sabato 26 giugno 2010
Riapre l'ufficio dell'Acnur a Tripoli
L'ufficio dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) a Tripoli potrà riprendere le sue operazioni, circa tre settimane dopo che ne è stata ordinta la chiusura dalle autorità libiche. Lo riferisce un comunicato dell'Onu diffuso a New York. L'Alto commissario Onu per i rifugiati, Antonio Guterres, ha spiegato che le attività dell'ufficio libico saranno comunque limitate ai casi finora seguiti.
Nel comunicato diffuso dall'Onu si ricorda come il governo libico non abbia fornito motivazioni ufficiali per la chiusura dell'ufficio all'inizio del mese, ma che negli ultimi giorni le autorità abbiano accusato lo staff dell'Unhcr di comportamenti gravi, come la richiesta di tangenti o di favori sessuali in cambio della concessione dello status di rifugiato agli immigrati. Il portavoce dell'Unhcr, Adrian Edwards, ha affermato che le accuse libiche non sono state provate e ricordato che l'ordine libico di espulsione non è stato ancora formalmente revocato.
«L'Unhcr prende molto sul serio ogni accusa contro membri dello staff da chiunque provengano - ha detto Edwards -. Abbiamo una politica di tolleranza zero per chi commette azioni gravi. Abbiamo chiesto al governo libico di provare queste accuse. Se e quando riceveremo queste indicazioni, saremo in grado di condurre un'indagine in base alle nostre normali procedure». Si stima che siano circa novemila i rifugiati e 3.700 i richiedenti asilo registrati presso l'uffcio dell'Unhcr in Libia. La maggior parte di loro sono palestinesi, iracheni, sudanesi, somali, eritrei, etiopi e liberiani. L'agenzia provvede a fornire cure mediche, alloggio, istruzione e formazione professionale. L'Unhcr opera in Libia dal 1991 e fornisce l'unico programma di assistenza per i richiedenti asilo nel Paese.
giovedì 24 giugno 2010
Libia/ Amnesty International a Ue:Non negoziate su diritti umani
Lettera su accordo quadro con Tripoli e accuse all'Italia
Bruxelles, 23 giu. (Apcom) - L'ufficio europeo di Amnesty International ha inviato oggi una lettera alla Commissione europea in cui chiede che l'Ue e i suoi Stati membri garantiscano che gli accordi bilaterali con la Libia e l'accordo quadro di Tripoli con l'Unione, in fase di negoziato, siano basati sul pieno rispetto dei diritti delle persone in cerca di asilo, dei rifugiati e dei migranti. In una nota da Bruxelles, l'Organizzazione menziona poi in particolare l'accordo bilaterale di Tripoli con l'Italia, ribadendo le sue critiche alla pratica dei respingimenti dei migranti intercettati nelle acque internazionali. Un rapporto di Amnesty International appena pubblicato dal titolo "La Libia domani: quale speranza per i diritti umani?" mette in luce che i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti irregolari sono sfruttati e subiscono violenze e abusi, con trattamenti che possono con figurarsi come torture, durante la loro detenzione da parte delle autorità libiche. Secondo il rapporto, diverse migliaia di loro sono detenuti indefinitamente in centri sovraffollati, e molti rischiano costantemente di essere rinviati in paesi come la Somalia e l'Eritrea, dove potrebbero essere sottoposti a persecuzioni e torture. "La decisione del governo libico di espellere l'Alto commissario Onu per i rifugiati - afferma Amnesty International in una nota da Bruxelles - ha complicato ulterioremente la vita di 9.000 profughi registrati e di 3.700 richiedenti asilo nel Paese. La Libia non è membro della Convenzione del 1951 sui rifugiati e non ha una legge sui richiedenti asilo, né un sistema di protezione dei profughi. Ciò significa che Tripoli non riconosce i bisogni delle persone per le quali è necessario ricevere protezione internazionale, e che gli organismi statali considerano i rifugiati e i richiedenti asilo come 'migranti economici'". L'Ue sta cercando di convincere la Libia a cooperare nel controllo dei flussi di migranti verso le coste europee, negoziando un accordo quadro con Tripoli. In questo contesto, rileva Amnesty International, i paesi Ue vorrebbero includere anche accordi di riammissione per le persone provenienti da paesi terzi che hanno transitato per la Libia. "L'Italia - ricorda la nota - ha già concluso un accordo bilatgerale con la Libia per combattere l'immigrazione illegale con il pattugliamento navale congiunto nel Mediterrano. Nell'ultimo anno - accusa l'Organizzazione - l'Italia ha cominciato a riportare i migranti in Libia dopo aver intercettato le loro barche in acque internazionali, senza controllare se gli individui a bordo avevano bisogno di protezione internazionale o di un'assistenza umanitaria di base". Per Nicolas Beger, direttore dell'ufficio europeo di Amnesty International, "è chiaro che la libia continua a non rispettare il diritto e gli obblighi internazionali, lasciando rifugiati e richiedenti asilo in una situazione terribile di paura e intimidazione. Allo stesso tempo, è inaccettabile - sottolinea Beger - che degl individui siano intercettati in mare da navi libiche fornite da Stati membri dell'Ue, per essere rimandati in Libia. L'Ue e i suoi Stati membri - conclude il direttore dell'ufficio europeo dell'Organizzazione - devono garantire che i diritti umani siano al centro di qualunque accordo con la Libia, e che ogni accordo riconosca esplicitamente i diritti dei migranti".
martedì 15 giugno 2010
ETIOPIA APPROVA BILANCIO RECORD, 95% AL SOCIALE
(AGIAFRO) - Addis Abeba, 14 giu. - L'Etiopia ha approvato una finanziaria record per l'esercizio di bilancio 2010-2011.
Innanzitutto e' da 'guinness' il saldo complessivo: poco meno di 6 miliardi di euro, il massimo storico per la nazione, e in aumento del 18 per cento rispetto al budget 2009-2010. Migliora anche la qualita' della spesa: i fondi per la difesa subiscono una drastica riduzione, a tutto vantaggio degli stanziamenti per le politiche sociali, cui verra' destinato il 95 per cento del Prodotto interno lordo. Forti investimenti, spiega il ministro delle Finanze, Sufian Ahmed, sono previsti per aumentare la produzione agricola nazionale, per la sicurezza interna, per l'istruzione e per garantire l'energia elettrica a una fascia sempre maggiore della popolazione. (AGIAFRO) .
Tripoli: ufficio Onu illegale. Respinti dall’Italia con garanzie zero
Un ufficio ‘illecito’ che svolge attivita’ ‘illegali’ e viola il ‘diritto internazionale’. Ad una settimana dalla chiusura della sede dell’Unhcr per i rifugiati, Tripoli motiva cosi’ la sua decisione e sembra non lasciare alcuno spazio ad un’eventuale trattativa per la riapertura della sede, come suggerito in mattinata dallo stesso Ministro degli Esteri Franco Frattini.
Una decisione, quella di chiudere l’ufficio, che crea ‘un vuoto’, secondo i rappresentanti dell’Unhcr che si sono rivolti anche all’Unione europea, mentre l’opposizione chiede all’Italia di sospendere gli accordi con la Libia in materia di immigrazione. E le prime conseguenze della chiusura, secondo l’agenzia dell’Onu che si occupa di rifugiati e richiedenti asilo, si sono viste proprio con la vicenda del barcone giunto ieri al largo di Malta e recuperato dalla Libia, con a bordo, secondo la denuncia di Save the Children anche un bimbo di pochi mesi: queste persone, assicura l’Unhcr, potrebbero ora non avere accesso alla protezione internazionale.
TRIPOLI ATTACCA, SEDE UNHCR E’ ILLEGALE: ‘La Gran Jamahirya – spiega una nota del ministero degli esteri – non riconosce l’esistenza dell’Ufficio dei rifugiati nel suo territorio perche’ e’ uno Stato non membro della Convenzione (1951) sui rifugiati, e non ha firmato alcun accordo di cooperazione con l’Ufficio dell’Alto Commissariato per i rifugiati’. Per questo la sua attivita’ e’ ‘illegale’ e per questo Tripoli si dice sorpresa dalle reazioni per la sua chiusura.
FRATTINI, LIBIA RICONOSCA AGENZIA ONU: Poche ora prima che arrivasse la reazione di Tripoli, Frattini aveva precisato di aver chiesto spiegazioni alla Libia sulla vicenda, invitandola ad ‘avviare un negoziato’ per risolvere la questione. ‘Ci e’ stato detto – aveva spiegato – che mancava un accordo finalizzato a regolare’ la vicenda. Ora chiediamo alla Libia ‘di avviare il negoziato’ per arrivare a quell’accordo mancante.
UNHCR, CHIUSURA UFFICIO CREA VUOTO, UE RIFLETTA: Senza la presenza dell’agenzia Onu si crea ‘un grande vuoto per migliaia di rifugiati e richiedenti asilo gia’ presenti e per quelli che continueranno ad arrivare’, secondo la portavoce dell’Unhcr Melissa Fleming. Che invita l’Ue e tutti i paesi che guardano alla Libia come luogo dove ‘la gente che fugge da persecuzioni puo’ essere accolta’ a ‘riesaminare la loro politica in materia di immigrazione’. Nel Paese nordafricano, secondo i dati Unhcr, sono novemila (RPT: novemila) i rifugiati e 3.700 i richiedenti asilo, perlopiu’ palestinesi, o fuggiti da Iraq, Sudan, Somalia, Eritrea, Liberia e Etiopia.
PD, ITALIA SOSPENDA ACCORDI CON LIBIA SU IMMIGRAZIONE: Lo chiede Rita Borsellino, deputata Pd al parlamento europeo, mentre il collega di partito Enrico Farinone si augura che ora si metta in moto ‘la diplomazia’ per ‘garantire i diritti degli immigrati’ richiedenti asilo. Sempre dal Pd si rivolge invece al ministro dell’interno, Sandro Gozi chiedendogli di fare subito luce su quanto e’ accaduto al barcone di migranti che non e’ stato soccorso e sul quale viaggiava anche un bimbo di pochi mesi’. Il radicale Matteo Mecacci e’ invece convinto che la chiusura della sede dell’Unhcr ridicolizzi l’Italia dimostrando la sua ‘fallimentare’ politica.
AMNESTY AL SENATO CRITICA L’ITALIA – ‘L’Italia, in ragione dell’accordo con la Libia e del conseguente respingimento degli immigrati, e’ venuta meno alla propria tradizione di aiuto e assistenza umanitaria in mare aperto’. Lo ha affermato ieri, alla commissione Diritti umani del Senato, Giusi Dalconso, coordinatrice dell’attivita’ di ricerca sull’Italia di Amnesty International Italia.
Dalconso ha fatto riferimento ad un evento del 6 maggio 2009, quando, secondo Amnesty, un barcone con 227 persone a bordo, in navigazione nei pressi di Lampedusa, fu oggetto di una controversia tra Italia e Malta, e le operazioni di salvataggio furono ritardate con conseguente peggioramento di salute dei ‘disperati a bordo’.
Alla fine, le persone furono salvate dalla Guardia costiera italiana e ricondotte a Tripoli.
Dalconso ha sostenuto che ‘purtroppo la politica italiana non ha offerto sufficienti garanzie relativamente ai diritti di Rom e Sinti’.
C.A.R.A. Italia: vite sospese in attesa di un permesso
di FLORE MURARD-YOVANOVITCH
Un “centro d’accoglienza per i rifugiati e richiedenti asilo”, un C.A.R.A.: non è una prigione, dicono. Ma che cos’è un luogo che toglie ai migranti appena approdati ogni possibilità di vita vera, sociale e umana? Come nominare un luogo dove vieni rinchiuso, per mesi, in un vuoto kafkiano ad aspettare un pezzo di carta da una burocrazia lenta e indifferente?
Vite sospese e appese a permessi di soggiorno che in realtà non danno né integrazione né accoglienza: all’uscita del C.A.R.A. ti ritroverai a Termini, luogo di tutti gli approdi, dimensione comune di tutte le storie di migranti. Per Hassan e Abubaker, i due profughi somali che all’uscita dal centro di Castelnuovo di Porto cercheranno un posto per dormire ci sarà la strada...
Su questa immagine si chiude (per aprire future storie) il documentario C.A.R.A. Italia di Dagmawi Ymer, già co-autore di Come un uomo sulla terra, impegnato, da quando ha preso per la prima volta in mano una camera, a dare ai migranti una voce. E a risvegliare una cieca e buia Italia. Un bunker al neon, i pasti gestiti da militari. Sei parcheggiato. Come si farebbe con un oggetto. Tra una strada di periferia deserta e un’autostrada, dove passano rari autobus che ti chiudono i battenti in faccia. Sei nero. Eritreo, etiope, somalo. Hai già capito che questo Paese, che del tuo ha fatto una colonia nel passato, che ti ha imposto il proprio dio, il proprio cibo, che persino ha invaso i tuoi sogni di questo illusorio nome “Italia”, ora non ti vuole.
E ti rinchiude; fino alla tanto attesa quanto improbabile riunione della “Commissione territoriale per lo status di rifugiato”... In clandestinità e con rapporti diretti, la camera empatica di Dagmawi si addentra nel quotidiano del vuoto; te lo fa toccare “a pelle”. Corridoi vuoti, luce artificiale gelata. Rari bambini, qua e là, quelli nati nel centro; come unico svago, una bicicletta. Ma anche la musica, i ricordi delle serate africane, i gesti caldi tra compagni, unici affetti in questo luogo senza vita; la lingua che si impara dal Garzanti, per non impazzire. Come succede a tanti. Lì in un angolo c’è uno che non ha retto e mima la propria auto-crocefissione, come Gesù.
Impazzito. Per la libertà sospesa, i soli bisogni primari e l’assenza di sogni. Qui si apre una storia ancora tutta da raccontare, quella della psiche che si ammala in questi non luoghi disumani: la realtà delle numerose patologie mentali riscontrate nei giovanissimi migranti. Nell’atelier “geografia migrante” della scuola interculturale Asinitas, dove ogni allievo è invitato a rappresentare il proprio luogo di origine e quello presente, questi centri li coloreranno di nero. Come una assenza. A volte si rifiuteranno persino di disegnarlo, tanto l’esperienza è stata traumatica: esperienza, sulla propria pelle, di un terribile odierno annullamento europeo dell’identità umana dei migranti.
Eppure questi rifugiati, a grande maggioranza politici, avevano e hanno il diritto all’asilo. Negato. Dag ci rivela quello che tutti nel profondo delle nostre coscienze sappiamo, ma che fino a questo magnifico film non avevamo visto con precisione: cosa significa “parcheggiare” altri esseri umani in una folle e anacronistica “disparità”, derubandoli della loro vita. E quale nome la storia darà a tutto questo? Nei loro disegni (che si possono vedere in questi giorni nella mostra “Geografie extravaganti” alla “Città Altra Economia” di Roma), la scuola d’italiano è blu mare o verde, come un’oasi umana; dove ogni giorno approdare per tessere rapporti. Per vivere.
TRENTUNENNE DI NAZIONALITA’ ERITREA AGGREDITO QUESTA NOTTE
In Via Palazzuolo a Firenze
Un trentunenne di nazionalità eritrea è stato aggredito introno alle ore 1.00 di questa notte in Via Palazzuolo, all’uscita da un locale in compagnia di un amico. Un uomo lo avrebbe avvicinato colpendolo alla testa con una bottiglia per poi allontanarsi. L’uomo, soccorso dalle Volanti e dal personale del 118, è stato portato a Santa Maria Nuova.
14/06/2010 14:23
Questura di Firenze
Rapporto Unhcr:43,3 milioni persone costrette alla fuga da guerra
I rifugiati sono 15,2 milioni
Roma, 14 giu. (Apcom) - Sono 43.3 milioni le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni: lo afferma il rapporto annuale dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) - "Global Trends 2009" - pubblicato oggi. Si tratta del numero più alto dalla metà degli anni novanta mentre il numero di rifugiati rientrati spontaneamente a casa è il più basso degli ultimi venti anni.
E' rimasto relativamente stabile invece il numero complessivo di rifugiati: 15.2 milioni di cui i due terzi sono di competenza dell'Unhcr e il rimanente terzo dell'Agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa). A causa del persistere dei conflitti, più della metà dei rifugiati di competenza dell'Unhcr si trovano in situazioni di esilio protratto. Secondo l'Unhcr solo 251mila rifugiati sono rientrati nelle loro case nel 2009, laddove la media annuale nell'ultimo decennio si aggirava sul milione di rimpatriati. La percentuale di sfollati, persone in fuga dai conflitti all'interno del proprio Paese, è cresciuta del 4%: alla fine del 2009 erano 27.1 milioni. L'aumento è dovuto principalmente al perdurare dei combattimenti nella Repubblica Democratica del Congo, in Pakistan e Somalia.
Il numero di nuove domande di asilo nel mondo è aumentato di circa un milione. Il Rapporto statistico si occupa anche degli apolidi. Si stima che alla fine del 2009 gli apolidi nel mondo fossero 6.6 milioni sebbene stime non ufficiali parlano di cifre che arrivano ai 12 milioni.
Per quanto riguarda il reinsediamento - meccanismo attraverso il quale i rifugiati ospitati in un Paese di asilo, tendenzialmente un Paese in via di sviluppo, vengono trasferiti in un altro Stato, generalmente un Paese industrializzato - nel 2009 l'Unhcr ha proposto il reinsediamento per 128mila persone, il numero più alto negli ultimi 16 anni. Alla fine del 2009 112.400 persone sono state accettate per il reinsediamento in 19 Paesi fra i quali USA (79.900), Canada (12.500), Australia (11.100), Germania (2.100), Svezia (1.900) e Norvegia (1.400). Il principale gruppo di reinsediati sono stati i rifugiati di Myanmar (24.800), Iraq (23mila), Bhutan (17.500), Somalia (5.500), Eritrea (2.500) e Repubblica Democratica del Congo (2.500). Nel corso dell'ultimo decennio almeno 1.3 milioni di rifugiati hanno ottenuto la cittadinanza del Paese ospitante, più della metà dei quali negli Usa.
Etiopia ed Eritrea, sempre più simili ma in guerra tra loro
Un tempo Meles Zenawi (primo ministro dell’Etiopia) e Isaias Afewerki (presidente dell’Eritrea) combattevano insieme. A capo di due movimenti di liberazione nazionale, il fronte di liberazione del Tigray e il Fronte popolare di liberazione dell’Eritrea, i due, che parlano la stessa lingua e provengono da regioni limitrofe, furono compagni di battaglia nella lunga guerra, in particolare tra il 1981 e il 1991, combattuta contro il comune nemico, il regime filosovietico di Mengistu. Fu una lotta di liberazione nazionale culminata nel 1991 con la conquista da parte dei due eserciti, rispettivamente di Addis Abeba e Asmara, e nel 1993 con la proclamazione di indipendenza dell’Eritrea.
Da allora e ininterrottamente fino ad oggi Meles è il primo ministro dell’Etiopia e Isaias è presidente dell’Eritrea: i due, ciascuno nel proprio Stato e con i propri metodi, stanno aumentando in maniera progressiva il loro potere che non si potrebbe definire se non dispotico e dittatoriale.
Ma la loro amicizia è finita da parecchi anni: la guerra tra i due paesi tra il 1998 e il 2000, la tensione permanente lungo i confini, l’opposto posizionamento strategico della cosiddetta guerra al terrorismo e più in generale tra occidente e Cina (Etiopia filo americana e Eritrea vicina a paesi arabi e Cina), li hanno posti su due fronti avversi. Rimangono invece identici i metodi repressivi, i massacri indiscriminati, l’eliminazione fisica degli avversari politici, il bavaglio alla stampa, il disprezzo per i più elementari diritti umani.
Per le cancellerie occidentali però Zenawi è più democratico del collega dittatore Afewerki. Certamente quest’ ultimo ha imposto progressivamente nel suo paese un regime di polizia che trova pochi riscontri in tutta l’Africa e nel mondo intero: nel continente nero l’Eritrea è diventata una specie di Corea del nord. Il governo eritreo ha bandito da anni molte ONG che monitoravano le violazioni dei diritti, ha chiuso le porte a qualsiasi osservatore internazionale, ha cacciato o impedito di operare a numerosi missionari cattolici e non, ha ristretto notevolmente la libertà di movimento degli stranieri nel paese, ha incarcerato o ridotto al silenzio giornalisti di opposizione.
Sono, tuttavia, soprattutto gli eritrei a subire le conseguenze di uno stato sempre più chiuso e militarizzato in cui non si sono mai tenute elezioni. I giovani non possono più uscire dal paese e quelli all’estero non possono più tornarci se non per restarci definitivamente; il servizio militare è a tempo indeterminato: a 18 anni uomini e donne vanno nell’esercito senza sapere se e quando potranno ritornare a casa; infine è limitato pure il commercio con l’estero.
Tutto questo in nome di una guerra permanente con Etiopia e con la necessità di difendere il paese. Il risultato è l’ impoverimento generale, una paura serpeggiante tipica dei regimi di polizia e soprattutto un grande desiderio di fuggire: con ogni mezzo, verso ogni destinazione, rischiando di morire nel deserto o in mare oppure uccisi alla frontiera. Fino a qualche mese fa l’Italia accoglieva molti rifugiati, poi è subentrata la politica dei respingimenti voluta dall’attuale Governo italiano che lascia questi disperati ai “diritti umani” made in Libia, fatti cioè di torture, reclusioni, assassinii indiscriminati.
Zenawi si è sempre presentato invece come il democratico politico africano con il quale si può trattare e si può convivere facilmente. È noto che l’Etiopia, da sempre nazione cristiana, fa da argine all’espansionismo arabo penetrato in Africa anche attraverso i petrodollari sauditi a cui negli ultimi anni si sono affiancate ondate di integralismo wahabita. Infatti nel 2008 proprio le truppe etiopiche sono entrate massicciamente in Somalia a sostegno del governo “legittimo” apparentemente sconfiggendo le milizie fondamentaliste, ritornate in forza pochi mesi dopo e costringendo l’Etiopia a sanguinosi scontri che durano tuttora. Con Zenawi si possono fare lucrosi affari, soprattutto nella costruzione di dighe come è avvenuto con esiti nefasti nella vicenda della serie di infrastrutture finanziate con i soldi della cooperazione italiana. Con Zenawi i cittadini godono di una libertà non paragonabile alla chiusura dell’Eritrea, e nel paese si fanno anche le elezioni. Ma qui casca l’asino.
Il fronte democratico rivoluzionario popolare di Etiopia (Eprdf), il partito quasi unico del paese, guidato da vent’anni da Meles Zenawi, vince ogni elezione con percentuali a dir poco sospette e con brogli sistematici. Il 23 maggio scorso, in elezioni fortemente criticate dalla comunità internazionale e da Human Rights Watch, il partito del primo ministro ottiene 499 seggi su 547 più altri attribuiti a formazioni regionali affiliate. Ma la vera svolta autoritaria è avvenuta nel 2005 a seguito di un buon successo delle opposizioni: dopo giorni in cui la capitale era invasa dalle manifestazioni il governo ha praticato una violenta repressione con circa 200 morti, molti dei quali studenti. In fondo Meles e Isaias, i due amici nemici, stanno diventando sempre più simili.
Piergiorgio Cattani – Unimondo.org
mercoledì 9 giugno 2010
Cassazione: più tutele a immigrati trattenuti nei Cie
La Cassazione dice no ai facili trattenimenti nei Centri di identificazione ed espulsione degli immigrati che siano in attesa di essere rinviari al loro paese. Il monito arriva dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione (la n.13767/2010) che, nella parte motiva, evidenzia che ''la sostanziale equiparazione fra misura di trattenimento nel Centro di identificazione ed espulsione dello straniero irregolare e misura detentiva determina l'invalidita' della proroga disposta dal giudice di pace senza la partecipazione dello straniero medesimo ne' del suo difensore di fiducia o d'ufficio''. Accogliendo il ricorso di un clandestino ghanese la suprema Corte ha così annullato un decreto emesso dal giudice di pace di Roma dichiarando inefficace il provvedimento di trattenimento. La Corte spiega che per garantire la maggiore tutela possibile agli immigrati irregolari trattenuti nei Centri di permanenza temporanea è necessario che il provvedimento venga "trasmesso al giudice senza ritardo e comunque entro le 48 ore" e comunque dopo aver prima sentito l'interessato. La corte precisa inoltre che cessa ogni effetto del provvedimento se non viene convalidato nelle 48 ore successive'.
(Data: 09/06/2010 10.09.00 - Autore: Roberto Cataldi)
Respinti in Libia - Realismo politico ed omissioni di soccorso cancellano gli obblighi di protezione e di salvataggio in mare.
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
(Melting Pot Europa aveva ieri lanciato un appello perché queste persone non venissero respinte. Alla nostra si era unita la voce di molti altri ma tutto è stato vano.
Contro tutti i respingimenti e per il diritto d’asilo rimane la campagna Welcome! Indietro non si torna. Per non restare a guardare mentre cose come questa accadono).
1. Questa volta non abbiamo assistito ad un altro conflitto di competenze tra Italia e Malta , come lo scorso anno nel caso del mercantile Pinar che nella giornata di giovedì 16 aprile 2009, nelle acque del Canale di Sicilia, salvava 154 migranti in procinto di annegare, recuperando anche il corpo di un cadavere, una giovane donna in stato di gravidanza, rimasta per quattro giorni dentro un sacco di plastica. Sulla nave bloccata dalle autorità italiane nella zona contigua alle acque territoriali a sud di Lampedusa. Questa volta non sono arrivati giornalisti che avrebbero documentato gli inauditi livelli di infamia raggiunti dalle pratiche di respingimento collettivo in alto mare, ormai assimilate dal senso comune della “gente”, massa amorfa di consumatori stretti tra il proprio egoismo e la crisi economica che sta investendo anche i paesi “ricchi”, malgrado (o forse proprio a causa del) le “armi” dello sbarramento e dell’esclusione che si praticano quotidianamente contro i migranti.
Questa volta si trattava “soltanto” di 25 profughi eritrei, tra i quali almeno sei donne ed un bambino di circa un anno, partiti, meglio, fatti partire su un piccolo battello dalla costa della Libia,persone che avevano lanciato una richiesta di soccorso la sera di domenica 6 giugno quando si trovavano in acque internazionali, in quella vastissima zona di mare che rientra nella competenza SAR ( ricerca e soccorso) di Malta, esattamente nella stessa zona dove negli anni 2007 e 2008 le autorità italiane avevano tratto in salvo decine di migliaia di migranti. Oggi però le consegne sono diverse, e lo stesso ministro dell’interno, che ricordando quei salvataggi, non certo merito del suo governo, si è difeso dalle critiche di tutte le agenzie internazionali, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea, per i respingimenti collettivi praticati dall’Italia dal 6 maggio 2009, ha adesso ordinato alle autorità italiane, le prime ad essere allertate, di non intervenire, lasciando che la questione forse risolta tra Malta e la Libia. Un vero e proprio caso di omissione di soccorso, perché i naufraghi si trovavano in evidente stato di pericolo ed avevano manifestato chiaramente la volontà di richiedere asilo, tramite loro parenti e rivolgendosi alle autorità italiane ed all’Alto Commissariato delle nazioni Unite per i rifugiati, richieste ignorate dal governo italiano e da quello maltese. E questi due paesi non hanno smentito la loro tradizionale “disumanità” nei confronti dei profughi, ed in generale di tutti i migranti a rischio di naufragio nelle acque del Canale di Sicilia, lasciando – si può ritenere a questo punto in attesa di conferme dirette- che fossero unità militari libiche a riprendersi i fuggitivi.
Come si apprende dalle agenzie di stampa maltesi, infatti, le autorità della Valletta hanno chiamato un mezzo della marina libica, probabilmente una delle motovedette fornite dall’Italia, per riportare in Libia quei poveri corpi in cerca di salvezza, ancora prigioni, violenze sulle donne ed un futuro negato per quel bambino che si trovava a bordo della piccola scialuppa “restituita” dai maltesi ai libici.
2. L’accordo di cooperazione di polizia tra Malta e la Libia, siglato il 30 luglio 2008 a margine della visita del presidente maltese Edie Fenech Adami a Tripoli, con l’obiettivo di precisare le rispettive competenze su aspetti come i sistemi d’allarme, il coordinamento dei soccorsi, la gestione delle domande di assistenza da parte degli immigranti, e lo scambio delle informazioni, come riferiva l’agenzia ufficiale libica Jana, evidentemente funziona molto bene, anche perché si basa sulla soluzione del lungo contenzioso che ha diviso a lungo i due stati sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, con il consueto contorno di trivellazioni e di piattaforme in acque internazionali. L’esempio degli accordi tra Italia e Libia evidentemente ha fatto scuola. Come al solito in difesa di concreti interessi economici, sulla pelle dei migranti, con particolare accanimento su donne e bambini in fuga dai lager libici. E questo si può affermare con tutto il dovuto “rispetto” per gli ufficiali di collegamento italiani che da anni collaborano con la polizia libica, e che non possono non essere a conoscenza degli abusi e delle atroci violenze che i carcerieri libici infliggono ai loro detenuti, con agenti pronti a farsi corrompere non appena qualcuno dei migranti raggiunga telefonicamente un parente più fortunato che si trova già in Europa. Una situazione sulla quale nessuno potrà adesso intervenire dopo la chiusura dell’unico ufficio dell’ACNUR presente in Libia da anni, nonostante questo paese non aderisca alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Una chiusura che potrebbe essere stata decisa da Gheddafi per sbarazzarsi di scomodi testimoni, troppe probabilmente le visite ai migranti respinti in Libia dall’Italia, e forse anche per evitare che altri “respinti” potessero fare ricorso alla Corte Europea per i diritti dell’Uomo, come successo lo scorso anno, dopo i respingimenti effettuati dalla nave Bovienzo della Guardia di finanza il 7 maggio 2010 (ben documentati dalla trasmissione “Respinti” di Riccardo Iacona, trasmessa a settembre dello scorso anno dalla RAI). Con la chiusura dell’unico ufficio Acnur in Libia non si potranno neppure effettuare quelle piccole operazioni di reinsediamento (trasferimento di piccoli gruppi di richiedenti asilo dalla Libia verso paesi di accoglienza, appena qualche centinaio l’anno) che costituivano la “foglia di fico” dietro la quale nascondere tutta la violenza delle pratiche generalizzate di detenzione arbitraria e di trattamenti disumani o degradanti. Trattamenti inumani o degradanti che vengono imposti ai migranti a migliaia non appena sono raggiunti dalle motovedette italo-libiche e che poi proseguono una volta giunti a terra.
In quest’ultimo caso, secondo quanto riferiscono lunedì 7 giugno le agenzie di stampa maltesi, mentre in Italia opera già una censura “militare”, i migranti sarebbero stati “consegnati” a mezzi della marina libica e dovrebbero essere condotti verso un porto libico per essere successivamente rinchiusi in un centro di detenzione, in vista di una possibile espulsione in Eritrea. Dopo l’incidente diplomatico della nave Pinar, italiani e maltesi hanno dunque ritrovato una grande “armonia”, all’insegna del cinismo più bieco e della ragion politica che si traduce nell’omissione di soccorso e nella violenza privata, fatti sui quali diverse procure siciliane stanno indagando dopo i respingimenti collettivi verso la Libia effettuati lo scorso anno.
3. Rimane intanto poco chiara, affidata ai rapporti di forza tra gli stati, la determinazione delle regole di responsabilità negli interventi di contrasto dell’immigrazione irregolare, nei quali si verifichino eventi che dovrebbero rientrare nella definizione internazionale di azioni di salvataggio. Una serie di nozioni indefinite sulle quali gli stati non concordano più, sulle quali neppure l’Unione Europea è riuscita a fare chiarezza, pure tentando di imporre alle unità di Frontex, con le sue ultime decisioni, il rispetto dei diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita. Una posizione questa che ha forse indotto Malta a rifiutare le sue basi per l’operazione Frontex denominata Chronos 2010, operazione che a seguito del rifiuto maltese è stata soppressa.
Nessun passo avanti effettivo però, rispetto alle regole di ingaggio e di assistenza delle unità di Frontex. Lo scorso anno appunto, The Times of Malta riferiva le dichiarazioni di un portavoce di questa agenzia del 15 maggio 2009, secondo cui, "at the moment Frontex does not plan to change the operational plan for the Nautilus 2009. The Italian development is based on bilateral agreements between Italy and Libya. Frontex is coordinating cooperation between member states but the command and control stays in hands of the hosting country." Tali linee guida non avevano tuttavia impedito alle unità aero-navali di Frontex di segnalare, per tutta l’estate del 2009, ai mezzi della Guardia di Finanza con base a Lampedusa, la posizione delle barche che venivano poi intercettare in poche ore dai mezzi italiani e riconsegnati alle unità italo-libiche. Quest’anno, in assenza di operazioni Frontex attive nel canale di Sicilia, si può prevedere che aumenteranno i casi di omissione di soccorso, come quello che si sta verificando in queste ore, e che un numero rilevante di imbarcazioni cariche di migranti sarà intercettato direttamente dai mezzi italo- libici, alle quali si sta progressivamente affidando il controllo delle acque internazionali, in prossimità del limite da sempre assai“elastico” delle acque territoriali libiche, almeno fino a quando i loro equipaggi, malgrado l’addestramento impartito dagli italiani, non li manderanno fuori uso.
Dietro le pratiche più disumane si fatica a trovare brandelli di razionalità. I recenti accordi tra l’Agenzia europea Frontex e la Agenzia per i diritti umani dell’Unione Europea potrebbero far ritenere a Malta che le unità militari di Frontex finanziate da Bruxelles (quest’anno con uno stop alla crescita esponenziale del budget registrata negli anni precedenti) non effettueranno più respingimenti collettivi verso la Libia, e dunque, per le note posizioni di chiusura dell’attuale governo italiano, Malta si troverebbe esposta ad obblighi di accoglienza che la sua popolazione non vuole e in parte non può) sostenere. Mentre continua la latitanza dell’Europa sulla distribuzione degli oneri di accoglienza dei richiedenti asilo, ormai la maggior parte, se non la totalità, di coloro che tentano l’attraversamento del Canale di Sicilia in fuga dalla Libia.
Le autorità maltesi non hanno neppure apposto la firma agli ultimi protocolli internazionali, stipulati nel 2006, sulle zone di salvataggio (zone SAR), sottoscritti invece dall’Italia. Trattandosi di materia di diritto internazionale, non si comprende peraltro quale ruolo possa giocare l’Unione Europea, invocata dai ministri interessati. L’Unione Europea non sembra d’accordo neppure sul finanziamento delle missioni FRONTEX, bloccato per quest’anno al livello del 2009, o sulla revisione del Regolamento Dublino II, in base al quale si dovrebbe determinare lo stato competente per l’esame delle domande di asilo, e non è riuscita neppure ad imporre ai diversi paesi un regime uniforme in materia di protezione internazionale, malgrado la montagna (comunitaria) abbia partorito adesso il “topolino”, l’Agenzia europea per il diritto di asilo. Risulta intanto sempre più evidente che Malta ha preteso per ragioni meramente economiche la massima estensione della zona SAR, eredità della seconda guerra mondiale, e della “quasi” corrispondente “zona di esclusivo interesse economico” (ZEE), ma non ha i mezzi aeronavali, la capacità ricettiva, né la volontà politica di accogliere nel suo territorio tutte le persone che vengono salvate nella zona di soccorso che sarebbe di sua competenza. Sono anni, peraltro, che le autorità di Malta, sede delle missioni periodiche di Frontex, chiedono soccorso all’Europa senza ricevere aiuti sostanziali. Ma da anni Malta non garantisce procedure eque ed assistenza dignitosa ai richiedenti asilo in aperta violazione di importanti direttive comunitarie.
4. Per i naufraghi eritrei che potrebbero essere riconsegnati in queste ore ai libici, il mancato accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale comporta la violazione da parte di Malta della Direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione ai cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. E potrebbe essere violato anche l’art. 21 paragrafo 1 obbliga gli Stati membri a rispettare il principio di non refoulement (non respingimento) in accordo con gli obblighi internazionali. Toccherà alle corti internazionali ed ai tribunali comunitari stabilire la responsabilità delle autorità maltesi e la rilevanza delle decisioni italiane nella attuazione delle procedure di respingimento collettivo da parte di Malta. Ma probabilmente il coinvolgimento delle unità italo-libiche chiamate ad intervenire in acque internazionali potrebbe “alleggerire” la posizione del governo maltese, e di quello italiano, che qusta volta non sarebbero intervenuti direttamente con le loro unità, anche se rimane sempre il profilo dell’omissione di soccorso e della violazione del principio di non respingimento per avere malta impedito l’accesso nelle acque territoriali, in particolare per Malta, come paese responsabile della zona SAR e dunque responsabile del coordinamento delle operazioni di salvataggio. E l’intercettazione di un mezzo carico di “clandestini” in acque internazionali non può escludere il carattere di salvataggio degli interventi che assumono anche le caratteristiche del soccorso in mare, considerando la qualità dei mezzi, il numero di persone imbarcate e le loro qualità o condizioni, lo stato del mare e la distanza dalle coste. Ancora più preoccupante è l’effetto “annuncio” che sortirà in futuro l’intervento delle motovedette italo-libiche dopo il rimpallo di responsabilità tra Italia e Malta sulle competenze per le azioni di salvataggio. Sono già numerose le testimonianze di quanti, dopo lo sbarco in Sicilia, raccontano di imbarcazioni commerciali che non si sono fermate per prestare soccorso, anche perchè l’esito dei processi in corso in Sicilia a carico di quanti avevano operato interventi di salvataggio appare assai contraddittorio, con le assoluzioni nel caso Cap Anamur e le condanne in primo grado, ad Agrigento, nel caso dei pescatori tunisini. Per ridare fiducia ai comandanti delle imbarcazioni che potrebbero effettuare interventi più tempestivi di salvataggio della vita umana a mare, conducendo i naufraghi in un “porto sicuro” e non necessariamente nel porto più vicino o in quello di bandiera, occorre abolire le sanzioni penali che ancora in questi mesi lo stato italiano cerca di infliggere a quanti hanno risposto alle richieste di aiuto di chi era in procinto di affondare. Dopo la conclusione di questa ennesima vicenda di “quotidiana disumanità”, con l’ennesima “ordinary rendition” degli eritrei alla Libia, converrà chiarire una volta per tutte gli obblighi di soccorso e protezione internazionale che incombono, quale che sia la portata delle convenzioni SAR, tanto su Malta che sull’Italia, paesi che appartengono entrambi all’Unione Europea ed al Consiglio d’Europa e sono dunque soggetti alla giurisdizione della Corte di Giustizia di Lussemburgo e della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
5. Il 21 gennaio 2010, il Consiglio dell’Unione Europea ha emesso una Decisione in merito alle operazioni marittime di controllo delle frontiere svolte da Frontex. Vengono definite le regole vincolanti per le operazioni marittime di controllo dei confini e le linee guida non vincolanti che regolano le situazioni di soccorso e “disimbarco” delle persone recuperate in mare durante tali operazioni. Nella Decisione del Consiglio, si ribadisce il principio di non respingimento, anche verso paesi che a loro volta non rispettano tale divieto, come appunto la Libia, e si aggiunge che, qualora per questa ragione non fosse possibile effettuare lo sbarco dei migranti intercettati in mare nel paese di provenienza, tale sbarco dovrebbe avvenire in un porto dello Stato che ospita le operazioni di Frontex. Un orientamento assai chiaro, più che in passato, anche se non ancora vincolante, che probabilmente ha indotto Malta a non rinnovare la sua disponibilità ad ospitare in futuro altre missioni di Frontex. Per alleggerire la posizione di Malta e degli altri paesi dell’Europa mediterranea, l’Unione dovrebbe rivedere il Regolamento Dublino, sullo stato competente per ricevere le richieste di asilo, oppure prevedere una distribuzione dei rifugiati (burden sharing) che raggiungono le frontiere esterne, ma in questa direzione sono anni che si discute senza risultati concreti.
Si deve osservare a questo punto come tutti gli stati europei, e dunque Malta non meno che l’Italia, siano tenuti a rispettare le normative internazionali e comunitarie, anche con riferimento alle richieste di protezione internazionale, non solo nel proprio territorio, ma anche quando operano con propri agenti al di fuori dei confini territoriali, come nelle acque internazionali. Lo stesso Regolamento Schengen recentemente modificato, precisa che, nello svolgimento delle azioni di contrasto dell’immigrazione irregolare, la condotta dei mezzi che intervengono deve essere sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona. Prescrizioni che dal 2007 al 2008 erano state scrupolosamente osservate dagli interventi di soccorso della nostra Marina Militare, anche in acque internazionali che ricadevano nella zona SAR di Malta o della Libia. Oggi però le cose sono evidentemente cambiate per effetto degli accordi tra Italia, Malta e Libia. Adesso anche Malta, come lo scorso anno l’Italia, sta avviando la pratica dei respingimenti collettivi verso la Libia, una pratica vietata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ( art. 19) della quale anche Malta è firmataria, come qualunque stato dell’Unione Europea. Ci sarà un giudice a Lussemburgo, o a Strasburgo?
Per quanto riguarda l’Italia rimane poco da aggiungere, si possono solo registrare le violazioni più gravi, ormai sistematiche, di tutti i diritti umani che andrebbero riconosciuti ai migranti, in attesa che tali abusi vengano sanzionati da qualche tribunale internazionale o dai giudici interni. Ma l’attesa potrebbe essere assai lunga, oltre che vana, ed allora intanto non rimane che produrre memoria di fatti che macchieranno per sempre la coscienza civile del nostro paese, se non la coscienza di chi lo governa. L’apparente successo del blocco degli sbarchi a sud, se proseguirà anche nel corso dell’estate, non potrà fare dimenticare la condizione disperata nella quale si trovano i potenziali richiedenti asilo bloccati in Libia, o riconsegnati dalle autorità maltesi alle motovedette italo-libiche. Un “successo storico” pagato veramente a caro prezzo, mentre le domande di asilo in Italia sono dimezzate rispetto allo scorso anno, e la clandestinità dilaga ovunque e comunque, anche per effetto dei provvedimenti di stampo puramente repressivo contenuti nei vari pacchetti sicurezza.
Si sono dunque avverate le dichiarazioni di Maroni, dopo lo sbarco in Italia dei naufraghi salvati lo scorso anno dalla nave turca Pinar, quando affermava che il caso “non costituirà un precedente” , ed in effetti il ministro è stato di parola in quanto, come gli “sbarchi”, gli interventi di salvataggio che si concludevano con lo sbarco in un porto italiano sono drasticamente ridotti rispetto al passato. Se si continueranno a seguire le stesse linee di intervento, meglio dire di blocco, oppure di omissione di soccorso, ovvero se si insisterà nell’affermare la competenza delle autorità maltesi, anche a poche miglia dalle coste di Lampedusa, un numero assai elevato di interventi di salvataggio potrebbe essere procrastinato, o addirittura impedito, per decisione dei ministeri dell’interno. Con quali conseguenze per la salvaguardia della vita umana in mare e per i diritti dei potenziali richiedenti asilo o di altri soggetti vulnerabili, come i minori non accompagnati e le donne in gravidanza ( spesso vittima di stupri), è purtroppo facile prevedere.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo
Immigrati: Onu, Italia e Malta non hanno risposto a Sos nave eritrei
Ginevra, 8 giu. - (Adnkronos) - L'Unhcr, l'alto comissariato Onu per i rifugiati, ha espresso oggi "preoccupazione" per il "ritardo" nei soccorsi ad una nave con 20 persone a bordo, in gran parte eritrei, a largo di Malta. E' quanto e' stato dichiarato a Ginevra dell'Unhcr nel briefing alla stampa. "Le richieste di soccorso - si legge nel resoconto del briefing- sono state ricevute domenica sera anche dall'UNHCR e inoltrate alle autorita' marittime maltesi ed italiane. Non e' chiaro quale dei due paesi fosse responsabile per le operazioni di salvataggio nel momento in cui sono giunte le prime richieste di soccorso. Secondo le informazioni dell'UNHCR l'imbarcazione sarebbe stata soccorsa solo nella tarda giornata di lunedi' e da navi libiche.
lunedì 7 giugno 2010
È cieco, ma i ladri li vede benissimo
Il padrone di casa si è accorto del furto del portafogli e ha chiamato un parente. Dopo la fuga arrestati in un negozio dai carabinieri due dipendenti di una ditta che fornisce energia elettrica.
Credevano di portare a termine il colpo in pochi minuti e soprattutto senza difficoltà. Rubare il portafogli a un non vedente l'avevano considerato un gioca da ragazzi. E invece il giovane non vedente si è accorto che i malviventi gli avevano portato via i soldi. Non dai pantaloni o dalla giacca, ma da un'altra stanza. Sì, perché i due ladri erano i dipendenti di una ditta che fornisce energia elettrica e si erano presentati nell'abitazione dell'etiope, da anni residente in Italia, per presentargli offerte per risparmiare. Ma contemporaneamente, resosi conto che l'uomo non poteva vederli e riconoscerli, ecco venirgli in mente la «brillante» idea di portargli via i soldi e uscire di casa senza alcun problema.
Il colpo tanto semplice però non è andato a buon fine, tanto che i carabinieri del Nucleo radiomobile dei carabinieri hanno arrestato la coppia di giovani truffatori, lui di 18 anni, lei di 23. Era sabato pomeriggio quando sono finiti in manette i due dipendenti di una ditta di fornitura di elettricità. Erano riusciti a farsi aprire la porta di casa dal 31enne, originario dell'Etiopia, in via Flavio Stilicone, al Tuscolano. Mentre uno di loro stava esponendo alla vittima le vantaggiose caratteristiche contrattuali dell'offerta dell'azienda per cui lavoravano, l'altra, approfittando dello stato di salute della vittima, gli ha rubato un portafogli.
L'etiope ha evidentemente avvertito qualcosa che non andava in casa e non ha esitato a chiamare un parente che si trovava in un'altra stanza dell'appartamento. A quel punto i due ladri sono usciti velocemente dall'abitazione per far perdere le loro tracce. Nel frattempo però la vittima ha contattato i carabinieri chiamando il 112 e un'autoradio del Nucleo Radiomobile è giunta rapidamente sul posto. È bastato farsi descrivere dalla vittima del furto i due banditi, per permettere ai militari di intercettare i fuggitivi. Appena sono stati individuati, i ladri stavano tentando di nascondersi in un negozio vicino all'appartamento.
L'uomo e la donna, arrestati dai carabinieri con l'accusa di furto aggravato in concorso, sono stati trattenuti in caserma in attesa di essere sottoposti al rito per direttissima. Sono tuttora in corso le indagini dei militari per verificare se i due arrestati abbiano, anche in passato, messo a segno altri colpi simili. Un lavoro investigativo che passerà al setaccio i furti compiuti nelle abitazioni di persone con handicap, soprattutto nella stessa zona della città.
giovedì 3 giugno 2010
Amnesty, stati fanno ostruzionismo alla giustizia internazionale
LONDRA (Reuters) - Alcuni governi stanno ostacolando i progressi nella difesa dei diritti umani rifiutando di aderire alla Corte criminale internazionale (Icc) o mettendo al riparo dalla giustizia i loro alleati, secondo quanto dichiarato oggi dall'associazione per i diritti umani Amnesty International.
Presentando il suo rapporto annuale, Amnesty ha detto che il 2009 è stato un anno cruciale per la giustizia internazionale, grazie all'ordine di arresto emanato dall'Icc contro il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir per crimini di guerra e contro l'umanità messi in atto nella regione sudanese del Darfur.
Bashir, che oggi si insedierà dopo aver nuovamente vinto le recenti elezioni, è l'unico leader in carica al mondo con un mandato dell'Icc a carico.
"Ci sono stati progressi in materia di giustizia internazionale, ma i governi o si tengono al di sopra della legge, ad esempio non firmando l'adesione all'Icc, oppure coprendo i loro alleati politici quando questi hanno un conto a loro carico", ha dichiarato alla Reuters Claudio Cortone, segretario generale provvisorio di Amnesty.
Il gruppo ha additato il rifiuto dell'Unione Africana -eccetto Sud Africa e Botswana- di aderire all'Icc come l'esempio del fallimento dei governi che antepongono la politica alla giustizia.
Ma anche tra gli stati del G20, sette non hanno ancora aderito: gli Usa, la Cina, la Russia, l'India, l'Indonesia, l'Arabia Saudita e la Turchia. Cordone, che ha sollecitato le potenze internazionali a dimostrare la loro "leadership globale" aderendo alla corte, si è detto fiducioso sulla prossima adesione degli Usa, grazie alle incoraggianti aperture del presidente Barack Obama verso i gruppi per i diritti umani.
Cordone ha poi detto che l'Icc dovrebbe allargare i suoi casi oltre il continente africano, dove oltre al Sudan sta indagando sui crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo, in Uganda, nella Repubblica Centrafricana e in Kenya.
"E' vero che finora sono rimasti confinati in Africa, quindi ci aspettiamo che la corte indaghi anche su altre aree, come la Colombia o altre, per dimostrare di essere davvero imparziale", ha detto.
La classifica del «peggio del peggio». Affidereste i diritti umani a questi paesi?
«The worst of the worst», il peggio del peggio, è la lista dei paesi più repressivi del mondo stilata ogni anno da Freedom House. L'associazione americana, fondata da Eleanor Roosevelt dopo la Seconda guerra mondiale, ha presentato il rapporto con l'elenco dei peggiori violatori dei diritti umani del 2010.
La top ten delle società meno libere del mondo comprende, a pari demerito, Birmania, Guinea equatoriale, Eritrea, Libia, Corea del Nord, Somalia, Sudan, Turkmenistan e Uzbekistan e il territorio occupato del Tibet. A parte una dittatura militare (Birmania) e un piccolo paese centraficano, il peggio del peggio è costituito da regimi comunisti, ex repubbliche sovietiche e paesi islamici.
Freedom House ha aggiunto anche altri 8 paesi, più due territori occupati, capaci di simili negazioni dei diritti politici e civili: Bielorussia, Ciad, Cina, Cuba, Guinea, Laos, Arabia Saudita, Siria e Ossezia del sud e Sahara occidentale. Di nuovo, paesi comunisti, ex repubbliche sovietiche, paesi islamici e giunte militari.
Freedom House segnala il peggio del peggio all'opinione pubblica mondiale e, soprattutto, alle istituzioni internazionali che si occupano di tutelare le libertà. Il problema è che quattro dei peggiori – Cina, Cuba, Libia e Arabia Saudita – siedono nel Consiglio dei diritti umani dell'Onu. Ed è una buona annata.
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