martedì 14 aprile 2020

Urgent Appeal !!! Don't turn the Mediterranean into the mass grave


Mr. President of the European Parliament, Hon. David Sassoli
Mr. President of the Italian Council, Dr. Giuseppe Conte
Prime Minister of Malta, Hon. Robert Abela

In these hours we hear the cries of pain, and the request for help from boats, full of human beings, from what you call "Mare Nostrum". On Easter Sunday, the day on which the announcement of the victory of life over death must be announced, instead we learned of the shipwreck, with dozens of deaths. Because the policy of closed ports, it seems that has also closed the hearts and ears of the maritime authorities, who have received several reports of SOS from refugees and drifting migrants. The heartbreaking cry of a mother describing the scene she is forced to witness, lifeless children, in danger of life, the desperate request arrived on the Allarm Phon phone, also broadcast on various social and news channels in Italy. What civilization is he who ignores this desperate request? it would be a crime against humanity.
I implore all the competent authorities to rescue all people in danger of life, still in these abandoned hours in the Mediterranean.
Rev. Mussie Zerai

Appello Urgente !!! Non trasformate il Mediterraneo nella fossa comune


Sig. Presidente del Parlamento Europeo, On. David Sassoli Sig. Presidente del Consiglio Italiano, Dott. Giuseppe Conte Sig. Primo Ministro di Malta, On. Robert Abela In queste ore ci giungono le grida di dolore, e la richiesta di soccorso da natanti, carichi di esseri Umani, da quello che chiamate "Mare Nostrum". Nel giorno di Pasqua, il giorno in cui deve essere l'annuncio della vittoria della vita sulla morte, invece abbiamo appreso del naufragio, con decine di morti. Perché la politica di porti chiusi, sembra che abbia chiuso anche i cuori e le orecchie delle autorità marittime, che hanno ricevuto diverse segnalazioni di SOS provenienti dai profughi e migranti alla deriva. La straziante grida di una madre che descrive la scena a cui è costretta ad assistere, bambini esanimi, in pericolo di vita, la disperata richiesta arrivata al telefono di Allarm Phon, trasmessa anche nei vari canali sociale e notiziari in Italia. Che civiltà è chi ignora tale disperata richiesta? sarebbe un crimine contro l'umanità. Supplico a tutte le autorità competenti di soccorre tutte le persone in pericolo di vita, ancora in queste ore abbandonate nel Mediterraneo. don Mussie Zerai

giovedì 9 aprile 2020

Il nuovo decreto sui porti chiusi va contro il nostro “stare insieme”: ecco perché va annullato



Agenzia Habeshia: Appello al governo Italiano.
L’Italia ha chiuso tutti i suoi porti a profughi e migranti. In base al decreto firmato dai ministri delle infrastrutture, degli esteri, dell’interno e della sanità, nessun naufrago salvato in mare al di fuori della zona Sar italiana potrà essere sbarcato e dunque accolto.
Il provvedimento è stato emanato proprio mentre in mare, in attesa della indicazione di un porto di sbarco, c’è la nave Alan Kurdi, della Ong Sea Eye, con 150 profughi tratti in salvo in due distinte operazioni al largo della Libia, in un tratto di mare dove il “porto sicuro più vicino” è senza dubbio Lampedusa. Nelle stesse ore due battelli carichi di migranti sono arrivati con i propri mezzi a Lampedusa e sulle coste del Trapanese mentre altri due, con oltre 150 persone, sono stati segnalati  alla deriva da qualche parte nel Mediterraneo. E’ la dimostrazione che i flussi in fuga dall’inferno della Libia sono tutt’altro che in diminuzione ed anzi si prospetta un aumento a fronte del prevedibile, ulteriore aggravarsi della già difficilissima situazione. Basti ricordare che, nonostante tutto, continuano ad arrivare in Libia da tutta l’Africa subsahariana numerosi disperati, costretti ad abbandonare la propria terra da guerre, persecuzioni, dittature, carestia e fame endemica: solo tra la fine di marzo e l’inizio di aprile la polizia libica ne ha bloccati a centinaia in prossimità della linea di confine meridionale, in pieno Sahara.
A fronte di questo esodo tuttora in crescita, l’Italia – sbocco naturale della via di fuga del Mediterraneo centrale dall’Africa – chiude i suoi porti. La giustificazione addotta è lo stato d’emergenza sanitaria dichiarato il 31 gennaio dal Consiglio dei ministri per la pandemia di Coronavirus: si afferma, in sostanza, che gli approdi italiani non assicurerebbero i requisiti necessari per la classificazione e la definizione di “porto sicuro” (place of safety) proprio a causa della pandemia in corso. Ma, a fronte degli arrivi “spontanei” che non possono ovviamente essere bloccati e del fatto che il divieto non vale (né può valere, del resto) per le navi italiane, è di tutta evidenza che il decreto e la conseguente “dichiarazione di non sicurezza” per tutti gli approdi italiani, sono misure di fatto rivolte esclusivamente contro le navi delle Ong, le uniche che ancora operano o intendono operare per interventi di ricerca e soccorso in una realtà sempre più difficile e densa di rischi mortali. Ne consegue che il provvedimento, nel suo complesso, ha tutta l’aria, in realtà, di essere quasi una misura punitiva rivolta specificamente contro chi ancora va per mare nel tentativo di salvare vite, quasi a concludere la lunga catena di altri dolorosi, incomprensibili provvedimenti analoghi, dettati ormai dalla politica di chiusura e respingimento adottata ormai da anni da parte del Nord nei confronti dei disperati in fuga dal Sud del mondo. A prescindere dalla sorte a cui questi disperati vengono condannati.
Non solo. A conferma di come questo decreto sia a dir poco incomprensibile, va ricordato che l’eventuale rischio di contagio da parte di profughi sbarcati in Italia è stato già affrontato e risolto fin dall’inizio dell’emergenza, alla fine di gennaio, decidendo di prescrivere la quarantena per tutti i migranti accolti e gli stessi equipaggi delle navi Ong che li hanno soccorsi in mare.
Un secondo punto da considerare è che la pandemia non riguarda ovviamente soltanto l’Italia. Nella stessa, identica, difficile situazione si trovano tutti gli altri Stati europei del Mediterraneo. Applicando il principio posto alla base del decreto, i profughi/migranti dovrebbero trovare ovunque le porte chiuse e, dunque, essere respinti Libia. Mandati a morire, cioè, nell’inferno dal quale sono riusciti a fuggire a prezzo di mille rischi e dove, per quanto possa apparire incredibile, il coronavirus fa meno paura non solo della guerra in corso ma, soprattutto, dei lager dove i migranti sono detenuti, delle uccisioni sistematiche, delle torture, della riduzione in schiavitù, degli stupri e delle violenze di ogni genere da cui i profughi soccorsi dalle Ong cercano di mettersi in salvo.
E ancora. Pur senza sottovalutare minimamente le difficoltà del momento, che non solo l’Italia ma l’intera Europa ed anzi l’intero pianeta si trovano ad affrontare, occorre avere la forza e la coscienza di non dimenticare mai quel caposaldo della nostra società e della nostra democrazia che si concretizza nel rispetto rigoroso, irrinunciabile, dei principi di solidarietà e di soccorso nei confronti di persone in pericolo di vita, previsti dal diritto internazionale e dalla Costituzione italiana. Principi che non possono in alcun modo essere messi in discussione – neanche in una situazione grave come la pandemia in corso – se non rinunciando a quel “restare umani” che è vitale per il nostro “stare insieme” e proprio perciò essenziale non solo per affrontare le difficoltà attuali ma per avere la forza di ricominciare e ricostruire. Perché la sfida è proprio questa: sarà la sorte riservata ai migranti a indicare il modo con cui usciremo da questa crisi: se cioè ne usciremo cercando di realizzare un futuro diverso e migliore o se invece avrà prevalso per l’ennesima volta la logica egoista, inumana, di alzare barriere anche di fronte all’ultima speranza di salvezza di migliaia di disperati.
Ecco, allora, lo scopo e il significato di questo appello: revocare totalmente quel decreto e riaprire i porti. Non deve spaventare se questo ripensamento equivarrà ad ammettere un errore. Anzi, è proprio degli spiriti forti e intellettualmente onesti saper ammettere i propri errori.
don Mussie Zerai

venerdì 3 aprile 2020

Coronavirus, ricerca e sperimentazione in Africa: la proposta ritenuta razzista che fa infuriare Eto’o e Drogba

Carissimi Africani perché sorprendersi di certe affermazioni? L'Africa da sempre è stata usata per testare tutti i veleni di ogni genere che l'occidente abbia concepito fino ora. Oltre che essere la discarica a celo aperto di tutte le scorie chimiche, atomiche, ect ... la colpa è nostra, dei nostri leader che spesso volentieri hanno svenduto le nostre terre, mari per fino la popolazioni per una piccola mancia. L'Occidente a perso il pelo ma non il vizio, una certa mentalità coloniale schiavista c'è resiste sopratutto nei ceti più "alti" ma moralmente sono più in basso di tutti.

With COVID-19 Threat, Eritrea Should Release Political Detainees






























Prisoner Ciham Ali Turns 23 Behind Bars Today

By Savannah Tryens-Fernandes

Ciham Ali turns 23 today, the eighth year in a row she will be spending her birthday behind bars in an Eritrea prison. 
She has been held there incommunicado since the age of 15.

For several years now, Eritrean diaspora groups, notably One Day Seyoum, have campaigned for Ciham and other political 
detainees’ release. This year, with the threat of COVID-19 hanging over the scores of detainees held in prisons, 
the call seems even more poignant. 

Ciham was born in the United States but moved to Eritrea’s capital, Asmara, with her father, Ali Abdu Ahmed, 
who was taking up a position as a government official under President Isaias Afewerki. Her father was appointed 
information minister, but fled to Australia in 2012 after he fell out with the president. Shortly after, Ciham was arrested 
trying to flee to Sudan for her safety.

According to Ciham’s family, they have not received any information from the government on her whereabouts or 
wellbeing. This is the norm for detainees in Eritrea, many of whom were arbitrarily arrested for allegedly criticizing 
the government, and have been held without trial for years.

The COVID-19 pandemic poses serious risks to prisoners in Eritrea.

Unsanitary and inhumane conditions of detention in many countries place detainees at an especially 
high risk for contracting the disease. Human Rights Watch has documented how thousands of prisoners are held in 
overcrowded places of detention with inadequate food, water, and medical care. Now that Eritrea has reported its 
22nd case of COVID-19, it’s time for the government to take concrete steps to ensure the safety and welfare of detainees, 
and notify families of their loved ones’ wellbeing.

Given the current health crisis, adequate food, water, and medical care must be provided to detainees. But ultimately, 
the Eritrean government should grant Ciham and other prisoners – who shouldn’t have been imprisoned in the first place
  unconditional release, and return them to the safety of their homes, where they can celebrate birthdays with loved ones. 


Laetitia Bader
Horn of Africa director, Africa division
+39 366 284 5295 or + 1 646 701 4135 (Whatsapp/Signal/Telegram)
@LaetitiaBader