venerdì 19 giugno 2015

Profughi: in gioco a Ventimiglia l’essenza dell’Europa


di Emilio Drudi

“Dove sono finiti i diritti umani?...”. Così gridavano i profughi che la polizia ha allontanato con la forza dalla linea di frontiera di Ventimiglia. Già: dove sono finiti i diritti umani? Non c’è stata risposta.
Gli anni duemila sono iniziati con la strage di decine di migliaia di esuli, richiedenti asilo e migranti. In tutto il mondo. Nel Mediterraneo è stata soprattutto l’Africa a pagare questo massacro. La stessa Africa che ha subito il primo olocausto del Novecento, quello degli Herero: oltre 80 mila uomini, donne e bambini uccisi sistematicamente, tra il 1904 e il 1907, dalla Germania imperiale in Namibia, allora Africa Occidentale Tedesca, con le stesse finalità – la cancellazione di un intero popolo – e le stesse modalità poi ampliate e “specializzate” dalla Germania nazista contro gli ebrei con la Shoah, nell’indifferenza delle cancellerie e delle istituzioni europee. Allora gli Herero erano “colpevoli” di non volersi piegare al dominio coloniale. Oggi, i desaparecidos del Mediterraneo scontano lo stesso “delitto”: quello di inseguire un sogno di libertà e di una vita dignitosa. E sono molti, moltissimi: oltre 27 mila dal duemila a oggi. Con un trend di crescita impressionante: 3.600 lo scorso anno, già circa duemila nei primi cinque mesi del 2015. Tanti da aver fatto del Mediterraneo una enorme fossa comune. Senza contare i morti “a terra”: nel Sahara ad esempio, o nell’infermo della Libia di Gheddafi e del post Gheddafi. Per non dire delle sofferenze infinite anche di chi riesce a sbarcare in Europa.
Di questa tragedia del terzo millennio è responsabile la politica coloniale e neocoloniale condotta negli ultimi settant’anni dal Nord del mondo in Africa e nel Medio Oriente, che ha provocato gran parte delle situazioni di crisi da cui milioni di giovani sono costretti a scappare per sottrarsi a dittature, guerre, terrorismo, persecuzioni, miseria e fame endemiche. Ma quello stesso Nord del mondo, a cominciare dall’Europa, contrasta questa fuga per la vita. Con ogni mezzo.
Va avanti così da anni. Prima avveniva in maniera “sommersa”. Ad esempio,  con gli accordi bilaterali semi segreti attraverso i quali singoli governi europei hanno affidato a Stati di dubbia democrazia, quando non ad autentiche dittature, il ruolo di “gendarmi” per il controllo dell’immigrazione in Africa e nel Mediterraneo. Valga per tutti il “caso” Italia-Libia. O, ancora: con barriere di filo spinato tacitamente in funzione da lungo tempo in Marocco, ai confini delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla, così come tra la Bulgaria o la Grecia e la Turchia. Barriere costruite “in silenzio”, pagate dall’Unione Europea e contro le quali nessuno ha mai sollevato grosse obiezioni: neanche quando su quei grovigli di filo spinato si è spenta la vita di numerosi giovani. Barriere analoghe a quella con cui l’Ungheria ha ora annunciato di voler blindare i 200 chilometri di frontiera con la Serbia per impedire l’ingresso di esuli e migranti.
Ha suscitato reazioni e proteste questo annuncio di Budapest. Ma in realtà non c’è nulla di nuovo. Tranne il fatto che ora la volontà di chiusura dell’Europa si manifesta sempre più apertamente. E’ emblematico che Dimitris Avramopoulos, il commissario per l’immigrazione, lo stesso che in Grecia, come ministro dell’interno, ha fatto costruire a suo tempo la barriera sul fiume Evros, abbia affermato in sostanza che per fermare il flusso crescente di migranti si può collaborare anche con i dittatori. Sembra l’esaltazione del Processo di Khartoum, l’accordo firmato il 28 novembre 2014 tra l’Unione e dieci Stati dell’Africa Orientale (incluse dittature come quelle sudanese, eritrea ed egiziana) che, sulla scia dei vecchi trattati bilaterali, mira ad esternalizzare i confini della Fortezza Europa, spostandoli sempre più a sud. Va nella stessa direzione il piano di affondare direttamente in Libia i barconi dei trafficanti, palesando di fatto l’intenzione di intrappolare i profughi in Africa. Per non dire della comunicazione della Commissione Ue secondo cui “si può usare anche il carcere” nei confronti dei migranti: fino a un anno e mezzo di galera per chi si oppone o crea ostacoli all’espulsione. Risoluzioni estreme, come se fosse alle porte un esercito in armi e non una folla di disperati in cerca di aiuto. E questo tono di guerra sta diventando un coro. “I funzionari dello Stato – ha dichiarato il neoeletto sindaco di Venezia Pier Luigi Brugnasco – giurano fedeltà sulla bandiera e sul popolo italiano, dovendo difendere case, popolo e patria. Chi se la sente deve difendere militarmente le nostre frontiere, chi non se la sente deve dare le dimissioni”.
In questo contesto si colloca il blocco del confine di Ventimiglia tra Italia e Francia. E’ l’ennesimo esempio di ipocrisia dell’Occidente. Dell’Europa, così pronta a versare lacrime e così prodiga di promesse all’indomani di ogni tragedia, salvo dimenticarsene in pochi giorni. Lo ha fatto anche dopo la strage del 19 aprile scorso, con quasi 850 morti: impegni solenni, riunioni, accordi per un programma di accoglienza per quote in tutti i paesi membri dell’Unione, possibilità di superare il regolamento capestro di Dublino. E, invece, ancora niente: nessun vero accordo. O, ancora, della Francia, in prima fila a gridare il “mai più” dopo il 19 aprile e inizialmente tra i più convinti sostenitori, con il presidente Hollande, di un diverso sistema di accoglienza, della ripartizione per quote, di uno sforzo comune europeo, per poi fare invece rapidamente retromarcia, forse impaurita dalla forte deriva di destra e xenofoba di cui si alimenta il Front National.
E’ tutt’altro che immune anche l’Italia, che urla contro l’insensibilità dell’Europa e della Francia ma abbandona a se stessi i profughi, un attimo dopo lo sbarco, con il segreto intento di favorirne la fuga verso altri paesi dell’Unione. Dei 170 mila registrati nel 2014, quasi 110 mila hanno lasciato la penisola, puntando soprattutto verso la Germania, la Svezia, l’Olanda, la Svizzera, la Francia stessa. E’ accaduto perfino con i minorenni: dei 14.243 censiti, ne sono spariti ben 3.707. Quest’anno sta avvenendo esattamente lo stesso. Roma continua a fingere di non sapere che i profughi bloccati dalla Gendarmerie sono arrivati a Ventimiglia passando tra le larghe maglie dei controlli italiani. Anzi, una buona parte è stata portata fin lì da strane organizzazioni che, facendosi pagare un ticket di circa 300 euro, avvicinano e prelevano indisturbate i profughi nei porti di sbarco o nei centri di accoglienza. Allo stesso modo sono arrivati molti dei profughi sloggiati nei giorni scorsi dalla stazione Tiburtina, così a Milano, così in altri posti di frontiera.
Parigi, chiudendo i confini, ha dato sicuramente la risposta più sbagliata. Disumana e, oltre tutto, al di là del rispetto rigido del regolamento di Dublino, priva di fondamento giuridico. Lo denuncia in termini chiarissimi l’europarlamentare Barbara Spinelli: “Le autorità francesi hanno attuato un respingimento fisico sommario, senza notificare alcun provvedimento formale, senza procedere a un esame individuale delle istanze, né dare possibilità di ricorso ai respinti. Le forze dell’ordine hanno, letteralmente, fatto muro, ripristinando la frontiera. Ma l’Unione Europea si è data delle regole – ben più salde e costitutive della gabbia tracciata dal regolamento di Dublino – ed è a queste regole che occorre richiamarsi, perché senza di esse è il significato dell’Unione ad essere colpito. Il governo francese viola sia l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali sia la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (protocollo 4, art. 4), ignorando il divieto di respingimento collettivo”.
E’ un’accusa pesante, a cui fa eco l’allarme lanciato da Anna Foa: “Il sogno dell’Europa, dopo essersi incrinato tanto profondamente vent’anni fa a Srebrenica, rischia di cancellarsi definitivamente oggi sulla frontiera di Ventimiglia”. Quella frontiera dove, tra linea dura francese e furbizia italiana, continua intanto a consumarsi la tragedia di centinaia di esuli e migranti, tanto da aver richiamato l’attenzione anche di papa Francesco. Non è la prima volta che Bergoglio scende in campo in difesa di questi disperati. Memorabile è rimasta la sua visita a Lampedusa all’inizio di luglio del 2013, quando ha richiamato i “potenti della terra” a dare risposte al grido di aiuto che arriva dagli “ultimi”. Ora è stato ancora più esplicito: “Chiedete perdono – ha esortato durante l’ultima udienza generale a San Pietro – per le istituzioni e le persone che chiudono le loro porte a gente che cerca aiuto e cerca di essere custodita”. Prima di tutto le istituzioni, dunque, perché sono le prime a dover rispondere della catastrofe che si profila. Ma anche ciascuno degli uomini, credenti e non. Un monito importante in un momento in cui, se è vero che si moltiplicano i gesti di solidarietà da parte di tanti nei confronti dei profughi, sugli scogli di Ponte Ludovico come nel piazzale della stazione Tiburtina, è altrettanto vero, però, che la maggioranza della gente, stando a diverse recenti indagini, mostra insofferenza o addirittura ostilità per la presenza dei migranti e tantissimi chiedono un blocco navale per impedire che continuino gli sbarchi.
Ma che fare, allora, se questa è l’opinione più diffusa? Forse il primo passo è cercare di vincere l’indifferenza egoista che finisce per giustificare ed anzi sollecita la “chiusura” della Fortezza Europa. Lo ha detto chiaramente Piero Terracina, uno dei pochissimi ebrei italiani superstiti di Auschwitz, in un recente incontro al Senato, sottolineando l’analogia tra “la colpevole indifferenza della comunità internazionale” che ha accompagnato la persecuzione antisemita culminata nei forni dell’Olocausto, con la “colpevole indifferenza di oggi”. E’ una battaglia difficile. Ma è l’unico modo per dare una risposta alla domanda urlata dai profughi allontanati con la forza dalla frontiera di Ventimiglia. Nella consapevolezza che lasciare questa domanda in sospeso sarebbe un colpo durissimo al nostro stesso modo di “stare insieme”. Alla cultura europea basata su libertà, uguaglianza e solidarietà. Una sconfitta dell’uomo. Come lo sono stati le due guerre mondiali, il razzismo e gli olocausti del ‘900, la Shoah.



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