese che ne è seguito, firmato a Roma il 4 agosto scorso. A
occuparsi dei controlli e degli arresti sono, tra l’altro, i cosiddetti
“diavoli a cavallo”, la famigerata milizia fedelissima ad Al Bashir,
tristemente famosa per le violenze di ogni genere perpetrate nella martoriata
regione del Darfur. C’è anzi il pesante, fondato sospetto che i fondi stanziati
dalla Unione Europea in favore del Sudan, giustificati con la necessità di
migliorare “la sicurezza dei confini”, siano serviti in realtà a finanziare
proprio questa milizia. Si tratta, è bene ricordarlo, di milioni di euro.
Chiediamo di intervenire al
più presto per avere la garanzia che tutti i profughi attualmente detenuti non vengano
rimpatriati contro la loro volontà e, nello stesso tempo, di trovare il sistema
per chiederne la liberazione e creare dei corridoi umanitari per trasferirli in
un paese sicuro.
Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia
338.4424202 – 0041.765328448
– Botswana e Tanzania.
Un folto gruppo di esuli eritrei corre il rischio di essere
riconsegnato ad Asmara. Sono tutti campioni dello sport, fuggiti in occasione
di trasferte all’estero delle rispettive squadre impegnate in competizioni
internazionali.
Botswana. Nell’agosto del
2015 dieci componenti della nazionale di calcio, dopo una partita valida per le
qualificazioni della Coppa del Mondo, hanno scelto di chiedere asilo politico,
rifiutandosi di rientrare in Eritrea. Da allora, in pratica, nessuno si è più
preoccupato della loro tutela e del loro futuro. Ormai sono allo stremo, mentre
si moltiplicano le pressioni di Asmara perché il governo beciuano ne decreti
l’espulsione e il rimpatrio forzato.
Tanzania. Il caso riguarda
tre giovani, due dei quali ex giocatori della nazionale di beach volley. E’ una
vicenda simile a quella del Botswana, ma molto più grave e urgente perché le
autorità della Tanzania hanno rigettato le richieste di asilo.
I tre si chiamano Tedros Berhane Tesfay; Tesfom Simon Hadgiu;
Gebregziabiher Weldu Muhur e si trovano attualmente a Dar Es Salaam.
La loro prima domanda, sottoposta all’ufficio dell’Unhcr in Tanzania,
risale al 20 aprile 2015, alle ore 9,30. Nei giorni successivi è arrivata la
risposta negativa da parte della Tanzania. Da allora la situazione è come in
sospeso: una “spada di Damocle” sul futuro e la vita stessa di questi giovani
rifugiati.
Entrambi i casi sono stati già sollevati nel maggio scorso. L’appello
lanciato da Habeshia non ha avuto esito. In questi ultimi sei mesi la
situazione, lungi dal migliorare, si è progressivamente aggravata e le minacce
di un rimpatrio forzato si sono fatte sempre più pressanti.
Chiediamo all’Unhcr di
intervenire sul Governo del Botswana e della Tanzania, attraverso la sua
delegazione locale o africana, per scongiurare, come intervento immediato, il
rischio di espulsione e riconsegna ad Asmara. Più in generale riteniamo che
occorra organizzare dei canali umanitari per trasferire questi rifugiati in paesi più sicuro, sottraendoli al rischio
crescente di rimpatrio forzato.
Riferimento telefonico per
il caso della Tanzania: 00393384424202
– Gibuti.
Nelle carceri di Gibuti è rinchiuso da anni un ex pilota militare
fuggito dall’Eritrea con il suo aereo da combattimento per chiedere asilo
politico. Il governo di Gibuti lo ha accolto ma contro di lui è iniziata una
autentica “caccia” non solo da parte di Asmara, che ne chiede la riconsegna
come disertore, ma anche di Addis Abeba, che ne ha sollecitato l’estradizione
accusandolo di aver partecipato a bombardamenti indiscriminati sulle città
etiopiche durante la guerra combattuta tra il 1998 e il 2000. Gibuti finora ha
resistito alle pressioni delle due parti, ma ha pensato bene di arrestare quel
pilota, con la giustificazione che sarebbe questo “l’unico modo efficace per
proteggerlo”.
Il caso è stato già sollevato da Habeshia circa cinque mesi fa, insieme
a quello di 19 prigionieri di guerra eritrei catturati nel giugno del 2008 e
rimasti in carcere ben oltre la pace firmata nel 2010, dopo un conflitto
lunghissimo e sanguinoso. La vicenda di quei 19 prigionieri si è risolta
felicemente, con la liberazione e la consegna a un paese sicuro. Non così la
storia del pilota esule, che paradossalmente sta scontando da anni il carcere
solo per aver inseguito il suo sogno di libertà. Le sue condizioni anche fisiche
sono sempre più precarie e c’è il timore che prima o poi Gibuti ceda alle
richieste o di Asmara o di Addis Abeba.
Chiediamo un visto
“umanitario” verso un paese sicuro. Il caso di questo pilota ha tutte le
caratteristiche, infatti, per la concessione dell’asilo o quanto meno, della
“tutela sussidiaria” internazionale perché la sua sicurezza personale sarebbe
messa a rischio sia nel caso di consegna all’Eritrea che all’Etiopia e, d’altra
parte, non è pensabile che possa restare ancora in prigione a Gibuti come se si
trattasse di un criminale e non di un rifugiato politico.
Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia
338.4424202 – 0041.765328448
– Libia.
I controlli sono stati intensificati e sono iniziati rimpatri di massa,
senza porsi problemi sulla sorte che attende i profughi nei paesi d’origine. Si
susseguono le notizie di continui blocchi e arresti di rifugiati e migranti, da
parte della polizia e della Guardia Costiera libiche, sia durante le “marce” di
avvicinamento alle sponde del Mediterraneo, sia lungo il litorale prima
dell’imbarco, sia su gommoni intercettati all’interno delle acque territoriali
della Libia e costretti a invertire la rotta.
Come nel caso del Sudan, il “giro di vite” deciso da Tripoli ha
cominciato a concretizzarsi in concomitanza con la progressiva attuazione del
Processo di Khartoum, al quale si ispira evidentemente anche l’accordo
bilaterale firmato tra Roma e Tripoli nell’agosto 2016. Il principio guida
sembra essere quello di fermare comunque profughi e migranti, per impedire che
possano anche solo tentare di raggiungere l’Europa, confinandoli in Libia e
negli altri paesi di transito e negando loro, di fatto, la possibilità di
presentare richiesta di asilo, a prescindere dalla loro storia personale o
dalle “ragioni individuali” e senza curarsi del destino oscuro e dei gravi
rischi ai quali vengono esposti. In sostanza, un respingimento di massa, la cui
attuazione pratica viene “appaltata” a terzi. Si tratta di una scelta che
appare ai limiti, se addirittura non li supera, della legislazione
internazionale sui diritti umani.
Chiediamo, come misura
immediata, la garanzia che nessuno dei profughi fermati, di qualsiasi
nazionalità, venga rimpatriato contro la sua volontà.
Più in generale,
sollecitiamo l’abolizione e il superamento di tutti gli accordi e i trattati
che di fatto hanno esternalizzato i confini della Fortezza Europa, affidandone
la vigilanza agli Stati africani contraenti (Processo di Rabat, Processo di
Khartoum, trattati di Malta e gli accordi bilaterali conseguenti).
Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia
338.4424202 – 0041.765328448
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