Appello alla Svizzera e a
tutti gli Stati dell’Unione Europea
Vanno sospesi tutti i
decreti di espulsione di richiedenti asilo verso l’Italia dalla Svizzera e da
tutti gli Stati dell’Unione Europea.
Nei giorni scorsi, dopo il
suicidio, nel centro di detenzione per stranieri di Aarau, di un giovane
eritreo in procinto di essere rimandato in Italia, abbiamo già lanciato un
appello in questo senso alle autorità elvetiche. Ora lo rinnoviamo non solo nei
confronti di Berna ma di tutti gli Stati Ue che da mesi stanno riconsegnando a
Roma migliaia di profughi che si sospetta siano sbarcati in Sicilia o comunque sulle
coste meridionali della penisola italiana, prima di raggiungere altri paesi
europei.
A dar forza al nostro nuovo
appello è la sentenza emessa in data 4 novembre 2014 dalla Corte per i diritti
umani di Strasburgo, che chiama in causa sia la Svizzera che l’Italia. Abbiamo
già spiegato più volte che la nostra richiesta di sospensiva delle espulsioni trae
fondamento dal fatto che il sistema di accoglienza italiano non garantisce
alcun vero processo di inclusione sociale e di reinsediamento per i profughi. I
quali, dopo aver ottenuto dallo Stato il diritto di asilo o a una qualsiasi altra
forma di protezione internazionale, vengono abbandonati a se stessi, condannati
a diventare “invisibili” senza diritti, senza possibilità di trovare casa e
lavoro, condannati quasi sempre a sistemarsi in alloggi di fortuna e inseriti
di fatto in un enorme serbatoio di lavoro nero e sfruttamento. Ora conferma
questo stesso quadro anche la Corte di Strasburgo: l’Italia non offre
sufficienti garanzie ai richiedenti asilo per un concreto percorso di
integrazione, nel rispetto dei diritti umani.
E’ quanto emerge dalla
sentenza che – prospettando in caso contrario una condanna formale – diffida il
Governo svizzero dal rimandare in Italia una famiglia afghana di 8 persone
(padre, madre e sei figli) sbarcata in Calabria nel 2011 e poi riparata nella
Repubblica Elvetica, dove si è appellata al diritto di asilo. Le autorità
svizzere ne hanno decretato l’espulsione, rifacendosi al trattato di Dublino,
in base al quale a farsi carico dei rifugiati deve essere il primo paese
europeo nel quale arrivano. In questo caso, l’Italia appunto. Ma la Corte di
Strasburgo ha stabilito che questo regolamento non può essere applicato se nel
paese di accoglienza mancano condizioni di vita accettabili, specie per i
bambini. E l’Italia, secondo i giudici, rientra tra i paesi a rischio. In
particolare per il problema della casa. “Non è infondato ritenere – si legge
infatti nel dispositivo della Corte – che i richiedenti asilo rinviati adesso
in Italia da altri Paesi europei, in base al regolamento di Dublino, corrano il
pericolo di restare senza un luogo dove abitare o che siano alloggiati in
strutture insalubri e dove si verificano episodi di violenza”.
Su questa base rinnoviamo alle
autorità federali e cantonali svizzere l’appello a sospendere tutti i
procedimenti di espulsione già definiti o in corso di istruttoria. Ed
estendiamo questo stesso appello agli altri Stati dell’Unione Europea,
rinnovando le motivazioni più volte da noi espresse a sostegno di questa
richiesta e ora pienamente confermate dalla Corte per i Diritti Umani di
Strasburgo. Corte che peraltro, nella sua ultima risoluzione, ha ribadito in
pieno i concetti già espressi in altre importanti sentenze: la condanna
comminata il 21 ottobre scorso all’Italia e alla Grecia per l’espulsione decisa
nel 2009 nei confronti di 35 profughi, imbarcati di forza verso Patrasso da
Ancona, Venezia e Bari; la sospensione dei decreti di espulsione e riconsegna a
Roma per moltissimi profughi decretata nel 2011 da ben 41 tribunali della
Germania. Pur trattandosi di volta in volta di casi singoli, infatti,
l’univocità del giudizio configura una situazione generale e un precedente
anche giuridico di cui non è lecito non tenere conto.
don Mussie Zerai
presidente
dell’agenzia Habeshia
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