“Rafforzato il sistema
Dublino, sulla pelle dei profughi”
di Emilio Drudi
“Si tratta, ancora
una volta, di un rafforzamento della Fortezza Europa: un muro per respingere i
richiedenti asilo. Proprio mentre stanno aumentando gli arrivi in Italia dalla Libia
e dall’Egitto, lungo la rotta del Mediterraneo Centrale”. Don Mussie Zerai,
presidente dell’agenzia Habeshia, non usa mezze parole per denunciare le
conclusioni a cui è giunta la Commissione Europea, riunita per modificare o,
meglio ancora, superare il “sistema Dublino”, il regolamento sull’immigrazione
che lega i rifugiati al primo paese Ue a cui chiedono aiuto. Il tono stesso
delle sue parole tradisce una profonda delusione. Del resto è comprensibile. A
Bruxelles come nelle singole, principali cancellerie europee è da oltre un anno
che si dice che “Dublino è ampiamente datato”, ormai inadatto a far fronte alla
situazione ed anzi fonte esso stesso di problemi, contraddizioni, sofferenze.
Almeno dalla Commissione, dunque, ci si aspettava un segnale forte, che
indicasse una svolta per indirizzare i vari Stati verso una politica di
accoglienza più unitaria ed efficace, richiamando “all’ordine” i Governi più
riottosi, in nome dei valori di libertà, solidarietà, rispetto dei diritti
umani fondamentali che sono alla base dell’Unione. I giudizi delle principali
organizzazioni umanitarie o di istituzioni come il Cir (Consiglio italiano per
i rifugiati) sono invece tutti decisamente negativi. “Avrebbe dovuto essere una
riforma strutturale e invece le proposte avanzate sono totalmente inadeguate”,
ha dichiarato, ad esempio, Christopher Hein, portavoce del Cir.
Don Zerai va anche
oltre: parla di “ennesimo fallimento”, dovuto al fatto che si continua a dare
ascolto “alle assurde, infondate paure dell’Europa” anziché fornire risposte ai
diritti dei profughi. “Basti dire – specifica – che si parla di ‘invasione’. Ma
quale invasione? Lo scorso anno sono arrivati in Europa un milione e 50 mila
migranti. In pratica lo 0,2 per cento della popolazione europea. Lo 0,2 per cento,
cioè, della popolazione del continente più ricco del mondo. Possibile che
l’Unione, nel suo insieme, non sia in grado di accoglierli? Evidentemente è una
questione di volontà, non di possibilità. Speravamo che la Commissione Ue
rompesse questa logica di egoismo, insensibilità e indifferenza. Non è stato
così…”
Ma non c’è proprio nulla di positivo nelle proposte
della Commissione?
“Ci sono due soli
punti positivi: l’estensione dell’accesso al ricollocamento a tutti i
richiedenti asilo, a prescindere dalla nazionalità; l’ampliamento della nozione
di familiari con i quali si potrà chiedere una riunificazione/ricongiungimento
in un altro Stato dell’Unione Europea. Per il resto si avalla di fatto la
politica dei respingimenti che negli ultimi tempi ha subito una forte
accelerazione. Il principio base resta infatti quello del reinsediamento dei
profughi sbarcati ma, anziché potenziarlo e snellirlo alla luce degli scarsi,
quasi fallimentari risultati conseguiti finora, il sistema è stato reso ancora
più inefficace, scaricandone il peso innanzi tutto sugli stessi richiedenti
asilo; e, in secondo luogo, sui paesi di frontiera come l’Italia, la Grecia e
la Spagna, quasi tracciando un solco tra le nazioni mediterranee e il resto
dell’Europa”.
In che senso rischiano di peggiorare la situazione e
le prospettive per i profughi?
“Le lungaggini delle
pratiche burocratiche, la resistenza e talvolta l’ostilità dei paesi di
destinazione, i duri periodi di attesa nei centri di identificazione e
accoglienza, lo stato generale di incertezza e precarietà, la lentezza e
l’inefficienza del programma di ricollocamento/reinsediamento inducono molti
migranti a tentare di sottrarsi al sistema, cercando “in proprio” vie di
accesso dai paesi di arrivo verso altri paesi Ue. E’ nata così la figura dei
“transitanti”: migliaia di migranti che percorrono l’Italia, la Grecia e la
cosiddetta “strada balcanica”. Fantasmi che ufficialmente non esistono: “non
persone” consegnate nelle mani dei trafficanti, che hanno organizzato costose
rotte clandestine in grado di raggiungere ogni angolo dell’intera Europa,
quando addirittura non sono collegati, specie per i minori e le giovani donne,
ad organizzazioni dedite alla tratta di esseri umani, ai giri di prostituzione,
al lavoro-schiavo. Sono cose ormai note, ampiamente denunciate e spesso
confermate da varie inchieste giornalistiche e di polizia. Eppure, anziché
correggere e migliorare il sistema, sono state introdotte nuove misure
restrittive, rivolte a penalizzare i richiedenti asilo che si sottraggono agli
obblighi imposti dal Regolamento di Dublino. In definitiva, una risposta di
polizia nei confronti dei soggetti più deboli, anziché una maggiore garanzia
dei loro diritti. Diritti che vengono anzi sicuramente ridotti o restano
inapplicati”.
E perché parla di “solco” tra i paesi di frontiera,
quelli mediterranei, e il resto dell’Unione? A Bruxelles, a Berlino, a Roma si
dice tutt’altro: si parla di grande collaborazione, confronto, divisione delle
responsabilità e degli oneri. E tra le proposte della Commissione c’è anche una
sorta di “messa in mora” dei Governi che si sottraggono ai loro obblighi.
“Teoricamente la
riforma introduce correzioni nell’attribuzione di responsabilità ai singoli
Stati. Ma queste “correzioni” sono previste solamente di fronte ad arrivi ‘sproporzionati’
di richiedenti asilo in un dato paese e per ‘arrivi sproporzionati’ si intende
una quantità di sbarchi superiore addirittura al 150 per cento del numero di
riferimento considerato gestibile rispetto alla grandezza e al benessere del
paese stesso. Ad esempio: se si ritiene che l’Italia possa accogliere 100 mila
profughi, la correzione scatterà solo se gli arrivi risulteranno più di 250
mila. Per di più, anche quando verrà superata la cifra stabilita non è detto
che gli altri Stati Ue accolgano almeno una parte dei migranti. Non appare né
positiva né di una qualche efficacia pratica, infatti, la proposta di
introdurre penalizzazioni finanziarie per i Governi che si sottrarranno
all’obbligo del ricollocamento. Anzi, questa norma ripropone l’odioso principio
che basterà ‘pagare’ per aggirare e vanificare l’obbligo dell’accoglienza e
della solidarietà. Torna ancor a una volta, cioè, quel ‘soldi in cambio di
uomini’, a dir poco eticamente deprecabile, che è alla base di tutti gli ultimi
accordi firmati dall’Unione Europea in fatto di immigrazione: il Processo di
Rabat, il Processo di Khartoum, i trattati di La Valletta e quelli con la
Turchia. Rientra esattamente in questa logica anche il recente Migration
Compact proposto dall’Italia a Bruxelles”.
Qual è, allora, la soluzione che si può proporre in
alternativa?
“Appare evidente
che, per gestire i flussi crescenti dei migranti verso l’Europa, la
Commissione, invece di puntare su un sistema globale e lungimirante, ha cercato
di bilanciare in qualche modo gli interessi dei singoli Stati, senza peraltro
riuscirci, visto il criterio di ‘correzioni’ adottato. In questo modo il
Regolamento di Dublino non soltanto non è stato superato, ma addirittura
risulta rafforzato. Perfettamente in linea con le politiche condotte da vari
singoli Stati, a cominciare dall’Italia, che stanno contemporaneamente
intensificando la scelta del respingimento di massa attraverso tutta una serie
di trattati bilaterali con diversi governi africani, incluse feroci dittature,
per facilitare le misure di rimpatrio forzato dei richiedenti asilo o dei
migranti ‘non accolti’ e dunque respinti. Nella più evidente violazione dei
diritti umani, tanto da configurare
probabilmente un vero e proprio crimine contro l’umanità. Occorre allora un
cambiamento radicale, che rimetta al centro l’uomo e i suoi diritti
fondamentali. L’unica soluzione, cioè, resta quella indicata ormai da anni da
quasi tutte le organizzazioni umanitarie e dallo stesso Alto Commissariato Onu
per i Rifugiati (Unhcr): un sistema unico di accoglienza, con uno status di
asilo europeo, valido e applicato in tutti gli Stati Ue, con identiche
condizioni di trattamento e possibilità di inclusione sociale; canali umanitari
e vie legali di immigrazione; utilizzo molto più ampio delle misure di
ricollocamento, tenendo in maggiore considerazione, in particolare, i legami
culturali, relazionali e familiari dei richiedenti asilo con i paesi di
destinazione. Può sembrare utopistico, alla luce delle scelte fatte finora e
della confusione che regna in tutti i paesi Ue. Ma è proprio qui il nodo: le
scelte cosiddette ‘realistiche’ stanno mettendo in crisi l’Europa, tanto che
l’Unione rischia di implodere. Forse, allora, vale la pena puntare di nuovo su
quei valori che l’Unione l’hanno costruita, realizzando, appunto, quella che
nel secondo dopoguerra sembrava solo un’utopia”.
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