giovedì 28 febbraio 2008
Eritrea, muore in carcere l'eroe italiano
Il silenzio della Farnesina
Eritrea, muore in carcere l'eroe italiano
Figura di spicco della lotta per l'indipendenza, imprigionato poi dal regime di Afwerki, Taha Nur è deceduto il 15 febbraio in circostanze oscure. Nella completa indifferenza delle autorità di Roma, che non hanno mai voluto muoversi per questo connazionale
Stefano Liberti
È morto in carcere, dopo due anni di detenzione senza accuse. L'ultima vittima eccellente del regime di Isaias Afwerki si chiama Taha Mohammed Nur, co-fondatore dell'Eritrean Liberation Front (Elf), figura di spicco della lotta di liberazione eritrea e da più di vent'anni cittadino italiano.
Nato nel 1935, Nur è stato responsabile delle relazioni internazionali e dei rapporti con l'Europa per l'Elf, quando questo si è unito con il Popular Liberation Front (Plf) di Osman Salah Sabbe. Ha vissuto prima al Cairo, fino alla metà degli anni '80, e poi a Roma. Nel 1991, alla fine della guerra con l'Etiopia, è stato chiamato a far parte della Commissione per il referendum e poi, in seguito al voto che nel 1993 ha sancito l'indipendenza dell'Eritrea, è entrato a far parte della Commissione costituente.
In tutti questi anni, Nur ha continuato a lavorare come politico indipendente in Eritrea. Ha esercitato un ruolo attivo, anche come promotore di alcuni progetti di cooperazione con l'Italia. Finché, nel novembre 2005, è stato improvvisamente incarcerato in seguito a un ordine del presidente-dittatore eritreo, ormai avviluppato in una sindrome paranoica che ha trasformato il suo paese in una gigantesca prigione. Nur non è mai stato imputato di nulla, come le centinaia di altri prigionieri politici del regime di Asmara e come le altre settanta-ottanta persone che sono state arrestate con lui. Non ha mai potuto vedere i propri avvocati, né i membri della propria famiglia.
Taha Mohammed Nur è morto tra il 14 e il 15 febbraio, ufficialmente «per arresto cardiaco» all'ospedale di Asmara. Era effettivamente cardiopatico e aveva subito due infarti e alcuni interventi al cuore. Ma molti dubbi circondano la sua morte: perché era all'ospedale di Asmara e non in prigione? Perché il suo corpo è stato restituito alla famiglia, come di solito non accade per i detenuti? Le autorità eritree, contattate ripetutamente sia in Eritrea che in Italia, non hanno fornito alcuna informazione aggiuntiva. Della sua morte è arrivato un semplice comunicato via fax da Asmara.
Nur era cittadino italiano. Laureato in giurisprudenza a Roma, aveva acquisito la cittadinanza nel 1985. Ma, nonostante questo, il suo caso non ha mai suscitato grande interesse alla Farnesina, che da quando è stato incarcerato ha tenuto appositamente un profilo basso. «Mi dicevano che per la sua incolumità fisica era meglio non sollevare il caso. Temevano che un qualche interessamento ufficiale potesse essere controproducente e mettesse a rischio la sua incolumità fisica», racconta la figlia Nadia. Così, probabilmente, nessuno ha chiesto conto ad Afwerki - durante le sue frequenti visite in Italia, sia in forma ufficiale che privata - della sorte di questo cittadino italiano perso nelle galere di Asmara. Oggi, dopo il suo decesso, la famiglia non ha ancora ricevuto nemmeno un certificato di morte.
Intanto, il funerale di Mohamed Nur è stato un evento di grandi proporzioni: vi avrebbero partecipato migliaia di persone. Il governo, probabilmente imbarazzato dalla sua morte, avrebbe anche mandato un paio di ministri a presenziare alle celebrazioni. Una partecipazione che si può misurare anche sui ricordi e gli obituaries comparsi sui siti dell'opposizione eritrea. Come sottolinea un post di un eritreo in esilio sul sito awate.com, «Taha avrebbe potuto essere come molti di noi nella diaspora - con la sua laurea in legge avrebbe potuto ottenere un ottimo lavoro e vivere una vita eccellente in Italia». Ha scelto invece di lavorare per il proprio paese. Che lo ha ricompensato con il carcere e la morte.
Stefano Liberti
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