Agenzia Habeshia
Ius soli: una porta verso il
futuro
E’ preoccupante la
piega che ha assunto tra i partiti politici la polemica sullo ius soli a
proposito della nuova legge sulla cittadinanza in discussione al Senato dopo
essere stata approvata alla Camera alla fine del 2015. E’ un tema importante:
si tratta della vita di migliaia di bambini e ragazzi e si tratta di allineare
l’Italia a gran parte dei Paesi europei, senza contare l’intero continente
americano, a cominciare dagli Stati Uniti e dal Canada. Eppure – nonostante il
ritardo sia già enorme, visto che l’ultima legge italiana sulla cittadinanza
risale al 1992 – nella maggior parte dei casi si va avanti per slogan e per
barricate. Con tutta una serie di no. E il peggio è che si ha come
l’impressione che non ci si renda conto di cosa significhino, in concreto,
tutti questi no.
Negare la realtà e negare
uno dei diritti umani fondamentali: questo significa, innanzi tutto, dire no
alla ius soli. La realtà che il mondo intero va verso una società multietnica e
multiculturale. Il diritto di ciascuna persona di non subire discriminazioni di
alcun genere, qualunque sia il colore della sua pelle, il credo religioso, le
idee politiche, il luogo di provenienza, ecc. Significa, in altri termini,
rimanere ancorati a un “diritto del sangue” anacronistico, di sapore razzista e
non a caso difeso con forza dal fascismo, che su questa base è arrivato a ipotizzare
delitti contro la stirpe “ariano-romana”. E’ risibile l’obiezione che si tratta
di “difendere l’italianità” e “l’integrità della cultura italiana”. I ragazzi a
cui è indirizzato lo ius soli parlano italiano, pensano italiano, sono di
cultura italiana, si sentono italiani ed europei. Con una mentalità aperta al
mondo e senza pregiudizi. Ovvero, non solo non minacciano ma arricchiscono
“l’essere italiani” oggi.
Già oggi i genitori
di questi ragazzi a cui è negata la cittadinanza stanno dando un grande
contributo a questa Italia che nega il futuro per i loro figli. I 2,3 milioni d’immigrati
che lavorano in Italia hanno prodotto nel 2015 ben 127 miliardi di ricchezza
(8,8% del valore aggiunto nazionale). Il contributo all'economia di lavoratori
stranieri si traduce in quasi 11 miliardi di contributi previdenziali pagati ogni
anno, in 7 miliardi di Irpef versata, in oltre 550 mila imprese d’immigrati che
producono ogni anno 96 miliardi di valore aggiunto. Di contro, la spesa
pubblica italiana destinata agli immigrati è pari all’1,75% del totale. Grazie
a loro lo stato paga 640 mila pensioni, gli immigrati in cambio ricevono ogni
giorno tanti attacchi e insulti di ogni genere oltre che essere criminalizzati
in ogni dove, tutto questo per un paese che si ritiene civile è uno spettacolo indegno e desolante.
Ecco, dire di no
allo ius soli significa non capire quello che è già il “presente” del nostro
Paese. Perché già oggi la “società giovane”, quella dei nostri ragazzi, è una
società multietnica, che vede nelle linee di confine un punto di incontro e
confronto: non di isolamento e chiusura. Lo dimostra in particolare la scuola,
frequentata da migliaia di alunni arrivati in Italia quando erano piccolissimi
o che addirittura in Italia ci sono nati, da genitori immigrati e ormai inseriti
a pieno titolo nella nostra società, contribuendo in grande misura all’economia
del Paese.
Sono tanti questi
bambini e ragazzi “stranieri”: secondo uno studio della Fondazione Moressa su
dati Istat, in tutto risultano circa 1 milione e 65 mila. E 634.592 quelli nati
in Italia da madri straniere, a partire dal 1999. Tantissimi studiano: secondo
i dati ministeriale, nell’anno scolastico 2014-15 ne risultavano iscritti
814.187 dei quali 291.782 alle scuole primarie (10,4 per cento del totale);
167.068 nella scuola media di primo grado (9,6 per cento); 187.357 nella media
di secondo grado (7 per cento); 167.980 nelle scuole dell’infanzia (10,2 per
cento). Giovani e giovanissimi che faranno parte, anzi, saranno essenziali per
l’Italia di domani. Molti di loro, ad esempio, potrebbero diventare i migliori
“ambasciatori” dell’italianità e della “proposta italiana”, lanciando un ponte
tra la Penisola e i Paesi d’origine: nella cultura, ad esempio, o nell’università
e nella ricerca, nella diplomazia, nei piani di sviluppo e cooperazione, nei
programmi economici, nello stesso processo di integrazione dei migranti che, in
un mondo sempre più “piccolo” e globalizzato, sicuramente continueranno ad
arrivare. Ci sono già esempi importanti in questo senso: negli Stati Uniti, in
Canada, nel Regno Unito, in Francia… Del resto è accaduto esattamente lo stesso
con le comunità dei milioni di italiani che, nel tempo, le circostanze e le
necessità della vita hanno sparso in tutto il pianeta.
Chiudere la porta in
faccia a questi ragazzi, negando lo ius soli, significa allora anche voltare le
spalle al futuro. Significa condannare l’Italia a una gretta, miope mentalità
localistica, chiusa, egoista, sospettosa. A farne un paese sempre più fermo,
spento, avvitato su se stesso. Un paese senza domani. Vecchio. La battaglia,
allora, non è solo per la sorte dei ragazzi stranieri nati
o arrivati piccolissimi in Italia: è per tutti i giovani del nostro paese. Per
come vogliamo che sia l’Italia di oggi e soprattutto quella di domani.
Don
Mussie Zerai
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