giovedì 26 luglio 2012

'Hotel Africa', 800 rifugiati ammassati


Cronaca

'Hotel Africa', 800 rifugiati ammassati
di Teresa Carbone
ROMA - Detenuti senza sbarre. Si sentono così gli 800 rifugiati politici che vivono in un palazzo alle porte di Roma, un tempo sede della facoltà di Lettere dell'Università di Tor Vergata.
A giugno, quando nella capitale si facevano i conti con l'ondata di calore battezzata Scipione, ai rifugiati è stata staccata l'acqua. Nell'Hotel Africa, come è conosciuto questo palazzo tra i rifugiati, è una cosa che capita spesso e allora le condizioni di vita diventano ancora più difficili: ci si deve alzare di notte per fare una doccia, si esce all'alba per cercare lavoro o da mangiare.
Gli abitanti di questo palazzo vengono soprattutto dal Corno d'Africa, scappano dalle guerre; molti sono superstiti del conflitto in Darfur, come Bahar Abdalla, commerciante prima della fuga, o Sherif Abdala Ibrahim, che in quella regione ha lasciato la moglie e la madre. In tutto l'edificio, nonostante alcune episodiche tensioni, c'è un ordine dettato dai membri del comitato locale, otto rappresentanti dei quattro Paesi (Eritrea, Etiopia, Sudan e Somalia) più presenti. E' con loro che si sono tenute due riunioni prima di riuscire a ricevere il permesso per entrare con una telecamera e documentarne la miseria.
Una volta prese le scale, buie, la puzza è ovunque, permea i corridoi con i vetri delle finestre rotti e le stanze senza porte dove ci sono brandine sistemate alla meglio, ma qualcuno non resiste e dorme in una terrazza. C'è un solo bagno al secondo piano, i vani per la doccia sono coperti da stracci, penzola una lampadina, se ne servono in centinaia. I rifugiati hanno aperto le porte al Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, che ha chiesto all'Italia di porre fine a questa situazione vergognosa.
"In Africa c'è la guerra - dice Bahar Abdalla - qui c'è una guerra fredda". La loro battaglia è quella per il ricongiungimento familiare, concesso a chi ha lo status di rifugiato politico ma difficile da ottenere in realtà, o per l'equiparazione dei titoli di studio. Difficile anche ottenere la residenza anche per coloro che vivono in Italia da anni: su questo fronte (ma non solo) è attiva l'unica onlus che si prende cura dei rifugiati dell'Hotel Africa, l'Associazione Cittadini del Mondo, dove lavora Donatella D'Angelo, medico specializzato in immunologia che ogni giovedì fa visite gratis. "Sette anni fa, quando è stato occupato il palazzo - dice D'Angelo - venivamo per le visite mediche, ora oltre a consulenze mi chiedono di tutto perché queste persone non hanno nulla. Abbiamo bisogno di volontari. Stiamo lottando per fare avere la residenza a questi giovani".
Tra gli 800 rifugiati c'è chi avrebbe bisogno di cure psichiatriche, come un ragazzo che vaga nel palazzo con lo sguardo perso nel vuoto: è scappato, come molti, dalla guerra e in tanti indossavano una divisa. C'é ancora chi coltiva la speranza, come Muna Awil, 24 anni, somala che sogna di diventare attrice e ha fatto anche provini come figurante, ma "non c'é spazio per me né nel mondo dello spettacolo, né in quello reale". L'associazione onlus ha messo in piedi da tre anni una biblioteca interculturale in una scuola nel quartiere del Quadraro, per ora hanno 4000 mila libri ma ne servono altri, perché "queste persone - aggiunge Paolo Guerra, responsabile della biblioteca - non possono neanche leggere una favola ai loro figli".

sabato 21 luglio 2012

SOS Libia: Sparatoria contro profughi in Libia

Oggi la polizia Libica, nel carcere di Sibrata Mentega Delila (Tripoli), non ha esitato a sparare con proietili, contro profughi affamati che chiedevano cibo, un ragazzo di 18 anni colpito gravemente all'adome ora ricoverato in ospedale, e stato presentato in ospedale come un mercenario di Ghedaffi, invece era solo un giovane richiedente asilo politico Eritreo. Un altro di 19 anni colpito sulla orecchio con una sbarra di ferro, tutto questo perché i richiedenti asilo hanno chiesto cibo e acqua, giá da due giorni non viene dato loro. questa mattina sono state maltratate anche le donne in stato di gravidanza, tidandole addosso delle sedie di ferro, in risposta alle loro urla, quando hanno visto il sangue del giovane colpito da proietile e l'altro che sangunava dalle orecchie colpito dalla sabrar di ferro dai polizioti. Questo gruppo di 350 persone di cui 50 donne, 6 delle quali in stato di gravidanza, una di loro deve partorire tra due settimane circa, ci sono 2 bambini di cui uno di 1 anno e mezzo bisognoso di cure mediche, tutti si trovano nel carcere di Sibrata Mentega Delila (Tripoli). Queste persone sono vittime di militari che abusano del potere che hanno per costringerli a fare digiuno di un mese anche quando non sono di fede islamica, chi si rifiuta viene pichiato brutalmente, come successo oggi.
La libertá religiosa di queste persone viene violata, la dignitá di queste persone calpestata, le autoritá libiche devono fermare queste violenze e tortura quotidiana a cui sono sottoposti questi profughi.

Facciamo appello alle autorità italiane, in virtù dei loro accordi bilaterali con le autorità libiche, chiedano alle autorità libiche di fermare ogni abuso e violenza a danno dei profughi eritrei, per non mettere in pericolo la vita di queste persone, questi richiedenti asilo siano presi in  consegna immediatamente dell'UNHCR di Tripoli. Chiediamo il rispetto della liberta religiosa, di fermare ogni forma di torturra a danno dei richiedenti asilo.
 
Don Mussie Zerai

SOS Libya: Firefight against refugees in Libya


Today, the Libyan police, in prison Sibrata Mentega Delila (Tripoli), did not hesitate to shoot with proietili against starving refugees who demanded food, a boy of 18 severely affected all'adome now recovering in hospital, and was presented to the hospital Ghedaffi as a mercenary, but it was only a young Eritrean asylum seeker. Another 19-year hit on the ear with an iron bar, all because asylum seekers have sought food and water for two days is not already given them. maltratate this morning were also women who are pregnant, tidandole upon the chairs of iron, in response to their cries, when they saw the blood of the young man hit by bullet by and nothing but impressed by sabrar sangunava ears of iron from polizioti. This group of 350 people including 50 women, 6 of which are pregnant, one of them has to give birth in two weeks or so, there are 2 children in a 1-year and a half in need of medical care, all are in prison Sibrata Mentega of Delila (Tripoli). These people are victims of military abuse of power they have to force them to do a month of fasting when they are not of Islamic faith, those who refuse pichiato is brutally, as happened today.

The religious freedom of these people is violated, trampled on the dignity of these people, the Libyan authorities must stop this violence and torture they are subjected daily to these refugees.

We appeal to the Italian authorities, under their bilateral agreements with the Libyan authorities, ask the Libyan authorities to stop any abuse and violence against Eritrean refugees, not to endanger the lives of these people, these asylum seekers are taken into UNHCR immediately surrender of Tripoli. We demand respect for religious freedom, to stop all forms of torture against asylum seekers.
Fr. Mussie Zerai

sabato 7 luglio 2012

Sicily Channel: 76 rejected refugees at sea and delivered to the Libyan prisons as in the days of Gaddafi




Emilio Drudi

 They were stuck in the Channel of Sicily, in international waters, while attempting to reach Italy on an old fishing boat. They were in 76, almost all young and all Eritrean asylum seekers, with numerous women and children. The youngest just two years. To intercept them - emphasizes the agency Habeshia assistance, citing the story of those desperate people - were "vessels flying the flag room, the Libyan and Italian." A patrol boat came alongside, cutting off their route. There was no escape: that cart full of humanity in search of safety and understanding was forced to tack and sail, escorted to an oil rig in the Libyan waters, where the entire group of migrants was taken over by the border police, which led to the port of Tripoli. No time to land and the military have all moved to a detention center still under construction Sibrata Mentega Delila, a town in the suburbs of Tripoli. On them, now under threat of being returned to the country of origin. For many it is the equivalent of a heavy sentence of imprisonment or even years to be shot: fled Eritrea to avoid having to go to war in the army of the dictator Isaias Afewerki, are considered not only guilty of illegal emigration or desertion but, worse, betrayal.

It 'happened on June 29. The complaint of Fr. Mussie Zerai, president of Habeshia, is circumstantial. The 76 refugees also reported the data of the patrol that stopped them on the high seas: it is called Napolyo 25. They, the 76 prisoners, have no doubt: they are convinced that they were intercepted by a joint Italian-Libyan patrols. Lead us to believe those two flags, the Libyan and Italian, who waved on vessels cross: a detail of which say they are ready to swear.

"The most urgent problem for these desperate - Fr. Zerai notes - is to avoid being deported to the country they fled. And 'this is the first and most urgent request that they communicated by phone. We as Habeshia, we pay them all our voices to proclaim to the world and in the Mediterranean and Libya are still violated the rights of asylum seekers. "

The confirmation of how it is ignored or stifled the cry for help of the refugees and, more generally, the hell that you live in prisons and detention centers in Libya, is also a series of testimonials, gathered by telephone and disclosed by the Integra Foundation / Action, were published online recently by the Republic. How to Debesay, a young Eritrean arrested in Benghazi and, along with other young people looking for a ferry to Italy, where his mother has taken refuge. "Here in prison - he said - we are desperate, frustrated. We tried to go out in all ways, but we could not even paying the guards. Escape is not possible, try to escape if you get punished, beaten on the soles of the feet, excruciating pain. In a cell of 30 square feet are crammed in more than 60, we sleep on the floor, there are only dirty mattresses, cots or mats on the floor. The food, in most cases, only dry bread and water. If you are sick there are doctors and medicine: your destiny is abandonment and death ... I do not know what to think, hope is fading. "

Equally dramatic testimony of Mogos, a seventeen year old native of Asmara, escaped from an Eritrean army training camp and now detained in Gianfuda: "We traveled for 12 days in the desert. Were 50 of us piled into a truck. Near the sea to Tripoli, when it seemed done, the Libyan soldiers took me along to the boys who were with me. The hardest thing is not to see the future, a way out of this endless journey. The few that do come out of prison to work. " Some detainees - explains the Integra Foundation / Action - are bought by wealthy Libyans as a labor force at no cost to their businesses or farms. It's better than jail time, but this "luck" is reserved only to those who have a passport, immediately seized on recruiting in order to avoid any temptation to flee. "We Eritreans did not have a passport and so can not go out even as slave laborers - says Mogos - For us there is no solution. No future. At 17, I'm stuck here in hell. " Anwar is an Ethiopian Oromo, the southern region of the country where it is very strong opposition to the regime of President Meles Zenawi: "I came out of prison Gianfuda for almost a month, bought me a Libyan who needed labor . Then, paying, I was able to continue their journey to the sea ... I was the first prisoner in Kufra and then Gianfuda. It 'was terrible beating us regularly and on time every night, we had no food, no medicines or doctors. In Libya there are no rights, no government ".

Similar stories have been told by many others. As Aroon and Meron, Eritrean, or Salua, Somalia. Desperate cries from hell. But Italy has decided to renew with Libya friendship treaty signed at the time by Gaddafi and Berlusconi. Without even asking the question to expect before, at least, by the revolutionary government, ensuring respect for human rights. Indeed, as repeatedly denounced by Amnesty International, to counter illegal migration, were also repeated rejections indiscriminate sea. This chapter has been signed on April 3 by the Italian Interior Minister Maria Cancellieri and the Libyan Fawzi Al Taher Abdulali. The full text is not known, but according to rumors in the press, seem full of doubt. As the point for the construction of "a health center in Kufra to ensure health services of first aid for illegal immigration." In Kufra, in fact, thousands of migrants arriving from across the region sub-Saharan Africa and the Horn of Africa. "But - Amnesty denounces - has never been a health center, nor a shelter: it is a harsh and inhumane detention center. And the so-called centers of which calls for the restoration, asking the cooperation of the European Commission, have also worked as detention centers, real places of torture. This, in the current situation means that Italy offers partnership to put at risk the lives of people who are in Libya. "

One wonders if it hide the same mistake and the same risk projects such as the "Marine training center" or "training program for police." These are euphemisms for the people back in the sea? The foreign ministers Giulio Terzi and cooperation Andrea Riccardi have excluded. But the complaint came from Habeshia hours for each of the 76 Eritrean asylum-seekers returned to power in Tripoli, seems to confirm that in fact nothing has changed since the days of Gaddafi also in the techniques of "patrol" the Channel of Sicily.

The point is, probably, that he went to renew an "agreement in the dark" with a country that has never signed the Geneva Convention of 1951 on the status of political refugee, so do not make any distinction between asylum seekers and migrants. No matter if you arrive by the thousands of Eritreans, Ethiopians, Somalis, Sudanese fleeing war and persecution. "In Libya, the situation of migrants - Amnesty denounces - is worse now than under the regime." But the government does not seem to have noticed Mountains.

Canale di Sicilia: 76 profughi respinti in mare e consegnati alle carceri libiche come ai tempi di Gheddafi


di Emilio Drudi
 Li hanno bloccati nel Canale di Sicilia, in acque internazionali, mentre tentavano di raggiungere l’Italia su un vecchio barcone da pesca. Erano in 76, quasi tutti giovani eritrei e tutti richiedenti asilo, con numerose donne e bambini. Il più piccolo di due anni appena. Ad intercettarli – rileva l’agenzia di assistenza Habeshia, citando il racconto di quei disperati – sono stati “mezzi navali battenti doppia bandiera, quella libica e quella italiana”. Una motovedetta ha accostato, tagliando loro la rotta. Non c’è stato scampo: quella carretta carica di umanità in cerca di scampo e di comprensione è stata costretta a virare di bordo e a navigare, scortata, fino a una piattaforma petrolifera all’interno delle acque libiche, dove l’intero gruppo di migranti è stato preso in consegna dalla polizia di frontiera, che lo ha condotto nel porto di Tripoli. Neanche il tempo di sbarcare e i militari hanno trasferito tutti in un centro di detenzione ancora in fase di costruzione, a Sibrata Mentega Delila, una località nei sobborghi di Tripoli. Su di loro, adesso, grava la minaccia di essere riconsegnati al paese d’origine. Per molti è l’equivalente di una condanna a pesanti anni di carcere o persino alla fucilazione: fuggiti dall’Eritrea per non dover fare la guerra nell’esercito del dittatore Isaias Afewerki, sono considerati colpevoli non solo di emigrazione clandestina ma di diserzione o, peggio ancora, di tradimento.
E’ accaduto il 29 giugno. La denuncia di don Mussie Zerai, presidente di Habeshia, è circostanziata. I 76 profughi gli hanno comunicato anche i dati della motovedetta che li ha bloccati in alto mare: si chiama Napolyo 25. Loro, i 76 prigionieri, non hanno dubbi: sono convinti di essere stati intercettati da un pattugliamento congiunto italo-libico. Inducono a crederlo quelle due bandiere, libica e italiana, che sventolavano sui mezzi navali incrociati: un particolare su cui si dicono pronti a giurare.
“Il problema più urgente per questi disperati – rileva don Zerai – è quello di evitare la deportazione nel paese da cui sono fuggiti. E’ questa la prima e più pressante richiesta che hanno comunicato per telefono. Noi, come Habeshia, prestiamo a tutti loro la nostra voce per gridare al mondo che nel Mediterraneo e in Libia sono tutt’oggi violati i diritti dei richiedenti asilo”.
La conferma di come sia ignorato o soffocato l’urlo di aiuto dei profughi e, più in generale, l’inferno che si vive nelle carceri e nei centri di detenzione in Libia, viene anche da una serie di testimonianze che, raccolte per telefono e rese note dalla Fondazione Integra/Azione, sono state pubblicate di recente dalla Repubblica online. Come quella di Debesay, un ragazzo eritreo arrestato a Bengasi mentre, insieme ad altri giovani, cercava un imbarco per l’Italia, dove è rifugiata sua madre. “Qui in carcere – ha raccontato – siamo disperati, frustrati. Abbiamo provato a uscire in tutti i modi, ma non ci siamo riusciti nemmeno pagando le guardie. Scappare non è possibile, se provi a evadere vieni punito, picchiato sotto le piante dei piedi, un dolore atroce. In una cella di 30 metri quadrati siamo accalcati in più di 60, dormiamo per terra, non ci sono brande ma solo materassi sporchi o stuoie sul pavimento. Il mangiare, il più delle volte, è solo pane secco e acqua. Se stai male non ci sono medici e medicine: il tuo destino è l’abbandono e la morte… Non so che pensare, la speranza sta svanendo”.
Altrettanto drammatica la testimonianza di Mogos, un diciassettenne originario di Asmara, fuggito da un campo di addestramento dell’esercito eritreo ed ora detenuto nel carcere di Gianfuda: “Abbiamo viaggiato per 12 giorni nel deserto. Eravamo in 50 ammassati su un camion. Vicino al mare, verso Tripoli, quando sembrava fatta, i militari libici mi hanno preso insieme ai ragazzi che erano con me. La cosa più dura è non vedere il futuro, un’uscita da questo viaggio infinito. I pochi che escono dalle prigioni lo fanno per lavorare”. Alcuni detenuti – spiega infatti la Fondazione Integra/Azione – vengono comprati da ricchi libici come forza lavoro a costo zero per le proprie aziende o fattorie. Sempre meglio che il carcere, ma questa “fortuna” è riservata soltanto a chi ha il passaporto, subito sequestrato al momento dell’ingaggio per scongiurare qualsiasi tentazione di fuga. “Noi eritrei il passaporto non l’abbiamo e così non possiamo uscire neanche come lavoratori schiavi – dice Mogos – Per noi non c’è soluzione. Nessun futuro. A 17 anni sono bloccato qui all’inferno”. Anwar è un etiope di etnia oromo, la regione del sud del paese dove è molto forte l’opposizione al regime del presidente Meles Zenawi: “Sono uscito dalla prigione di Gianfuda da quasi un mese, mi ha riscattato un libico che aveva bisogno di manodopera. Poi, pagando, sono riuscito a continuare il viaggio verso il mare… Sono stato prigioniero prima a Kufra e poi a Gianfuda. E’ stato terribile: ci picchiavano regolarmente e puntualmente ogni sera, non avevamo cibo, non c’erano medicine né dottori. In Libia non ci sono diritti, non c’è governo”.
Storie analoghe sono state raccontate da tanti altri. Come Aroon e Meron, eritrei, o Salua, somala. Urla disperate dall’inferno. Ma l’Italia ha ritenuto di rinnovare con la Libia il trattato di amicizia firmato a suo tempo da Gheddafi e Berlusconi. Senza porsi neanche il problema di pretendere prima, almeno, dal governo rivoluzionario, la garanzia del rispetto dei diritti umani. Anzi, secondo quanto denunciato più volte da Amnesty International, per il contrasto dell’emigrazione clandestina, sono stati ribaditi anche i respingimenti indiscriminati in mare. Questo capitolo è stato sottoscritto il 3 aprile dal ministro italiano dell’interno Maria Cancellieri e da quello libico Fawzi Al Taher Abdulali. Il testo integrale non è noto ma, stando alle indiscrezioni pubblicate dalla stampa, sembra pieno di equivoci. Come il punto relativo alla costruzione di “un centro sanitario a Kufra per garantire i servizi sanitari di primo soccorso a favore dell’immigrazione illegale”. A Kufra, in effetti, arrivano migliaia di migranti da tutta la regione sub sahariana e dal Corno d’Africa. “Ma – denuncia Amnesty – non è mai stato un centro sanitario, né tantomeno un centro di accoglienza: è un centro di detenzione durissimo e disumano. E i cosiddetti centri di accoglienza di cui si sollecita il ripristino, chiedendo la collaborazione della Commissione Europea, hanno a loro volta funzionato come centri di detenzione, veri e propri luoghi di tortura. Ciò, nella situazione attuale, significa che l’Italia offre collaborazione a mettere a rischio la vita delle persone che si trovano in Libia”.
C’è da chiedersi se non nascondano lo stesso equivoco e lo stesso rischio progetti come il “centro di addestramento nautico” o il “programma di addestramento delle forze di polizia”. Si tratta di eufemismi per i respingimenti in mare? I ministri degli esteri Giulio Terzi e della cooperazione Andrea Riccardi lo hanno escluso. Ma la denuncia arrivata ora da Habeshia per la vicenda dei 76 richiedenti asilo eritrei rispediti di forza a Tripoli, sembra confermare che in realtà non è cambiato nulla dai tempi di Gheddafi anche nelle tecniche di “pattugliamento” del Canale di Sicilia.
Il punto è, probabilmente, che si è andati a rinnovare un “accordo al buio” con un paese che non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato politico, sicché non si fa alcuna distinzione tra richiedenti asilo e migranti. Poco importa se arrivano a migliaia eritrei, etiopi, somali, sudanesi che fuggono da guerra e persecuzioni. “In Libia la situazione dei migranti – denuncia Amnesty – oggi è peggiore che sotto il regime”. Ma il governo Monti non sembra essersene accorto.

mercoledì 4 luglio 2012

SOS Rischio deportazioni 76 Eritrei dalla Libia


Un gruppo di 76 persone che sono stati intercettai da mezzi navali battenti doppia bandiera  quella Italiana e Libica, l'imbarcazione che intercettato queste persone ha un nome Napoleone. I profughi quasi tutti Eritrei sono certi di essere stati intercettati da un pattugliamento congiunto italia e libia. Una volta prese le persone sono state  riaccompagnate nelle acque libiche preso una piatta forma petrolifera la consegnati ai militari libici che hanno riportato il gruppo in Libia, nel porto di Tripoli, poi trasferiti in un nuovo centro di detenzione ancora in fase di costruzione, minacciati dai militari che saranno deportati verso il paese di origine.
Questi 76 persone sono tutti richiedenti asilo, nel gruppo ci sono donne e bambini il più piccolo di due anni.
Chiedono aiuto per scongiurare la deportazione verso il paese di origine, noi prestiamo la nostra voce a loro per gridare al mondo le violazioni dei diritti dei richiedenti asilo in corso nel Mediterraneo e in Libia.
Con la testimonianza di questi profughi si comprende che in atto il respingimenti di massa in alto mare senza che nessuno verifichi le reali situazioni e condizioni di chi avrebbe il diritto di asilo. 
Facciamo appello alle autorità italiane, in virtù dei loro accordi bilaterali con le autorità libiche, chiedano alle autorità libiche di fermare ogni intenzione di deportazione dei profughi eritrei, per non mettere in pericolo la vita di queste persone, questi richiedenti asilo che vengano consegnate immediatamente nelle mani dell'UNHCR di Tripoli. 

Don Mussie Zerai
Tel. +39.3384424202
Tel. +41(0)765328448

SOS Risk 76 Eritreans deported from Libya


A group of 76 people were intercepted by vessels flying the double flag of the Italian and Libyan. The boat that was sent back, is called Napolyo 25, the date of the rejection is 29.06.12, the place where they are held is called, Sibrata Mentega Delila (Tripoli). The Eritrean refugees almost all are certain to have been intercepted by a joint patrolling Italy and Libya. Once the list of people have been transported back in Libyan waters took a flat-shaped oil delivered to the Libyan soldiers who have taken the unit in Libya, in the port of Tripoli, then transferred to a new detention center still under construction, threatened by soldiers who will be deported to the country of origin.
These 76 people are all asylum seekers in the group are women and children, the youngest of two years.
Asking for help to stave off deportation to the country of origin, we lend our voice to cry out to them for violations of the rights of asylum seekers currently in the Mediterranean and Libya.
With the testimony of these refugees are in place that includes the mass expulsions of the high seas without anyone verify the actual situation and conditions of those who would have the right to asylum.
We appeal to the Italian authorities, under their bilateral agreements with the Libyan authorities, ask the Libyan authorities to stop any intention to deportation of Eritrean refugees, not to endanger the lives of these people, these asylum seekers to be sent immediately in UNHCR hands of Tripoli.
Fr. Mussie Zerai

Tel. +39.3384424202
Tel. +41(0)765328448