Don Zerai: “Servirebbe una commissione di inchiesta per le stragi nel Mediterraneo, delle tante omissione di soccorso e respingimento di massa”
di Emilio Drudi
Morti già 213
migranti dall’inizio dell’anno: 2005 in mare e 8 lungo le “vie di terra”. La
rotta più pericolosa si conferma quella del Mediterraneo centrale, dalla Libia
verso l’Italia, con 145 vittime, incluse le 25 salme affiorate fra il tre e il
tredici gennaio nel golfo della Sirte. Sulla rotta spagnola i morti sono 58
mentre ne risultano 2 dalla Turchia alla Grecia. Il tasso di mortalità, il
rapporto cioè tra i migranti scomparsi e quelli arrivati, è di uno ogni 25 se
si considera l’intera Europa, ma addirittura quasi di uno a uno, un migrante
morto ogni migrante arrivato, nella via di fuga verso l’Italia. Sono cifre da
sterminio. Don Mussie Zerai, il presidente dell’agenzia Habeshia, sono anni che
denuncia questa strage.
“Sì – conferma –
sono anni che ci troviamo di fronte a una strage continua. Una catastrofe che
si sta compiendo sotto i nostri occhi, ma alla quale non si dà risposta. Peggio.
Sembra quasi che le istituzioni e la gente, l’opinione pubblica, abbiano fatto
l’abitudine a questa tragedia, quasi si trattasse di un fatto naturale e
ineludibile. Gran parte della stampa, del resto, ne parla ormai come di una
notizia di routine…”.
Però, ad esempio, l’ultimo
naufragio, quello del 18 gennaio, con 117 vittime, ha destato una vasta eco.
Un’eco che non si è ancora spenta.
“E’ vero, ma non
poteva essere altrimenti. Si tratta di una tragedia che si è svolta a non
grande distanza dalle acque italiane di Lampedusa e, oltre tutto, la
segnalazione è venuta dalla Marina italiana. Senza contare che tutte quelle
vite perdute in un solo naufragio hanno dimostrato di colpo che non è vero,
come sostiene il governo italiano, che meno partenze significano meno morti. A
parte che non far partire i profughi dalla Libia significa intrappolarli in un
inferno, in lager dove soprusi, torture e morte sono la prassi quotidiana, purtroppo
sono arrivati ben 117 morti a dimostrare che più muri si alzano più aumentano
le vittime. Speriamo almeno che questo enorme sacrificio di esseri umani non
venga presto dimenticato, come è accaduto fin troppe volte in passato, fino
alla vigilia stessa dell’ultima strage”.
E’ questo il rischio? Che,
passata l’emozione iniziale, tutto torni nella routine?
“Si, è esattamente
questo il rischio. Senza andare troppo indietro nel tempo, lo dimostra il fatto
che in Italia non si è spesa una sola parola sul caso dei 25 cadaveri di
migranti affiorati progressivamente, nella prima metà di gennaio, sulle spiagge
nei dintorni di Sirte. Si tratta, con ogni evidenza, delle vittime di un
naufragio rimasto sconosciuto o addirittura ‘silenziato’. Ma quelle vite
spezzate, con ogni probabilità molte di più di 25, non hanno ‘fatto notizia’ e
la gente non ne ha saputo nulla. E il silenzio continua: occorrerebbe invece
cercare di sapere da dove vengono tutti quei morti, se non altro in nome delle
loro famiglie. Così come non va lasciata cadere la vicenda del naufragio del 18
gennaio”.
Si riferisce, a proposito di
quest’ultimo naufragio, a qualcosa in particolare?
“Ecco, la
ricostruzione di questa tragedia desta diversi interrogativi. Sappiamo
essenzialmente tre cose: che l’allarme è stato lanciato da un aereo militare
italiano della missione Mare Sicuro; che gli unici tre sopravvissuti sono stati
tratti in salvo dall’elicottero della nave Duilio, della Marina Militare; che
la centrale di coordinamento di Roma, avvertita dall’aereo di Mare Sicuro, ha
delegato a Tripoli le operazioni di ricerca e recupero. Lo conferma il
comandante della nave della Ong Sea Watch, che ha cercato di intervenire e fare
la sua parte. Ma Tripoli si è limitata a inviare sul posto una nave mercantile
che incrociava nella zona e che, oltre a non essere ovviamente attrezzata per
interventi di questo tipo, è arrivata troppo tardi: non ha trovato nulla, né il
gommone, né tantomeno i naufraghi. E’ sicuro che non si poteva fare di più? E
Roma si è accertata che Tripoli fosse in grado di affrontare l’emergenza? Sono
domande che esigono una risposta. Nei giorni successivi, come aveva denunciato
Sea Watch, è venuto fuori addirittura che è pressoché impossibile rivolgersi
per aiuto alla centrale operativa della Guardia Costiera libica, perché nessuno
risponde al telefono o, nei rarissimi casi che si riesce a stabilire un
contatto, l’interlocutore parla solo in arabo. Come si può pensare, allora, che
la Libia sia in grado di gestire una zona Sar, vasta centinaia di migliaia di
chilometri quadrati, che si spinge sino alle soglie di Lampedusa?”.
C’è un altro aspetto. Se quel
mercantile fosse arrivato in tempo, i superstiti sarebbero stati riportati in
Libia. Esattamente come vengono riportati in Libia i migranti intercettati in
mare dalla Guardia Costiera di Tripoli.
Il Governo italiano ritiene che questo sia un dato positivo: un successo
di cui farebbe fede il fatto che, dall’inizio di gennaio, sono sbarcati solo
160 migranti.
“E’ vero, dal primo
gennaio sono arrivati appena 160 migranti. Roma non dice, però, che tra Spagna
e Grecia ne sono arrivati più di 5 mila. Che cioè i muri che ha eretto,
chiudendo addirittura i porti, come tutti i muri, non fermano i flussi ma,
semmai, li deviano e l’Europa ne è comunque investita. Ma questo è il meno. La
cosa più grave è che Roma non si pone minimamente il problema della sorte che
attende i ‘respinti’, tutti quelli, cioè, che vengono ricondotti di forza nell’inferno
libico, nei centri di detenzione dai quali erano fuggiti. Perché di questo si
tratta: non di salvataggi ma di respingimenti di massa, arresti e chiusura nei
lager. Respingimenti che, oltre tutto, sempre più spesso vengono effettuati con
mercantili di passaggio”.
In effetti, stanno aumentando i
casi di naufraghi recuperati in mare e riportati in Libia da navi commerciali.
Il caso più clamoroso è stato quello della Nivin, il cargo dal quale, una volta
arrivati a Misurata anziché in Italia come credevano, decine di migranti presi
a bordo da un gommone nel Mediterraneo, si sino rifiutati di sbarcare. Fino a
quando, per vincerne la resistenza, le forze speciali libiche hanno condotto un
vero e proprio blitz, con decine di feriti e arresti.
“Ricordo bene la
vicenda della Nivin. E’ scoppiata una rivolta perché a quei ragazzi era stato
promesso che li avrebbero portati in Italia. Proprio di recente, il 20 gennaio,
c’è stato un episodio analogo, quello del gommone con 106 migranti abbandonato
alla deriva per una intera giornata, fino alle 23 passate, nonostante gli
appelli lanciati a più riprese, fin dalle 10 del mattino, dalla Ong Alarm Phone.
Secondo quanto si è letto sui giornali, l’Italia è stata tra le prime
destinatarie della richiesta di aiuto ma, anziché intervenire direttamente, ha
esercitato per ore forti pressioni sulla Libia, perché assumesse la gestione
del soccorso, fino a che Tripoli ha deviato sul posto il mercantile Lady Sham,
della Sierra Leone. Portati a bordo, i migranti – secondo quanto avrebbero
riferito nelle ore successive ad Alarm Phone – erano convinti che sarebbero
stati trasferiti in Italia. Forse gli è stato promesso così per tenerli calmi.
Ma poi, quando si sono accorti di essere stati portati invece a Misurata, sono
piombati nella disperazione: questa volta non c’è stata una rivolta, ma
qualcuno ha addirittura minacciato di uccidersi. E’ assurdo. Si sta affermando
una pratica generalizzata di respingimenti di massa, in contrasto con il
diritto internazionale e servendosi sempre più spesso di navi da carico prese a
caso e sicuramente inadeguate. Mentre, nello stesso tempo, si continua a fare
la guerra contro le Ong, criminalizzate, a mio parere, essenzialmente perché
sono testimoni scomodi di quanto accade. In particolare, sono nel mirino le
pochissime navi Ong rimaste operative. A cominciare dalla Sea Watch la quale,
dopo l’odissea di 20 giorni in mare carica di migranti, conclusa a Malta, ora
naviga con altri 47 naufraghi salvati da un battello che stava affondando, ma
che non sa dove sbarcare…”.
Eppure il premier Conte e i
ministro Salvini e Di Maio continuano a vantare la politica messa in campo da
Roma.
“L’ultimo risultato
di questa politica, in verità, è il ritiro della Germania dalla missione Sophia
e, probabilmente, la fine stessa di questo programma,
lasciando il Mediterraneo ancora più sguarnito, Ma, a parte questo, se sono un
successo tutte le morti e le sofferenze in cambio della diminuzione degli
sbarchi in Italia lo lascio giudicare alla coscienza e al senso di umanità
della gente. Mi sembra fuorviante, però, che invece di riflettere su quanto sia
alto il costo di vite umane pagato da profughi e migranti che si imbarcano
verso l’Italia, si tirino fuori di continuo dei diversivi. Ad esempio, l’eterno
alibi della sicurezza e della ‘difesa dei confini’, come se alle porte ci fosse
un esercito in armi e non dei disperati in fuga per la vita. O, ancora, più di
recente, la pretesa ricerca delle ‘cause remote’ dell’immigrazione dall’Africa,
come la questione della moneta, il franco legato all’euro, in uso in diversi
paesi dell’ex Africa Francese. Ma se si cercano cause e responsabilità remote
sul ‘caso Africa’, nessuno in Europa è esente da colpe. Meno che mai l’Italia.
Io dico solo che siamo di fronte a un problema decisivo per il modo di essere
della società europea in cui viviamo”.
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