Campo profughi in balia dei
miliziani:
garantire la sicurezza o l’evacuazione
“Il nostro campo è
in balia dei miliziani. Non si tratta più solo dei pericoli legati ai
combattimenti sempre più vicini. Ora ci sono incursioni e violenze all’interno
del campo stesso in cui siamo rifugiati. E’ come un incubo: ci sentiamo
abbandonati da tutti…”.
E’ l’ultimo grido
d’aiuto arrivato all’agenzia Habeshia dal Sud Sudan. L’hanno lanciato decine di
profughi eritrei, etiopi, somali, subsahariani alloggiati nel centro
accoglienza di Mba Kandu, posto sotto le insegne dell’Unhcr, l’Alto
Commissariato dell’Onu per i rifugiati, nel comprensorio di Yambiyo, una città
con meno di 40 mila abitanti, lontana 600 chilometri da Juba, la capitale, ma
al centro di una zona strategica importante e dunque molto contesa tra le
truppe nuer ribelli e quelle dinka filo governative, perché passa da qui una
delle principali strade che conducono al confine con il Congo, distante una
quarantina di chilometri.
E’ già successo
alcuni mesi fa. Già allora i profughi hanno chiesto di essere protetti o
trasferiti in un luogo più sicuro, magari sotto la scorta delle truppe Onu
presenti nel paese, nel timore che il campo venisse a trovarsi proprio al
centro dei combattimenti. I tentativi di accordo condotti a Juba nel mese di
luglio tra il presidente Salva Kiir e il capo dei ribelli, l’ex vicepresidente
Riek Mashar, hanno portato a una illusoria tregua anche a Mba Kandu. Rotte le
trattative e ripresi gli scontri tra le
milizie dinka e quelle nuer, però, la situazione è di nuovo precipitata
rapidamente, fino all’emergenza estrema segnalata oggi.
L’episodio più grave
si è verificato qualche giorno fa. “Dopo aver eliminato alcuni agenti delle
forze di sicurezza – ha telefonato un profugo eritreo all’agenzia Habeshia – un
gruppo di miliziani (non si sa di quale fazione: ndr) ha fatto irruzione nel
campo, ha saccheggiato tutto quello che ha potuto e, prima di fuggire, ha
rapito alcune ragazze. Non sappiamo dove quelle poverette siano finite. Da
allora viviamo nel terrore: incursioni, violenze e sequestri analoghi possono
verificarsi in qualsiasi momento. La
scorta del campo non è in grado di opporsi. I funzionari occidentali dell’Unhcr
non si sono più visti da giorni: è rimasto soltanto il personale sudanese”.
– Alla Comunità
internazionale di accertare quanto sta accadendo a Mba Kandu e di garantire la
sicurezza e la vita stessa dei profughi.
– All’Unhcr,
responsabile campo, in particolare, di creare una rete di protezione efficiente
e permanente oppure di organizzare un canale umanitario per portare in salvo
prima possibile questi profughi, trovando poi il modo di attuare un programma
di reinsediamento in uno Stato in grado di garantire una forma di protezione
internazionale. Si tratta, infatti, in molti casi, di persone estremamente
deboli e vulnerabili: uomini, donne e bambini in cerca solo di pace.
– Al segretario
generale della Nazioni Unite Ban ki Moon, all’Unione Europea e alle cancellerie
di tutti gli Stati Ue, di offrire la massima collaborazione possibile all’Unhcr
in questa operazione e di intervenire anche presso le parti in lotta – il
governo di Juba e i leader ribelli – perché rispettino l’internazionalità, la
neutralità e la sicurezza di questo e di tutti gli altri campi profughi
esistenti nel Sud Sudan.
don Mussie Zerai
presidente
dell’agenzia Habeshia
Roma, 4 novembre
2016
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