venerdì 28 dicembre 2007
Romanina: Rifugiati politici rischio sgombero
IMMIGRAZIONE 16.2409/07/2007
Sull'orlo dello sgombero i 500 africani della Romanina: ultimatum ai rifugiati
Rimandato lo sgombero dei rifugiati e titolari di permessi di soggiorno umanitario, eritrei, sudanesi, etiopi e somali, che dal febbraio 2006 risiedono nella vecchia sede dell’università Tor Vergata. ''Da domani occupazione illegale''
ROMA - Romanina: ultimatum ai rifugiati. Rimandato di ventiquattrore lo sgombero dei circa 500 tra rifugiati politici, e titolari di permessi di soggiorno umanitario, eritrei, sudanesi, etiopi e somali, che dal febbraio 2006 risiedono nella vecchia sede dell'università Tor Vergata, a Romanina. Il contratto di locazione tra il Comune di Roma e la proprietà, Enasarco, è scaduto il 30 giugno 2007. Il Gabinetto del sindaco aveva proposto miniappartamenti per le 45 famiglie e gli altrettanti bambini, e un centro d"accoglienza con camere da 4 posti per i single. Ma i rifugiati reclamano il diritto alla casa e rifiutano trasferimenti in centri di accoglienza. "Da domani è occupazione illegale”, dice il vice-capo di Gabinetto del sindaco, Luca Odevaine, mentre la carovana di autobotti dei pompieri e furgoni della polizia si allontana da via Arrigo Cavaglieri 6/8. E adesso la proprietà potrebbe chiedere lo sgombero forzato.
Lo stabile era stato occupato nel dicembre del 2005, con il supporto di Action. Dopo un primo sgombero, la trattativa del Comune di Roma con la proprietà, Enasarco (Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) portò alla firma di un contratto di locazione il 28 febbraio 2006. Il Comune ha pagato l’affitto fino al 30 giugno 2007. Il tempo necessario per trovare le tre strutture che oggi propone ai 360 residenti censiti. Sì, perché almeno un centinaio, arrivati in un secondo momento, non sono stati registrati e quindi rimangono fuori dalla trattativa. Il Comune, come concordato con un comitato di rappresentanti eletti dai residenti dello stabile, propone tre strutture, nel V e VIII municipio. Una per i nuclei familiari in mini appartamenti. E due per i singoli, la maggioranza, in stanze con massimo 4 letti, uso cucina e servizi in comune, sotto gestione di una cooperativa sociale. Ma i rifugiati non ci stanno.
“Siamo fuggiti dalla guerra, abbiamo attraversato il deserto e il mare per trovare protezione in Italia e dopo anni di precarietà sapete proporci soltanto un centro d’accoglienza! Vogliamo una casa, vogliamo la nostra autonomia. Chiediamo solo che sia rispettato il diritto d’asilo”, dice uno dei circa cento ragazzi in piedi davanti all’entrata dello stabile. Odevaine replica: “Piena libertà di circolazione senza vincoli di orari e massima disponibilità per una co-gestione della struttura”. Ma dai rifugiati arriva un secco no. A niente serve la proposta di inviare una delegazione di quattro rappresentanti per visitare i centri proposti, di cui è tenuto segreto l’indirizzo e di cui non sono state mostrate che delle fotografie ai rappresentanti del comitato. “Siamo stanchi di essere sbattuti da un centro all’altro - dichiara Abraham, eritreo -. Sono quattro anni che vivo tra strada e centri occupati”. Abraham era all’Hotel Africa, alla stazione dei treni Tiburtina fino allo sgombero dell’agosto 2004. E come lui molti altri. Segno che il problema accoglienza dei rifugiati, nella città capitale dell’emergenza abitativa, continua ad essere rimandato.
La palla adesso è lasciata nella metà campo della proprietà. “Da domani – recita il comunicato inviato dal Gabinetto del sindaco ai cittadini di Via Cavaglieri 6/8 e alla Prefettura di Roma -, la permanenza nel palazzo verrà considerata a tutti gli effetti una occupazione abusiva”. Da domani insomma, Enasarco ha carta bianca per richiedere l’intervento delle forze dell’ordine per uno sgombero forzato. (gdg)
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giovedì 27 dicembre 2007
Intervista 18 Dicembre 2007
L’Europa costruisce muri, e l’Italia è la prima a mettere mattoni
A cura di Marzia Coronati • 18 December 2007
Mussie Zerai, eritreo che vive a Roma da più di 15 anni, è il responsabile dell’ong Habesha, un’associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani. Dal viaggio alla casa al lavoro ai documenti, Mussie racconta le difficoltà di una persona che arriva in Italia dall’Africa.
Fortress Europe
Errances africaines. Aux avampostes du continent
Realizzato nel febbraio 2004 da Reda Benjelloun e messo in onda dal canale televisivo marocchino 2M - nella trasmissione Grand Angle - documenta le rotte di migranti e rifugiati sub-sahariani attraverso il Marocco verso le due enclave spagnole di Ceuta e Melilla. La vita nella foresta, sulle montagne di Gourougou e Bel Younech, le attività delle ong locali, le deportazioni alla frontiera algerina, a Oujda, e le violenze della polizia lungo l'alambrada. Duranta 62 minuti. Imperdibile
mercoledì 19 dicembre 2007
Approvazione moratoria contro la pena di morte
Comunicato stampa
E' stata approvata ieri a New York dall'assemblea dell'ONU la moratoria non vincolante contro la pena capitale nel mondo, questo è l'ennesimo successo che portrerà speriamo presto verso l'abolizione definitiva da tutto il mondo della pena di morte.
I dati sono chiari il mondo è sempre più vicino alla cancellazione di tale barbarie; i Paesi che dicono "sì" a tale moratoria sono ben 104 (più del previsto) e di tutti i continenti, la pena di morte é applicata in un numero sempre minore di Stati; tra questi troviamo dei baluardi, purtroppo ben influenti, come USA e Cina.
Ci rallegriamo e ci congratuliamo con chi ha lavorato e lavora con impegno per tale risultato, e ci auguriamo che tale risoluzione, anche se non vincolante, faccia riflettere e interrogare coloro che ancora amministrano la giustizia con la morte.
Agenzia Habeshia
per la Cooperazione allo Sviluppo
Intervista
A cura di Marzia Coronati • 18 December 2007
Mussie Zerai, eritreo che vive a Roma da più di 15 anni, è il responsabile dell’ong Habesha, un’associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani. Dal viaggio alla casa al lavoro ai documenti, Mussie racconta le difficoltà di una persona che arriva in Italia dall’Africa.
Mussie Zerai, ass.Habesha, si presenta [2:25m]: Hide Player | Download
Dall'Eritrea all'Italia, il viaggio della speranza [8:27m]: Hide Player | Download
Accoglienza all'italiana, iltrauma dei Cpt [6:42m]: Hide Player | Download
Accesso al mondo del lavoro [3:12m]: Hide Player | Download
politiche di integrazione europee [12:22m]: Hide Player | Download
Mussie Zerai, dell’associazione Habesha, è a Roma dal 1992. Quando è arrivato in Italia dal suo paese, l’Eritrea, possedeva un visto regolare e il viaggio lo ha fatto a bordo di un aereo.
Oggi, ci racconta Mussie, qualsiasi eritreo che vuole raggiungere l’Europa deve prima di tutto attraversare la frontiera tra Eritrea e Sudan. , dice Mussie.
Una volta in Sudan, gli eritrei si ritrovano spesso abbandonati a se stessi, l’unica cosa su ui possono contare è la solidarietà, nella speranza che chi è partito prima di loro li ospiti sotto un tetto così da raccimolare qualche soldo per continuare il viaggio. Spesso il governo sudanese, di concerto con quello eritreo, organizza delle retate per rimpatriare i migranti. Le persone in Sudan non si sentono sicure e sono incentivate a proseguire il viaggio verso Nord. , continua Mussie.
Dopo il Sudan, l’ostacolo successivo è il deserto. Un’insidia gigante, . Molti di loro vengono presi dai militari e trattenuti in una delle 21 carceri della Libia, finanziate anche dal governo italiano, dopo essere stati ripuliti di tutto quello che hanno. Anche qui si conta sulla solidarietà di parenti e amici per farsi finanziare la liberazione e il proseguo del viaggio, cioè la traversata del Mediterraneo.
Quando le persone giungono in Italia, il primo trauma è l’impatto con i Cpt, i centri di permanenza temporanea dove vengono rinchiusi e privati della loro libertà, proprio loro che sono venuti a cercare la libertà. E’ per questo che i suicidi sono oati all’interno di queste strutture.
Il problema italiano è che non c’è un sistema di accoglienza nazionale, manca una legge organica sul diritto di asilo. , spiega Mussie .
Oggi ci sono delle esperienze pilota, ma sono ancora insufficienti e poco funzionali. Ancora non si è creata una rete di accoglienza nazionale, in cui ogni comune dia la disponibilità di quante persone può accogliere, cosicchè i centri di permanenza abbiano già una mappa dei posti disponibili dove mandare le persone.
A Roma gran parte degli africani vivono in case occupate, ad esempio alla Romanina. Qui in un palazzo di sette piani che era stato affittatto del comune per essere messo a disposizione per eritrei, etiopi, somali e sudanesi vivono circa 600 persone. Era stato presentato un progetto, in collaborazione con il X municipio, per creare un centro di seconda accoglienza, ci ha spiegato Mussie, dove si sarebbero potuti offrire corsi professionali e di lingua per accompagnare i migranti alla autonomia. Questo progetto non è stato totalmente approvato dal comune, che ha proposto di trasferire le persone in altre strutture, ma i migranti hanno rifiutato perchè sono stanci di essere traferiti da un centro a un altro, in posti che più che case sembrano ghetti.
Anche l’accesso al mondo del lavoro è complicato. , ci dice Mussie, .
Indietro, in Africa non torna quasi nessuno, perchè la situazione attualmente non lo permette. Degli eritrei, quasi nessuno vorrebbe fermarsi in Italia, ma tutti la vedono come nazione di passaggio, per andare altrove: in Inghilterra o nei paesi scandinavi per esempio, perchè in Italia non trovano le possiblità di vita che avevano sognato. L’accordo di Dublino prevede che il primo paese in cui si approda è quello che ti deve ospitare. Chi prova ad andarsene dopo avere registrato le proprie impronte digitali in Italia, viene rimandato indietro , ci ha raccontato Mussie.
In più oggi l’Europa, come si è detto anche al recente incontro ull’Africa tenutosi a Lisbona, sta capendo come fare per bloccare gli arrivi, mentre i migranti chiedono di portare avanti un programma di settlement, come accade in altri paesi come l’Australia, perchè le persone che fuggono da guerre o situazioni a rischio vengano accolte nel paese di primo o di secondo approdo.
conclude Mussie.
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mercoledì 12 dicembre 2007
CISA SPECIAL REPORT
CATHOLIC INFORMATION SERVICE FOR AFRICA (CISA)
ERITREA: A Caged People in Urgent Need of Global Action - and Prayers
CISA SPECIAL REPORT
ASMARA, December 11, 2007 (CISA) -The people of Africa's youngest
nation, 14-year-old Eritrea in the northeast, live as if locked up in
a vast prison manned by a rogue communist regime.
CISA is today able to reveal the sufferings of the tyrannized and
poverty-stricken Eritreans, groaning under the weight of Africa's last
single-party dictatorship.
Prone to prolonged droughts, its economy destroyed by more than 30
years of war, Eritrea is one of the world's poorest countries, with up
to 60 percent of its 4.6 million people surviving on less than a
dollar a day.
The legacy of war is still evident in unexploded landmines, destroyed
infrastructure and displaced people.
The government of President Isaias Afewerki has crippled the private
sector through Maoist policies and kicked out relief and development
agencies, insisting that it alone can serve the needs of the people.
Not even the Church has been spared. Last month, the regime refused to
renew the entry visas of 14 Catholic missionaries, ordering them out.
A source told CISA the move is part of "a nationwide campaign to
neutralize, paralyze, isolate and nationalize the Catholic Church."
But the expulsion is also a cruel attack on poor Eritreans who
depended for survival on projects run by the missionaries. The
projects will most certainly collapse, as the local Church cannot
sustain them.
The regime is one of the leading abusers of religious freedom
worldwide, with as many as 2,000 mostly evangelical Christians
languishing in detention for their faith. The state recognizes only
four religions: Orthodox, Catholicism, Lutheran and Islam.
Suppressed society
It is not easy to get an accurate picture of the situation in Eritrea.
Even Eritrean exiles are silenced by the fear of having their
relatives harassed back home by the government should they speak out.
Another source with considerable experience in Eritrea gave CISA, on
condition of anonymity, a hard-to-believe account of the dire
conditions imposed on the people by their rulers.
Through an elaborate police system, the state keeps a keen eye on
goings-on around the country. A visitor will be struck by the
overwhelming presence of state militias everywhere.
"It is a very suppressed society; if you talk, you just disappear,"
our source said. "There are militias all over. You see, almost
everyone is a military person. In every village you will find
militias. It is very well-organized. You cannot say anything."
The government has clamped down on its critics and all independent
media. There are no civil society groups. State media specialize in
entertainment and propaganda, especially against the country's
'enemies': Ethiopia, the United Nations, the international community,
non-registered churches.
Human rights violations are rampant, including compulsory, unending
military service for persons under 40, even for priests and religious.
The state harasses parents whose children flee the country in search
of opportunity.
Though primary and secondary education is free of charge, the quality
is dismal due to lack of teachers and basic supplies. Secondary
students spend their final year in secret camps. "We do not know what
goes on there, but we do know that when they graduate they are in
military uniform," our source said.
A few graduates are enrolled in state colleges while the rest go for
further military training. Soldiers are not paid, but receive a small
allowance. Many of them have families, as parents urge sons to marry
before they are recruited. Girls also marry or have children early to
avoid conscription.
Killing enterprise
Freedom of movement is restricted, especially for missionaries who
cannot move far out of their stations without permission from the
authorities. They must also register at roadblocks.
A government decree allowing every vehicle only 30 litres of fuel a
month has also hampered the Church's pastoral work.
There is hardly a private sector in the country. The government
imports basic commodities to sell to the public at subsidized prices,
making the people "depend directly on the government, so that they can
feel that it is the one that takes care of them. It is also a way of
killing private enterprise."
Eritrea became independent from Ethiopia in 1993 after a 30-year
separatist rebellion. The two nations again plunged into another
devastating border war five years later.
After 14 years of independence, many people must be questioning the
real value of their hard-won freedom - but only silently. "Eritreans
are so quiet you would think they have no problems," our source said.
__._,_.___
Vittime dell'immigrazione
L’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione
FORTRESS EUROPE
http://fortresseurope.blogspot.com
presenta
RAPPORTO NOVEMBRE 2007
RAPPORTO NOVEMBRE 2007 – Ancora decine di morti alle porte dell’Unione europea. In Spagna è una strage. Sono 127 i migranti che hanno perso la vita a novembre tentando di superare I confini Ue, 119 dei quali sulla rotta per le Canarie. Naufragi in Mauritania, Marocco, Gambia e Algeria, mentre in Sicilia sono stati trovati i corpi di altre 4 vittime del naufragio di Vendicari. In Grecia e a Cipro la polizia di frontiera spara sui migranti e uccide due persone. Le vittime dall’inizio dell’anno sono almeno 1.470. Intanto, mentre Madrid prepara i rimpatri in Senegal dei minori non accompagnati, la conferenza euro-africana di Lisbona promuove il modello spagnolo: pattugliamenti congiunti, esternalizzazione dei campi di detenzione e rimpatri. L'Italia, che ha da poco accolto 40 dei 600 rifugiati eritrei detenuti a Misratah, in Libia, invia una missione in Libia in cerca di un accordo
Barça ou Barçakh. Barcellona o l’inferno. Lo ripetono da anni, in wolof, i giovani di Saint Louis e Dakar, pronti a partire, costi quel che costi, per raggiungere il centro del mondo: l’Europa. È una storia lunga e comincia nel 2005 dai 17 morti ammazzati sotto gli spari della Guardia Civil e dell’esercito marocchino a Ceuta e Melilla [...]
Scarica il rapporto su http://fortresseurope.blogspot.com
lunedì 10 dicembre 2007
NECS-Europe
Network of Eritrean Civil Societies in Europe (NECS-Europe)
C/0 Eritreans for Peace and Democracy – P.O.Box 401 - 1214 Vernier – Geneva – Switzerland – necs_europe@yahoo.com
PRESS- RELEASE
NECS Urged EU to take President Issias to task
over the gross human rights abuse in Eritrea.
(Lisbon 7-12-07) Representatives of the Network of Eritrean Civic Societies
in Europe (NECS - Europe) urged The European Union to strengthen its call for
the respect of human and democratic rights in Eritrea. At a conference organised
ahead of the Euro-African summit in Lisbon, representatives of the network
outlined the catalogue of gross human and democratic rights abuse continuing
unabated in the country and urged MEPs to heed to the EU’s
own resolutions which the government of Eritrea has failed to
take note of, during the meetings at the summit.
Responding to the appeal Ana Gomes MEP thanked the
delegation for their presence and reiterated that the EU had
indeed made calls through the resolutions for the Eritrean
government to have regard for human rights in the country.
She further stated that European Parliament’s request to visit
Eritrea had so far been frustrated by various excuses from
the Eritrean government.
In her presentation to the conference Ms Selam Kidane of NECS Europe stated
that what makes the Eritrean situation different from all the other situations in
Africa is the fact that in current day Eritrea there are no systems and mechanisms
for highlighting, recording and addressing the human rights abuse. She said ‘we
have heard from a human rights group based in Harare, we have heard from a
member of an Ethiopian opposition party recently released from prison, we saw
pictures of horrendous abuse in Angola, but in Eritrea there are no human rights
organisations to highlight the abuse that goes on, imprisoned dissidents are
languishing in jail incommunicado for over six years and the journalists who
would be recording this to bring us the coverage of the sort we saw this morning
are also in jail’.
During extensive interviews given to the international media later on in the day
the NECS delegation stated; ‘it is imperative that the EU linked development aid
to discernable improvements in the country’s overall human rights culture. NECS
has never called and will never call for the withdrawal of emergency aid as this
would have a catastrophic implication for our people, however the allocation of
€122 million from the European development fund in the absence of clear
commitment to improve human rights in Eritrea goes against the EU values’.
As well as briefing MEPs, human rights campaigners and the media NECS
distributed its latest briefing paper prepared ahead of the Euro-African summit.
Further to outlining NECS’ concerns the paper made the following
recommendations:
1. Release of Prisoners: The EU should strengthen its call for the
immediate release of all those who are illegally detained in Eritrea. It
should put more energy and political resolve in highlighting and defending
human rights and fundamental freedoms in Eritrea.
2. Democratic governance: The EU should insist in the development of
democratic institutions and introduction of democratic governance in
Eritrea. Eritrea is currently governed by the wishes of one man with no
transparency and accountability. The EU ought to support Eritrean civic
organisations currently operating within the EU as they need resources for
human capacity building to enable them function properly and be effective
defenders of human and democratic rights as such organisations do not
exist in Eritrea.
3. Strong Action: The EU should follow its demand with strong and decisive
action if Eritrea fails to be governed by the rule of law and democratic
principles. Instituting a travel ban to members of the Eritrean government
and the ruling party would give a clear signal to the Eritrean authorities of
the importance the EU places on human rights and it would also give real
hope to the Eritrean people.
4. Aid and Human Rights: Development aid ought to be linked to
discernable improvements in the country’s overall human rights culture, or
to an agreement either for the provision of human rights training for
members of the state security apparatus, or for assistance in the
development of independent local human rights organisations and
defenders. The Commission's allocation of €122 million in bilateral aid for
2008-2013 from the 10th European Development Fund, in the absence of
any visible change or even willingness to improve human rights in Eritrea,
goes against EU values and needs to be re-examined.
5. Urgent Resolution of the Border Issue: In order to remove a source of
instability that has contributed towards insecurity in the entire Horn of
Africa and the deterioration of human rights in both Ethiopia and Eritrea,
there is a need for key members of the international community,
especially the EU, to undertake sustained high-level advocacy to ensure
Ethiopia’s unconditional compliance with the international ruling on the
border between the two countries, and the demarcation of this border as a
matter of urgency.
Note to Editors
1. Linking Human Rights and Development – A Strategy for Africa was a
conference organised by Amnesty International (Portugal) with the support of
Ana Gomes. MEP at the European Centre Jean Monnet in Lisbon on the 6th
Dec 2007.
NECS-Europe is a network of Eritrean human and democratic Rights organisations
based Across Europe.
Lisbon, 7 december 2007
domenica 9 dicembre 2007
Che fine ha fatto la dignità UMANA???
vergognoso!!!!
OGNI COMMENTO E' SUPERFLUO!!!!
Le immagini che seguono sono estremamente dure, però riteniamo doveroso mostrarle, perché fatti così gravi non devono passare inosservati. Il mondo deve sapere, la gente deve essere informata di quanto accade in Cina, di come possa disumanamente divenire normalità il disprezzo per la vita.
Una bimba appena nata giace morta sotto il bordo del marciapiedi, nella totale indifferenza di coloro che passano.
La piccina è solo un'altra vittima della politica crudele del governo cinese che pone il limite massimo di un solo figlio nelle città (due nelle zone rurali), con aborto obbligatorio.
Nel corso della giornata, la gente passa ignorando il bebè.
Automobili e biciclette passano schizzando fango sul cadaverino.
Di quelli che passano, solo pochi prestano attenzione.
La neonata fa parte delle oltre 1000 bambine abbandonate appena nate ogni anno, in conseguenza della politica del governo cinese.
L'unica persona che ha cercato di aiutare questa bambina ha dichiarato:
'Credo che stesse già per morire, tuttavia era ancora calda e perdeva sangue dalle narici'.
Questa signora ha chiamato l'Emergenza però non è arrivato nessuno.
'Il bebè stava vicino agli uffici fiscali del governo e molte persone passavano ma nessuno faceva nulla... Ho scattato queste foto perché era una cosa terribile...'
'I poliziotti, quando sono arrivati, sembravano preoccuparsi più per le mie foto che non per la piccina...'
In Cina, molti ritengono che le bambine siano spazzatura.
Il governo della Cina, il paese più popoloso del mondo con 1,3 miliardi di persone, ha imposto la sua politica di restrizione della natalità nel 1979.
I metodi usati però causano orrore e sofferenza: i cittadini, per il terrore di essere scoperti dal governo, uccidono o abbandonano i propri neonati.
Ufficialmente, il governo condanna l'uso della forza e della crudeltà per controllare le nascite; però, nella pratica quotidiana, gli incaricati del controllo subiscono tali pressioni allo scopo di limitare la natalità, che formano dei veri e propri 'squadroni dell'aborto'. Questi squadroni catturano le donne 'illegalmente incinte' e le tengono in carcere finché non si rassegnano a sottoporsi all'aborto.
In caso contrario, i figli 'nati illegalmente' non hanno diritto alle cure mediche, all'istruzione, né ad alcuna altra assistenza sociale. Molti padri vendono i propri 'figli illegali' ad altre coppie, per evitare il castigo del governo cinese.
Essendo di gran lunga preferito il figlio maschio, le bambine rappresentano le principali vittime della limitazione delle nascite.
Normalmente le ragazze continuano a vivere con la famiglia dopo del matrimonio e ciò le rende un vero e proprio un peso.
Nelle regioni rurali si permette un secondo figlio, ma se anche il secondo è una femmina, la cosa rappresenta un disastro per la famiglia.
Secondo i dati delle statistiche ufficiali, il 97,5% degli aborti è rappresentato da feti femminili.
Il risultato è un forte squilibrio di proporzioni fra popolazione masch ile e femminile. Milioni di uomini non possono sposarsi, da ciò consegue il traffico di donne.
L'aborto selezionato per sesso sarebbe proibito dalla legge, però è prassi comune corrompere gli addetti per ottenere un'ecografia dalla quale conoscere il sesso del nascituro.
Le bambine che sopravvivono finiscono in precari orfanatrofi.
Il governo cinese insiste con la sua politica di limitare le nascite e ignora il problema della discriminazione contro le bambine.
Alla fine, un uomo raccolse il corpo della bambina, lo mise in una scatola e lo gettò nel bidone della spazzatura.
FATELA GIRARE QUESTA E-MAIL, NON TROVATE SCUSE CHE NON AVETE TEMPO, CHE LA FARETE DOPO.
OGNI GIORNO TRA NOI CE NE MANDIAMO DI TUTTI I TIPI, PER QUELLE IL TEMPO CE L'ABBIAMO SEMPRE.
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La potenza di Windows
mercoledì 28 novembre 2007
Il Papa: Immgrazione
IMMIGRAZIONE 15.0428/11/2007
Il Papa: ''Siate rispettosi delle leggi e non lasciatevi mai trasportare dall'odio''
Nel messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato la richiesta alle istituzioni di idonee strutture di accoglienza e di formazione
ROMA - Un invito ai migranti ad essere rispettosi delle leggi dei paesi nei quali si recano e a non lasciarsi trasportare dall"odio e dalla violenza, ma anche la richiesta rivolta alle pubbliche istituzioni a mettere in campo tutte le possibili azioni per un loro corretto inserimento sociale, culturale e professionale. E’ quanto Benedetto XVI scrive nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebrerà domenica 13 gennaio 2008, e il cui testo è stato diffuso questa mattina dalla sala stampa vaticana. Il messaggio del papa si incentra in modo particolare sui "giovani migranti”, occupandosi poi anche della condizione dei rifugiati e di quella dei giovani stranieri che emigrano per motivi di studio. Se “dai paesi d’origine - afferma papa Ratzinger – se ne va spesso la gioventù dotata delle migliori risorse intellettuali, nei paesi che ricevono i migranti vigono normative che rendono difficile il loro effettivo inserimento”, il che crea in un gran numero di migranti problemi legati alla cosiddetta “difficoltà della duplice appartenenza”, cioè la fatica di “inseririsi organicamente nella società che li accoglie, senza che tuttavia questo comporti una completa assimilazione e la conseguente perdita della propria cultura d’origine”.
Il papa ricorda, pur nella complessità dei contesti, la necessità di puntare sul supporto dela famiglia e della scuola: “Il sistema scolastico dovrebbe tener conto delle loro condizioni e prevedere per i ragazzi immigrati specifici itinerari formativi d’integrazione adatti alle loro esigenze”, in modo da “garantire la loro preparazione fornendo le basi necessarie per un corretto inserimento nel nuovo mondo sociale, culturale e professionale”. Tutto questo in un “clima di reciproco rispetto e dialogo tra tutti gli allievi, sulla base di quei principi e valori universali che sono comuni a tutte le culture”, e non mancando di considerare - in ambito familiare - il fenomeno dello “scontro” tra “genitori rimasti ancorati alla loro cultura e figli velocemente acculturati nei nuovi contesti sociali”.
Dopo aver messo in risalto la particolare condizione dei migranti temporanei che si trovano lontano da casa per ragioni di studio (e ai quali chiede di “aprirsi al dinamismo dell’interculturalità, arricchendosi nel contatto con altri studenti di culture e religioni diverse”), Benedetto XVI si rivolge poi direttamente a tutti quelli che chiama “cari giovani migranti”: “Preparatevi a costruire accanto ai vostri giovani coetanei una società più giusta e fraterna, adempiendo con scrupolo e serietà i vostri doveri nei confronti delle vostre famiglie e dello Stato. Siate rispettosi delle leggi e non lasciatevi mai trasportare dall'odio e dalla violenza. Cercate piuttosto di essere protagonisti sin da ora di un mondo dove regni la comprensione e la solidarietà, la giustizia e la pace”.
Nel messaggio, c’è spazio anche per la denuncia delle inumane condizioni di vita alle quali sono esposti i migranti forzati, i rifugiati, i profughi e le vittime del traffico di esseri umani, e in particolare le ragazze, “più facilmente vittime di sfruttamento, di ricatti morali e persino di abusi di ogni genere”, e gli adolescenti e i minori non accompagnati, che “finiscono spesso in strada abbandonati a se stessi e preda di sfruttatori senza scrupoli che, più di qualche volta, li trasformano in oggetto di violenza fisica, morale e sessuale”. “Impossibile” – scrive Benedetto XVI – “tacere di fronte alle immagini sconvolgenti dei grandi campi di profughi o di rifugiati, presenti in diverse parti del mondo”, come pure di fronte ai quei “bambini e adolescenti che hanno avuto come unica esperienza di vita i 'campi’ di permanenza obbligatori, dove si trovano segregati, lontani dai centri abitati e senza possibilità di frequentare normalmente la scuola”. E a loro riguardo, dice, se “molto si sta facendo” già ora, “occorre tuttavia impegnarsi ancor più nell'aiutarli mediante la creazione di idonee strutture di accoglienza e di formazione”. (ska)
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Appello al Presidente della Repubblica
COMITATO STUDI CITTADINANZA ITALO - ERITREI
ናይ ሓናፍጽ መሰል ኣቦነት ንምርግጋጽ ዘጽንዕ ጉጂለ
c/o Cattedrale B.V. del Rosario - Asmara - Eritrea - P. O. Box 1263
Tel. 002911/552501 – (cell.) 002917-123129 - E-mail: [prode_40@yahoo.it] - Fax 002911/552501
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AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
On. le Giorgio NAPOLITANO
AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI
On. le Massimo D’ALEMA
P. le della Farnesina N. 1 ROMA
AL VICE MINISTRO PER GLI ITALIANI NEL MONDO
On. le Franco DANIELI
P. LE DELLA FARNESINA 1 ROMA
AL SINDACO DEL COMUNE DI ROMA
On. le WALTER VELTRONI
Piazza del Campidoglio 1 ROMA
ALL’AMBASCIATORE D’ITALIA IN ERITREA
Sua Eccellenza Ambasciatore
GAETANO MARTINEZ TAGLIAVIA
ASMARA - Eritrea
c. p. c. : Comune di Roma, Ufficio Cottadinanza
Barone Amedeo Guillet
Lista Amici Italo-Eritrea [italo-eritrea@yahoogroups.com]
ASPER [www.asper-eritrea.com]
Agenzia Habesha [agenzia_habeshia@yahoo.it]
Maitacli [maitacli@maitacli.it]
ANRRA [ANRRA@libero.it]
Giulia Barrera [giuliabarrera@tiscali.it]
Asmara, 24 Novembre 2007
Prot. CC/003/07
Signor Presidente,
Le invio questo appello prendendo lo spunto dal 10° anniversario da quello che il Comitato cittadinanza Italo – Eritrei, che ha la sede presso la Cattedrale cattolica di Asmara, presentò al suo predecessore On. Oscar Luigi Scalfaro nell’occasione della visita di Stato all’Eritrea (vedi allegato n. 1). Un anniversario che a noi, richiedenti per diritto la cittadinanza italiana, significa solo delusione, in quanto il Governo Italiano non ha fatto nulla per sanare in radice una situazione di ingiustizia subita, perciò non voluta e tanto meno procurata. Purtroppo è così!
Anche i nostri appelli presentati alle varie personalità politiche in visita all’Eritrea: il Ministro per gli Italiani all’estero Mirko Tremaglia e Gianfranco Fini; e quelli inviati ai vari Ministeri in Italia, non sono andati oltre alle belle parole e a promesse mai mantenute, tanto che le nostre istanze sono ancora ferme al Comune di Roma, dopo essere state rigettate dalla Procura di Roma.
Signor Presidente, è un nostro sacrosanto diritto ottenere quello che ci spetta ed è un dovere imprescindibile per il Governo Italiano trovare una giusta soluzione a questa grave mancanza; perciò chiedo a Lei la volontà di trovarvi una soluzione. Si tratta di un caso di enorme portata morale ed umana che porterebbe rimedio, anche se tardivo, a torti causati dalla legislazione razziale di allora, subiti da molti figli, frutto dell’unione di soldati italiani con donne eritree, durante la lunga presenza coloniale Italiana in Eritrea.
Le leggi, all’epoca in vigore, ed altri fattori contingenti, impedivano agli italiani di riconoscere i loro figli naturali e si può immaginare con quali conseguenze per questi ultimi in una società patriarcale come quella Eritrea. All’epoca le “Norme relative ai meticci” (L.13 maggio 1940 n. 822) proibirono esplicitamente al padre italiano di riconoscere il proprio figlio meticcio (art.3) oltre a disporre altri odiosi provvedimenti discriminatori.
I figli non riconosciuti di padre italiano, si sono trovati nella situazione, del tutto inedita in Eritrea, di non avere un nome paterno da affiancare al proprio. Situazione nuova, perché la normativa locale prevede che la madre può, con dichiarazione giurata, individuare il padre del proprio figlio. Da questa dichiarazione inappellabile della madre, derivano all’uomo tutti gli onori e oneri della paternità. Quindi in Eritrea prima dell’arrivo degli italiani, non esistevano figli di padre ignoto.
Il figlio non riconosciuto è stato dunque sempre immediatamente identificabile, e portare il nome della madre anziché quello del padre, ha equivalso ad un marchio d’infamia. In Eritrea, l’identità della persona è fondata sull’appartenenza al lignaggio paterno: i bambini vengono educati secondo la religione e le tradizioni paterne, e parlano la lingua del padre (infatti gli Italo-Eritrei parlano sempre l’italiano a volte meglio della stessa lingua locale).
Nel 1997 nacque, presso la Cattedrale della B.V. del Rosario di Asmara, un Comitato Cittadinanza Italo-eritrei, il quale, prendendo occasione della visita all’Eritrea dell’allora Presidente della Repubblica On. Oscar Luigi Scalfaro, presentò domanda per un suo personale intervento alla soluzione dell’annoso problema degli Italo-Eritrei. Il medesimo Comitato, incoraggiato dalle promesse del Presidente e dalla partecipazione fattiva dell’Ambasciata d’Italia in Asmara e all’entrata in vigore della Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (L.218/1995), diede via al processo di riconoscimento degli Italo-Eritrei, presso l’Alta Corte di Asmara.
Vennero così ottenute le sentenze di riconoscimento giudiziale di paternità emesse dall’Alta Corte di Asmara e conseguentemente gli stessi soggetti maggiorenni, resero presso l’Ambasciata italiana la dichiarazione di acquisto della cittadinanza italiana, così come previsto dall’art. 2 n.2 della legge 5.2.1992 n. 91. La stessa autorità consolare, che ha peraltro emesso l’accertamento positivo della sussistenza dei requisiti in merito alla dichiarazione resa dagli interessati (art.16 DPR 572|93), inoltrava le sentenze e gli atti di cittadinanza ai vari Comuni italiani, richiedendone la trascrizione nei registri di stato civile in applicazione di quanto disposto dalla legge 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.
Non tutti i Comuni hanno potuto aderire alla richiesta di trascrizione, in particolare il Comune di Roma, il quale prima di effettuare la trascrizione delle sentenze di riconoscimento giudiziale di paternità pronunciate dall’Alta Corte di Asmara, ha preventivamente chiesto parere alla Procura locale, in merito appunto alla possibilità di procedere alla registrazione nei registri di stato civile.
La Procura di Roma si esprimeva negativamente osservando che nelle sentenze in questione non apparivano rispettate le condizioni richieste dagli artt. 64 e 65 dalla legge 218/1995, ribadendo peraltro la facoltà da parte egli interessati a rivolgersi per il ricorso alla Corte d’Appello italiana (art.67 L.218/1995). Tale parere venne successivamente confermato dal Ministero dell’Interno, ormai competente in materia (art. 9 DPR 396/2000). Si tiene a precisare che tale procedura risulta non percorribile per molti degli interessati, in considerazione del fatto che questi risiedono in Eritrea e che versano in precarie condizioni economiche.
A seguito dei pareri espressi, i riconoscimenti giudiziali di paternità nonché le dichiarazioni di cittadinanza, si sono definitivamente arenati nel Comune di Roma.
Voglio ricordare che dietro a queste pratiche ci sono altrettante famiglie, con la medesima storia di un doloroso passato, che hanno seguito la stessa procedura, ma evidentemente risultano più fortunate, in quanto le loro pratiche sono state inviate ad altri Comuni italiani, i quali hanno provveduto alle trascrizioni e, quindi, i “favoriti dalla sorte”, hanno ottenuto il pieno riconoscimento della cittadinanza italiana a decorrere dal giorno successivo alla dichiarazione resa presso l’autorità italiana.
Non riusciamo a comprendere questa disparità di trattamento e diversità di procedura tra Comune e Comune, nonché il parere espresso dalla Procura di Roma che sembra non conforme alla legge 31 maggio 1995, n. 218. Le trascrizioni delle sentenze sono state richieste dall’Ambasciata d’Italia in Asmara in conformità alla succitata legge n. 218, (Riforma il sistema italiano di diritto internazionale privato), che ha innovato il sistema, seguito dal codice di procedura civile previgente in tema di efficacia nella Repubblica italiana, delle sentenze straniere e dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione.
Quindi vorrei qui di seguito elencare alcune riflessioni legislative che ritengo sia opportuno tenere in considerazione:
· Con la riforma, è stato introdotto il principio del riconoscimento in Italia delle sentenze e dei provvedimenti stranieri, senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. La legge, pertanto, non specifica se, in materia di stato civile e nei casi in cui le sentenze e di provvedimenti stranieri devono essere trascritti, iscritti o annotati in pubblici registri occorra o meno l’accertamento giudiziale dei requisiti richiesti dalla citata legge per il riconoscimento.
· Peraltro l’art. 33 della legge 218 nel disciplinare la filiazione, considera preminente la tutela della posizione del figlio nel contesto della legge nazionale, che è quindi quella che regola principalmente i rapporti in questione.
· L’art. 35 della medesima legge regola le condizioni per il riconoscimento del figlio naturale. La legge regolatrice è designata ricorrendo a più criteri alternativi: la legge nazionale del figlio al momento del riconoscimento o, se più favorevole, la legge nazionale di chi fa il riconoscimento nel moment in cui questo avviene (comma 1). La forma del riconoscimento è regolata dalla legge dello Stato in cui esso è fatto o da quella che ne disciplina la sostanza (comma 3).
· Il terzo comma dell’art. 35, che regola la forma del riconoscimento, prevede, come legge applicabile, l’alternativa tra la legge dello Stato in cui esso è fatto e quella che ne disciplina la sostanza (la legge nazionale del figlio, oppure quella dell’autore del riconoscimento).
· Se il citato art. 35 nulla afferma circa la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, è evidente che la disciplina di questa dovrà espirarsi, in via analogica, a quella prevista dalla legge per il riconoscimento del figlio naturale, fondata sul principio del ”favor filiationis”.
· Pertanto si ritiene che le dichiarazioni giudiziali di paternità pronunciate dall’Alta Corte di Asmara sono da considerarsi forme di riconoscimento regolate dalla legge applicabile in questo caso, che è la legge dello Stato in cui il riconoscimento è fatto. Esse pertanto, dovrebbero essere riconosciute in Italia senza che sia necessario un controllo giudiziale in ordine all’accertamento dei requisiti.
Signor Presidente, nei nostri volti sono inconfondibilmente stampati i lineamenti dei nostri italianissimi padri. Allora perché ci viene negato, proprio dall’Italia, ciò che per la legge eritrea il diritto al riconoscimento dei paternità è estremamente pacifico? Oggi, con questa mia, a nome dei figli di Italiani, che per troppo tempo furono colpevolmente dimenticati da chi ne aveva il sacrosanto dovere, mi permetto di chiedere di dare un esito positivo al legittimo diritto di quanti sono nati da sangue italiano e si appellano alla volontà politica per avere pari trattamento a quello ottenuto dai “favoriti dalla sorte” che hanno conseguito con la regolare registrazione nei Comuni italiani il pieno riconoscimento della cittadinanza italiana.
Alle luce di quanto sopra Le chiediamo un intervento personale presso la Divisione Cittadinanza del Ministero dell’Interno, per il riconoscimento al diritto di cittadinanza ai figli di Italiani.
Chiediamo giustizia, e soluzione alla situazione anomala dei figli di Italiani, ormai stanchi di portare il pesante fardello di essere chiamati “figli di nessuno”.
Firmato
Padre Protasio Delfini
Presidente Comitato cittadinanza
____________________________________
All. n. 1: Appello all’On. Oscar Luigi Scalfaro
All. n.: Lista (da perfezionare) degli Italo-eritrei richiedenti la cittadinanza.
Testimonianza di uno dei Missionari espulsi
Eritrea: guerra e fame stanno distruggendo una intera popolazione
di Angela Ambrogetti/ 27/11/2007
Padre Javier è uno dei missionari espulsi dal governo eritreo. A
Korazym.org, la sua esperienza tra la gente Kunama, tribù poverissima
che vive al confine con l'Etiopia ancora legata alle religioni
tradizionali. Una missione che non piace al governo.
La scorsa settimana sono rientrati in Italia i missionari
cattolici, a cui il governo di Asmara non ha rinnovato i permessi di
soggiorno. Ufficialmente i motivi sono legati al rifiuto dei religiosi
a svolgere il servizio militare e al divieto di permanenza oltre i due
anni per le Organizzazioni non governative. Di fatto la Chiesa è
sottoposta a forti pressioni e si teme per la stessa sorte per le
istituzioni cattoliche.
Padre Javier è un comboniano messicano, uno dei tredici espulsi. Il
suo sogno è sempre stato africano?
"Sono stato in Eritrea 10 anni. Il mio sogno è sempre stato di andare
in un paese africano per evangelizzare ed annunciare la parola di Dio.
Mi sono trovato in un paese cristiano da tanti anni, molto prima del
Messico, ma ci sono dei gruppi non ancora evangelizzati e seguono le
religioni tradizionali, e fra questi gruppi, i kunama. E' con loro che
svolgiamo il nostro lavoro".
Come sono stati questi ultimi anni di guerra e di carestia?
"Pochi mesi dopo il mio arrivo è scoppiata la guerra per
l'indipendenza dall'Etiopia, e questo ha complicato la nostra attività
perché i bisogni della gente erano cambiati. C'era bisogno di cibo,
medicinali, educazione. Una situazione di emergenza nella quale noi
abbiamo dovuto far fronte ai bisogni primari e ci siamo trovati a
dover fare tanti lavori di sviluppo e promozione umana. Non tanto
quindi una predicazione della parola di Dio. Un po' alla volta mi sono
reso conto che proprio questo era l'annuncio della Buona Novella. Non
solo la predicazione, le parole, ma i fatti perché la gente ha
necessità materiali".
Una guerra quasi civile tra popoli fratelli…
"Tra Eritrea ed Etiopia c'è stata una guerra di indipendenza nel 1993,
ma la situazione non si è mai stabilizzata, e la guerra è proseguita
per la definizione dei confini. Poi si è aggiunta la siccità. Il paese
è molto secco, una savana e la gente vive di pastorizia, agricoltura
stagionale. Quando manca l'acqua manca tutto. La gente non ha altri
mezzi di sostentamento. Con la guerra e l'arruolamento obbligatorio,
gli uomini sono tutti dovuti andare al fronte e non è rimasto nessuno
a lavorare nei campi. Questa è l'origine di tutti i problemi. La gente
si impoverisce perché gli uomini non possono mantenere la famiglia".
Cosa fate e in che zona?
"Siamo nella zona del basso piano dell'Eritrea verso il confine con il
Sudan, una regione dove la maggioranza è islamica, e c'è poi questa
tribù che segue la religione tradizionale i Kunama. E' una regione
arida ed ostile. L'evangelizzazione è recente ed è stata iniziata dai
frati cappuccini 90 anni fa. Poi è stata interrotta dalla guerra che è
durata 30 anni, e pochi anni fa noi comboniani abbiamo ricominciato il
lavoro. La diocesi è di recente istituzione ed è sta eretta nel 1995.
La maggioranza dei cristiani è copto ortodossa, poi ci sono i
cattolici ma sempre di rito copto. Da tanti anni la Chiesa cattolica
cerca di entrare in Etiopia ed Eritrea. Ci sono stati problemi perché
i copti non vedono molto bene la Chiesa cattolica, perché la collegano
al periodo coloniale".
Allora, qual è il vostro lavoro?
"Lavoriamo soprattutto per la prima evangelizzazione tra i Kunama. Un
gruppo etnico piccolissimo, la maggior parte di loro vive in una area
remota ai confini con l'Etiopia e la guerra li ha costretti a scappare
e vivere in uno stato di continua emergenza. Hanno bisogno di tutto".
Siete dovuti tornare in Europa perché i vostri visti non sono stati
rinnovati, ma che speranze avete di rientrare in Eritrea?
"Per il momento non c'è nessuna possibilità perché il governo ha un
programma di controllo della Chiesa. Questo è solo un primo passo e le
cose possono solo peggiorare. Forse con un cambio di politica ci sarà
qualche speranza. Noi tutti speriamo di tornare perché la gente ci
vuole bene, ed ha tanto bisogno e abbiamo visto che è davvero un posto
in cui il Signore ci chiama ed è molto necessario il lavoro pastorale
e sociale. I cattolici sono solo il due per cento. Molte famiglie
hanno preti e suore, ma hanno già molte attività ed è difficile che
possano curare le missioni. In Eritrea poi ci sono nove culture
diverse e spesso ci sono difficoltà tra una etnia e l'altra. Ad
esempio un Kunama difficilmente accetta un prete o una suora della
tribù tigrina. E questo rende tutto più difficile. Per questo è più
facile per noi stranieri".
A proposito di stranieri che ricordo hanno degli italiani?
"Una cosa curiosa è che l'italiano è la seconda lingua più parlata nel
paese. E anche per noi missionari nei villaggi più remoti si trova
sempre qualcuno che sa l'italiano e questo è un bell'aiuto perché
possiamo più facilmente entrare in contatto con loro e imparare la
loro lingua. I Kunama ricordano con affetto gli italiani che li hanno
molto aiutati. Erano attaccati da molti altri gruppi e rischiavano di
sparire, ma gli italiani li hanno protetti, e ora il ricordo è
bellissimo".
Javier ora cosa farà?
"Per ora torno in Messico, ma il mio sogno è tornare in Africa al più
presto.
domenica 25 novembre 2007
La residenza nel Veneto negata a chi ha un reddito basso.
Siamo indignati di fronte all'iniziativa di un Sindaco veneto, che per concedere la residenza ai migranti mette un reddito minimo fissato da lui, come condizione. Chi non raggiunge quel reddito non può chiedere la residenza. Oggi nella "Veneto ricca" essere poveri è una colpa, peccato che i sindaci veneti hanno la memoria corta, si sono già dimenticati della povertà che li ha spinti in migliaia a lasciare la loro terra per cercare la fortuna altrove, nelle Americhe, in Australia, nel nord Europa. Erano poveri straccioni quando i veneti emigrarono. Troviamo assurdo che chi ha vissuto sulla propria pelle la povertà, oggi colpisca con provvedimenti discutibili chi ha un reddito basso, negandogli il diritto alla residenza nel territorio.
Fa bene la magistratura ad intervenire, perché la povertà non può essere usata come fattore di esclusione da chi amministra un territorio. Questo è un atto di discriminazione da parte di un’istituzione come quella di un Sindaco.
In nome della sicurezza non si possono ledere i diritti civili dei cittadini, giù la maschera di chi vuole discriminare gli immigrati nascondendosi dietro alle parole sicurezza e legalità.
Anche i migranti vogliamo vivere nella legalità e nella sicurezza, ma sono consapevoli che ciò non si garantisce escludendo chi è nel bisogno, ma includendolo rendendolo partecipe della vita sociale, economica e culturale del territorio.
Quindi diciamo NO a chi vuole fomentare discriminazioni e aumentare il divario tra ricchi e poveri.
L'A.H.C.S
Mussie Zerai
domenica 18 novembre 2007
Solidali con i Missionari espulsi dall'Eritrea!
Comunicato Stampa
L'A.H.C.S condanna questo atto deprecabile del regime eritreo contro i missionari stranieri espulsi senza una reale ragione. Questo tentativo di bloccare le attività della chiesa cattolica, ricade sul popolo eritreo, perché questi missionari erano lì per sostenere, curare, istruire la popolazione del Paese. Le varie congregazioni presenti in Eritrea da sempre hanno contribuito allo sviluppo e al progresso del nostro Paese, quindi il regime espellendo loro commette un atto di grande inciviltà daneggiando la popolazione che per anni ha ricevuto aiuti dalle varie famiglie religiose alle quali appartengono gli 11 missionari espulsi.
Siamo di fronte ad un regime allo sbando, non sa con chi prendersela, perché ormai la Chiesa Ortodossa è stata addomesticata, così anche le altre confessioni cristiane o mussulmane, l'unica che non sta al gioco è la Chiesa Cattolica, con questi atti il regime vuole intimidire la gerarchia ecclesiastica.
Noi riteniamo queste ingerenze del regime negli affari religiosi un vergognoso e disperato tentativo per incamerare i beni ecclesiastici.
Chiediamo alla comunità Europea di condannare quest'atto del regime eritreo e che venga sospeso ogni forma di aiuto al regime. Chiediamo alla comunità internazionale di porre fine alla questione irrisolta del confine conteso tra Eritrea ed Etiopia, che da sette anni ormai è l'alibi, che il regime eritreo usa per non rispettare ogni forma di libertà, di giustizia e di democrazia.
Il Presidente dell'A.H.C.S
sabato 17 novembre 2007
Missionari espulsi dal regime Eritreo
Eritrea / Il rientro dei missionari 17/11/2007
Ostacoli al regime
Sono giunti a Roma i religiosi cattolici “espulsi” dal regime eritreo, perché stranieri. Hanno raccontato di un paese allo stremo e di una Chiesa che non si vuole sottomettere ai diktat del presidente Isaias Afwerki, che la vorrebbe “nazionale”.
Sono giunti a Roma i religiosi cattolici (nella foto) “espulsi” dal regime eritreo, perché stranieri. Hanno raccontato di un paese allo stremo e di una Chiesa che non si vuole sottomettere ai diktat del presidente Isaias Afwerki, che la vorrebbe “nazionale”.
Sono arrivati alle 5 di stamani a Fiumicino. Erano in otto. Provenivano da Asmara. Sono missionari e missionarie espulsi dall’Eritrea del dittatore Isaias Afwerki. Dovevano essere in nove. Ma all’ultimo istante una suora americana è stata trattenuta dalle autorità locali nell’aeroporto eritreo, per gli ultimi intoppi “burocratici”. Sono i religiosi che hanno ricevuto, il 6 novembre, il benservito dal governo, che non ha rinnovato loro il permesso di soggiorno. Hanno ricevuto un visto d’uscita senza avere più la possibilità di un ritorno.
La motivazione ufficiale è che la Chiesa cattolica è considerata una specie di ong. E come per tutte le organizzazioni non governative presenti in Eritrea, i membri non possono rimanere in quel paese per più di due anni. La realtà, come hanno raccontato gli stessi “espulsi”, è anche un’altra: si potrebbe trattare di una vera e propria ritorsione nei confronti dei cattolici, che rappresenterebbero un intralcio a un regime che di intoppi non ne vuole avere.
Nella conferenza stampa, organizzata a Roma presso la casa generalizia dei comboniani all’Eur , i missionari allontanati hanno ripercorso le tappe di un rapporto incrinato. E di un paese allo stremo. Data fondamentale resta il primo novembre del 2006, quando i cinque vescovi dell’Eritrea (tra cui due “emeriti”) hanno detto no al governo che chiedeva la “militarizzazione” anche dei sacerdoti e dei religiosi. Nel paese del Corno i ragazzi e le ragazze, a partire dal diciottesimo anno di età, vengono reclutati. E se per le donne la leva è obbligatoria fino a 40 anni, gli uomini smettono la divisa a 60.
Isaias avrebbe voluto che anche i sacerdoti e religiosi imbracciassero i fucili per difendere il patrio suolo. Il fermo no della Chiesa ha rotto i piani di un governo che ha già sottomesso la Chiesa ortodossa, di cui ha arrestato il patriarca Antonio, sostituito con un laico. E ogni domenica la subordinazione ortodossa arriva fino al punto che emissari governativi vanno nelle chiese del paese per portarsi via le elemosine dei fedeli.
La Chiesa cattolica non è stata al gioco. Un’insubordinazione che ha irritato il regime che già da tempo aveva rispolverato il proclama 73 del 1995: la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici. Tutte le realtà cattoliche del paese sono state visitate da “esattori” del governo che hanno voluto fare l’inventario dei beni e delle proprietà ecclesiastiche. Lo scopo è evidente.
Del resto, è apparso chiaro dai racconti dei religiosi tornati da Asmara che il regime, sempre più isolato internazionalmente, sta cercando di sopravvivere a una situazione economica disastrosa . I beni di prima necessità sono razionalizzati. Si può acquistare il pane con la tessera governativa ogni due giorni e spesso non in quantità sufficiente per sfamare famiglie numerose. Manca l’olio, lo zucchero, il caffè. Il blocco alle importazioni è catastrofico. E’ stata vietata, di fatto, l’attività commerciale, nazionalizzata pure quella. Le famiglie sono allo stremo: vedono i loro figli diventare militari o tentare una fuga disperata dal paese. E quella “diserzione” la pagano proprio i genitori, spesso arrestati e torturati.
Per reggere una situazione economica al collasso, il regime gioca ancora la carta del pericolo etiopico e dei confini non rispettati. E l’appello lanciato agli organismi internazionali e ad Addis Abeba dai missionari, in particolare da suor Maria Angela Pagani, è stato proprio di far rispettare il verdetto della Commissione confini nel 2002, seguito agli accordi di Algeri del 2000 sulla fine del conflitto etiopico-eritreo. “Far rispettare quell’accordo”, ha ricordato suor Pagani “significa togliere l’alibi più forte a Isaias per mantenere soggiogato e militarizzato il suo paese”.
E ora? I missionari hanno ricordato che la loro partenza forse metterà in difficoltà la Chiesa eritrea, “anche se sarà certamente in grado di reggere questo vuoto sostituendoci con i preti e religiosi locali”. Il compito degli “allontanati”, ora, sarà soprattutto quello di svegliare dal torpore una comunità internazionale che continua a chiudere gli occhi sull’Eritrea”.
http://habeshia.blogspot.com
giovedì 8 novembre 2007
Italia: Accoglie 40 Eritrei provenienti dalla Libia
COMUNICATO STAMPA
Agenzia Habeshia (A.H.C.S): La vera soluzione per i richiedenti asilo politico, è un programma di RESETTLMENT. Chiediamo la libertà per gli Eritrei attualmente nelle carceri libiche, e il rispetto dei diritti Umani e Civili, di questi ultimi, in Libia.
Dopo mesi di denunce sulle condizioni di degrado in cui versano centinaia di eritrei nei centri di detenzione in Libia, abbiamo fatto nostro l’appello lanciato dall’UNHCR, affinché i paesi ricchi accolgano un gruppo di rifugiati. Oggi il primo passo concreto dell’Italia con l’arrivo delle prime 40 persone, di cui 5 uomini, 34 donne, e un neonato, tutti cittadini Eritrei già riconosciuti dall’UNHCR rifugiati.
Questo grazie ad un programma di resettlment attuato in collaborazione con il Ministero degli Interni, la Provincia di Rieti, il Comune di Cantalice, il Consiglio Italiano per Rifugiati, e l’O.I.M.
Ringraziamo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che ha sollecitato il Ministero degli interni italiano. Ringraziamo il Ministro Giuliano Amato, per la disponibilità data per l’accoglienza di una quarantina di cittadini Eritrei. Siamo riconoscenti per l’impegno profuso dal C.I.R, e dalla Provincia di Rieti e al Comune di Cantalice per l’accoglienza dei rifugiati eritrei. Riteniamo questo solo un primo passo verso un serio programma di resettlment annuale, perché pensiamo che questo sia uno strumento per la lotta all’immigrazione clandestina. Auspichiamo che l’Italia si faccia portavoce in Europa, spingendo in questa direzione affinché si trovino soluzioni concrete ai tanti richiedenti asilo politico che affollano le carceri libiche. Serve un ingresso legale e protetto per questi ultimi, per evitare che si sentano costretti ad affidarsi a trafficanti di carne umana, con tutto quello che ne consegue. Speriamo da qui a breve di non sentire più
storie di naufragi e di barconi carichi di immigrati.
L’ingresso legale di questi 40 rifugiati è una grande speranza per tanti altri. Tutto questo oggi è stato possibile grazie ad una volontà politica e a un investimento in termini economici e di risorse umane; ciò ha fatto si che si realizzasse il sogno di questi 40 rifugiati eritrei. Altre centinaia di persone nella stessa condizione sono in attesa che qualche altra nazione europea o l’Italia stessa si faccia avanti, per avviare o proseguire un programma di resettlment dalla Libia verso l’Europa.
Denunciamo ancora una volta, la situazione di migliaia di cittadini eritrei richiedenti asilo politico e rifugiati politici, già riconosciuti tali dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che attualmente sono nelle carceri Sudanesi o Libiche, come quello di Zawiyah di cui abbiamo una viva testimonianza "Siamo in 500 immigrati di cui 103 eritrei 3 dei quali minorenni. Siamo continuamente maltrattati dalle guardie carcerarie libiche, il 01.09.2007 tutti noi eritrei siamo stati spogliati e picchiati con fruste, bastoni, e addirittura calci negli organi genitali, tutto questo davanti alle donne, e per lo più senza ragione. Il 22.10.2007 tre eritrei sono stati picchiati dalle guardie sulle piante dei piedi, al punto che non si reggevano più in piedi." Dal racconto drammatico dei detenuti emerge ancora " Siamo stati lasciati per 3-4 mesi senza un abito di ricambio e tuttora non abbiamo nulla per cambiarci, non abbiamo possibilità di fare il bucato perché
non manca il sapone, la puzza è insopportabile" e anche "10 persone a causa della sporcizia hanno il corpo pieno di piaghe, e ci stanno contagiando tutti, in 4 mesi non abbiamo mai avuto possibilità di vedere un medico, per tre mesi non abbiamo visto la luce del sole. Siamo scalzi non abbiamo scarpe né coperte per difenderci dal freddo… siamo ammassati in una stanza in più di 50 persone e in totale assenza d’igiene" sono in condizione igieniche sanitarie vergognose. Sono anche vittime di discriminazione religiose "Qualche giorno fa stavamo pregando, sono arrivate le guardie ci hanno malmenato chiamandoci giudei" è questa la Libia ormai partner dell’Europa e membro del consiglio di sicurezza dell’ONU.
Misratah, 250 km a est di Tripoli, più di 624 eritrei di cui 60 bambini al di sotto dei 12 anni e perfino alcuni che stanno per nascere. E’ preoccupante lo stato di salute dei detenuti, la diffusione delle malattie polmonari come TBC, oltre a scabbia e dermatiti, attacchi asmatici, problemi intestinali, in oltre denunciamo la carenza di cibo, acqua e coperte.
Chiediamo all’UE e all’ONU che pretendano dalla Libia il rispetto dei diritti Umani e la firma delle convenzioni internazionali sui diritti dell’Uomo. Siamo esterrefatti dal fatto che la Libia oggi faccia parte del consiglio di sicurezza delle nazioni unite. Come è possibile che uno stato come la Libia, che non ha mai aderito a nessuna convenzione internazionale in materia di rispetto dei diritti civili ed umani, oggi si sieda nel consiglio di sicurezza delle nazioni unite? Chiediamo che si pretenda la firma delle varie convenzioni a partire dalla convenzione di Ginevra del 1951 con le relative ratifiche e la dichiarazione universale su diritto dell’Uomo.
L’A.H.C.S & A.H.E.I chiedono il sostegno e collaborazione di tutti per destare l’attenzione dell’opinione pubblica e quella istituzionale su questo dramma che sta vivendo il popolo Eritreo in Libia.
Per tanto invitiamo tutti gli organi di stampa a dare voce a questa richesta delle comunità di Eritrei in Italia, che chiedono al governo Italiano di farsi carico di questa situazione nelle sedi UE, ONU.
Per ulteriori informazioni:
UFFICIO STAMPA A.H.C.S
Tel/Fax 06. 69610234
Cell.3384424202 E-mail: agenzia_habeshia@ yahoo.it
http://habeshia. blogspot. com
giovedì 1 novembre 2007
Libia: esclusiva intervista con i rifugiati detenuti a Zawiyah
Libia: esclusiva intervista con i rifugiati detenuti a Zawiyah
ROMA, 31 ottobre 2007 - "Non vediamo la luce del sole da mesi.. Siamo stati portati fuori, spogliati nudi e picchiati". Inizia così l'intervista a uno dei 500 migranti detenuti nel centro di detenzione di Zawiyah. Un documento esclusivo - prodotto da Fortress Europe, Agenzia Habeshia e Radio Parole - che documenta le condizioni degradanti in cui decine di migliaia di migranti e rifugiati sono arrestati e detenuti in Libia. Il loro reato? Essere candidati all'immigrazione clandestina verso la Sicilia.
ASCOLTA L'INTERVISTA
sabato 27 ottobre 2007
I costi della chiesa e la "democrazia pelosa"
venerdì 26 ottobre 2007
I costi della chiesa e la “democrazia pelosa”
Al direttore de "La Repubblica” Ezio Mauro
Gentile direttore, leggendo gli articoli a proposito dei costi della Chiesa, mi sono sentito offeso, quale prete e cittadino, di una campagna che è semplicemente "anticlericale”. Ha fatto bene il card. Bertone a dire a voce alta “finiamola”. Perché la cosiddetta indagine che il suo giornale ha iniziato e non ancora terminato non è “inchiesta”. E' una presa di posizione contro la Chiesa cattolica. Si citano le cifre, ma ci si guarda bene dal dire se servono e a che cosa servono. E" un'operazione a freddo: certamente fatta con astuzia, citando e stracitando autori, cifre e relazioni, senza smentire ciò che l"incipit del primo articolo di Curzio Maltese nemmeno nasconde: “i costi della politica, i costi della democrazia e ora… i costi della Chiesa”. Si mette in relazione tasse, costi della politica, costi della Chiesa e il gioco è fatto. Rallegramenti agli autori e al direttore.
Molto strano infatti che, citando i dati, non si sia detto quanto un giovane prete percepisce con l’otto per mille (900 euro) o quanto prende di pensione un prete a 65 anni (600 euro). O gli aiuti ai paesi del terzo mondo a che cosa servono. Per queste mancanze, manipolazioni, insinuazioni gli articoli pubblicati dal suo giornale sono giornalisticamente “spazzatura”.
Per carità, in regime di democrazia, a cui lei tiene giustamente molto, è lecito e doveroso esprimere le proprie opinioni: però lo si faccia con trasparenza e onestà. La chiave di lettura della campagna orchestrata da “Repubblica” è nel terzo articolo di G. Zagrebelsky, dal titolo “quando la Chiesa detta legge allo Stato”. La tesi lì espressa ha solo il limite che nasconde il dato fondamentale: lo stato laico garantisce libertà solo a chi ha strumenti economici, culturali, scientifici. Fa pena l’appello che sarebbe la società civile a dover dare i contenuti etici: immagina lei i disoccupati, i rom, i carcerati, i disabili, i poveri a invocare, ottenere e godere di libertà? Forse quella di poter morire. La storia dell’Europa dell’ottocento, periodo nel quale si sono grandemente sviluppate le “opere di carità” della Chiesa è stato il periodo durante il quale i liberi di allora non hanno garantito nulla se non se stessi: ai tutti hanno offerto elemosine, quando e nelle quantità che loro stessi stabilivano.
Io appartengo a quel gruppo di preti che non vuole nulla a che spartire con lo stato che l’autore dell’articolo prefigura. Il mondo nel quale vivo, fatto di povertà, di disabilità, di minori abbandonati mi spinge a offrire aiuti, opportunità, diritti. Non appartengo a nessuna spa interessata alla salute, alla disabilità, alle case di riposo.
La democrazia che lei invoca è pelosa: fatta da potenti per potenti. Attacca la Chiesa perché è rimasta l’unica organizzazione capace di offrire contenuti etici. Con molti limiti e contraddizioni, ma l’unica.
Noi rimarremo al nostro posto: se il popolo degli italiani e i relativi governi vorranno affamarci, facciano pure. Crediamo alla Provvidenza. Non possiamo derogare all’invito esplicito fattoci da Cristo: “quello che fate ai più piccoli tra voi l’avete fatto a me”. Sappiamo di essere “servi inutili”. Nessuna campagna denigratoria ci sposterà dal nostro impegno. Abbiamo bisogno di risorse economiche, né ce ne vergogniamo: conosciamo anche le tentazioni del potere e della gloria. Qualcuno vuol vederci straccioni e mendicanti, più di quanto siamo. Forse servirà a renderci ancor più umili. Rimane l’impegno per la realizzazione, anche sulla terra, di un popolo felice che possa godere della vita a ognuno concessa.
venerdì 26 ottobre 2007
Comunicato stampa 26 ottobre 2007
Roma 26 ottobre 2007
A.H.C.S & A.H.E.I: Chiedono la libertà per gli Eritrei attualmente nelle carceri libiche, il rispetto dei diritti Civili e Umani degli Eritrei in Libia e una soluzione per i richiedenti asilo politico, con un programma di RESETTLMENT.
Facciamo presente la situazione di migliaia di cittadini eritrei richiedenti asilo politico e rifugiati politici, riconosciuti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, attualmente nelle carceri Sudanesi o Libiche, come quello di Zawiyah. Testimonianza: “Siamo 500 immigrati, di cui 103 eritrei, 3 dei quali minorenni. Siamo continuamente maltrattati dalle guardie carcerarie libiche. Il 01.09.2007 tutti noi eritrei siamo stati spogliati nudi e picchiati con frusta, bastoni, calci anche sugli organi genitali, davanti alle donne. Tutto questo senza ragione. Il 22.10.2007 tre eritrei sono stati picchiati dalle guardie sulla pianta dei piedi al punto che non riuscire a stare in piedi. Siamo stati lasciati per 3-4 mesi senza un cambio di abiti, tuttora non abbiamo nulla per cambiarci, non abbiamo possibilità di lavare gli abiti perché non c’è il sapone; la puzza è insopportabile”. Dal racconto drammatico dei detenuti emerge anche che: “10 persone, a causa della sporcizia, sono piene di piaghe su tutto il corpo, ci stanno contagiando tutti; in 4 mesi non abbiamo mai avuto la possibilità di vedere un medico, per tre mesi non abbiamo visto la luce del sole. Siamo scalzi, non abbiamo scarpe e di notte prendiamo freddo perché non abbiamo coperte.” I detenuti sono in condizione igienico-sanitarie vergognose. Sono anche vittime di discriminazioni religiose: “Qualche giorno fa stavamo pregando, sono arrivate le guardie, ci hanno malmenato, chiamandoci giudei. Siamo più di 50 persone ammassate in una stanza in condizioni igienico-sanitarie totalmente assenti.” E questa è la Libia ormai partner dell’Europa e membro del consiglio di sicurezza dell’ONU!
Nel centro di detenzione di Misratah, 250 km a est di Tripoli, sono presenti più di 624 eritrei, di cui 60 bambini al di sotto dei 12 anni ed altri che stanno per nascere. Desta preoccupazione lo stato di salute dei detenuti, colpiti da malattie polmonari come tbc, scabbia, dermatiti, attacchi asmatici, problemi intestinali; inoltre denunciamo la carenza di cibo, di acqua e di coperte per difendersi dal freddo durante la notte. Intanto l’Acnur si prepara a giocare l’ultima carta. Si è recata in Libia una commissione di funzionari Acnur dall’ufficio regionale di Beirut, in Libano, per intervistare i detenuti di Misratah e coordinare gli sforzi per accogliere i rifugiati in Paesi europei e americani, con programmi di resettlment, con particolare attenzione alle donne e bambini.
L’Alto commissariato starebbe facendo pressioni anche sul Ministero degli Interni italiano. Il Ministro Giuliano Amato, sembra disponibile ad accogliere una quarantina di persone; riteniamo questo numero di persone solo come un primo passo verso una maggiore disponibilità a concedere visti di ingresso per motivi di richiesta di asilo politico. Serve un programma di resettlment annuale perché pensiamo che questo sia un metodo valido per combattere l’immigrazione clandestina. Serve un ingresso legale e protetto per i richiedenti asilo politico, in assenza di ciò si vedono costretti ad affidarsi ai trafficanti di carne umana, con tutto quello che ne consegue.
Chiediamo all’UE e ONU di pretendere dalla Libia il rispetto dei diritti Umani firmando le convenzioni internazionali sui diritti dell’Uomo. Siamo esterrefatti dal fatto che la Libia oggi faccia parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Come è possibile che uno Stato come la Libia, che non ha mai aderito a nessuna convenzione internazionale in materia di rispetto dei diritti civili ed umani, oggi si sieda nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? Chiediamo che venga chiesto alla Libia di firmare le varie convenzioni tra cui la convenzione di Ginevra del 1951, le relative ratifiche e la Dichiarazione Universale sui diritti dell’Uomo.
L’A.H.C.S & A.H.E.I chiedono il sostegno e la collaborazione di tutti per destare l’attenzione dell’opinione pubblica e istituzionale su questo dramma, che sta vivendo il popolo Eritreo, in Libia.
Pertanto invitiamo tutti gli organi di stampa a dare voce alle comunità degli Eritrei presenti in Italia, che chiedono al Governo Italiano di farsi carico di questa situazione drammatica nelle sedi UE, ONU.
Per ulteriori informazioni:
UFFICIO STAMPA A.H.C.S
Tel/Fax 06. 69610234
Cell.3384424202 E-mail: agenzia_habeshia@yahoo.it
http://habeshia.blogspot.com
Intervista
Sig. Zerai Yosief Mussie,
lei da quanto tempo vive in Italia?
Sono ormai 16 anni che vivo in Italia
Come si é trovato in tutti questi anni, come ha vissuto?
In linea di massima abbastanza bene, tranne alcuni periodi di difficoltà, in relazione alla vita quotidiana, alla mancanza di lavoro, alle discriminazioni, ai pregiudizi; sono tante le cose che costituiscono difficoltà nella vita di un immigrato.
Ho vissuto lavorando e arrangiandomi come meglio potevo, cercando di conoscere meglio questo Paese, nelle sue varie sfaccettature, in tanti casi subendo lo sfruttamento, essendo costretto ad accettare un lavoro in nero e una paga misera; sono pochi, infatti, i datori di lavoro che ti mettono in regola, che ti pagano il giusto, che ti rispettano per la persona che sei prima ancora di rispettare le leggi. Quello che ho notato in questi anni è che manca il rispetto della persona e l’onestà morale. Per un Paese di tradizione cristiana vedere che tanti vorrebbero sfruttarti per pochi euro, ti lascia un pò perplesso; per non parlare dell’assenza quasi totale del senso dei diritti e dei doveri, dico questo perché basta andare negli uffici pubblici, per vedere tanti che si fanno pregare per compiere il proprio dovere, quello per cui sono pagati, anzi sembra che ti facciano un favore. Poi c’è la burocrazia, è micidiale, basta vedere nel nostro caso, un immigrato per il rinnovo del permesso di soggiorno, deve attendere da tre mesi fino ad un anno (varia da città a città); con il “tagliandino” che rilascia la questura non puoi fare nulla, anche se c’è stata una circolare del Ministero degli Interni, che lo dichiara valido come documento per svolgere operazioni bancarie, stipulare contratti ecc., ma nessun datore di lavoro è disposto a farti un contratto se non hai prima il permesso di soggiorno valido, quindi tu straniero per quei mesi sei paralizzato. Mi è capitato a Piacenza che, per fare un duplicato del mio permesso, ho dovuto attendere tre mesi; in quel periodo volevo acquistare un cellulare con la scheda, la commessa non ha voluto sentir ragione, per lei il “tagliandino” non era un documento valido, infatti ho dovuto aspettare di ritirare il permesso per muovermi, le pari opportunità per noi non esistono: io immigrato che vivo in Italia da 16 anni non vengo trattato al pari di un italiano.
Lei ha parlato di discriminazioni e pregiudizi, quando e come si è sentito discriminato? In quali ambiti vede queste modalità di pregiudizi nei confronti degli immigrati?
Le forme di discriminazioni sono varie: vanno da quello che ti insulta sull’autobus, a quello che ti dice: “Non assumiamo persone di colore”, poi ci sono quelli che fanno una campagna contro gli immigrati, e i media che parlano degli immigrati solo quando c’è qualche fatto di cronaca cosiddetta “nera”, si vedono certi politici che fanno l’equazione immigrazione = criminalità, ci sono, inoltre, cartelloni pubblicitari che dicono “Chi vota per il diritto di voto agli immigrati vota Bin Laden”. Questo lo trovo offensivo per me e per tanti immigrati che sono contro il terrorismo, magari tanti sono fuggiti proprio a causa di quest’ultimo.
I pregiudizi nei nostri confronti sono molto diffusi, alcuni vengono dall’ignoranza, altri dalle manipolazioni di alcuni politici e dei media. Quelli dettati dall’ignoranza nascono dalla paura che le persone hanno di ciò che è diverso, si mettono sulla difensiva, però appena ti conoscono diventano le persone più buone di questo mondo, e sono tante. Gli altri, invece, spinti da certe ideologie o da interessi di un partito o da qualche altra ragione oscura, scagliano le persone contro di noi, strumentalizzando qualche fatto di cronaca per attaccare gli immigrati in generale. I pregiudizi li vedi anche nelle leggi dello Stato, leggi concepite per difendersi dall’immigrato non per accoglierlo; , anzi si favorisce la sua emarginazione, in nome della sicurezza vengono calpestati i diritti umani e civili dell’immigrato. Il pregiudizio a volte si manifesta nel disinteresse del legislatore, in lacune legislative, nel modo di condurre indagini, nella facilità con cui si compiono arresti e condanne. Si vede il pregiudizio della società anche nel tipo di soluzioni che propongono gli enti locali per risolvere problemi legati ai migranti; basti considerare il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, che è un colabrodo per la incapacità di soddisfare le richieste di accoglienza, la cui qualità è comunque pessima, ma anche per la dispersione dei fondi e delle risorse umane in atto nel sistema di ospitalità italiano.
La cosa triste è che queste realtà le trovi anche negli ambienti cattolici, ma anche in quelli del centro sinistra italiano c’è qualche retaggio discriminatorio; basta vedere che tipo di soluzioni vengono proposte ai problemi legati al settore dell’immigrazione, al sistema di accoglienza, al mal funzionamento delle questure anche con governi di centro sinistra. Lo stesso nelle amministrazioni locali, c’è disponibilità però c’è la mentalità che l’immigrato si deve accontentare di quello che gli si offre, come se non fosse titolare di alcun diritto: non si pensa che un immigrato abbia gli stessi diritti di un cittadino italiano, ma quando si tratta di doveri hanno gli stessi doveri. Si sa la destra è sempre stata critica anzi ostile, spesso ha cavalcato il tema della sicurezza in chiave anti-immigrazione, con il rischio che il cavallo spesso cavalcato si riveli un cavallo di Troia per loro e per il Paese: quando si aumenta emarginazione ed esclusione sociale, si creano dei ghetti dove cresce risentimento; questo è quello che abbiamo visto in Francia, Spagna, Inghilterra, Olanda. Bisogna capire che non esiste integrazione senza la partecipazione nel senso più ampio del termine.
La stragrande maggioranza dei clandestini, dimenticano tutti, entrano in Italia non via mare con le “carrette”, ma con altri mezzi affidabili come il treno, l’aereo, il pullman, spesso con visto regolare o falso, ma superando comunque i controlli di frontiera, poi scaduto il visto vero o falso rimangono nel territorio italiano clandestinamente. Oggi in Italia si stimano 500.000 irregolari, quindi c’è qualcosa che non va nel sistema di controllo; questo dato ci dice, soprattutto, che non si può arrestare il movimento dei popoli, anche perché la solidarietà internazionale è pressoché fittizia o comunque interessata nelle sue molteplici forme della politica, dell’economia, della strategia economico – militare ect…quindi senza un reale beneficio per la popolazione dei paesi poveri.
L’Europa deve cambiare il suo approccio di politica estera e quello di cooperazione internazionale, deve premiare quei Paesi che si impegnano realmente per la pace, lo sviluppo, la democrazia. Spesso al contrario si ragiona solo con una logica di mercato, basta osservare la Cina: non ha fatto nessun passo avanti sul rispetto dei diritti umani, eppure oggi è partner economico commerciale di tanti Paesi europei; altro esempio è la Libia: non solo è stato tolto l’embargo, ma oggi è addirittura membro del consiglio di sicurezza dell’ONU, eppure è un Paese che non ha mai firmato un trattato internazionale sul rispetto dei diritti umani. Anche qui ha vinto il dio denaro o meglio il dio petrolio, la proroga della concessione per altri 25 anni all’Eni solo per cercare di bloccare le partenze dei migranti, senza badare ai metodi, alle condizioni di vita a cui vengono sottoposte le persone fermate dalla polizia libica; l’Europa ha appoggiato tutto questo per l’interesse nei riguardi del petrolio e del gas, i soliti interessi forti, che mettono in terzo piano il rispetto dei diritti umani e civili: i migranti sono una categoria sacrificabile, in nome di interessi nazionali, o sicurezza nazionale come se d’incanto perdessero la loro dignità umana, naturalmente valgono meno di 20 miliardi di euro di investimento per l’accordo con la Libia.
Tutto ciò accade con estrema semplicità perché tanti cittadini non si rendono conto che la difesa della democrazia o della pace non si fa nei propri confini nazionali, ma difendendo i diritti umani e civili anche di quelle popolazioni che ci sembrano molto lontane geograficamente. Oggi la globalizzazione del mercato, ma anche dell’informazione, la facilità con cui si viaggia, portano i Paesi lontani a chiedere rifugio alle porte d’Europa, per dirla tutta questo perché sono stati gli europei che se la sono cercata andando in passato ad occupare vasta parte della Terra, e oggi hanno la responsabilità morale e in certi casi anche politica – economica.
Io credo che non ci dovrebbero essere confini tra gli stati così come li vediamo oggi, perché con la globalizzazione economica, tecnica, informatica sono ormai superati. Senza limiti invalicabili si eviterebbero tante guerre inutili in giro per le risorse naturali della terra. I confini dovrebbero servire solo per una questione amministrativa, per la governabilità e vivibilità del pianeta. La cosa migliore per me sarebbe la creazione di un’unica Federazione di Stati che mettono in comune e a disposizione dell’umanità tutto: i Paesi cosiddetti sviluppati la scienza e la tecnologia e gli altri le materie prime, in questo modo tutti lavorano per migliorare la condizione di vita di tutti.
Oggi, ci dicono da più parti che il nostro pianeta è malato, come si fa a curarlo se siamo così divisi e sempre in lotta tra di noi? C’è la corsa al riarmo e parliamo di bombe atomiche, ma per distruggere non per curare, eppure sappiamo bene quali sono le conseguenze, Hiroshima ne è ancora una testimonianza viva. Oggi parliamo di milioni di profughi che fuggono da guerre, dittature e catastrofi naturali e la politica internazionale fatta di tanta ipocrisia sta a guardare, interviene solo là dove c’è un tornaconto . L’ONU è una istituzione neutralizzata, che non è in grado d’agire perché bloccata da chi ha “diritto di veto” come abbiamo visto nel caso Birmano, e tante volte nella questione Israelo-Palestinese. Non bisogna stupirsi allora se interi popoli vengono a bussare alle porte dell’Europa sperando di trovare ciò che viene loro negato nella propria terra spesso con la complicità proprio dei Paesi Europei, dell’U.S.A, della Russia, dell’Australia attraverso le loro politiche di strategia socio-economico, militare e la voglia di egemonia mondiale. Una notizia di questi giorni è l’ingresso nel consiglio di sicurezza dell’ONU della Libia e del Vietnam, siamo ormai alla farsa , l’ONU perde di credibilità, era già scandaloso che la Cina si sedesse nel consiglio di sicurezza… ora è in buona compagnia.
Lei ha parlato di richiedenti asilo politico e accoglienza, come funziona?
Ogni anno l’Italia riceve circa 10.000 richieste di asilo politico, negli ultimi anni la maggioranza provengono dal Corno d’Africa, quindi da Paesi molto familiari all’Italia, di queste richieste solo alla minima parte viene riconosciuto lo stato di rifugiato. Questo perché l’Italia si attiene strettamente al dettame della convenzione di Ginevra del 1951: per ottenere lo status di rifugiato, bisogna aver subito una persecuzione personale, non importa se la tua famiglia sia stata sterminata o il tuo villaggio bruciato, devi avere, per essere concreti, segni di tortura sul tuo corpo, o qualche pezzo di carta che provi che sei un perseguitato politico, cosa difficile da dimostrare per chi viene pescato in mare come un tonno. A differenza dell’Italia tanti Paesi europei hanno introdotto nella loro legislazione, una legge organica sul diritto di asilo, superando per certi versi la convenzione di Ginevra nel tipo dei requisiti che ci vogliono per tale riconoscimento. Questo è quello che chiediamo da più di dieci anni all’Italia, ma l’intera politica (sia di destra sia di sinistra) fa orecchie da mercante, rendendo così inattuabile l’art 10, 3 della Costituzione Italiana, che rimane un bel principio, ma che non è mai messo in pratica.
A tanti viene dato il permesso per protezione umanitaria, politicamente è meno impegnativo, ma di fatto le persone sono abbandonate a se stesse, non c’è un coordinamento nazionale che gestisce l’accoglienza; c’è stato il tentativo da parte di diversi comuni di Italia, ma la disponibilità offerta di 2000 posti a fronte di 10.000 richieste è fallimentare. Serve una legge organica sul diritto d’asilo che deve prevedere un sistema di accoglienza nazionale gestito dalle prefetture, capace di smistare, in base alla disponibilità dei posti, su tutto il territorio nazionale i richiedenti dopo la loro identificazione. Successivamente ci dovrebbe essere una presa in carico dei servizi sociali territoriali, che con un progetto individuale, corredato di corsi di lingua Italiana e di formazione professionale, accompagni la persona nel suo processo di integrazione con l’inserimento nel mondo del lavoro e nella piena l’autonomia. Non come avviene oggi: l’immigrato esce dai centri di identificazione e abbandonato alla stazione dei treni con questa frase: “Vai dove vuoi!”. Senza conoscere minimamente il Paese né tanto meno la lingua, spesso l’immigrato diventa preda di organizzazioni malavitose o di sfruttatori. Fino ad ora non ho visto la volontà politica di trovare delle soluzioni in questo senso, si parla tanto di lotta al lavoro nero, alla clandestinità, ma senza creare le premesse per farlo: non si combatte l’arrivo di clandestini con il pattugliamento congiunto che costa 34 milioni di euro, ma offrendo percorsi legali e sicuri per venire in Italia e in Europa.
Cosa chiedete?
Chiediamo al governo italiano una legge organica sul diritto d’asilo, un sistema di accoglienza seguendo lo standard europeo, una nuova legge sull’immigrazione più umana della Bossi – Fini, una modifica alla costituzione per permettere il diritto di voto agli immigrati che risiedono da più di cinque anni, la cittadinanza immediata a tutti i nati in Italia, di accorciare i tempi per la concessione della cittadinanza da 10 a 6 anni, e di trovare una soluzione per l’emergenza casa di tanti cittadini italiani e stranieri che vivono in situazioni non dignitose.
Lei accennava del pattugliamento congiunto del Mediterraneo, come vede lei la politica europea in materia immigrazione?
Se l’Europa vede come soluzione all’immigrazione e ai richiedenti asilo politico, l’innalzamento di un muro e chiudere le proprie porte, si illude e illude anche i cittadini sprecando tra l’altro i fondi dei contribuenti. Se veramente ha a cuore il destino di milioni di persone costrette a fuggire a causa di guerre, dittature e terrorismo, l’Europa deve offrire a queste persone, tramite le ambasciate o UNHCR, luoghi nel primo Paese di approdo dove possano presentare la loro richiesta di asilo, garantendo la sicurezza necessaria. Non come quello che vediamo oggi in Sudan o peggio ancora in Libia: esaminate le loro richieste gli Stati europei devono concedere un visto regolare che permetta loro di entrare legalmente in Europa.
L’Europa oggi è solo preoccupata di come respingere i potenziali richiedenti asilo politico, senza badare al prezzo che pagano le persone e che paga in termini di sicurezza, cosa che accade nei Paesi dove vengono respinte le persone, violazioni dei diritti più elementari, violenze, soprusi, discriminazioni e morte in mare o nel deserto, con la buona pace dei trafficanti che continuano a proporre nuove rotte sempre più pericolose.
Spesso gli Stati come Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, usano metodi di respingimento, in totale violazione dei diritti umani menzionati nei vari trattati internazionali in materia, abbandonandoli nel deserto del Sahara, in balia di predoni o ribelli di alcuni stati della regione, in altri casi consegnandoli ai loro aguzzini, come successe agli eritrei nel 2006 espulsi dalla Libia consegnati al regime che li perseguitava.
Servono campi di accoglienza nei Paesi di transito gestito dall’UNHCR, e le persone riconosciute come rifugiate dal UNHCR, devono essere trasferite in Europa in base a quote annuali di ingresso regolare, non quello per lavoratori, che in certi Paesi come l’Italia si sta già praticando, ma una quota specifica per richiedenti asilo politico, possibilmente non con numeri ridicoli come oggi in Italia. L’UNHCR potrebbe occuparsi dello smistamento in base alla disponibilità degli Stati, solo così si potrà eliminare l’arrivo dei clandestini con le carrette del mare.
L’Europa sul piano diplomatico ed economico, dovrebbe agire per migliorare le condizioni di vita nei Paesi da cui provengono tanti richiedenti asilo, nelle cooperazioni internazionali si dovrebbero coinvolgere i rifugiati che sono un ponte naturale tra l’Europa i Paesi di provenienza. L’Europa dice di avere la vocazione per diffondere la democrazia, questo è possibile solo offrendo formazione e coinvolgendo a tutti quei migranti che provengono da Paesi sottosviluppati. Deve offrire un rimpatrio volontario assistito e accompagnato da un progetto per lo sviluppo del paese che accoglie e per i profughi che tornano. Deve vigilare sul progetto affinché venga attuato a favore dei profughi, perché in passato sono accaduti episodi spiacevoli dove profughi rientrati sono stati pressoché abbandonati in zone depresse economicamente privi di servizi necessari come acqua potabile, ospedali, scuola, negozi quindi costretti ad emigrare di nuovo.
Lei vive da tanti anni in Italia, pensa che possa interessare la politica Italiana ad un immigrato? Pensa che possano avere qualcosa da dire sulla politica italiana?
Questa domanda è la prima volta che mi viene fatta da un giornalista; la devo ringraziare: chi l’ha detto che un immigrato non ha niente da dire sulla politica italiana? E’ come se lei mi stesse dando un riconoscimento ad esistere e ad interessarmi anche della politica italiana. E’ vero che noi immigrati non abbiamo diritto di voto, ma seguiamo con molto interesse la politica di questo Paese; in 16 anni ho visto almeno 10 governi diversi, più o meno uno peggiore dell’altro, non solo in materia di migrazione, ma anche riguardo alle battaglie sociali, alla sicurezza, all’economia.
Ho assistito ad una politica priva di morale, di etica; basti pensare a tutta la vicenda di “mani pulite”, che ha coinvolto e travolto vari partiti (ad esempio la DC, il partito socialista con Craxi), le vicende che hanno visto coinvolto il Cavaliere Berlusconi, ultimamente i DS con la vicenda Unipol… Sono cose che ti lasciano perplesso: la fiducia nella politica viene meno, una brutta immagine del Paese all’estero.
Oggi l’Italia è una delle 8 nazioni più potenti, dato che fa parte del G8, ma il suo stato sociale ancora fa acqua da tutte le parti. Vi sono famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, giovani che non riescono a progettare il proprio futuro, la precarietà dilaga seminando insicurezza economica nelle giovani coppie, costringendo tanti giovani a restare in famiglia fino a tarda età. Tutto questo è frutto di un fallimento della politica economica e sociale di decenni: governi preoccupati più prendere voti che a risanare i problemi del Paese (un debito pubblico che pesa come un macigno, l’evasioni fiscali che dilagano, frenando la capacità di intervento dello Stato nei problemi sociali).
Quello che si nota in Italia è la mancanza di rigore nel rispetto delle regole, anzi sono premiati i furbi, che raggirano le leggi per non pagare le tasse: più sono ricchi e più facilmente sfuggono al fisco! Tutto questo a danno della collettività. La politica in questo non è stata in grado di rispondere con unanimità, anzi si è gridato allo scandalo, se venivano fatti controlli a tappeto, si è affermato di vivere in uno stato di polizia fiscale, e di essere “strozzati” dal controllo ect… Con i vari condoni fiscali concessi si da l’idea che sia meglio evadere: tanto prima poi arriverà un condono che aggiusta tutto! O che è possibile cavarsela con il pagamento di una multa simbolica. Invece serve rigore nel pretendere il pagamento delle tasse, ma altrettanto rigore nel garantire i servizi e assistenza necessaria ai cittadini.
Alcuni Parlamentari incitano la gente a non pagare le tasse, ciò rappresenta un’irresponsabilità politica da parte dei governanti, diseducante per la futura generazione. Sarebbe, invece, giusto dire alla gente: “Fate il vostro dovere e pretendete anche i vostri diritti!”; E’ giusto che chi paga le tasse deve avere in cambio i servizi adeguati, rispettosi della dignità della persona e dello standard europeo.
Prendiamo in considerazione anche il tema dell’ambiente: quanti disastri ambientali causati dalla negligenza politica, o da una serie di condoni edilizi, concessi a danno dell’ambiente e quindi anche di tutti cittadini italiani e non solo; quando, infatti, viene deturpata una zona costiera o boschiva, il danno non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’umanità. Ci sono luoghi in Italia, considerati patrimonio dell’umanità, che subiscono le costruzioni abusive, spesso con complicità delle amministrazioni. Ciò è molto grave: la magistratura dovrebbe intervenire: serve rigore e legalità...
Quello che mi meraviglia è che i partiti di ispirazione cristiana, i quali per anni hanno governato l’Italia, siano falliti anche nell’educare i cittadini al senso civico, alla responsabilità verso la collettività, il bene comune, il rispetto dei diritti e doveri di ogni cittadino. Anche in essi, invece, è prevalso l’egoismo, l’individualismo, l’arrivismo a tutti costi. I temi sociali, prima ancora di essere di sinistra, sono dei cristiani; mi aspettavo, quindi, battaglie sociali portate avanti dai partiti di ispirazione cristiana. In questi anni, però, tutto è rimasto fermo: sia riguardo il tema del sostegno alla famiglia, la lotta alla povertà, il rispetto dei diritti delle donne, dei migranti, dei rifugiati…In certi ambienti c’è addirittura intolleranza verso i meno abbienti e i migranti.
Anche la sinistra ormai fa pochissime battaglie, spesso poco consistenti, il solito anticlericalismo di vecchio stampo; la sinistra, fedele alla sua tradizione, avrebbe dovuto dare battaglia per cambiare le cose riguardo l’aspetto socio-economico, la distribuzione equa del reddito attraverso assegni familiari, l’assegnazione delle case popolari, gli ammortizzatori sociali, il miglioramento dei servizi nella sanità, dimezzando l’iter burocratico negli uffici pubblici, la maggiore efficienza e trasparenza della macchina della giustizia, il rendere meno precaria la vita dei giovani, l’investimento nel campo della ricerca, della competitività industriale e di mercato.
Da questo governo mi aspettavo una seria giustizia: quella sociale, economica, legislativa. Finora ci sono stati pochi segnali timidi; mi aspettavo una nuova legge sull’ immigrazione, più giusta: non pensata in chiave difensiva bensì di accoglienza, che garantisse la sicurezza nazionale, ma anche la questione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia. Allo stato attuale devono attendere il raggiungimento del 18simo anno di età; chi non è nato in Italia per ottenere la cittadinanza deve risiedere in tale Paese per10 anni e possedere un reddito al di sopra della soglia della povertà; comunque anche se hai tutti i requisiti necessari, l’ottenimento della cittadinanza non è automatico: ci vogliono anni prima di riuscire ad averla! Chi, invece, vive in Argentina o in Brasile, e si ricorda di aver avuto un nonno o bisnonno Italiano può ottenere la cittadinanza Italiana senza avere dato nulla a questo Paese! Il mio lavoro in questo Paese, invece, che ha contribuito ad arricchire i cittadini italiani, non viene considerato. Questo io lo trovo ingiusto! Così come trovo ingiusto negare il diritto di voto agli immigrati che risiedono da più di cinque anni, non solo in quelle amministrative ma in tutte le votazioni dovrebbero poter esprimere le loro preferenze su chi deve governare la città, la regione o la nazione dove hanno scelto di vivere. Anche su questi temi la sinistra italiana fa cilecca.
La nascita del PD non sarebbe male se non fosse un partito già “lesso”, prima di nascere, da divisioni dei componenti: infatti non sta nascendo un nuovo partito, ma si tratta di una fusione ancora non ben riuscita, che dovrebbe rappresentare una sinistra imborghesita, un socialismo all’acqua di rosa, un cristianesimo sbiadito. Per questo non m’ispira fiducia. Il PD non sarà mai in grado di fare scelte radicali o battaglie di grande rilievo perché le anime che lo compongono sono talmente diverse che difficilmente riusciranno a mettersi d’accordo. Forse sarebbe adatto per guidare qualche governo di transizione o per il mantenimento dello status quo del Paese, ma non si possono aspettare grandi cambiamenti da un eventuale governo retto solo dal PD.
Lasciando perdere Forza Italia, che è un semi-partito formato da furbacchioni, da fuoriusciti e avanzi della Dc o PC, la vera destra, quella dell’On. Fini, regge bene la maschera di una destra moderata che porta da un po’ di anni, però ogni tanto ci sono dei movimenti tellurici, che portano a scissioni (come quella dell’On. Storace o lo strano riavvicinamento della Mussolini) e la continua campagna anti-immigrati portata avanti da alcuni componenti del partito di Alleanza Nazionale. Quest’ultimo è un partito che fa fatica ad essere veramente moderato, senza perdere i valori a cui crede; bisogna dare atto che qualche passo avanti si è fatto, ma manca ancora molto riguardo ad esempio il tema della tolleranza, della solidarietà, dell’accoglienza anche dei migranti.
I cosiddetti partiti di centro come quello dell’On. Casini o dell’On. Mastella, se vogliono avere un futuro, dovrebbero unire le loro forze, per dare voce a tutti quei cristiani che vogliono un partito con forte identità cristiana, non solo di nome ma di fatto, che in Italia in questo momento è inesistente. Non so se questi partiti si rendono conto del grosso compito e della responsabilità sociale che hanno in un Paese come l’Italia: i cristiani e i partiti di ispirazione cristiana dovrebbero essere un motore etico, morale, in tutti campi della società italiana. Invece li vedo assenti, non basta mostrare i muscoli con adunate oceaniche ogni tanto, ma servono battaglie quotidiane, a fianco delle famiglie, dei giovani, degli immigrati, dei pensionati… servono battaglie per la giustizia sociale.
Per quanto riguarda il tema della sicurezza, spesso c’è mancanza di volontà d parte dello Stato di estirpare certi fenomeni che esistono in Italia, come la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta. In tutti questi anni ci sono state tante ambivalenze anche da parte dello Stato come convivenze tra politica ambienti mafiosi; anche quando vengono scoperti, non so perché, si fa fatica ad estirparli del tutto; spesso quello che non viene garantito a un “ruba galline”, che va in carcere, viene invece garantito ai mafiosi arrestati… eccesso di garantismo.
Bisogna puntare sulla formazione alla legalità fin da piccoli, mandare i poliziotti a tenere lezioni nelle scuole anche nelle università, lavorare di più sulla prevenzione; poi a chi commette reato accertato, far scontare la pena giusta; non basta, però, chiuderli in carcere, ma è necessario ideare un programma educativo da mettere in pratica in carcere per recuperare il reo. Ciò che dovrebbe essere evitato sono le solite campagne allarmistiche, che fanno certi giornali e telegiornali o i politici, che soffiano sul fuoco solo per interessi, non tenendo conto che turbano la quiete pubblica, diffondono un senso di insicurezza con dati discutibili.
Parlando di economia una cosa positiva per l’Italia è l’ingresso della moneta unica europea; anche se uno spiacevole sciacallagio da parte dei commercianti, che hanno raddoppiato i prezzi, ha penalizzato, dimezzandolo, il potere d’acquisto della gente, per il resto l’Italia è salva da una continua oscillazione della sua valuta; oggi, infatti, l’Italia ha una certa stabilità monetaria, ci sono anche segni di sviluppo da incoraggiare. La politica, però, non si deve far sopraffare dall’economia: la tendenza che vedo è l’uomo al servizio dell’economia; invece deve essere il contrario: l’economia a servizio dell’uomo; per questo servono equità e giustizia con una forte dose di solidarietà sociale.
Inviterei tutti i cittadini italiani, quando vanno a votare per le politiche nazionali, a tener conto non solo della situazione interna del Paese, ma anche che tipo di politica estera viene condotta dai governi e dai partiti che si candidano: se promuovo azioni a danno di altri popoli, come si rapportano con il mercato delle armi, se hanno reale intenzione di impegnarsi per contribuire ad una soluzione contro la fame nel mondo, le varie ingiustizie a danno dell’infanzia, delle donne, di tante popolazioni inermi. Anche in questo modo si possono condizionare le scelte dei governi; ciò vale anche per le votazioni regionali, provinciali, comunali, perché nel loro piccolo anche tali enti possono fare bene o danneggiare certe popolazioni, ad esempio con il loro sostegno economico a dittatori al potere, attraverso la cooperazione internazionale, i gemellaggi. Naturalmente per garantire tale trasparenza di informazioni e notizie servirebbero organi di stampa indipendenti, non soggiogati dai poteri forti, come, invece, avviene in Italia. Non serve a niente lamentarsi degli sbarchi dei clandestini, se non si cerca di aiutare le popolazioni a trovare soluzioni alla radice del problema, invece di pensare solo a come sfruttare le risorse naturali o il mercato oppure la posizione strategica del paese di turno. Oggi le potenze mondiali si muovono solo dietro ad un interesse, mai per il bene delle popolazioni in difficoltà; anche nei casi di calamità catastrofiche, si interviene pensando al proprio tornaconto, senza nessun vantaggio per la popolazione disastrata. Questo è il mondo in cui stiamo vivendo, siamo una società malata di mercato, di economia: è come se fosse un treno che viaggia a grande velocità, i pochi fortunati sul treno dettano le leggi, a discapito di miliardi di persone; manca poco che ci mettano un contatore sotto il naso per farci pagare anche l’aria che respiriamo! Per quanto riguarda l’acqua questo già avviene, con la privatizzazione di certe fonti, con il rischio di una guerra tra poveri…. anche questo fa parte della difesa della democrazia: difendere l’acqua come un bene comune dell’umanità che non appartiene a nessuno Stato, ma all’umanità. Rischiamo una terza guerra mondiale: qualche segnale già c’é anche in vari posti nel sud Italia, senza acqua da mesi; la gravissima assenza dello Stato esaspera le anime.
Lei è cattolico, come vede la chiesa cattolica Italiana?
La chiesa italiana è viva, ma incapace di sfruttare tutte le sue potenzialità per fare del bene alla società italiana e al mondo intero. Dico questo perché la vedo molto tiepida nelle varie battaglie sociali, etiche, morali: potrebbe fare molto di più! Dovrebbe spronare tutte le persone a fare meglio le cose, a cominciare dal proprio dovere di cittadini, che non si riduce al pagamento delle tasse, ma a fare bene il proprio lavoro, stare lontani da commettere ingiustizie a danno del prossimo, pensare di più al bene comune, non essere arrivisti calpestando gli altri.
La chiesa deve recuperare l’oratorio, formazione permanente dei suoi fedeli, non basta l’omelia o la catechesi ai bambini. Se vuole combattere il relativismo del mondo di oggi deve puntare sulla formazione e sull’esperienza di solidarietà sociale, promosse con grande entusiasmo e coinvolgimento da tutte le parrocchie in tanti settori della società. Non bastano le GMG o altre simili adunate: la quotidianità deve essere attiva, fatta di preghiera, formazione ed azioni, solo così la chiesa può dare risposta a tante problematiche che attanagliano la società italiana.
La chiesa ha funzione sociale quindi la chiesa ha tutto il diritto di fare battaglie sociali per il bene delle comunità, deve agire.
La chiesa ha compito educativo, quindi deve educare la società ad essere giusta e solidale tra di loro, anche con i migranti, non lo sta facendo abbastanza.
La chiesa deve soprattutto testimoniare l’Amore di Cristo, non solo con le parole, ma con i fatti! Non è mai sufficiente, infatti, quello che si è fatto e che si sta facendo, perché l’Amore di Cristo si da fino ad offrire la propria vita.
La chiesa non deve temere di essere impopolare deve dire e fare ciò che è giusto davanti a Dio, senza badare a quanta gente è seguita. La chiesa deve essere quel punto fermo della società: tutto cambia, tutto passa, ma Cristo con la sua chiesa mai! Quindi parlare sì all’uomo moderno, ma senza annacquare i principi cristiani. A a me piace Papa Benedetto XVI perché prima ribadisce quali sono i punti fissi della chiesa di Cristo, poi possiamo dialogare, confrontarci senza nessun rischio di sincretismo religioso o di pensiero teologico, filosofico: bisogna avere chiaro quello che si è per poter confrontarsi con gli altri.
Mi piacerebbe fare una domanda ai vescovi italiani: “La chiesa italiana Quo Vadis? Dove sta andando?”
Ho la sensazione che la gente si stia facendo una religione su misura:, si prendono i sacramenti perché si usa, così senza aver compreso realmente il vero senso del sacramento che si sta celebrando… Non so, a lungo andare, cosa sarà della chiesa in Italia.
Guardando all’Europa, che non ha voluto ammettere le proprie radici cristiane nella sua costituzione, mi sono chiesto se il cristianesimo in Europea é veramente penetrato fino infondo alla cultura delle popolazioni. Se fosse così come si spiega questa rapida secolarizzazione di certe nazioni per secoli considerate cristiane?
Oggi in Europa c’è un certo lassismo dei preti e suore, non c'è più l’ardore missionario, certi preti del nord Europa sembrano degli impiegati statali, un appiattimento pericoloso per la fede di molti, perché la fede é come una pianta: deve essere continuamente curata, annaffiata altrimenti pian piano si secca e poi muore.
Per fortuna ci sono pochi, ma bravi preti, suore, persone consacrate, o laici impegnati che portano avanti delle vere battaglie civili e sociali in Italia e anche in altre parti del mondo. Non sempre sono visti di buon occhio da una parte della chiesa gerarchica; questo non va bene: la chiesa non può sottrarsi al suo ruolo sociale, alla sua opzione per i poveri, si intende non solo materiali. Mi piacerebbe vedere più spesso una chiesa in piazza per la pace, la giustizia, la libertà del genere umano; una chiesa meno gessata dalla diplomazia, molto più vicina alla gente; una chiesa pronta a sporcarsi le quando è necessario per testimoniare il vangelo: non basta il pulpito, o la cattedra! Fanno bene Don Benzi, che scende in mezzo alle prostitute, Don Ciotti, in mezzo ai tossicodipendenti, Madre Teresa di Calcutta, in mezzo ai derelitti , il Beato G.B. Scalabrini in mezzo ai migranti. Noi esseri umani siamo fatti per il bene, ma spesso siamo tentati dal male, quindi la chiesa ha il compito di educarci, richiamarci alla nostra vera natura che è quella di essere il bene; questo lo fa con le parole, ma soprattutto con i fatti. Oggi ,però, quello che manca sono i fatti: sono, infatti, troppo pochi… in un mondo pieno di ferite sanguinanti sono pochi i medici dei corpi e delle anime; una buona parte del clero si è imborghesito, così anche alcune religiose; a tutto ciò hanno contribuito anche gli ostacoli posti dagli Stati, dai partiti, dalla massoneria, in nome di uno stato laicista, si mette in ridicolo la fede degli altri: chi è credente viene fatto sentire fuori tempo, fuori contesto sociale, etichettato come bigotto, un individuo da emarginare. Basta vedere i vari programmi televisivi per capire che messaggi vengono lanciati: quello che conta è apparire, fare carriera, arricchirsi non importa come, essere furbi anche a danno degli altri ect… La chiesa in Italia deve ritrovare la sua grinta missionaria non per andare lontano, ma per rievangelizzare la sua popolazione, intossicata dal consumismo sfrenato: tutto è lecito basta avere i soldi, nessuna morale, etica, tradizione. La chiesa deve rimediare al guasto sociale, in modo disinteressato; a differenza della politica e dei partiti la chiesa non ha bisogno dei voti dei cittadini, ha i numeri sufficienti per fare grandi cose, ma manca la volontà; tutto questo, infatti, costa fatica, e anche nella chiesa, purtroppo, sono pochi coloro che sono disposti a rinunciare alle comodità
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