18/09/2011
Scritto da: Massimo A. Alberizzi alle 12:36 del 18/09/2011
Dieci anni fa, il 18 settembre 2001, probabilmente approfittando del fatto che gli occhi del mondo erano puntati sull’attentato alle due torri di New York, il dittatore eritreo Isaias Afeworki, faceva arrestare un gruppo di ministri e funzionari, rei di aver chiesto l’applicazione della Costituzione e libertà politiche e civili.
Tra loro eroi della guerra di liberazione dell’Etiopia e leader del Fronte Popolare di Liberazione dell’Eritrea, amici e comoagni di lotta di Isaia Afeworki, come Petros Solomon (capo dell’intelligence, poi ministro degli esteri e infine delle risorse marittime), Hailè Woldensaye (detto Duro, ministro degli esteri), Mohamud Ahmed Sharifo (ministro degli Interni), Ogbe Abraha (Capo di Stato maggiore). Gettati da qualche parte in una galera, da allora sono spariti nel nulla.
Le classifiche dei Paesi che esercitano il potere con il pugno di ferro mettono l’Eritrea all’ultimo posto, assieme alla Corea del Nord. Eppure pochi puntano gli occhi sull’ex colonia italiana. Pochi conoscono le drammatiche condizioni in cui vive la sia popolazione costretta da uno stato di polizia che spia ogni movimento a comportamenti circospetti e guardinghi.
Nel Paese non esiste Costituzione, non sono ammessi partiti d’opposizione, né giornali e le università sono state chiuse.
Mentre le condizioni dello Zimbabwe e il modo con cui il suo dittatore, Robert Mugabe, gestisce il Paese (comunque lì ci sono partiti e giornali d'opposizione) sono abbastanza conosciute, l’Eritrea è nascosta nell’ombra e Isayas, trasformatosi da combattente per la libertà in feroce dittatore, viene spesso in Italia a curarsi, incontra politici e alcune regioni, come le Marche, gli hanno dato credito e attivato canali di cooperazione.
I profughi che arrivano sulle coste italiane vengono da questo inferno, da quello che gli osservatori chiamano ormai "lager a cielo aperto" dove il potere e i suoi occhi controllano tutto e i rischi di finire in un carcere sono continui e concreti
Un collega giornalista eritreo, che, per evidenti motivi di sicurezza, ha chiesto di non rivelare il suo nome, ci ha mandato questa testimonianza che volentieri pubblichiamo.
m.a.a.
Sono passati 10 anni da quel terribile giorno. Era il 18 Settembre 2001 quando con gli arresti dei ministri dissidenti, eroi della guerra di liberazione, i sogni degli Eritrei sono stati polverizzati e calpestati. Non da un invasore ma da un fratello uno dei nostri. Noi guardavamo al futuro mentre lui si è incoronato il nuovo Negus, il nuovo Imperatore dell’Eritrea.
Dopo 20 anni di indipendenza e di liberazione dal dominio etiopico, oggi nel mondo, secondo i dati forniti dall’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ci sono più profughi eritrei che afghani. Nella vostra ex colonia ci sono più prigioni (molte delle quali sono segrete) che scuole. Si rifiutano tutti gli aiuti internazionali per orgoglio ma ad Asmara e negli altri centri urbani aumentano ogni giorno i bambini e le donne che chiedono l’elemosina per le strade o che si arrangiano vedendo qualcosa.
E’ vero che nei mercati si vendono frutta e verdura, uova e prodotti locali, ma la paga media del paese è di 500 Nakfa cioè 24 euro. Con un salario come questo come si fa a vivere se una stanza in affitto, senza servizi, nei dintorni di Asmara costa 300 Nakfa (cioè poco meno di 15 euro), le uova costano 0.47 euro, un litro di latte costa 1.16, il pane (razionato, quindi non si trova sempre) 0.24 per panino, la benzina 2.39 al litro? E ancora continuando, il carbone costa 2.4 euro al chilo, il kerosene 1.16, il gas per cucinare 14,5 per bombola da 13 chili, quando lo trovi, perché spesso, per lunghi periodi non c’è. La nafta in questo periodo non si trova e al mercato parallelo e arrivata a costare 2 euro al litro .
Come fai a vivere con 24 euro al mese e nessuna prospettiva di migliorare? Se sei fortunata e hai qualcuno, parente o amico, che ti manda aiuti dall’estero, in qualche modo ti barcameni e c’e la fai. Ma questa situazione non fa altro che incoraggiare i giovani a partire, giacché è questo è l’unico modo per mantenere le famiglie.
Sulla costa eritrea (da Massawa fino ad Assab) in media la pioggia raggiunge a malapena i 300 millimetri all’anno. Nelle zone occidentali ( da Barentu fino a Tessenei, e poi Keren e Agordat ) cascano mille millimetri d’acqua. Il paese dipende dalla pioggia per l’agricoltura e per l’allevamento del bestiame, fonti principali di sostentamento del Paese. In poche parole significa che la maggior parte della popolazione è direttamente colpita dalle condizioni climatiche. In più il fatto che il conflitto di confine con l’Etiopia non sia risolto e le relazioni tra i due vicini siano sempre tese, complica le cose perché la situazione di emergenza rimane e molte risorse dell’Eritrea sono dedicate al mantenimento dello stato di allerta e destinate alle spese per la difesa.
Nel 2002–2003 in Eritrea fu dichiarato ufficialmente lo stato di siccità e nel 2005 quando la situazione non era per nulla migliorata Ali Abdu (allora ministro dell’Informazione) dichiarò: “La pioggia è stata scarsissima, specie degli ultimi tre o quattro anni”.
Al tempo si stimò che 2 milioni di eritrei (su una popolazione circa 3.5 milioni) erano a rischio di malnutrizione. A dispetto delle dichiarazioni fatte dal Ali Abdu, nel 2005 un appello per chiedere aiuto non fu mai lanciato.
Dal 2009 le piogge hanno continuato a scarseggiare. Sulla costa nel biennio 2010-2011 praticamente non ci sono state e sull’altopiano ed il basso piano occidentale quest’anno, come l’anno scorso, sono apparse in ritardo e sono state molto scarse.
Vent’anni di dignità e non siamo capaci di ammettere che qui è dal 2002 che siamo in gravi condizioni a causa della siccità. Vent’anni di dignità e ora noi non siamo solo ancora tra i Paesi più poveri del mondo ma siamo forse l’unico Paese che paga la benzina 2,39 euro al litro. Siamo fortunati perché d noi la crisi finanziaria che ha colpito solo ora il mondo, da noi è scoppiata in anticipo: più di 10 anni fa. Con questo primato abbiamo battuto tutti.
Vent’anni di dignità ci hanno portato a pensare e a vedere i nostri fratelli e sorelle eritree con sospetto come possibili nemici in un ambiente che oramai, sfortunatamente , ha molto in comune con il periodo del dittatore Mengistu Hailè Mariam. Allora però avevamo le idee chiare. Ora siamo confusi frastornati. In Eritrea è stato organizzato un feroce stato di polizia. A differenza della Somalia, oppure di Darfur, qui non ti puntano un fucile o una pistola. Ti puntano un arma invisibile del sospetto e della paura e dalla sparizione come per il desaparecidos in Argentina. Vent’anni di dignità, come proclama il governo, sono vent’anni di repressione e dittatura. Ecco alcuni dati:
• Chiusa l’università d’Asmara
• Chiusi i giornali indipendenti che erano stati fondati dal 1992 al 2001, considerati dalle autorità come fonti di disinformazione e diffusione del malcontento
• Chiuse le cliniche private, le uniche nelle quali ci si potere curare con dignità
• Chiuse le ditte di costruzione private. Troppi ingegneri non vanno bene, sono peggio di troppi avvocati
• Chiuse le Organizzazioni non Governative (le NGO) locali, considerate fonti di subbuglio e nemiche dello Stato
• Chiuse le NGO internazionali, considerate imperialiste, approfittatrici e causa di tutti i problemi africani, specialmente della lotte contro le dittature nei Paesi arabi.
• Chiusi i giornali indipendenti che erano stati fondati dal 1992 al 2001, considerati dalle autorità come fonti di disinformazione e diffusione del malcontento
• Chiuse le cliniche private, le uniche nelle quali ci si potere curare con dignità
• Chiuse le ditte di costruzione private. Troppi ingegneri non vanno bene, sono peggio di troppi avvocati
• Chiuse le Organizzazioni non Governative (le NGO) locali, considerate fonti di subbuglio e nemiche dello Stato
• Chiuse le NGO internazionali, considerate imperialiste, approfittatrici e causa di tutti i problemi africani, specialmente della lotte contro le dittature nei Paesi arabi.
Sì, è vero dalle miniere del nord si estrae l’oro ma questo business è come un ristorante a numero chiuso e al tavolo noi, il popolo, non siamo invitati, tranne che per fornire la manovalanza necessaria alle varie ditte governative impegnate nello sfruttamento delle risorse minerarie. Gli azionisti dell’ Eritrea SPA non siamo noi, non è il popolo.
Ogni anno ci consoliamo dicendo: “Ormai abbiamo toccato il fondo “. Ogni anno speriamo che ormai non si possa far altro che risalire. E ogni anno dobbiamo invece constatare che il fondo è sempre più giù, sempre più profondo.
Jaramogi Oginga Odinga, padre dell’attuale primo ministro del Kenya, Raila Odinga, e uno degli artefici dell’indipendenza dell’ex colonia britannica, scrisse un libro sul suo paese “ Not yet Uhuru”, non c’è ancora libertà. Ecco, in Eritrea è lo stesso: “ Not yet Freedom”.
La foto di gruppo è stata scattata negli anni '70-'80, ci sono tutti i dirigenti del Fronte Popolare di Liberazione Eritreo, amicci e compagni di lotta in piedi ci sono Ogbe Abraha, Ali Said Abdella, Sebhat Ephrem, Haile Woldensaye, Petros Solomon, Mohammed Said Bareh, Mesfin Hagos, Al-Amin Mohammed. Accosciato Said. Seduti: Berhane Gherezgiher, Ibrahim Afa, Romedan Mohammed Nur, Isaias Afeworki, Mahmoud Ahmed Sharifo. Più in baso Petros Solomon e poi Isaias Afeworki con il presidente Berlusconi. Poi Hale Woldenaye e una manifestazione di dissidenti in Italia. Un camion carico di profughi appena entrati in Sudan.
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