di Mussie Zerai
Sono passati già
sette anni dalle prime denunce. Ma da allora, era il 2006, il traffico di
esseri umani nel Sinai non ha conosciuto soste. Anzi, è diventato sempre più
fiorente. Negli ultimi tre anni, in particolare, c’è stata un’autentica
escalation, che ha arricchito i trafficanti e i loro complici. Versando il
sangue di centinaia, migliaia di innocenti. Questi predoni non hanno
risparmiato neanche i bambini e le donne in stato di gravidanza, costretti
spesso a subire violenze indicibili e abusi sessuali. Ma i potenti del mondo
hanno preferito voltare le spalle di fronte ai poveri, a questi “ultimi degli
ultimi” presi in ostaggio e ridotti in schiavitù.
E’ dal novembre del
2010 che ho cominciato a occuparmi di questa autentica emergenza umanitaria. Ne
ho denunciato l’orrore al mondo intero attraverso tutti i mass media, bussando
alle porte di ambasciate, governi, parlamenti. Fino al Papa. Non sono rimasto
solo in questa battaglia. Con me e l’agenzia Habeshia l’hanno intrapresa anche
altre organizzazioni umanitarie. Tutti insieme abbiamo mostrato alla comunità
internazionale la tragedia orrenda che si sta consumando nel deserto del Sinai,
ai bordi del confine tra Egitto ed Israele. Ma i potenti sono rimasti sordi, ostinatamente
sordi, al grido di dolore di migliaia di esseri umani. Migliaia di nuovi schiavi
ignorati da tutte le cancellerie del Nord del mondo.
E’ una indifferenza
colpevole e assurda. Per i credenti come per i non credenti. Basta fermarsi un
attimo a riflettere. “Dio non fa preferenze di persone (At 10,34; cfr. Rm 2,11; Gal 2,6; Ef 6,9), poiché tutti gli uomini hanno
la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianza”. E proprio l’incarnazione
del Figlio di Dio manifesta l’uguaglianza e la pari dignità tra tutti gli
uomini e le donne. “Non c’è più giudeo né
greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna;poiché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal
3,28; cfr. Rm 10,12; Cor 12,13; Col 3,11). E’ stata lunga e faticosa la battaglia dell’umanità per
affermare questi principi. In particolare nel ventesimo secolo, con le lotte
per i diritti umani e civili, contro la schiavitù, le diseguaglianze, lo
sfruttamento dell’uomo sull'uomo i soprusi. Contro, in una parola, la
negazione e la soppressione della dignità umana. Decisiva appare la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, proclamata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948: la base
di partenza per un mondo più giusto e un futuro migliore, non a caso arrivata all'indomani dell’immane massacro e degli orrori della seconda guerra mondiale.
Oggi, però, tutto
questo sembra dimenticato. Appare positivo e comunque lecito soltanto tutto ciò
che rende denaro. Persino il traffico di esseri umani e di organi per i trapianti
clandestini. Non si parla d’altro che di soldi e di economia, come se il valore
della vita umana si esaurisse nei mercati e nella borsa. E i poteri che hanno
la responsabilità di governare il pianeta sembrano aver dimenticato che il loro
ruolo primario è quello di garantire la vivibilità e il rispetto della dignità
umana. Che al centro dell’economia deve esserci comunque l’uomo. Che non c’è
futuro senza la difesa e l’affermazione del bene comune.
E’ eloquente, in
proposito, anche la Dottrina Sociale della Chiesa: “La responsabilità di
conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo
Stato, poiché il bene comune è la ragion d’essere dell’autorità politica. Lo
Stato, infatti, deve garantire coesione, unitarietà e organizzazione della
società civile di cui è espressione, in modo che il bene comune possa essere
conseguito con il contributo di tutti i cittadini. L’uomo singolo, la famiglia,
i corpi intermedi da soli non sono in grado di pervenire da se stessi al loro
pieno sviluppo; da ciò deriva la necessità di istituzioni politiche, la cui
finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari
materiali, culturali, morali, spirituali per condurre una vita veramente umana”.
Ed ecco il punto,
allora. I governi dei paesi a cui ci siamo rivolti per chiedere aiuto, per
implorarli di fare tutto il possibile per la liberazione degli ostaggi
sequestrati dai mercanti di esseri umani, si sono dimenticati del bene comune.
Non vogliono capire che anche la salvezza di quella povera gente è il bene
comune. Non può non esserlo la vita di oltre 65 mila persone finite nelle mani
dei trafficanti. Ma tutto tace, nonostante i continui, paurosi segnali che
confermano ogni giorno questa enorme emergenza. Come gli oltre tremila giovani,
uomini e donne, di cui si è persa ogni traccia nel Sinai: svaniti nel nulla. O
come la scoperta, nel deserto, di tante fosse comuni dove sono finiti i resti
di centinaia di disperati.
Non stanno
perseguendo il bene comune, in particolare, i governi di Egitto, Israele,
Sudan, Eritrea. Nessuno si mobilita davvero per catturare i mercanti di morte e
mettere fine a questo crimine orribile. C’è da chiedersi quanti innocenti
debbano ancora morire prima che questi Paesi e, più in generale, i “potenti della
terra” sentano il dovere di difendere e proteggere la vita e i diritti di
queste persone. “Colpevoli” solo di essere profughi e rifugiati.
Sentire ogni giorno
il pianto e la disperazione degli ostaggi e delle loro famiglie, è uno strazio:
è il segnale che l’ingiustizia trionfa, che la dignità umana viene calpestata,
che la vita umana vale da 30 a 60 mila dollari, il riscatto preteso dalle
organizzazioni criminali per liberare gli schiavi prigionieri. Nessuno può
tacere di fronte a tutto questo. Torno a far appello, dunque, a chi governa le
sorti del pianeta: “Restituiteci la nostra dignità. Restituiteci la nostra
libertà. Restituiteci i diritti che i nostri padri, nel 1948, scrivendo la
Dichiarazione Universale, hanno inteso dare a tutti noi e per tutti noi. La
comunità internazionale ritrovi la forza morale di quegli uomini che hanno
messo al centro del fine e del dovere delle Nazioni Unite l’uomo e i suoi
diritti fondamentali. Oggi serve quella stessa energia per combattere l’orrore
che sta insanguinando il Sinai: un crimine contro l’umanità commesso sotto gli
occhi della comunità internazionale”.
Sono migliaia, in
questo momento, le persone in balia dei trafficanti. Sono i ragazzi tenuti
prigionieri nel deserto e le loro famiglie, travolte dalla necessità di mettere
insieme in qualche modo i soldi del riscatto. Uomini e donne finiti nel gorgo
di un dramma orrendo mentre cercavano di sfuggire a guerre e persecuzioni.
Hanno lasciato il loro paese guardando al Nord del mondo come “patria” della
libertà e dei diritti. La comunità internazionale non può continuare a voltarsi dall'altra parte.
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