martedì 30 luglio 2019

Precisazioni e chiarificazioni in margine alla nazionalizzazione delle cliniche cattoliche in Eritrea.



La Chiesa, nel continuare il suo servizio al suo Signore, non può non interessarsi anche dei problemi e delle necessità dell’uomo (salute, istruzione, etc.), perché vi è un preciso comandamento di Gesù Cristo, secondo il quale non basta amare e onorare Dio: è altrettanto doveroso amare il prossimo, tutti gli uomini, e fare loro del bene. Il servizio che la Chiesa offre agli uomini e alle donne per mezzo dei suoi figli e figlie non ha finalità di proselitismo religioso: molto semplicemente esse vanno incontro alle necessità degli uomini e delle donne di ogni tempo perché  ciò fa parte integrale della sua fede. Infatti “la fede senza le opere è morta” (Gc 2,26).
Con riferimento alla recente nazionalizzazione delle cliniche cattoliche da parte del governo eritreo, in queste settimane abbiamo registrato alcuni commenti e dichiarazioni palesemente erronei e fuorvianti, a cui riteniamo di dover offrire essenziali chiarificazioni per chi ha interesse di conoscere la verità dei fatti.  
1.- Le recenti misure adottate dal governo eritreo, si dice, sarebbero un’applicazione del proclama del 1995!
Quando fu emanato quel Proclama, la Chiesa Cattolica in Eritrea consegnò alle più alte autorità statali una chiara ed articolata riflessione/risposta sui punti centrali del documento, con lo scopo di facilitare una reciproca comprensione e suggerire modifiche e correzioni al medesimo testo. Si partiva dalla premessa che non era possibile tacere quando ci si trovasse di fronte a problemi ed approcci che toccavano la propria identità, i propri diritti e doveri. Per questo si proponeva al Governo un dialogo, in quanto ciò costituiva parte della sostanza della libertà, la quale a sua volta avrebbe permesso alla Chiesa di autodefinirsi e di illustrare la propria identità, i propri diritti, missione e servizi. Più specificatamente, nella sua riposta, la Chiesa chiarì, puntualizzò e corresse gli errori e le imprecisioni contenute nel Proclama relativamente a quelle specifiche tematiche.
Tutto ciò premesso, la nostra risposta ribadì che ogni servizio che la Chiesa svolge a favore dell’uomo e della donna non solo non ha nulla di incompatibile con le leggi e con la legalità, ma si propone di sostenere i principi che lo stato, qualsiasi stato, afferma di volere promuovere per la vera e autentica crescita e maturità della società umana. In termini di tempo è di spazio, la Chiesa ha perseguito tali finalità per duemila anni e in tutti le latitudini del mondo. Ad essa non bastano chiese e cappelle per esplicitare la sua identità religiosa e celebrare la sua fede. Le occorrono luoghi e strutture anche per attuare quella componente integrale del suo credo religioso che è l’amore per il prossimo. La Chiesa non obbliga nessuno ad avvalersi delle sue attività socio-caritative; è semmai essa stessa obbligata, e ne ha il diritto, di adempiere tutti i suoi doveri verso chi sceglie di ricorrere ai suoi ministeri di carità: poiché, lo ribadiamo ancora una volta, ciò fa parte essenziale della sua fede, e senza di esso questa perde il suo significato. Perciò guai, se per inerzia o pigrizia della Chiesa, tali opere venissero a mancare fra i suoi ministeri! D’altra parte, se per intervento di forze esterne le venisse impedito di svolgere le opere di carità, verrebbe violato il suo diritto al libero esercizio della fede.
2.- Le istituzioni caritative gestite dalla Chiesa, si afferma, non apparterrebbero né ad essa, né agli istituti religiosi ivi impegnati, e nemmeno li riguardano, in quanto sono donazioni di enti di beneficenza.
a. Gli aiuti erogati ai bisognosi che ricorrono alle nostre strutture non sono donazioni di un non meglio specificato e definito, sedicente benefattore, bensì l’espressione di un’organica e programmata cooperazione inter-ecclesiale, cioè fra le comunità cattoliche sparse nel mondo da una parte, e le chiese viventi ed operanti in mezzo alle popolazioni in via di progresso, dall’altra. Gli enti di beneficenza che, in tale contesto, ci offrono i loro aiuti, lo fanno con la deliberata e dichiarata intenzione che siano a nostra completa disposizione, affinché tramite noi raggiungano i bisognosi. A tale fine, gli aiuti ci vengono consegnati in base ad una comprovata e consolidata fiducia nei nostri confronti. Altrimenti, perché mai i nostri partner non li avrebbero consegnati alle istituzioni statali? D’altro canto forse che gli stessi governi non ricevono aiuti destinati al popolo e alla nazione da parte di enti e istituzioni che anch’essi chiamano “sostenitori” o “partner”?
b. Le istituzioni di beneficenza sono libere, nel rispetto della legge, di fare gestire i loro aiuti da chi vogliono. In tale contesto esse scelgono di avvalersi delle congregazioni religiose cattoliche e consegnano ad esse i loro contributi, in quanto le ritengono competenti e dirette conoscitrici delle necessità e dei problemi delle nostre popolazioni.
c. In quanto persona giuridica, anche la Chiesa ha il diritto nativo di acquisire e di possedere: tale diritto afferisce alla sua identità, alla sua fede e ai suoi servizi.
d. Non vediamo nessun ragionevole motivo perché l’esercizio di un simile diritto possa essere vietato, fintantoché rimane immune da reati o da azioni a questi riconducibili. Anzi, tale esercizio è reso inderogabile dai bisogni e dalle necessità delle persone. Con coscienza tranquilla possiamo riaffermare l’integrità morale e la trasparenza deli nostri servizi, ieri come oggi, così come la loro utilità per gli uomini e le donne del nostro paese. E’ quanto può essere attestato da tutti, amici e meno amici, nella stessa misura.
e. In considerazione dei punti di cui sopra, le competenti autorità ministeriali e governative stesse hanno sempre riconosciuto quanto veniva in nostro possesso, attraverso un processo di ricognizione e registrazione legale, con relativa documentazione e sotto il nostro nome.
3. Le cliniche e le scuole gestite dalla chiesa, secondo qualche isolata voce, opererebbero solo in aree cattoliche!
a. Se non fosse che c’è sempre qualche incurabile ingenuo in giro pronto ad abboccare all’amo, e che non sarebbe giusto lasciare che gli ingannatori per hobby o per professione scorrazzino liberamente nei media, la falsità dell’addebito è talmente evidente, che non ci sarebbe nemmeno bisogno di soffermarvisi.  L’lato numero e la diffusione nel mondo di eritrei, istruiti e curati nella scuole e nelle cliniche cattoliche senza distinzione  di razza, di religione, di cultura, sono una vivente testimonianza dell’universalismo delle nostre opere. Siccome tali opere, lungi dall’essere come dei segni sulla sabbia, sono riccamente documentate, archiviate, e riportate nei più svariati curricula e certificati, sarebbe estremamente agevole, per chi se ne curasse, conoscere chi ha studiato dove, e chi si è curato dove! Basterebbe una scorsa ai registri conservati nelle nostre strutture e nei competenti ministeri governativi.
b. Un altro punto che non richiede né studi approfonditi, né analisi, è la distribuzione delle nostre attività caritative e di promozione sociale nell’intero territorio nazionale: basterebbe aprire bene gli occhi e dare uno sguardo alla collocazione geografica delle nostri strutture da una parte, e le aree di insediamento delle comunità cattoliche dall’altra: così la grossolana falsità dell’addebito salterebbe da sola agli occhi!
c. L’accusa che la selezione dei destinatari delle nostre opere obbedirebbe a criteri etnici, religiosi, ecc… è platealmente smentita da un altro dato di fatto: non solo le persone che beneficiano dei nostri servizi, ma perfino quelle che erogano tali servizi – dal portinaio, agli insegnanti, agli, infermieri e ai medici  - appartengono alle più diversificate provenienze religiose, culturali, etniche!
5. Le strutture caritative, così l’ennesima bufala, sarebbero strumenti di proselitismo religioso!
a. I propagatori di questa falsità in genere si ricollegano a quella riportata al n.3 e, inevitabilmente, l’accusa gli si sfarina in mano: se queste strutture servono solo quanti appartengono già alla Chiesa cattolica, come è possibile che le medesime siano strumenti di proselitismo cattolico?
b. Possiamo lanciare una sfida? Se c’è qualcuno o qualcuna - fra le centinaia di migliaia di persone passate per le nostre strutture - a cui è stato chiesto di accettare il Cattolicesimo come precondizione per essere curati o istruiti,  può per favore farsi avanti e alzare la mano a conferma di tale illazione?  Siamo certi che i propagandisti si sarebbero trovati davanti a una smentita senza appello! Più semplicemente è nel modus operandi e nella missione della Chiesa non sfruttare la povertà degli individui per ingrossare le file dei suoi membri e, ugualmente, non accogliere chiunque, spinto o ingannato da interessi materiali, chiedesse di fare parte delle sue comunità di fedeli. Infatti la parola di Gesù è esplicita a tal proposito: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi  siete saziati” (Gv 6,26).
c. Ben diverso è invece il discorso di chi liberamente e spontaneamente chiede di unirsi alla Chiesa cattolica, perché edificato dalla testimonianza di vita e dalla totale dedizione a Dio e ai fratelli di quanti e quante operano nelle nostre strutture. Ma ciò, lungi  dal privare di un diritto il richiedente, è semmai motivo di onore per tutte la parti in gioco: per coloro che con la loro vita e il loro disinteressato servizio incarnano una testimonianza viva e credibile, come per quelli che con piena cognizione di causa, maturo discernimento e libera scelta, lasciandosi ispirare dalla testimonianza delle persone con cui vengono a contatto, decidono di unirsi alla Chiesa cattolica. Tale scelta è frutto della libertà e della lucida riflessione personale;[1] contestualmente, ogni persona ha il diritto inalienabile, radicato nella legge naturale e riconosciuto dalla leggi internazionali, di fare le  proprie scelte religiose, senza condizionamenti e senza coercizioni.



[1]

Nessun commento: