Agenzia Habeshia
Appello per la pace tra
Eritrea ed Etiopia
Tra sabato 11 e
lunedì 13 giugno è esplosa una dura, sanguinosa battaglia intorno alla città
Zalambessa/Tsorona, a cavallo del confine tra Etiopia ed Eritrea, non lontano
da Badme, il villaggio al centro della controversia che ha scatenato il
terribile conflitto combattuto dal 1998 al 2000. Un conflitto devastante, che
ha provocato decine di migliaia di vittime, sofferenze, distruzioni enormi e
che, nonostante la tregua firmata ad Algeri nel mese di dicembre 2000, non si è
mai formalmente concluso, dando origine a una situazione di “né guerra né pace”
che si trascina da sedici anni e che provoca periodicamente scontri e incidenti
di frontiera tra i due paesi.
I tre giorni di
battaglia tra l’11 e il 13 giugno sono, appunto, l’ultimo di questi scontri.
Anzi – per ammissione di entrambe le parti – l’incidente più grave dalla tregua
di Algeri, con un numero tuttora imprecisato, ma sicuramente molto elevato, di
morti, dispersi, feriti. Probabilmente, centinaia. Centinaia di vittime che si
vanno ad aggiungere alle decine di migliaia del 1998/2000 e ai tanti caduti
negli scontri saltuari che si sono succeduti in tutti questi anni, fino ad
oggi. In più, nel caso dell’Eritrea, vanno calcolate le migliaia di vittime tra
i profughi che sono fuggiti e continuano a fuggire per sottrarsi alla
militarizzazione totale del paese, che ha soffocato ogni forma di libertà.
Senza contare le pesantissime conseguenze sul piano economico e sociale: le
spese militari – in entrambi i paesi, ma in particolare in Eritrea – sprecano
enormi, preziose risorse che potrebbero essere invece destinate a risolvere, o
quanto meno ad alleviare, la grave situazione di indigenza e bisogno delle
fasce più deboli della popolazione. E mentre si continuano a riempire gli
arsenali anziché i granai – in una realtà, peraltro, sconvolta di nuovo, dopo
quella del 2010 (appena sei anni fa), da un’altra pesantissima carestia – il
fuoco divampato tra l’11 e il 13 giugno rischia di innescare un incendio
enorme, come lascia temere il crescente concentramento di reparti militari sui
due lati del confine.
E’ una catastrofe
umanitaria di fronte alla quale non si può restare indifferenti ed inerti: non
possono farlo i governi di Addis Abeba ed Asmara; non può farlo l’Unione
Africana; non l’Unione Europea; non le Nazioni Unite e l’intera comunità
internazionale. Ognuno di questi soggetti, ciascuno per la sua parte, ha il
dovere etico di attivarsi per arrivare nel più breve tempo a una soluzione di pace
tra due popoli i quali, oltre tutto, hanno antichi, profondi legami storici,
culturali, religiosi, etnici e spesso, per le singole persone, anche familiari.
Un passo decisivo è
la ripresa del dialogo. Facciamo appello, allora, perché si apra al più presto
un tavolo di confronto, sotto l’egida di una o più autorità sovranazionali. Ci
rivolgiamo per questo, innanzi tutto, ai leader dell’Etiopia Haile Mariam
Desalegn e dell’Eritrea Isaias Afewerki e alle rispettive classi dirigenti
perché, superando diffidenze e risentimenti, accettino di impostare un dialogo
franco e aperto; ma, nello stesso tempo, ci rivolgiamo all’Unione Africana,
all’Unione Europea e alle Nazioni Unite, perché esercitino tutta la loro
autorità per arrivare a questo traguardo, con la loro mediazione e sotto la
loro supervisione, facendo tutto quanto è in loro potere per avviare un
percorso che porti finalmente alla pace. Fermo restando che occorre comunque
far luce, di fronte all’Alta Corte di Giustizia internazionale, sulle accuse di
lesa umanità che proprio in questi giorni la Commissione d’inchiesta Onu sulla
violazione dei diritti umani ha mosso contro Asmara.
Sicuramente, su questo cammino, di dialogo e ricerca per una soluzione pacifica dei conflitti, i Governi dell’Etiopia e dell’Eritrea e le istituzioni internazionali saranno affiancate e troveranno la più concreta collaborazione da parte delle massime autorità religiose, sia “interne” ai due paesi che sovranazionali, a cominciare dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa, la Comunità Luterana e dai massimi rappresentanti dell’Islam.
Siamo profondamente
convinti che è questo il grido di dolore e d’aiuto che sale dalle popolazioni
più colpite da questa durissima situazione, che continua a provocare lutti,
sofferenze, distruzioni e che ha già ucciso ogni prospettiva di futuro a due
intere generazioni di giovani. Facciamo in modo, tutti insieme, che questo
grido non cada ancora una volta nel vuoto.
don Mussie Zerai
presidente
dell’agenzia Habeshia
Ginevra, 17 giugno 2016
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