mercoledì 29 settembre 2010
Eritrea, giornalisti sempre più sotto tiro
Il governo eritreo sta accentuando la repressione politica nei confronti dei giornalisti con arresti arbitrari e torture. Lo denuncia l’associazione dei giornalisti dell’Africa orientale (Eaja) che ne chiede la liberazione esprimendo sdegno e condanna per i metodi usati da Asmara nei confronti dei reporter detenuti in uno stato di “brutale oppressione”.
”Dal settembre del 2001 a oggi, sono circa 30 i giornalisti arrestati in Eritrea. Non hanno la possibilità di avere un processo, sono sottoposti a tortura e vivono in condizioni disperate. Cinque di loro sono morti, mentre altri sono detenuti in orrende prigioni, o reclusi in campi militari segreti dove vengono torturati”.
Durissimo verso Asmara il segretario generale dell’Eaja Omar Faruk Osman: ”Il governo eritreo è il peggior nemico della libertà di stampa e dei diritti umani”. L’associazione denuncia inoltre ”l’apatia da parte della comunità internazionale” su questo tema e chiede che ”le sanzioni votate nel dicembre del 2009 contro l’Eritrea vengano implementate senza alcuna esitazione” perché il ”regime in questi anni non ha cambiato il suo atteggiamento nel rispetto dei diritti umani”.
Nel dicembre del 2009 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una serie di sanzioni contro l’Eritrea che comprende il divieto alla vendita di armi. La risoluzione aveva avuto il voto contrario della Libia e l’astensione della Cina.
Il regime di Asmara, che ha probabilmente il più alto bilancio in armamenti del mondo, supporta Al Shabaab in Somalia più altri gruppi ribelli, tra cui il Fronte di liberazione nazionale dell’Ogaden. A proposito di questi ultimi, 200 membri dell’Onlf sono sbarcati segretamente qualche giorno fa lungo le coste del Somaliland, regione del nord-ovest della Somalia, autoproclamatosi stato ma da nessuno riconosciuto come tale. Lo ha comunicato il ministro dell’Interno della regione.
”Due imbarcazioni con a bordo circa 200 uomini armati, forse membri dell’Onlf, sono sbarcate sulla costa” - ha detto il ministro - tre camion hanno poi trasportato i ribelli nelle regioni collinari interne al confine tra Somalia, Gibuti ed Eritrea. Le nostre forze armate li stanno cercando”. Il sospetto è che i ribelli siano stati ‘addestrati e armati in in Eritrea.
L’Eritrea è uno stato totalmente militarizzato: il servizio militare è obbligatorio per tutti e dura dai 18 ai 45 anni, una vita. Il paese è poverissimo, l’economia boccheggia. I diritti umani sono calpestati quotidianamente. Molti giovani tentano così di fuggire e rifugiarsi in Europa. Ma spesso il regime colpisce i famigliari rimasti. Così per molti l’Eritrea è la più grande prigione a cielo aperto del mondo.
giovedì 23 settembre 2010
San Lupo 35 eritrei da tre giorni in sciopero della fame
Da tre giorno Rifugiati Eritrei stanno faccendo sciopero della fame, cosa sta succedendo a San Lupo? Che fine ha fatto l´accoglienza di cui si e parlato tanto nei organi di stampa. Stando a quello che ci viene riferito dai diretti interessati, il progetti di accoglinza e inserimento socio-lavorativo per rifugiati non e stato rispetatto, i ragazzi riferiscono che da un anno chiedono il rispeto dei accordi, garantire tutti servizi che sono stati previsti dal progetto origianrio, sono stati inascoltati dall´ente gestore del centro di accoglienza dove sono accolti. Per questo sono stati costretti a scioperare in questa forma esterma anche le donne con dei bambini di 3-4 mesi in fase di allattamento.
Chiediamo alle autoritá competenti di verificare le condizioni di accoglienza e il rispetto del progetto giá finanziato per garantire un accoglienza dignitosa ed il loro successivo inserimento nel contesto sociale e lavorativo.
Qui sotto riportiamo una delle tante dichiarazioni a mezo stampa rilasciate dal Sindaco e dai enti gestori del progetto e struttura di accoglinza di questi rifugiati, ci chiediamo perchè si e arrivati a questo scontro con gli ospiti?
don Mussie
San Lupo accolti i primi 35 eritrei
"Sono arrivati oggi a San Lupo (BN) alle ore 10 i 35 rifugiati eritrei destinatari del Progetto “Piccoli Comuni, grande solidarietà” - PON Sicurezza per lo Sviluppo Obiettivo Convergenza 2007 – 2013 UE. Gli ospiti sono stati accolti dal personale di Connecting People e del Consorzio Amistade nella struttura destinata al progetto (ex scuola elementare, Via Orti n. 2), dove si è subito provveduto a servire la colazione, consegnare kit igienici e di vestiario e assegnare le stanze.
Alle ore 11.30 è stato organizzato dal sindaco di San Lupo Irma De Angelis un incontro al comune per dare il benvenuto agli ospiti e presentarli alla popolazione. All’incontro erano presenti, oltre al sindaco, Soulib Briss e Fabiola Conti in rappresentanza dell’UNHCR, Il dott. Caputo in rappresentanza del Ministero dell’Interno, l’assessore comunale Giovanni Gugliotti, i consiglieri comunali Nicola D’Aloia e Lupo Di Palma, Rino Di Domenico del Consorzio Amistade e Giuseppe Lorenti e Orazio Micalizzi del consorzio Connecting People.
“Come sindaco e come cittadina di San Lupo – ha detto Irma De Angelis – sono contenta di essere qui oggi per darvi il benvenuto ed assicurarvi che il comune e la popolazione locale sono contenti di accogliervi. San Lupo, anche se piccolo, è un comune generoso e faremo tutti in modo di favorire la vostra integrazione nel nostro territorio”.
“Connecting People – ha spiegato Orazio Micalizzi, vicepresidente del Consorzio, ai ragazzi ed alle famiglie eritree appena arrivati – è l’ente gestore sia della struttura in cui alloggerete qui a San Lupo che del Cento di Accoglienza in cui siete stati ospitati sino a ieri a Salina Grande. Il nostro consorzio, con il supporto di Amistade, vi garantirà tutti i servizi di cui avrete bisogno; a conclusione delle vacanze di Pasqua inizieranno le diverse attività previste dal progetto, a partire dai corsi di italiano, e tutti i bambini saranno subito inseriti nelle scuole materna ed elementare locali ”.
Ufficio stampa Giorgio Gibertini
mercoledì 8 settembre 2010
Etiopia, aiuti italiani all'Unhcr e alla Croce Rossa
Data: 06/09/2010
La Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina ha approvato due contributi finanziari alle organizzazioni internazionali in Etiopia pari a un milione e 300 mila euro per aiutare le comunità locali vulnerabili e i rifugiati. Cinquecentomila euro verranno erogati all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), allo scopo di proteggere e sostenere gli sfollati stranieri in Etiopia. Il contributo è stato concesso in risposta all’appello globale 2010-2011 dell’Unhcr. In particolare i fondi serviranno per aiutare l’agenzia governativa Assa di Addis Abeba e l’Alto commissariato nelle operazioni di gestione del transito dei rifugiati e dei campi profughi a Shedder, Aw-Barre e Dollo-Ado. Inoltre, le due agenzie forniranno cure mediche, educazione primaria, prevenzione della violenza di genere e si miglioreranno le procedure per il censimento e la registrazione dei rifugiati. Gli altri 800 mila euro, invece, verranno dati alla sezione etiopico del Comitato internazionale della croce e mezzaluna rossa (Cicr) per aiutare i rifugiati, i disabili e i gruppi più vulnerabili nel paese africano.
Fonte: Cooperazione Italiana allo Sviluppo
Sistema di Accoglienza al Collasso
Noi dell´Agenzia Habeshia d´anni denunciamo questo fatto, un sistema di accoglianza farraginoso, che non risponde all´esigenze dei rischiedenti asilo politico. Noi chiediamo che si torni al contributo datto direttamente nelle mani dei rifugiati politici. Nei primi anni novanta, il richiedente riceveva direttamente il contributo in denaro, trovava da se una colocazione piu conssona per le sue esigenze. Attualmente il sistema di accoglienza risponde solo per la minima parte dei richiedenti asilo e rifugiati, con un costo elevatisimo per le casse dello stato. Noi chiediamo che venga ristabilito il contributo diretto alle persone con requisiti richiesti, per un tempo prolingato rispetto ad un anno di accoglienze dei centri di Enea o Sprar. Il rifugiato deve essere seguito dagli Assistenti Sociali, nel suo inserimento e integrazione nella societá italiana. Il costo di 30 euro al giorno per l´accoglienza, se consegnato in mano al diretto interessato potrebbe essere gestito molto meglio con piú attenzione all´esigenze della persona. Noi abbiamo oggi sul territorio nazionale centinaia di rifugiati privi di assistenza, alcuni invece hanno trovato accoglienza, situazioni che cerano disugualianza e discriminazione tra soggetti con uguali diritti. La equa distribuzione a tutti richiedenti asilo rifugiati, accompagnati dai assistenti asociali nel loro percorsso di integrazione socio-lavorativo, si potrebbe migliorare di molto l´accoglienza dei rifugiati.
Don Mussie
Libya: Gheddafi riapre i lager
di Stefano Liberti
Quindici eritrei detenuti in un carcere. Temono l'espulsione Migranti ancora rinchiusi. Finita la sanatoria decisa a luglio. «Controlli ovunque»
«Mi hanno catturato per strada nella medina di Tripoli e portato nel centro di detenzione di Twisha». La testimonianza di un ragazzo eritreo, arrivata per telefono dalla capitale libica, getta una luce nuova sulla presunta chiusura dei centri per immigrati annunciata in pompa magna a metà luglio dal governo della Jamahiriya. «Il centro - continua il nostro interlocutore - era pieno di immigrati: c'erano nigerini, nigeriani, alcuni eritrei. Eravamo una sessantina in un'unica stanza».
Tutti dentro, quindi. Apparentemente la chiusura dei campi di detenzione è durata poco. Era il 16 luglio scorso quando il colonnello Gheddafi riferiva che i centri di detenzione sarebbero stati svuotati, ricevendo di passaggio anche le lodi del presidente maliano Amadou Toumani Touré «per la decisione coraggiosa». Erano i giorni in cui aveva avuto grande effetto la storia dei 205 ragazzi eritrei trasferiti dal campo di detenzione di Misratah a quello di Braq, in mezzo al deserto del Sahara, in vista di una loro eventuale espulsione verso l'Eritrea. Una storia che aveva avuto un certo risalto sulla stampa italiana, anche perché la metà di quei 205 eritrei erano stati respinti in mare e riportati in Libia dalle unità della nostra marina militare. Alla fine, anche a causa delle pressioni internazionali, l'espulsione non è avvenuta. E, anzi, il governo libico aveva improvvisamente annunciato un cambio di politica: tutti i centri per immigrati sarebbero stati svuotati e gli immigrati reclusi forniti di un permesso di residenza di tre mesi. «Possono restare in Libia e cercare lavoro o tornare nel proprio paese. Sono liberi», annunciava il governo libico.
Ma apparentemente, nello stesso momento in cui promulgavano la sanatoria, le autorità della Jamahiriya preparavano nuove retate. «Da quel giorno - racconta il nostro interlocutore - sono comparsi molti blocchi nelle strade. La polizia è ovunque, fanno controlli anche sugli autobus». E così i centri hanno ripreso a operare a pieno regime. «A quanto ne so io sono tutti in funzione, eccetto quello di Misratah», ci conferma l'uomo, che è riuscito a uscire dal campo di Twisha corrompendo una guardia con 150 dollari.
La conferma del rafforzamento dei controlli e del ritorno alla vecchia politica di detenzione arriva anche da un'altra fonte. Il ragazzo è sempre un eritreo. Racconta di essere stato catturato a metà luglio, ossia negli stessi giorni in cui la Libia svuotava i centri. Probabilmente proprio perché i campi di detenzione erano inattivi, lo hanno chiuso in carcere a Bengasi insieme ad altri 19 suoi connazionali, fra cui 5 donne. Poi lo hanno trasferito in una prigione di Tripoli, dove si trova da poco più di una settimana. «Ci hanno spostato qui. Non sappiamo perché. Siamo insieme ai detenuti comuni. Non abbiamo visto nessuna autorità. Solo funzionari della nostra ambasciata, che hanno cercato di identificarci», racconta uno di loro al telefono.
Tutti gli eritrei chiusi in carcere sono in Libia da relativamente poco tempo. «Alcuni da tre mesi, altri da sei», racconta il nostro interlocutore. Che aggiunge un altro particolare: «Le donne sono rimaste a Bengasi. Non abbiamo più contatti con loro».
Queste testimonianze fanno sorgere alcune domande. Cosa è successo da quando il governo libico ha annunciato la chiusura dei campi? Perché ha riattivato la politica abituale? Lunedì scorso, durante la sua visita in Italia, il colonnello Gheddafi ha chiesto 5 miliardi di dollari l'anno all'Unione europea «se non vuole essere invasa dai cittadini africani». In queste settimane, sono in corso i negoziati per un accordo-quadro tra Unione europea e Libia, che dovrebbe contemplare anche il contrasto all'immigrazione clandestina. Probabilmente la riapertura dei centri è parte integrante dei negoziati. La Libia ha forse deciso che è pronta a fare il gendarme per conto dell'Europa. Sempre che l'Europa sia pronta a pagare profumatamente per il servizio reso.
martedì 7 settembre 2010
L’«amico» Gheddafi: riapre la caccia all’eritreo
Rischio deportazione
Ventuno giovani migranti rinchiusi nei lager libici. Due sono invalidi
Dimenticati i 205 arrestati a luglio. Qualcuno ha ritentato la fuga in Italia
udegiovannangeli@unita.it
Iriflettori si sono spenti. Gli indignati
dell’ultima ora sono tornati
in letargo. Ma in Libia le
retate sono riprese. I lager a
riempirsi. Ai «dimenticati di
Brak» si aggiungono i deportati di
Kuifia. Storie agghiaccianti. Che
chiamano in causa, ancora una volta,
le responsabilità di un Governo,
quello italiano, che dopo aver celebrato
glishow romani del Colonnello,
continua a ignorare gli appelli disperati
che giungono dalla Libia.
Dell’odissea degli oltre 200 eritrei
segregati per giorni e giorni nel lager
di Brak, nel deserto libico, l’Unità
ne ha dato conto a più riprese,
grazie, soprattutto, al contributo di
un sacerdote indomito: don Mussie
Zerai, eritreo, responsabile dell’ong
Habesha, un’associazione che si occupa
di accoglienza dei migranti
africani.Don Zerai ci aggiorna sulla
vicenda dei 205 «liberati» da Brak:
«Alcuni di loro - rivela a l’Unità -
hanno cercato di raggiungere l’Italia.
Ma non ce l’hanno fatta». Altri
continuano a chiedere di avere un
incontro con qualche funzionario
dell’Ambasciata italiana a Tripoli,
in modo da poter illustrare la loro
storia e veder riconosciuto il diritto
all’asilo. Ma anche questa richiesta
è caduta nel vuoto.
Per il Governo italiano la «pratica
è chiusa», Definitivamente. Con
affari miliardari in fase di definizione,
guai a innervosire l’«amico
Muammar» tirando fuori il dossier
sui diritti umani. Meglio chiudere
gli occhi. E occuparsi d’altro. E poco
importa che le retate sono riprese.
Che è ripresa la caccia all’eritreo. A
Tripoli, a Bengasi...Quella raccontata
daMussie Zerai, sulla base di contatti
diretti con alcune delle vittime,
è la storia di sedici ragazzi e cinque
ragazze di nazionalità eritrea,
tutti profughi, prelevati dalle autorità
libiche dalle loro abitazioni nella
città di Bengasi: «Li sono andati a
cercare - sottolinea Zerai - andavano
a colpo sicuro...». È la sera del 3
settembre. L’incubo ha inizio. E nelle
testimonianze raccolte dal fondatore
di Habesha, si «arricchisce» di
particolari agghiaccianti. «I ragazzi
- racconta don Zerai -mi hanno detto
di essere stati messi assieme a
persone che hanno commesso reati
quali omicidi, stupri, spaccio di droga...
Trattati alla stregua di criminali
comuni». Questo avviene nel centro
di detenzione di Algedya, mentre
le cinque ragazze sono state condotte
nel carcere di Kuifia, nei pressi
di Bengasi. «La situazione più grave
- prosegue il suo raccontoMussie
Zerai - riguarda due ragazzi: uno
che ha una gamba amputata e ha
bisognodi cure continue. Invoca assistenza,
che gli viene negata».
L’altra emergenza riguarda un
ragazzo con problemimentali. «Da
quanto mi hanno riferito - dice il
sacerdote eritreo - questo ragazzo
continua a sbattere la testa contro
il muro.Èinuna condizione di totale
confusione. Avrebbe bisogno di
cure specifiche, andrebbe tolto da
quella cella...». Così non è. Quel ragazzo
con disturbimentali e l’altro
con una gamba amputata, e gli altri
quattordici loro compagni di
sventura, per le autorità libiche sono
«migranti illegali» e dunque da
trattare alla stregua di criminali.
Nonbasta.Adallarmarli ulteriormente
è stata una visita indesiderata:
quella diun rappresentante dell’Ambasciata
eritrea a Tripoli, il
quale ha comunicato loro che presto,
molto presto, a causa della
mancanza di un passaporto valido
saranno deportati nel Paese d’origine.
Quel Paese dadove erano fuggiti.
«Al che i ragazzi hanno chiamato
per chiedere aiuto», spiega Mussie
Zerai. «Ho parlato con gli esponenti
di diverse organizzazioni
umanitarie e con Laura Boldrini
(portavoce in Italia dell’Unhcr,
ndr)- afferma il sacerdote -. A tutti
loro ho chiesto di attivarsi non solo
per impedire la ventilata deportazione
di queste persone, ma anche
perché si arrivi a una soluzione globale
». Una speranza che si scontra
con la colpevole inerzia della diplomazia
italiana. E del suo responsabile:
Franco Frattini. «Tutto questo
accade in conseguenza dell’Accordo
Italia-Libia, secondo il quale il
leader Gheddafi si impegna a fermare
nel suo Paese i profughi richiedenti
asilo, impedendo loro
di beneficiare della Convenzione
di Ginevra e di godere dunque
dei propri diritti fondamentali»,
sottolineano Roberto Malini, Matteo
Pegoraro e Dario Picciau,
co-presidenti dell’organizzazione
per i diritti umani EveryOne.
«Chiediamo pertanto - aggiungono
- al Governo italiano, in particolare
alministro Frattini, di attivarsi
al più presto per scongiurare
un’imminente deportazione
che potrebbe mettere in serio pericolo
di vita i profughi...».
«La soluzione per noi - insiste
il responsabile di Habesha - continua
a rimanere quella di avviare
un programma di reinsediamento.
Per tutti i rifugiati e i richiedenti
asilo che sono in Libia, l’unica
soluzione vera è di essere reinsediati
in un Paese che garantisce i
loro diritti.È quello che continuanoa
chiedere: vogliamo essere accolti
in un Paese democratico che
rispetta i nostri diritti di richiedenti
asilo e di rifugiati». Tra questi
Paesi c’è l’Italia.Un Paese il cui
ministro dell’Interno non perde
occasione per esaltare i successi
(leggi respingimenti forzati) ottenuti
con l’Accordo di Bengasi. Un
Paese che ha assistito tra l’incredulo,
l’indignato e il compiaciuto
ai recenti show del Colonnello
«convertitore». Un Paese che nel
nome degli affari miliardari con
Tripoli è venuto meno al rispetto
di Convenzioni ratificate e ai più
elementari principi di umanità.
Il forziere del Rais. È questo
che fa gola. Secondo alcuni, ricorda
il corrispondente di El Pais a
Roma,MiguelMora -Gheddafi dispone
di una liquidità di circa 65
miliardi di dollari, e punta a nuove
partecipazioni in Eni, Impregilo,
Finmeccanica, Terna e Generali.
Oltre ad essere, con il 7% del
pacchetto azionario, il primo azionista
di Unicredit, il più grande
gruppo bancario italiano, che a
sua volta controlla Telecom, Rcs
e Assicurazioni generali.❖
Rastrellamenti
Ora potrebbero essere
rispediti in Eritrea
perché senza documenti
Prelevati dalle loro
case di sera, tra loro
anche cinque ragazze.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
LIBIA. Altri profughi eritrei a rischio deportazione
Dopo i casi di luglio, ora 21 giovani migranti sono stati prelevati dalle loro case nella città libica di Benkazi e portati nei centri di detenzione. La denuncia dell'ong Everyone
"Ci è giunta notizia dall’Agenzia umanitaria Habeshia che nella serata del 3 settembre, sedici ragazzi e cinque ragazze di nazionalità eritrea, tutti profughi, sono stati prelevati dalle autorità libiche dalle loro abitazioni nella città di Benkazi". Lo affermano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione per i diritti umani EveryOne.
"I sedici ragazzi sono ora detenuti nella località di Frnash Sebaa Algedya, mentre le cinque ragazze sono state condotte nel centro di detenzione di Kuifia, nei pressi di Benkazi", continuano gli attivisti, “i ragazzi sono stati raggiunti in tarda serata da un rappresentante dell’Ambasciata eritrea a Tripoli, il quale ha comunicato loro che presto, forse addirittura nelle prossime ore, a causa della mancanza di un passaporto valido saranno deportati nel Paese d’origine. La notizia ha ovviamente messo in allarme tutti i profughi attualmente trattenuti nei centri di detenzione libici, che temono un’imminente deportazione forzosa, senza la possibilità di ricevere l’adeguata protezione umanitaria.
"Tutto questo accade in conseguenza dell'accordo Italia-Libia", spiega la presidenza del Gruppo EveryOne, "secondo il quale il leader Gheddafi si impegna a fermare nel suo Paese i profughi richiedenti asilo, impedendo loro di beneficiare della convenzione di Ginevra e di godere dunque dei propri diritti fondamentali". L'ong chiede al Governo italiano, e in particolare al ministro Frattini, di attivarsi al più presto per scongiurare un’imminente deportazione che potrebbe mettere in serio pericolo di vita i profughi.
"Abbiamo inoltre inviato un messaggio urgente all’Alto Commissario Onu per i Rifugiati Antonio Guterres e all’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Pillay e alle loro rappresentanze in Italia, affinché vigilino sui diritti dei profughi, assicurandosi delle loro condizioni di salute", concludono gli esponenti di Everyone, che hanno anche allertato il Comitato contro la Tortura del Consiglio d’Europa "perché sia scongiurato il perpetrarsi di trattamenti inumani e degradanti all’interno dei centri di detenzione libici, ai danni di esseri umani innocenti".
sabato 4 settembre 2010
Sos sos Eritrei a rischio deportazione in Libya
Ieri sera ci e giunta la richiesta di aiuto da 16 Eritrei detenuti nalle localitä di Frnash Sebaa (70) Algedya quello che ci hanno riferito i profughi eritrei, che sono stati presi nella citta di Benkazi, prelevati dalle loro abitazioni, 16 ragazzi e 5 ragazze, le regazze ora si trovano nel centro di detenzione di Kuifia vicino a Benkazi.
I 16 ragazzi sono stati ragiunti dal rapresentante dell´Ambasciata Eritrea a Tripoli, il quale gli ha detto in quanto privi di Passaporto, le autorita libiche procederano per deportarli verso il paese di origine. Questa notizia ha messo in allarme tutti profughi tratenuti attualmente in questi centri di detenzione.
Torniamo a chiedere al Governo Italiano che vante di avere un rapporto privilegiato con il regime Libico di trovare una soluzione verå e duratura di questo problema.
La soluzione che noi auspichiamo resta quella di avviare un programma di reinsediamento dei profughi in Europa.
Don Mussie Zerai
giovedì 2 settembre 2010
Libia, il colonnello e il cavaliere
anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.operaicontro.it
da peacereporter Libia, il Colonnello e il Cavaliere condividi Il secondo anniversario del trattato italo libico è un'occasione per nuovi, lucrosi, affari. Sulla pelle dei migranti e in barba alla Lega Nord L'ultima trovata arriva al mattino, con caffè e giornali. una lezione di Islam a uso e consumo della squadra di hostess che il governo italiano gli ha fatto trovare a Roma. Questa offusca quella dei passaporti libici che verranno stampati in futuro avranno, tra le immagini olografiche, la stretta di mano tra Gheddafi e Silvio Berlusconi che il 30 agosto 2008 ha sancito (a Bengasi) la firma del Trattato di Amicizia Italia - Libia.
In occasione del secondo anniversario dell'accordo, il leader libico restituisce la visita ricevuta dal premier italiano l'anno scorso. Quest'anno, come un anno fa, i media saranno rapiti dal corollario di trovate che caratterizzano i viaggi del colonnello Gheddafi: tende beduine nel cuore di Roma, squadre di cavalieri arabi in abiti tradizionali e il corpo di guardia tutto al femminile del leader libico.
Una sorta di cortina di fumo che, alimentata dalle costanti dichiarazioni di amore eterno tra i due personaggi politici, nasconde tutta una serie di elementi ben più interessanti della nuova stagione di relazioni tra l'Italia e la Libia inaugurata due anni fa.
Per cominciare l'alta, anzi, altissima finanza. Berlusconi, in tempo di crisi politica, ha una nuova gatta da pelare. Il rapporto della Consob, l'organismo di controllo della Borsa italiana, ha rilasciato una nota il 4 agosto scorso nella quale rendeva noto che la Libia possiede il 6,7 percento di Unicredit. Per la precisione, il 4,6 con la Banca centrale di Tripoli e il 2,1 con la Libyan Investment Authority, società controllata dal governo libico. I gerarchi della Lega Nord non l'hanno digerita: l'incubo della scalata araba (e islamica) a uno dei principali istituti di credito italiano è un problema per un partito che della barriera anti islamica ha uno dei temi di fidelizzazione del suo elettorato. Come spiegarlo ai militanti, gli stessi aizzati al grido di ''bruceremo le loro palandrane'' (deputato Mario Borghezio, piazza Duomo a Milano)?
''Basta sospetti sui soldi arabi. La Libia non ha alcuna intenzione di scalare Unicredit. I soci arabi non vanno trattati diversamente dagli altri'', ha detto il finanziere franco-tunisino Tarek Ben Ammar, ritenuto da molti osservatori l'architetto della svolta di due anni fa nei rapporti italo-libici. Un Berlusconi in miniatura, questo Ammar. Produttore cinematografico, anche della contestata Passione di Cristo di Mel Gibson, proprietario di una delle più grandi aziende di comunicazione in Francia, ma anche ex manager di Michael Jackson e proprietario del canale tv Sportitalia. Cariche e affari che gli sono valsi un posto nel consiglio di amministrazione di Mediobanca, la centrale operativa della finanza italiana.
Per convincere la Lega a sorridere all'ospite scomodo servirà una delle trovate di Berlusconi. L'uomo giusto ha già un nome: Massimo Ponzellini. Presidente della Banca Popolare di Milano e di Impregilo, il colosso delle costruzioni, che guida la truppa di ventuno aziende italiane che hanno presentato la loro candidatura per la costruzione dell'autostrada costiera (1700 chilometri) in Libia. Un appalto enorme, sul quale si pronuncerà la commissione mista italo-libica il 30 ottobre prossimo. Il Trattato del 2008, infatti, prevede un risarcimento per i danni di guerra del periodo coloniale italiano in Libia di 5 miliardi di dollari. Una fetta di questa soldi, andrà all'azienda che costruirà l'arteria di comunicazione che congiungerà i due punti estremi della costa libica. Ponzellini è considerato molto vicino alla Lega e la banca che presiede sembra sempre più indicata come quella 'banca padana' che la Lega Nord cerca da anni.
La Lega, di Gheddafi, non si fida. L'ultima frizione è giunta il 25 luglio scorso, quando il leader libico ha ordinato la liberazione dei circa tremila migranti rinchiusi nelle carceri libiche. Almeno duecento di questi, sono stati vittime dei respingimenti in mare dell'Italia che, in violazione del diritto internazionale, ha applicato una delle clausole del Trattato che prevede l'intercettamento in acque internazionali dei migranti partiti dalla Libia e il riaccompagnamento coatto sulle coste di partenza, senza identificarli e senza verificare se a bordo ci siano persone che possono chiedere lo status di rifugiato politico. Ed ecco che etiopi, eritrei e somali sono stati sbattuti nelle fatiscenti carceri libiche, vittime di soprusi di ogni genere. Il colonnello Gheddafi, messo sotto pressione dai media e dalle organizzazioni non governative di tutto il mondo che si battono per il rispetto dei diritti umani, li ha scarcerati, abbandonandoli al loro destino nel deserto. La Lega, che ha sempre accusato Gheddafi di usare i migranti come elemento di pressione sull'Italia, non ha gradito.
Gli affari tra l'Italia e la Libia, però, sono un bel bottino. Solo l'Eni, il gigante energetico guidato da Paolo Scaroni, ha in cantiere nuovi investimenti per 25 miliardi di euro, come annunciato dallo stesso Scaroni nei giorni scorsi. Gli affari diretti tra Berlusconi e Gheddafi, poi, non sono da meno. Un articolo pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian aveva un titolo chiaro: ''The Gaddafi-Berlusconi connection''. Secondo l'autore, una società libica chiamata Lafitrade ha acquisito il dieci per cento della Quinta Comunication, di Tarak Ben Ammar (ancora lui). La Lafitrade è controllata da Lafico, il braccio d'investimenti della famiglia Gheddafi.
Un altro partner di Ben Ammar nella Quinta Comunication è, con circa il ventidue percento, una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest, la finanziaria di Berlusconi. Non basta: Quinta Comunication e Mediaset possiedono ciascuna il venticinque percento di una nuova televisione via satellite araba, la Nessma Tv, che opera anche in Libia.
Troppa roba per lasciare che la Lega, per quanto sempre più influente nel governo Berlusconi, si metta di traverso. D'altronde l'ossessione migrante dei leghisti, sempre nelle clausole del Trattato, trova un'altra soddisfazione: l'accordo che Finmeccanica, colosso italiano della produzione di armi e tecnologia sofisticata, tramite la controllata Selex Sistemi Integrati, ha firmato con la Libia per un valore di trecento milioni di euro. La commessa prevede la costruzione di un grande sistema di protezione e sicurezza dei confini libici, in particolare quelli con Niger, Ciad e Sudan da dove arriva il grosso dei migranti dall'africa subsahariana. L'appalto, come da Trattato, sarà finanziato al 50 percento dai contribuenti italiani e al 50 percento dall'Unione europea.
A volte basta un po' di buona volontà (e di soldi) per trovare un accordo.
Christian Elia
www.operaicontro.it
L´Italia cosi in basso non si era mai vista
Città del Vaticano, 2 set. (Adnkronos/Ign) - ''Gheddafi ha bisogno dell'Italia, che gli offre un palcoscenico unico per mostrarsi, soprattutto alla tv libica, come paladino dell'orgoglio nazionale, arabo e musulmano. La spirale di provocazioni ad effetto in cui Gheddafi si avvita sempre di più, per essere chiari, è efficace solo in Italia. Nessuno all'estero gli offre spazi per una tenda inutile e inutilizzata, né aspiranti veline ad ascoltarlo a pagamento. Perché da noi succede?''. E' quanto scrive in un commento pubblicato dal Sir, agenzia stampa della Cei, Riccardo Moro in una ricostruzione severa delle attività del rais di Tripoli dal quale emerge la progressiva decadenza del ruolo internazionale del Colonnello. L'attacco arriva a due giorni dalle critiche del quotidiano 'Avvenire' alla visita di Gheddafi, una ''messa in scena'' con effetto ''boomerang''.
Sul Sir si parla dell'''inconsistenza'' politica di Gheddafi, quindi si descrive la sua parabola da quando fu ''messo nell'angolo dalle potenze occidentali a seguito dell'evidenza delle sue responsabilità nell'attentato di Lockerbie del 1988'', quindi si spiega che ''dopo anni passati a finanziare i movimenti antioccidentali più fondamentalisti e violenti, ha cambiato diametralmente negli ultimi anni le sue posizioni, cedendo il ruolo di nemico irriducibile degli Usa e dei suoi alleati per trasformarsi nei fatti in un leader dalle posizioni moderate in campo internazionale''.
''Braccato dai servizi segreti anglo-americani e dal Mossad - si racconta - preoccupato della sua sopravvivenza, fisica e politica, e sentendo venir meno anche il consenso in patria, ha cercato di 'vendersi' nella maniera migliore, offrendo, in cambio del suo mantenimento al potere, disponibilità politica e accordi commerciali''.
Quindi si rileva come Gheddafi abbia cercato di guidare la causa dell'unione africana senza però raggiungere nessun obiettivo di rilievo, anzi fallendo in qualità di presidente pro tempore dell'Unione africana. ''Esaurita la carta politica - prosegue il Sir- Gheddafi gioca quella commerciale. Ricco dei proventi del petrolio stringe accordi di collaborazione commerciale e industriale, che mirano a migliorare il capitale di infrastrutture della Libia e a garantire alla 'Guida' incassi non solo dal greggio, ma anche dalle commesse delle imprese che fanno affari con la Libia''.
In questo senso appare ''sospetta la liberazione di uno dei responsabili della strage di Lockerbie da parte delle autorità scozzesi, cui è seguito a breve un accordo di estrazione tra governo libico e British Petroleum''.
Quindi si elencano i diversi affari intercorsi con l'Italia per concludere: ''Detto questo non si può sorvolare sulla questione dei diritti umani e non chiedersi che cosa accade a chi, respinto dall'Italia, rimane, chissà in che condizioni, 'trattenuto' in Libia''.
Torna invece a difendere la visita del Colonnello in Italia il ministro degli Esteri, Franco Frattini. "I rapporti che l'Italia ha con Gheddafi non li ha con nessun altro Paese" afferma il titolare della Farnesina in un'intervista alla Stampa, e dice di "non essersi impressionato per niente" per le sue dichiarazioni sull'Islam. Gheddafi "va in giro per l'Africa a dire che l'Italia è l'unico paese che ha superato il colonialismo: sa questo quante porte apre in Africa?". "L'Africa è una bomba demografica, è impensabile che il Maghreb si metta a fare il gendarme per conto dell'Europa", dice ancora Frattini. Quanto alle dichiarazioni di Gheddafi sui fondi europei necessari per fermare il flusso d'immigrati, il ministro sottolinea come servano "fondi per lo sviluppo dell'Africa sahariana, e 5 miliardi sono ancora pochi".
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