Agenzia Habeshia
Sono espulsi in
massa verso quell’Eritrea dalla quale sono fuggiti per salvarsi dalle
persecuzioni e dalle angherie della dittatura. Sta accadendo in Sudan: quasi
400 profughi sono già stati consegnati, contro la loro volontà, alla polizia di
frontiera di Asmara. Altri, centinaia, sono rinchiusi in centri di detenzione
statali, in attesa di essere condotti sotto scorta al confine. Per ognuno di
loro si apriranno, in Eritrea, le porte delle galere del regime, imputati di
espatrio clandestino ma, soprattutto, per la stragrande maggioranza, con la ben
più pesante accusa di diserzione, per essersi sottratti al servizio di leva
obbligatorio che nel paese, da anni totalmente militarizzato dal regime di
Isaias Afewerki, ha una durata indefinita, a partire dall’età di 17/18 anni in
poi.
Il governo di Al
Bashir ha fatto scattare l’operazione lunedì 16 maggio, con una serie di retate
condotte a Khartoum tra i rifugiati di più recente arrivo: giovani – donne e
uomini – giunti in Sudan solo come paese di transito, con l’intenzione di
proseguire appena possibile la fuga verso nord, attraversando il Sahara fino in
Libia o in Egitto e da qui trovare un imbarco per raggiungere l’Europa.
La polizia ha agito
quasi a colpo sicuro. Negli ultimi anni la capitale sudanese è diventata il
principale hub di transito per migliaia di profughi e migranti provenienti dal
Medio Oriente, dal Corno d’Africa e dall’Africa sub sahariana. E’ bastato
rastrellare capillarmente i quartieri dove in genere si concentrano i
rifugiati. Già nei primi due giorni di retate ci sono stati centinaia di
fermati. Dopo una rapida comparsa davanti a un magistrato – ha raccontato un
giovane della diaspora eritrea in Sudan – circa 380 sono stati espulsi e
consegnati alla polizia di frontiera eritrea al valico di Talatacir. Da quel
momento non si sono più avute notizie di loro. Nell’arco della giornata di
mercoledì 18 maggio, secondo la stessa fonte, altri 600 migranti sono stati
fermati: su tutti grava l’incubo del rimpatrio forzato.
E’ la prima volta
che in Sudan si registrano rastrellamenti ed espulsioni di questa portata in
così breve tempo. Colpisce che nel mirino ci siano essenzialmente i profughi di
arrivo più recente, mentre quelli insediati da tempo nel paese sono stati quasi
ignorati. Non può essere un caso. C’è da ritenere, anzi, che si segua un piano ben
preciso, con ogni probabilità ricollegabile all’attuazione del Processo di
Khartoum, l’accordo per il controllo dell’immigrazione proveniente dalla fascia
orientale dell’Africa, voluto fortemente dall’Italia e dall’Unione Europea e di
cui anche il Sudan è firmatario. E, in ogni caso, le retate e i rimpatri
forzati verso l’Eritrea in corso da giorni, sono la prova che la politica di
esternalizzazione delle frontiere europee perseguita dall’Unione, affidando il
ruolo di “gendarmi” per il controllo dell’immigrazione a dittatori come Al
Bashir o Isaias Afewerki, viola gravemente i diritti dei profughi e richiedenti
asilo e rende l’Europa complice delle sofferenze subite dai rifugiati,
consegnati al carcere, alla tortura, forse alla morte.
A fronte di tutto
questo l’agenzia Habeshia fa appello:
– All’Unhcr perché intervenga immediatamente
per chiarire la pesante situazione che si profila in Sudan e, soprattutto, per
bloccare immediatamente i fermi e i rimpatri forzati dei profughi verso
l’Eritrea, ovvero la loro consegna proprio alla dittatura da cui hanno cercato
scampo con la fuga.
– All’Unione Europea
e in particolare all’Italia perché chiedano con forza al governo di Asmara
concrete garanzie sulla sorte, l’incolumità e la libertà personale dei profughi
che gli sono stati consegnati contro la loro volontà.
– Ancora, all’Unione
Europea e in particolare all’Italia perché riconsiderino la politica dei
respingimenti in massa introdotta di fatto con accordi come il Processo di
Rabat, il Processo di Khartoum, le intesse di Malta e quelle con la Turchia.
Roma, 19 maggio 2016
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