di Emilio Drudi
Ci sono ancora un
centinaio abbondante di profughi accampati a Ventimiglia sulla scogliera di
Ponte Ludovico. Sospesi tra quello stesso mare che hanno attraversato come
ultima fase della lunga, pericolosissima fuga dall’Africa e la terra europea
che speravano li avrebbe accolti da fratelli bisognosi di aiuto. Giurano che
non se ne andranno da lì finché la frontiera con la Francia non verrà aperta o
comunque fino a quando non troveranno il modo di passarla. Sono i più sfortunati
dei richiedenti asilo giunti in Italia, quelli rimasti senza soldi o che ne
hanno ancora così pochi da dover centellinare ogni euro per poter proseguire il
viaggio. Per gli altri, quelli che sono riusciti a conservare un po’ di denaro,
ci sono altre vie. Non tanto denaro: bastano anche mille euro o non molto di
più. Per questi, superare la frontiera verso un paese del Nord Europa non è un
grosso problema: c’è tutta una rete di “scafisti di terra” che in auto, in
cambio di un ticket abbordabile, sono disposti a raggiungere qualsiasi città
europea.
Il punto di partenza
è Ventimiglia. Molti migranti lo sanno: il passa parola corre veloce. Coloro
che hanno abbastanza euro non si affacciano nemmeno al posto di confine. Si
fermano nei giardinetti vicini alla stazione o magari si fanno vedere in
qualcuno dei bar della zona. Non serve altro. Sono gli “scafisti” stessi a
contattarli entro breve tempo e a offrire il passaggio. Si tratta, in genere,
di maghrebini francesi, che si muovono al di là e al di qua del confine. Una
sorta di tassisti frontalieri. Il costo del viaggio varia da 50 a 100 euro a
testa. Difficoltà con la polizia finora non ce ne sono state: la targa francese
dell’auto e la cittadinanza, pure francese, del “driver”, diventano una
garanzia che fa superare i controlli ai valichi stradali.
Il terminal è Nizza.
Ma è solo la prima tappa. Da Nizza, chi vuole può raggiungere qualsiasi città
della Francia. Con un’altra auto e un altro “tassista”. Pagando, naturalmente.
In questo caso la tariffa è più alta. Varia a seconda del numero dei “clienti”:
si parte da una base di 100/150 euro se si è in più persone, tanto da riempire
una macchina o, meglio ancora, un furgoncino; cresce fino a 4/500 euro se
l’auto viaggia semivuota. Quasi tutti chiedono di arrivare a Parigi: vengono
portati, in genere, alla Gare du Nord, situata in un quartiere, il decimo
arrondissement, dove la presenza degli africani è così massiccia che i nuovi
arrivati possono facilmente passare inosservati. Pochissimi però si fermano
nella Capitale. Anche questa è solo una tappa: i più vogliono proseguire. E la
rete clandestina degli “scafisti di terra” è pronta a offrire il servizio.
Basta pagare. Qualcuno punta su Calais, per poi tentare un imbarco per
l’Inghilterra. I più vogliono arrivare in altri paesi europei: le richieste più
frequenti sono per l’Olanda, la Germania ma perfino per la Svezia. Il costo,
ovviamente, varia in base alla destinazione e a eventuali altri cambi di
macchina e di driver lungo la strada. Ad esempio, in Olanda o in Germania.
“Dal punto di vista
organizzativo – spiega Amr Adem, un giornalista eritreo già dipendente del
ministero dell’informazione ed ora esule in Italia, che
segue da tempo la vicenda dei profughi – la rete è molto efficiente. La
gestiscono immigrati di seconda o terza generazione, con cittadinanza europea.
Uomini nati e cresciuti in Europa, che conoscono alla perfezione i percorsi più
convenienti e sicuri. Il pagamento è sempre in contanti, per non lasciare
tracce. Ma il viaggio è rapido: in tre o quattro giorni si arriva dalla Francia
alla Svezia”.
Hanno seguito questo
percorso anche otto eritrei che fino a tre settimane fa erano alla stazione
Tiburtina. Un gruppetto di giovanissimi, età variabile tra i 13 e i 18 anni,
estremamente compatto e affiatato: ragazzini amici da sempre, cresciuti insieme
nello stesso quartiere di Asmara e che insieme hanno deciso di fuggire e
affrontato poi la lunga odissea dall’Eritrea all’Italia, attraverso il Sudan,
la Libia e il Mediterraneo. Sbarcati in Sicilia e arrivati a Roma in pullman,
con il ticket venduto da una delle organizzazioni che avvicinano i profughi
direttamente nei porti, si sono fermati alcuni giorni per organizzarsi. Il 12
giugno sono ripartiti in treno, quattro dalla stazione Termini, quattro dalla
Tiburtina, su un altro convoglio. I primi si sono fermati a Ventimiglia e nel
giro di poche ore hanno trovato un “driver” francese di origine algerina, che
ha fatto loro passare il confine, portandoli fino a Nizza. Quelli del secondo
quartetto hanno attraversato la frontiera prendendo a Ventimiglia un treno
diretto in Francia, ma alla stazione di Nizza sono stati intercettati da agenti
della Gendarmerie, che li hanno riportati in Italia, scortandoli sino al posto
di confine. Non si sono arresi. La notte successiva hanno deciso di tentare a
piedi, camminando lungo i binari, fino a ritornare a Nizza. Nel buio, nessuno
li ha visti. E a Nizza si sono ritrovati con i quattro amici arrivati in
macchina. Insieme si sono rivolti allora alla rete di “scafisti” e, questa
volta in auto, si sono fatti portare in Olanda. Quattro, tra cui i due più
giovani, di 13 e 14 anni, si sono fermati qui: nei Paesi Bassi hanno parenti e
amici che sono disposti ad accoglierli e ad aiutarli. Gli altri, dopo un paio
di giorni, hanno proseguito il viaggio: un’altra auto per puntare sulla Svezia,
dove sono arrivati senza ostacoli ed hanno già chiesto asilo. Per loro fortuna,
sono riusciti ad eludere le condizioni capestro del regolamento di Dublino,
perché in Italia non sono mai stati identificati né tantomeno registrati.
“E’ una storia emblematica – commenta don Mosè
Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia – di come non ci siano barriere in
grado di arrestare il flusso dei profughi. La disperazione e la determinazione
sono tali che nulla può fermare questa umanità sofferente. Gli otto ragazzi passati
da Roma sono giovanissimi: hanno diviso tutto fin dall’infanzia e insieme hanno
affrontato i rischi della fuga dall’Eritrea, aiutandosi a vicenda, fino a
raggiungere la meta che si erano prefissi, per costruirsi una nuova vita, libera
e dignitosa. Solo a quel punto si sono divisi. Questa stessa volontà accomuna
le migliaia di profughi che continuano ad arrivare. L’unica maniera per
interrompere questo esodo è risolvere le situazioni di crisi che costringono
milioni di donne e uomini a scappare dall’Africa e dal Medio Oriente,
lasciandosi alle spalle guerre, dittature, persecuzioni, terrorismo, fame e
disastri ambientali. E’ un compito che spetta alla politica europea e, più in
generale, di tutto il Nord del mondo. Sono sempre più che mai attuali le parole
pronunciate da papa Francesco il quattro luglio del 2013 a Lampedusa,
l’avamposto dell’Europa nel Mediterraneo, scelta non a caso come meta del suo
primo viaggio pastorale, per dire ai ‘potenti della terra’ di ascoltare
finalmente il grido di aiuto che sale dagli ultimi…”.
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