di Emilio Drudi
“Sbarcati in Sicilia
mille clandestini nella totale indifferenza”: è il titolo a tutta pagina
pubblicato giorni fa da un giornale a tiratura nazionale, per sollecitare maggiori
misure di controllo e, in definitiva, il blocco degli arrivi. Clandestini: così
vengono sistematicamente definiti i profughi, i richiedenti asilo, i migranti
forzati. Fingendo di ignorare che si tratta di gente “in fuga per la vita” da
realtà dove si è persa ogni speranza. Che chi scappa da guerre, dittature,
persecuzioni, terrorismo, disastri ambientali, paesi in dissoluzione, senza
alcuna possibilità di canali legali per andarsene, non può che tentare la sorte
amara del migrante “clandestino”. Come è accaduto agli esuli antifascisti
espatriati prima della guerra. O, dopo le leggi razziali fasciste del 1938,
agli ebrei che, per lasciare l’Italia, hanno percorso esattamente le medesime
vie di fuga attraverso le Alpi, con gli stessi sistemi e con una rete di
passeur analoga a quella usata ora da molti giovani africani diretti in
Francia, in Svizzera, in Germania, dopo aver risalito la penisola. Ieri i
perseguitati da nazismo e fascismo, oggi i perseguitati da regimi simili,
spesso “amici” degli Stati europei.
Ecco, quel
“clandestini”, usato sempre in senso negativo, è il primo muro: la prima forma
di criminalizzazione dell’altro in quanto tale, presentato come una minaccia o
un pericolo potenziale. Si fa strada, ancora una volta, la logica della “paura
del diverso”: quel veleno che soffoca il cuore, ottenebra la mente e alimenta i
sentimenti peggiori.
Negli ultimi mesi si
è registrato un crescendo di questa ostilità, sempre più palese e non di rado
alimentata ad arte. Ne fa fede l’escalation di dichiarazioni xenofobe,
razziste, dense di odio. A tutti i livelli: dai vertici più alti della politica
alla gente comune. “I rom sono la feccia della società”, è arrivato a dire
Gianluca Buonanno, europarlamentare della Lega, in un talk show televisivo,
raccogliendo applausi tra il pubblico in studio mentre il conduttore si è
limitato a una imbarazzata presa di distanza, quando sarebbe stato opportuno
invece denunciare ed isolare subito, con forza, questa posizione razzista, cambiando
il palinsesto stesso della trasmissione. “Bisogna radere al suolo i campi rom”,
ha fatto eco pochi giorni dopo il leader del Carroccio, Matteo Salvini, ricevendo
un mare di vergognosi commenti favorevoli su face book, inclusa la proposta
“aggiuntiva” di abbattere sì i campi, “ma con i rom dentro”.
“I migranti
bastardano la nostra razza e tra di loro ci possono essere dei terroristi”, ha
urlato alla Tv il presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro.
“Bruciateli vivi e buttateli in mare”, ha scritto a proposito dei migranti un
ispettore della polizia ferroviaria, inneggiando al fascismo e specificando:
“Mi manca Hitler”. “Una negra non merita 10”, hanno detto a Pisa alcuni
studenti a una ragazza, figlia di immigrati senegalesi, presa di mira per i
suoi risultati scolastici e per il colore della pelle. “Sporchi negri, tornate
al vostro paese, ci rubate il lavoro, dovevate affondare con i barconi”, hanno
gridato decine di esagitati contro la squadra di calcio degli immigrati di
Rosarno, assalendo gli spogliatoi dello stadio. Sempre in Calabria, il sindaco
di Cirò Marina, Roberto Siciliano, ha disposto il divieto di circolazione per i
migranti “per evitare la scabbia”. Esattamente come ha fatto, in Liguria, il
sindaco di Alassio, Enzo Canepa, che ha vietato l’ingresso nel territorio del
comune agli stranieri senza fissa dimora, privi di certificato sanitario “che
attesti l’assenza di malattie infettive trasmissibili”. Un divieto che, in
pratica, riguarda tutti i profughi.
Si potrebbe
continuare all’infinito: basta spulciare i titoli dei principali giornali.
Parole gettate come benzina sul fuoco di una ostilità diffusa, dettata da
pregiudizio e disinformazione, alimentata da indifferenza, conformismo,
opportunismo. E il risultato è che dalle parole violente si passa sempre più di
frequente alla violenza fisica. Talvolta a vere e proprie rivolte anti
immigrati, in un clima quasi di pogrom, come è già accaduto un paio di anni fa
contro due campi rom, a Torino e Napoli. A Crema, la decisione di ospitare una
ventina di giovani immigrati in un’ala dell’ex convento delle Ancelle, vicino a
un asilo, ha scatenato la protesta di diverse famiglie sotto il palazzo della
Curia. Una protesta immotivata: i locali erano stati debitamente predisposti
per la nuova funzione, con tanto di nulla osta della Asl, e tutti gli ospiti
destinati ad occuparli sono stati identificati, visitati dai medici allo
sbarco, censiti dal Viminale. Ma il vescovo Oscar Cantoni non ha trovato di
meglio che fare marcia indietro, cedendo di fatto a paure e pregiudizi assurdi,
come quelli manifestati da una mamma che, senza neanche aver mai visto in
faccia quei giovani, ha dichiarato al Fatto Quotidiano: “Si è deciso che degli
immigrati in piena fase ormonale fossero vicini a dei bambini. Questi ragazzi
possono essere persone bravissime ma magari hanno ricevuto abusi e sono
propensi a fare qualcosa che può urtare la sensibilità di un bambino di cinque
anni, che potrebbe riportare danni per la vita…”.
Ha vinto la protesta
anche a Quinto di Treviso, dove gli abitanti di una zona residenziale sono
scesi in strada per contestare la decisione della Prefettura di alloggiare 100
profughi in palazzine in parte già abitate da alcune famiglie. Anzi, c’è stato
un assalto ad uno degli appartamenti per i migranti, dal quale sono stati presi
e incendiati mobili e materassi, mentre il giorno dopo è stato impedito di
consegnare il cibo agli ospiti già arrivati. A dare man forte alla protesta è
intervenuto il governatore del Veneto, Luca Zaia, andando di persona sul posto.
“Questi migranti – ha detto – devono andarsene perché noi ne abbiamo già 517
mila… Abbiamo già dato”. Dimenticando che, semmai, da quei 517 mila il Veneto
ha “preso” e non “dato”: si tratta in gran parte, infatti, di lavoratori che
hanno contribuito e contribuiscono tuttora a far crescere l’economia regionale
e non di profughi arrivati nelle ultime settimane con i barconi. Anzi, la
percentuale di questi ultimi, in Veneto, è tra le più basse d’Italia. Eppure
Zaia dice che “stanno africanizzando il Veneto”. E il prefetto, Maria Assunta
Marrosu, si è arresa.
Ha tenuto duro,
invece, il prefetto Franco Gabrielli, a Roma, dove una protesta simile a quella
di Treviso si è scatenata a Casale San Nicola, per l’arrivo di 19 immigrati in
una ex scuola ristrutturata come centro di accoglienza. Presidio, blocco
stradale, striscioni e cartelli, urla e lancio di bottiglie contro il pullman
che portava i migranti. Una sommossa nella quale hanno avuto un ruolo
importante anche i fascisti di Casapound, con tanto di cori e insulti razzisti,
saluti romani, minacce, al fianco di residenti che dicevano di essere lì “per
difendere il proprio paese” dall’invasione di stranieri. Gabrielli non si è
lasciato intimorire: “Non faremo passi indietro”, ha dichiarato. E sono scattati
arresti, denunce, un’inchiesta della Procura. Il livore xenofobo, così, si è
riversato sul prefetto. “Non rompete le palle a chi protesta”, ha tuonato
Matteo Salvini. Il vicepresidente del Consiglio delle Marche, Sandro Zaffiri, pure
lui leghista, si è spinto oltre, scrivendo sul suo profilo face book:
“Gabrielli un porco di un comunista al servizio del Pd, attento che ti abbiamo
segnato sul nostro elenco. Arriveremo. Olio di ricino te ne darei tanto”. Ed è
ancora poco. In quegli stessi giorni, Fabrizio Florestano, dirigente ferrarese
di Fratelli d’Italia, ha scritto sui migranti: “Certo, io ne prenderei cento
alla volta: tempo di sparare per farli cadere in una buca e me ne date altri
cento. In una giornata ne faccio fuori quanti ne sbarcano”.
Sono affermazioni da
far tremare: un’aperta istigazione all’odio razziale. Eppure vengono fatte
passare quasi senza alcuna seria reazione, dando così sempre più forza alla
deriva xenofoba e razzista che sembra investire sempre di più il Paese. Pesanti
responsabilità gravano, per tutto questo, sulla politica. Per non aver messo in
campo un serio programma di accoglienza e, contemporaneamente, per
l’atteggiamento defilato che ha assunto di fronte a violenze verbali e fisiche
crescenti. Tutta la politica o quasi. La destra, anziché frenare, alimenta e
cavalca l’insofferenza contro i migranti, con diverse “tonalità”: dalle
posizioni estreme dei fascioleghisti a quelle più soft, ma analoghe nella
sostanza, dell’ala “moderata”. La sinistra, invece di proporre idee e valori diversi,
sembra inseguire la destra sul suo terreno, nel timore di perdere consensi. Il
risultato è che sempre più spesso l’immigrazione, sia a destra che a sinistra,
viene vista come un “pericolo”, accostata al rischio di epidemie e terrorismo.
Negli ultimi mesi soprattutto al terrorismo: ne hanno parlato a tutti i
livelli, dai ministri Paolo Gentiloni (esteri) e Roberta Pinotti (difesa)
all’ultimo consigliere comunale. Eppure tra le migliaia di profughi sbarcati
negli ultimi anni non risulta che sia stato trovato un solo terrorista. Semmai
le milizie fondamentaliste hanno messo le mani sul traffico di esseri umani, in
concorrenza con i clan malavitosi, come lucrosa fonte di autofinanziamento. Ma
su questo aspetto, in genere, si tace, forse perché è una delle prove più
evidenti che, se si vogliono davvero combattere i trafficanti-terroristi, non
ha senso bombardare i barconi come proposto dall’Unione Europea: basterebbe
creare quei canali di immigrazione legale, i cosiddetti corridoi umanitari, di
cui invece la politica, di destra e di sinistra, non vuole neanche sentire
parlare.
Grosse
responsabilità, con rare eccezioni, ha anche il sistema dei mass media (dai
giornali tradizionali ai notiziari Tv e ai talk show), che spesso finisce per
alimentare paura e ostilità, in contrasto con alcuni principi fondamentali
della Carta di Roma, come quello di “evitare la diffusione di informazioni
imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime
della tratta e migranti”. Un esempio per tutti: si continua a parlare di
“invasione”, ma basta scorrere le cifre per capire che si tratta quanto meno di
una esagerazione. Dall’inizio dell’anno sono sbarcati in Italia meno di 85 mila
profughi, circa l’otto per cento in più dello stesso periodo del 2014. In tutta
Europa non si arriva a 170 mila. Non pochi ma sicuramente un flusso che può
essere agevolmente gestito e assorbito, con una ripartizione equa tra nazioni e
regioni e garantendo un adeguato processo di inserimento sociale. Invece, no:
ad ogni sbarco si urla all’emergenza e si scrive che l’Italia non è in grado di
assorbire altri stranieri, facendo passare senza battere ciglio dichiarazioni
come quella di Zaia sulla presunta “africanizzazione” del Veneto o del
governatore della Lombardia, Roberto Maroni, che minaccia la riduzione dei
fondi ai Comuni che aprono le porte ai migranti. Anzi, spesso si mostra
“comprensione” nei confronti delle proteste. E si avalla l’idea che i profughi
“vengono tutti qui” e l’Italia è stata lasciata sola dall’Europa. Pochissimi
fanno un po’ di conti e rivelano, ad esempio, che in Svezia ci sono 9 profughi
ogni mille abitanti, in Olanda 8, in Germania circa 7. In Italia appena 1,3.
Basti dire che, dei circa 170 mila arrivati nel 2014, oltre 110 mila, quasi due
terzi, se ne sono andati dalla Penisola e lo stesso sta accadendo quest’anno.
Il punto, ma
pochissimi lo fanno notare, è che il vero problema di questa tragedia – come ha
scritto il filosofo Diego Fusaro – non è chi è affamato ma chi affama, non chi
è perseguitato ma chi perseguita, non chi fugge ma chi costringe a fuggire, non
chi l’emigrazione la subisce ma chi la provoca. Forse perché è più facile
prendersela con il “diverso”, innescando però un processo che, una volta messo
in moto, non si sa mai fin dove potrà arrivare.
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