di Emilio Drudi
“Dove sono finiti i
diritti umani?...”. Così gridavano i profughi che la polizia ha allontanato con
la forza dalla linea di frontiera di Ventimiglia. Già: dove sono finiti i diritti
umani? Non c’è stata risposta.
Gli anni duemila
sono iniziati con la strage di decine di migliaia di esuli, richiedenti asilo e
migranti. In tutto il mondo. Nel Mediterraneo è stata soprattutto l’Africa a
pagare questo massacro. La stessa Africa che ha subito il primo olocausto del
Novecento, quello degli Herero: oltre 80 mila uomini, donne e bambini uccisi
sistematicamente, tra il 1904 e il 1907, dalla Germania imperiale in Namibia,
allora Africa Occidentale Tedesca, con le stesse finalità – la cancellazione di
un intero popolo – e le stesse modalità poi ampliate e “specializzate” dalla
Germania nazista contro gli ebrei con la Shoah, nell’indifferenza delle
cancellerie e delle istituzioni europee. Allora gli Herero erano “colpevoli” di
non volersi piegare al dominio coloniale. Oggi, i desaparecidos del
Mediterraneo scontano lo stesso “delitto”: quello di inseguire un sogno di
libertà e di una vita dignitosa. E sono molti, moltissimi: oltre 27 mila dal
duemila a oggi. Con un trend di crescita impressionante: 3.600 lo scorso anno,
già circa duemila nei primi cinque mesi del 2015. Tanti da aver fatto del
Mediterraneo una enorme fossa comune. Senza contare i morti “a terra”: nel
Sahara ad esempio, o nell’infermo della Libia di Gheddafi e del post Gheddafi.
Per non dire delle sofferenze infinite anche di chi riesce a sbarcare in
Europa.
Di questa tragedia
del terzo millennio è responsabile la politica coloniale e neocoloniale
condotta negli ultimi settant’anni dal Nord del mondo in Africa e nel Medio
Oriente, che ha provocato gran parte delle situazioni di crisi da cui milioni
di giovani sono costretti a scappare per sottrarsi a dittature, guerre,
terrorismo, persecuzioni, miseria e fame endemiche. Ma quello stesso Nord del
mondo, a cominciare dall’Europa, contrasta questa fuga per la vita. Con ogni
mezzo.
Va avanti così da
anni. Prima avveniva in maniera “sommersa”. Ad esempio, con gli accordi bilaterali semi segreti
attraverso i quali singoli governi europei hanno affidato a Stati di dubbia
democrazia, quando non ad autentiche dittature, il ruolo di “gendarmi” per il
controllo dell’immigrazione in Africa e nel Mediterraneo. Valga per tutti il
“caso” Italia-Libia. O, ancora: con barriere di filo spinato tacitamente in
funzione da lungo tempo in Marocco, ai confini delle enclave spagnole di Ceuta
e Melilla, così come tra la Bulgaria o la Grecia e la Turchia. Barriere
costruite “in silenzio”, pagate dall’Unione Europea e contro le quali nessuno
ha mai sollevato grosse obiezioni: neanche quando su quei grovigli di filo
spinato si è spenta la vita di numerosi giovani. Barriere analoghe a quella con
cui l’Ungheria ha ora annunciato di voler blindare i 200 chilometri di
frontiera con la Serbia per impedire l’ingresso di esuli e migranti.
Ha suscitato
reazioni e proteste questo annuncio di Budapest. Ma in realtà non c’è nulla di
nuovo. Tranne il fatto che ora la volontà di chiusura dell’Europa si manifesta
sempre più apertamente. E’ emblematico che Dimitris Avramopoulos, il
commissario per l’immigrazione, lo stesso che in Grecia, come ministro
dell’interno, ha fatto costruire a suo tempo la barriera sul fiume Evros, abbia
affermato in sostanza che per fermare il flusso crescente di migranti si può
collaborare anche con i dittatori. Sembra l’esaltazione del Processo di
Khartoum, l’accordo firmato il 28 novembre 2014 tra l’Unione e dieci Stati
dell’Africa Orientale (incluse dittature come quelle sudanese, eritrea ed
egiziana) che, sulla scia dei vecchi trattati bilaterali, mira ad
esternalizzare i confini della Fortezza Europa, spostandoli sempre più a sud.
Va nella stessa direzione il piano di affondare direttamente in Libia i barconi
dei trafficanti, palesando di fatto l’intenzione di intrappolare i profughi in
Africa. Per non dire della comunicazione della Commissione Ue secondo cui “si
può usare anche il carcere” nei confronti dei migranti: fino a un anno e mezzo
di galera per chi si oppone o crea ostacoli all’espulsione. Risoluzioni
estreme, come se fosse alle porte un esercito in armi e non una folla di
disperati in cerca di aiuto. E questo tono di guerra sta diventando un coro. “I
funzionari dello Stato – ha dichiarato il neoeletto sindaco di Venezia Pier
Luigi Brugnasco – giurano fedeltà sulla bandiera e sul popolo italiano, dovendo
difendere case, popolo e patria. Chi se la sente deve difendere militarmente le
nostre frontiere, chi non se la sente deve dare le dimissioni”.
In questo contesto
si colloca il blocco del confine di Ventimiglia tra Italia e Francia. E’
l’ennesimo esempio di ipocrisia dell’Occidente. Dell’Europa, così pronta a
versare lacrime e così prodiga di promesse all’indomani di ogni tragedia, salvo
dimenticarsene in pochi giorni. Lo ha fatto anche dopo la strage del 19 aprile
scorso, con quasi 850 morti: impegni solenni, riunioni, accordi per un
programma di accoglienza per quote in tutti i paesi membri dell’Unione,
possibilità di superare il regolamento capestro di Dublino. E, invece, ancora
niente: nessun vero accordo. O, ancora, della Francia, in prima fila a gridare
il “mai più” dopo il 19 aprile e inizialmente tra i più convinti sostenitori,
con il presidente Hollande, di un diverso sistema di accoglienza, della
ripartizione per quote, di uno sforzo comune europeo, per poi fare invece
rapidamente retromarcia, forse impaurita dalla forte deriva di destra e
xenofoba di cui si alimenta il Front National.
E’ tutt’altro che
immune anche l’Italia, che urla contro l’insensibilità dell’Europa e della
Francia ma abbandona a se stessi i profughi, un attimo dopo lo sbarco, con il
segreto intento di favorirne la fuga verso altri paesi dell’Unione. Dei 170
mila registrati nel 2014, quasi 110 mila hanno lasciato la penisola, puntando
soprattutto verso la Germania, la Svezia, l’Olanda, la Svizzera, la Francia stessa. E’ accaduto perfino con i minorenni: dei
14.243 censiti, ne sono spariti ben 3.707. Quest’anno sta avvenendo esattamente
lo stesso. Roma continua a fingere di non sapere che i profughi bloccati dalla
Gendarmerie sono arrivati a Ventimiglia passando tra le larghe maglie dei
controlli italiani. Anzi, una buona parte è stata portata fin lì da strane
organizzazioni che, facendosi pagare un ticket di circa 300 euro, avvicinano e
prelevano indisturbate i profughi nei porti di sbarco o nei centri di
accoglienza. Allo stesso modo sono arrivati molti dei profughi sloggiati nei
giorni scorsi dalla stazione Tiburtina, così a Milano, così in altri posti di
frontiera.
Parigi, chiudendo i
confini, ha dato sicuramente la risposta più sbagliata. Disumana e, oltre
tutto, al di là del rispetto rigido del regolamento di Dublino, priva di
fondamento giuridico. Lo denuncia in termini chiarissimi l’europarlamentare
Barbara Spinelli: “Le autorità francesi hanno attuato un respingimento fisico
sommario, senza notificare alcun provvedimento formale, senza procedere a un
esame individuale delle istanze, né dare possibilità di ricorso ai respinti. Le
forze dell’ordine hanno, letteralmente, fatto muro, ripristinando la frontiera.
Ma l’Unione Europea si è data delle regole – ben più salde e costitutive della
gabbia tracciata dal regolamento di Dublino – ed è a queste regole che occorre
richiamarsi, perché senza di esse è il significato dell’Unione ad essere
colpito. Il governo francese viola sia l’articolo 19 della Carta dei diritti
fondamentali sia la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (protocollo 4,
art. 4), ignorando il divieto di respingimento collettivo”.
E’ un’accusa
pesante, a cui fa eco l’allarme lanciato da Anna Foa: “Il sogno dell’Europa,
dopo essersi incrinato tanto profondamente vent’anni fa a Srebrenica, rischia
di cancellarsi definitivamente oggi sulla frontiera di Ventimiglia”. Quella frontiera
dove, tra linea dura francese e furbizia italiana, continua intanto a
consumarsi la tragedia di centinaia di esuli e migranti, tanto da aver
richiamato l’attenzione anche di papa Francesco. Non è la prima volta che
Bergoglio scende in campo in difesa di questi disperati. Memorabile è rimasta
la sua visita a Lampedusa all’inizio di luglio del 2013, quando ha richiamato i
“potenti della terra” a dare risposte al grido di aiuto che arriva dagli
“ultimi”. Ora è stato ancora più esplicito: “Chiedete perdono – ha esortato
durante l’ultima udienza generale a San Pietro – per le istituzioni e le
persone che chiudono le loro porte a gente che cerca aiuto e cerca di essere
custodita”. Prima di tutto le istituzioni, dunque, perché sono le prime a dover
rispondere della catastrofe che si profila. Ma anche ciascuno degli uomini,
credenti e non. Un monito importante in un momento in cui, se è vero che si
moltiplicano i gesti di solidarietà da parte di tanti nei confronti dei
profughi, sugli scogli di Ponte Ludovico come nel piazzale della stazione
Tiburtina, è altrettanto vero, però, che la maggioranza della gente, stando a
diverse recenti indagini, mostra insofferenza o addirittura ostilità per la
presenza dei migranti e tantissimi chiedono un blocco navale per impedire che
continuino gli sbarchi.
Ma che fare, allora,
se questa è l’opinione più diffusa? Forse il primo passo è cercare di vincere
l’indifferenza egoista che finisce per giustificare ed anzi sollecita la
“chiusura” della Fortezza Europa. Lo ha detto chiaramente Piero Terracina, uno
dei pochissimi ebrei italiani superstiti di Auschwitz, in un recente incontro
al Senato, sottolineando l’analogia tra “la colpevole indifferenza della
comunità internazionale” che ha accompagnato la persecuzione antisemita
culminata nei forni dell’Olocausto, con la “colpevole indifferenza di oggi”. E’
una battaglia difficile. Ma è l’unico modo per dare una risposta alla domanda
urlata dai profughi allontanati con la forza dalla frontiera di Ventimiglia.
Nella consapevolezza che lasciare questa domanda in sospeso sarebbe un colpo
durissimo al nostro stesso modo di “stare insieme”. Alla cultura europea basata
su libertà, uguaglianza e solidarietà. Una sconfitta dell’uomo. Come lo sono
stati le due guerre mondiali, il razzismo e gli olocausti del ‘900, la Shoah.
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