giovedì 9 aprile 2020

Il nuovo decreto sui porti chiusi va contro il nostro “stare insieme”: ecco perché va annullato



Agenzia Habeshia: Appello al governo Italiano.
L’Italia ha chiuso tutti i suoi porti a profughi e migranti. In base al decreto firmato dai ministri delle infrastrutture, degli esteri, dell’interno e della sanità, nessun naufrago salvato in mare al di fuori della zona Sar italiana potrà essere sbarcato e dunque accolto.
Il provvedimento è stato emanato proprio mentre in mare, in attesa della indicazione di un porto di sbarco, c’è la nave Alan Kurdi, della Ong Sea Eye, con 150 profughi tratti in salvo in due distinte operazioni al largo della Libia, in un tratto di mare dove il “porto sicuro più vicino” è senza dubbio Lampedusa. Nelle stesse ore due battelli carichi di migranti sono arrivati con i propri mezzi a Lampedusa e sulle coste del Trapanese mentre altri due, con oltre 150 persone, sono stati segnalati  alla deriva da qualche parte nel Mediterraneo. E’ la dimostrazione che i flussi in fuga dall’inferno della Libia sono tutt’altro che in diminuzione ed anzi si prospetta un aumento a fronte del prevedibile, ulteriore aggravarsi della già difficilissima situazione. Basti ricordare che, nonostante tutto, continuano ad arrivare in Libia da tutta l’Africa subsahariana numerosi disperati, costretti ad abbandonare la propria terra da guerre, persecuzioni, dittature, carestia e fame endemica: solo tra la fine di marzo e l’inizio di aprile la polizia libica ne ha bloccati a centinaia in prossimità della linea di confine meridionale, in pieno Sahara.
A fronte di questo esodo tuttora in crescita, l’Italia – sbocco naturale della via di fuga del Mediterraneo centrale dall’Africa – chiude i suoi porti. La giustificazione addotta è lo stato d’emergenza sanitaria dichiarato il 31 gennaio dal Consiglio dei ministri per la pandemia di Coronavirus: si afferma, in sostanza, che gli approdi italiani non assicurerebbero i requisiti necessari per la classificazione e la definizione di “porto sicuro” (place of safety) proprio a causa della pandemia in corso. Ma, a fronte degli arrivi “spontanei” che non possono ovviamente essere bloccati e del fatto che il divieto non vale (né può valere, del resto) per le navi italiane, è di tutta evidenza che il decreto e la conseguente “dichiarazione di non sicurezza” per tutti gli approdi italiani, sono misure di fatto rivolte esclusivamente contro le navi delle Ong, le uniche che ancora operano o intendono operare per interventi di ricerca e soccorso in una realtà sempre più difficile e densa di rischi mortali. Ne consegue che il provvedimento, nel suo complesso, ha tutta l’aria, in realtà, di essere quasi una misura punitiva rivolta specificamente contro chi ancora va per mare nel tentativo di salvare vite, quasi a concludere la lunga catena di altri dolorosi, incomprensibili provvedimenti analoghi, dettati ormai dalla politica di chiusura e respingimento adottata ormai da anni da parte del Nord nei confronti dei disperati in fuga dal Sud del mondo. A prescindere dalla sorte a cui questi disperati vengono condannati.
Non solo. A conferma di come questo decreto sia a dir poco incomprensibile, va ricordato che l’eventuale rischio di contagio da parte di profughi sbarcati in Italia è stato già affrontato e risolto fin dall’inizio dell’emergenza, alla fine di gennaio, decidendo di prescrivere la quarantena per tutti i migranti accolti e gli stessi equipaggi delle navi Ong che li hanno soccorsi in mare.
Un secondo punto da considerare è che la pandemia non riguarda ovviamente soltanto l’Italia. Nella stessa, identica, difficile situazione si trovano tutti gli altri Stati europei del Mediterraneo. Applicando il principio posto alla base del decreto, i profughi/migranti dovrebbero trovare ovunque le porte chiuse e, dunque, essere respinti Libia. Mandati a morire, cioè, nell’inferno dal quale sono riusciti a fuggire a prezzo di mille rischi e dove, per quanto possa apparire incredibile, il coronavirus fa meno paura non solo della guerra in corso ma, soprattutto, dei lager dove i migranti sono detenuti, delle uccisioni sistematiche, delle torture, della riduzione in schiavitù, degli stupri e delle violenze di ogni genere da cui i profughi soccorsi dalle Ong cercano di mettersi in salvo.
E ancora. Pur senza sottovalutare minimamente le difficoltà del momento, che non solo l’Italia ma l’intera Europa ed anzi l’intero pianeta si trovano ad affrontare, occorre avere la forza e la coscienza di non dimenticare mai quel caposaldo della nostra società e della nostra democrazia che si concretizza nel rispetto rigoroso, irrinunciabile, dei principi di solidarietà e di soccorso nei confronti di persone in pericolo di vita, previsti dal diritto internazionale e dalla Costituzione italiana. Principi che non possono in alcun modo essere messi in discussione – neanche in una situazione grave come la pandemia in corso – se non rinunciando a quel “restare umani” che è vitale per il nostro “stare insieme” e proprio perciò essenziale non solo per affrontare le difficoltà attuali ma per avere la forza di ricominciare e ricostruire. Perché la sfida è proprio questa: sarà la sorte riservata ai migranti a indicare il modo con cui usciremo da questa crisi: se cioè ne usciremo cercando di realizzare un futuro diverso e migliore o se invece avrà prevalso per l’ennesima volta la logica egoista, inumana, di alzare barriere anche di fronte all’ultima speranza di salvezza di migliaia di disperati.
Ecco, allora, lo scopo e il significato di questo appello: revocare totalmente quel decreto e riaprire i porti. Non deve spaventare se questo ripensamento equivarrà ad ammettere un errore. Anzi, è proprio degli spiriti forti e intellettualmente onesti saper ammettere i propri errori.
don Mussie Zerai

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