Agenzia Habeshia
Il blocco per le navi delle
Ong a 97 miglia dalle coste africane, ordinato dal Governo di Tripoli con il
nulla osta ed anzi il plauso dell’Italia e dell’Unione Europea, chiude il
cerchio di quella che appare quasi una guerra contro i migranti nel
Mediterraneo. La situazione dei soccorsi ai battelli carichi di profughi che
chiedono asilo e rifugio in Europa, viene riportata a quella creatasi
all’indomani dell’abolizione del progetto Mare Nostrum quando, dovendo partire
le navi da centinaia di chilometri di distanza per rispondere alle richieste di
aiuto, ci fu immediatamente una moltiplicazione delle vittime e delle
sofferenze. Non a caso, prima Medici Senza Frontiere e poi anche Save the
Children e Sea Eye, hanno deciso di sospendere le operazioni di salvataggio in
mare: troppo lunga la distanza da percorrere per fronteggiare con efficacia
emergenze nelle quali anche un solo minuto di ritardo può risultare decisivo e,
soprattutto, troppo rischioso – per sé ma ancora di più per i migranti –
sfidare le minacce della Guardia Costiera libica, la quale non esita a sparare
contro le unità dei soccorritori, come dimostra tutta una serie di episodi,
incluso quello denunciato proprio in questi giorni dalla Ong spagnola Proactiva
Open Arms.
La decisione di dare “mano
libera” alla Libia purché, attuando veri e propri respingimenti di massa, si
addossi il lavoro sporco di fermare profughi e migranti prima ancora che possano
imbarcarsi o a poche miglia dalla riva, è il capitolo conclusivo della politica
che, iniziata con il Processo di Rabat (2006) e proseguita con il Processo di
Khartoum (novembre 2014), con gli accordi di Malta (novembre 2015) e il patto
con la Turchia (marzo 2016), mira a esternalizzare fino al Sahara le frontiere
della Fortezza Europa, confinando al di là di quella barriera migliaia di
disperati in cerca solo di salvezza da guerre, persecuzioni, fame, carestia, e intrappolando
nel caos della Libia quelli che riescono ad entrare o sono intercettati in mare
e riportati di forza in Africa. Tutto ciò a prescindere dalla libertà, dalla
volontà e dalle storie individuali dei migranti, calpestandone i diritti
sanciti dalle norme internazionali e dalla Convenzione di Ginevra e senza tener
conto della sorte che li aspetta, in Libia, nei centri di detenzione governativi,
nelle prigioni-lager dei trafficanti, lungo la faticosa marcia dal deserto alla
costa del Mediterraneo. Una sorte orrenda, come denunciano da anni, in decine
di rapporti, la missione Onu in Libia, l’Unhcr, l’Oim, l’Oxfam, Ong come
Amnesty, Human Rigts Watch, Medici Senza Frontiere, Medici per i Diritti Umani,
numerose associazioni umanitarie, diplomatici, giornalisti, volontari. Rapporti
che parlano di uccisioni, riduzione in schiavitù, stupri sistematici, lavoro
forzato, maltrattamenti e violenze di ogni genere come diffusa pratica
quotidiana. Non a caso il procuratore Fatu Bensouda ha annunciato sin dal
maggio scorso, di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che la
Corte Penale Internazionale ha aperto un’inchiesta su quanto sta accadendo ai
migranti in Libia nei cosiddetti “centri di accoglienza” e su certi episodi che
riguardano la stessa Guardia Costiera, avanzando l’ipotesi anche di “crimini
contro l’umanità”.
Chiunque sia artefice di
questa politica di respingimento e chiusura totale e chiunque la sostenga –
sorvolando, tra l’altro, sul fatto che la Libia si è sempre rifiutata di
firmare la Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati – si rende complice
di tutti questi orrori e prima o poi sarà chiamato a risponderne. Domani
sicuramente di fronte alla Storia ma oggi, c’è da credere, anche di fronte a
una corte di giustizia. Non mancano, infatti, diversi ricorsi a varie corti
europee promossi da giuristi, associazioni, Ong, mentre anche il Tribunale
Permanente dei Popoli, nella sessione convocata a Barcellona il 7 luglio, ha
posto al centro della sua istruttoria il rapporto di causa-effetto tra le
politiche europee sull’immigrazione e la strage in atto.
Alla luce di tutto questo, l’agenzia
Habeshia fa appello alla comunità internazionale e alla società civile
dell’intera Europa perché contestino le scelte effettuate dalle istituzioni
politiche dell’Unione e dei singoli Stati e le inducano a un radicale
ripensamento, revocando tutti i provvedimenti di blocco, istituendo canali
legali di immigrazione e riformando il sistema di accoglienza, oggi diverso da
Paese a Paese, per arrivare a un programma unico con quote obbligatorie,
condiviso, accettato e applicato da tutti gli Stati Ue.
A tutti i media e ai singoli
giornalisti, in particolare, l’Agenzia Habeshia fa appello perché raccontino
giorno per giorno le morti e gli orrori che avvengono nell’inferno ai quali i
migranti sono condannati, in Libia e negli altri paesi di transito o di prima
sosta, dalla politica della Fortezza Europa, preoccupata solo di blindare
sempre di più i propri confini, senza offrire alcuna alternativa di salvezza ai
disperati che bussano alle sue porte. Serve come non mai, oggi, una
informazione precisa, dettagliata, puntuale, continua perché nessuno possa
dire: “Non sapevo…”.
don Mussie Zerai
Presidente dell'A.H.C.S
Roma, 14 agosto 2017
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