mercoledì 10 ottobre 2018

Lettera Appello al Presidente del Consiglio Italiano Dott. Conte



Gentile presidente Dott. Conte,
le scriviamo, a nome dell’Agenzia Habeshia, in vista della visita che farà alla metà del mese di ottobre in Eritrea.
Quello di Asmara, come certamente sa, è uno dei regimi politici più duri del mondo, una dittatura che ha soppresso ogni forma di libertà, annullato la costituzione del 1997, soppresso di fatto la magistratura, militarizzato l’intera popolazione per quasi tutta la vita. Una dittatura che, in una parola, ha creato uno Stato prigione. Lo denunciano ormai da vent’anni i numerosi, dettagliati rapporti pubblicati da varie istituzioni e organizzazioni internazionali e dalle più prestigiose Ong e associazioni umanitarie. Valgano per tutti le due relazioni finali delle inchieste condotte dalla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite – rese ufficialmente note a Ginevra rispettivamente nel giugno 2015 e nel giugno 2016 – nelle quali si afferma senza mezzi termini che il regime ha eletto a sistema il terrore, rendendo schiavo il suo stesso popolo. Non a caso, nel rapporto 2016, si arriva alla conclusione che ci sono fondati elementi per deferire i principali responsabili del Governo di fronte alla Corte penale internazionale.
Confermano questo quadro terribile le migliaia di profughi che da anni giungono in Italia dall’Eritrea, a meno che non sia anche lei dell’opinione che gli eritrei sarebbero “profughi vacanzieri”, come hanno più volte dichiarato autorevoli esponenti della maggioranza che sostiene l’attuale Governo, con un cinismo che offende la verità e un disprezzo inaccettabile per le sofferenze che quei giovani patiscono ed hanno patito.
Comprendiamo bene che un Governo, uno Stato, deve avere rapporti anche con dittature come quella di Asmara. E’ nell’ordine logico della politica internazionale. Il punto non è questo. Il punto è “come” vengono impostati questi rapporti. Si può fare finta di nulla, chiudendo gli occhi di fronte alla realtà – e definire, appunto, “profughi vacanzieri” i giovani eritrei costretti ad abbandonare la propria terra – in nome di interessi geostrategici ed economici magari inconfessabili. Oppure si può dare voce e contenuto con forza ai valori di libertà, democrazia, giustizia, solidarietà sanciti dalla Costituzione Repubblicana. Si tratta, in altre parole, di non aprire, con la dittatura di Asmara, rapporti “al buio”, senza cioè alcuna condizione preliminare, ma di tenere ben ferma, come requisito irrinunciabile e invalicabile, la questione del rispetto dei diritti umani, anteponendola ad ogni altro genere di interessi.
Le chiediamo allora due cose, strettamente connesse ed anzi inscindibili, perché scinderle, o anche appannarne una soltanto, significherebbe svuotarle entrambe di valore. Due richieste che, oltre tutto, potranno misurare la concreta efficacia della pace appena firmata con l’Etiopia, dopo 20 anni di guerra, per un cambiamento della situazione in Eritrea: la reale volontà del regime di lasciare il passo alla democrazia.
La prima è la necessità di sollevare la questione del rispetto dei diritti umani (anche alla luce dei due rapporti dell’Onu), ponendo sul tavolo di discussione alcuni problemi fondamentali, tanto più che è ormai caduto il vecchio alibi della guerra e del “nemico alle porte”: la liberazione dei prigionieri politici, il libero accesso di commissioni internazionali nelle carceri, la garanzia del ritorno immediato di ogni forma di libertà, a cominciare da quella politica e quella religiosa, violate anche di recente con nuovi arresti di oppositori, con la chiusura di scuole cattoliche e islamiche, con la chiusura di otto centri medici e ospedali cattolici, mentre il patriarca della chiesa ortodossa Abune Antonios, fermato nel 2004, si trova ancora confinato dopo ben 14 anni.
La seconda è il consenso ed anzi la possibilità pratica di riportare in Eritrea le salme delle vittime della strage verificatasi il 3 ottobre 2013 a Lampedusa e di tutti gli altri giovani profughi annegati nel Mediterraneo e sepolti in Italia. Finora c’è stato un palleggiamento di responsabilità. Asmara dice che è l’Italia a sollevare difficoltà; Roma sostiene che l’Eritrea non ha mai mostrato una vera disponibilità. E’ tempo di superare queste controversie, in nome di un principio umano di grande significato: dare alle famiglie un luogo dove pregare e deporre un fiore in memoria dei loro cari perduti. L’Italia non ha mai fatto in modo che i resti di numerosissimi ascari e soldati eritrei, caduti combattendo sotto le sue bandiere, su diversi fronti africani, fossero riportati in patria: occorre impedire che la stessa, grave ingiustizia si ripeta con i loro figli e nipoti. Riteniamo però che questa iniziativa di umana pietà non possa prescindere e restare isolata dal contesto più generale del rispetto dei diritti, indicato nella nostra prima richiesta. Perché il modo migliore di onorare i morti è senza dubbio il rispetto della libertà e della vita stessa dei vivi. Dimenticare o trascurare questa stretta connessione rischierebbe di trasformare un doveroso, auspicabile, atteso gesto di carità nell’ennesimo strumento di propaganda in favore del regime.
Confidiamo che vorrà tener conto di queste nostre considerazioni. Grazie per il tempo che ha voluto dedicarci e per quanto potrà fare. 
Cordiali saluti,
 Presidente dell’Agenzia Habeshia

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